Za darmo

I divoratori

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« Adoro i gioielli. Ho dei brillanti insolenti, quasi azzurri, grandi come il mio cuore! – che dico? – di più, di più! E li porto a tutte le ore, in tutte le stagioni – intorno al collo, alle braccia, alle caviglie – su tutta me!

« Spero che anche voi portate molti gioielli.

« Adoro gli uomini ineffabilmente anormali e mauvais-genre, che portano degli anelli fino alla punta delle dita.

« E sono femminea… oh, oltre ogni dire femminea! Non porto che delle vesti ondeggianti, delle fluttuanti trine, dei larghi cappelli ricadenti ad ombreggiare le mie morbide chiome. (Sì; le mie chiome sono morbide).

« Non ho opinioni; non ho vedute. Non seguo mai il filo di un ragionamento. Sono contenta di essere una piccola creatura indifesa che tutti proteggono e compiangono e sgridano e adorano.

« Non bevo « cocktails ». Fumo (ve l'ho detto?) delle sigarette russe profumate all'eliotropio bianco – e certo nessun uomo farebbe una cosa così nauseante.

« Sono distratta. Sono negligente. Sono prodiga. Sono pigra. Oh, assai pigra! Invidio tanto la « Belle au Bois dormant » che ebbe cento anni di sonno, e dormirebbe ancora adesso, se il Prince Charmant non l'avesse baciata....

« Addio, Prince Charmant!

« Ecco: ho parlato di me.

« Eva. »

XI

Il giorno seguente, a colazione, la signora tedesca fissò ancora in viso Nancy, e poi distolse gli occhi. Si mangiava in silenzio quando Anne-Marie chiese a sua madre:

– Che cos'è questa cosa marcia che mangiamo?

– Zitta, cara, – disse Nancy. – E' buonissimo. E' stufatino.

– Cos'è il stufatino quando è vivo? – chiese Anne-Marie.

Nancy sorrise, e la fossetta le si incavò rosea nella guancia.

Allora la signora tedesca, che aveva visto il sorriso e la fossetta, disse all'improvviso con voce tremula e agitata:

– Lei si chiama Nancy?

Nancy la guardò stupita. Poi rispose:

– Sì.

E tutti tacquero, guardandole.

– Io sono Fräulein Müller, – disse la signora tedesca, togliendosi dalla tasca un fazzoletto a orli rosa, e preparandosi alle lagrime.

– Fräulein Müller! Fräulein Müller! – pronunciò Nancy, quasi in sogno. – Ma allora è lei che mi leggeva Uhland e Lenau, quando ero piccola....

Allora Fräulein Müller pianse nel suo fazzoletto, e Nancy si alzò e fece il giro della tavola per andarla ad abbracciare. Poi toccò a Fräulein Müller di alzarsi e fare il giro della tavola per andare a baciare Anne-Marie.

Dopo di che la signora dai capelli color zolfo osservò quanto è piccolo il mondo. E il giovinotto di spirito disse che finirebbero collo scoprire che lui e lei erano fratello e sorella. Non aveva lei una voglia di fragola sulla spalla sinistra? No? Ecco! Che strana coincidenza! Neanche lui. Dunque erano forse gemelli.

Questa fine facezia ebbe un immenso successo, e tutti risero, eccetto la famiglia distinta che non rideva mai.

Dopo colazione Fräulein Müller invitò Nancy a venire nella sua camera; e volle tenersi in grembo Anne-Marie.

– Ma se piangi, – disse Anne-Marie, – ho schifo.

Allora Fräulein promise di non piangere più; e anzi le insegnò il giuoco « Da hast du'nen Thaler, geh' auf den Markt » (Eccoti un tallero, va al mercato....), che Anne-Marie trovò assai divertente.

Quando potè discorrere un poco in pace con Nancy, Fräulein le narrò le sue peripezie colla famiglia americana, dove era rimasta tanti anni dopo aver lasciato la Casa Grigia. E le raccontò che adesso coi suoi risparmi poteva riposare, e aveva appunto preso in affitto una piccola casa a Staten Island – una casetta tutta bianca in mezzo a un minuscolo giardino – dove passerebbe tranquilla il resto dei suoi giorni. La settimana prossima la casetta sarebbe già pronta a riceverla.

– E a ricevere anche te, mia Nancy, e la tua bambina, – disse Fräulein, cercando un posto asciutto nel fazzoletto dagli orli rosa. – Verrete a stare con me. Oh, meine kleine Nancy! Il nostro piccolo Genio! E cosa ne è della Poesia?…

La settimana seguente Fräulein Müller lasciò Lexington Avenue per prendere possesso del suo « Gartenhaus », come chiamava la casetta a Staten Island. E tre giorni dopo, Nancy e Anne-Marie si recarono a stare con lei per una quindicina di giorni.

– Che genere di educazione hai dato alla tua bambina? – chiese la vecchia governante, alla chiusa della prima giornata tutta di miracolose scoperte per Anne-Marie. (Come? le fragole crescevano sulle piante? Anne-Marie aveva sempre creduto che non ci fossero che in canestri!)

Ora Anne-Marie era a letto, e Fräulein era sola con Nancy, da basso nel salottino illuminato.

– Mi pare che sappia ben poche cose, – continuò Fräulein Müller. – L'ho interrogata un po' sull'aritmetica.... sul sistema metrico decimale. M'ha detto, sì, sì! che sapeva tutto ciò; e voleva parlar d'altro. Ma io – disse Fräulein con severo cipiglio – sono stata molto ferma. Le ho chiesto: Vediamo, per esempio: dove metti i millimetri? Lei non sapeva. Vanno a destra o a sinistra? Ha fatto una faccia e ha detto: « Ho schifo dei millimetri. » Ma perchè schifo? Le ho detto: Ricordati che i millimetri vanno sempre a destra. E lei mi ha risposto: « Allora io andrò sempre a sinistra. ».... Vedi, io ho trovato che quella era una risposta di una incredibile stupidaggine.

Nancy rise.

– Ma questo è ancora nulla, – continuò Fräulein Müller. – Siccome io insistevo, lei m'ha detto: « Tu mi farai sognare tutta notte di quelle bestie. » Ma che bestie? dico io. Cosa credi che siano i millimetri? E lei m'ha risposto: « Oh Dio, saranno i bambini o i parenti dei centopiedi ».

Nancy scusò la sua piccina descrivendo a Fräulein la scuola che aveva frequentato nella Settima Avenue. La governante ne fu addolorata.

– Ma la educherò io, – disse. – Certo sarà un genio anche lei.

– Ho paura di no, – sospirò Nancy. – Ma quanto l'avrei desiderato!

Le due donne tacquero. E allora per l'aperta finestra s'udì una voce limpida e chiara come una cascatella d'acqua montanina. Era la voce di Anne-Marie nella cameretta di sopra.

– Senti che canta, – disse Fräulein Müller.

– Oh, sì. Canta sempre così, per addormentarsi – disse Nancy – da che ha sentito una volta un violino. La musica le piace.

E Nancy raccontò della Romance di Svendsen, e del pianto di Anne-Marie.

– Se è così, – disse Fräulein molto risoluta, – le comprerò un violino domani.

E così fece infatti. Il violino era nuovo e giallo e lucido, e dentro aveva un'etichetta col nome di « Guarnerius ». Costava tre dollari.

Anne-Marie lo accolse con soddisfazione. Spinse l'arco su e giù sulle corde con molta gioia, ma per poco tempo. Poi divenne impaziente e uscì in giardino a cercare un grosso sasso....

– .... Mi faceva delle brutte vociacce, – disse Anne-Marie, ritta e impenitente accanto ai frantumi di legno giallo, mentre Fräulein Müller e Nancy crollavano le teste, con dolore e rimprovero. – Volevo vedere cosa c'era dentro che gnaulava così.

Fräulein disse quella sera a Nancy:

– Non credo che la musica sia la sua vocazione. Ma staremo a vedere.

XII

« Giugno. Staten Island.

« Buon giorno, mio tenebroso Sconosciuto.

« Sono in campagna, seduta su un muricciuolo di sassi, e non vedo che lontane colline e sonnecchianti campi. Nel sole v'è un ronzìo di insetti che mi fa impallidire e rabbrividire. Odio con grande odio pauroso gli insetti che ronzano.

« Perchè non siete qui? Ho in testa un grande cappello bianco con nastri ceruli, e una sciarpa cerula mi cinge la tenue vita. Sembro l'eroina di una novelletta vecchio stile. E nessuno mi vede. E i prati sono pieni di fiori; ed io li colgo e non so a chi darli. In tutte le soavi e semplici leggende, quando l'eroina è seduta su un muricciuolo, con un cappello bianco e una sciarpa cerula, ecco – inaspettatamente – il Prince Charmant passa, la vede, s'arresta....

« Ahimè! nella vita non è così. La vita è un pesante romanzo moderno in cui appare e scompare tanta gente superflua e soporifica; e in cui l'eroina ha degli amanti noiosi, che si assomigliano tutti come una fila d'ometti tagliati nella carta. E invano vi si aspetta l'inaspettato.

« Io sono qui sul muricciuolo con la mia sciarpa cerula, mentre voi siete a tremila miglia lontano da me....

******

« Buon giorno, ancora. Sono sempre qui su quest'isola, a vivere di cose ingenue: d'erbaggi, e di tramonti, e di ricordi di cose che non furono. Voi siete una cosa che non fu. Forse per ciò vi ho sempre nella mente.

« Alla gente che vedo sempre, non penso mai. A voi che non vedo mai, penso sempre.

« Mi chiedete conto dei miei amanti. Mi domandate perchè ne ho. Semplicemente perchè trovo che mi abbelliscono! Un amante è una specie di cosmetico: la bellezza di una donna dipende interamente da quanto essa è amata.

« I miei amanti hanno dunque la loro utilità; ma non posso dire che siano divertenti. Vestono una grigia uniforme di mestizia; e s'intragraffiano e s'intramangiano, come animali tristi. E i loro discorsi sono lunghi e lugubri intorno a cose lugubri e lunghe – come sarebbe la morte e la durata eterna dell'amore.

« Io sogno un amore vivido e trionfale e risplendente; un amore fatto di sangue e di sole e di rose – di tutte le cose calde e scarlatte che sono nel mondo!… Un portentoso e magnifico amore che non duri, che sfolgori e abbruci.

« Che non duri! E che perciò? E' forse meno amore per il fatto che deve morire? Sarebbe come dire che le vere rose sono quelle di carta, perchè non appassiscono.

« Ecco, io colgo una rosa viva, fragile, moritura, e ve la getto traverso l'Oceano.... traverso le tremila miglia d'acqua che ci separano —

 

« Se vi cade sul cuore, m'amerete.

« Eva. »

Egli le rispose: « Vi amo ».

Nancy era felice. Viveva d'una vita irreale; d'una vita febbrile. Non era più Nancy. Era « Quella delle lettere »! E Quella delle Lettere era una creatura selvatica, libera, ardente e lieta.

E nulla era più dolce al suo cuore che questo sottile e delicato « amor di lontano », questa passione traverso la distanza per un non veduto, non conosciuto amante.

Ah, come era moderno e piccante tutto ciò! Eppoi anche così tredicesimo-secolo! Non c'era stato Jaufré Rudel, il principe poeta, che amò per tanti anni la non veduta contessa Melisenda?… E finalmente venne a morirle ai piedi?

 
Amore di terra lontana
Per voi tutto il core mi duol.
 

Anche loro s'amerebbero così, d'un amore assurdo e meraviglioso. Amarsi così, senza l'intervento di alcuno dei loro sensi, doveva pur essere il più alto, il perfetto, il divino modo d'amare.

Così Nancy visse nel suo sogno e lanciò da un emisfero all'altro le leggiere lettere d'amore.

« Cher Inconnu,

« Vi scrivo perchè piove, e il cielo è di flanella grigia. Direte che ieri vi ho scritto perchè faceva bel tempo e il cielo era di raso celeste.

« E' vero. Ma sono buone ragioni entrambe per me, che sono quasi innamorata di voi – quasi follemente, quasi disperatamente, quasi divinamente innamorata!

« Io ho paura d'amarvi. Ho paura dell'amore come un bimbo ha paura d'una stanza buia nella quale non è entrato mai. Che cosa si nasconde in quegli angoli neri? Degli spettri, degli orchi, delle belve?… Certo, il Dolore, appena entro, mi si avventerà al collo (al piccolo collo che non conosce che la stretta d'una collana di perle), e mi strozzerà. Certo la Passione, come una pantera dagli occhi di fuoco, mi salterà al petto e mi mangierà il cuore. Certo la Gelosia come un gatto arrabbiato mi graffierà, mi morderà, mi dilanierà....

« Oh caro Ignoto, non mi fate entrare in quella stanza buia! Già mi pare di averne socchiusa la porta, e di sentire tutti quegli esseri spaventosi rugghiare e ululare contro di me....

« Addio! addio!

« Mi chiamo Nancy ».

A questa lettera egli rispose con un telegramma:

« Nancy! Vieni qui ».

Ella riscrisse:

«  – Vieni qui. – Le arroganti parole mi danno un tuffo di piacere nel sangue.

« Mi piace che mi diate del tu. E poi sono inavvezza all'imperativo. Nessuno mai mi dice: Fa così. Va via. Vieni qui. Va lì. E mi piace sentirmi mite e spaventata e forzata a obbedire.

« Vieni qui! Subito mi pare di dover volgere timidi occhi in cerca del mio cappello e dei miei guanti, e mi domando come debbo vestirmi per il viaggio! Sono molto simpatica in viaggio. Sono sempre di umore uguale, e porto dei vestiti color sorcio che mi fanno delle piccole spalle fragili e patetiche e la vita sottile. Tutto ciò è molto importante viaggiando; perchè fa perdonare le mille e mille valigie e valigiette che porto nello scompartimento, e le cappelliere che perdo, e gli ombrelli che dimentico. Anche la gente che, per principio, brontola sempre, diventa indulgente e amabile quando vede che ho un vitino piccolo, e l'aria trasognata, e un cappello che mi sta bene. E facchini e guardiafreni e conduttori, tutti mi adorano! Corrono in su e in giù a cercarmi gli oggetti che ho perso, a portarmi delle cose da mangiare, ad aprirmi le finestre e a chiudermi a chiave nello scompartimento.... anche quando non è necessario.

« Poi, in viaggio non ho mai sonno. Metto giù la testa non importa dove, e dormo come un gatto cinque minuti. Poi mi sveglio allegra e ragionevole e di buon umore. Sì, sì; credo che veramente vi piacerebbe di avermi in viaggio con voi.

« Nell'ultima vostra – breve come tutte le vostre lettere – (sono contenta che siate breve), mi dite che andate in Isvizzera. Conosco e adoro ogni roccia ed ogni ciottolino della Svizzera; conosco ogni pino in ogni foresta; ed ogni scoiattolo su ogni pino. Ho percorso ogni serpeggiante via maestra, che s'attorciglia come uno svolazzo di nastro bianco intorno ai fianchi austeri delle Alpi. Sono fuggita da ogni blanda mucca elvetica, ruminante su ogni blanda prateria.

« Salutatemi la Svizzera. L'adoro.

« Nancy. »
******
« New York.

« Amor mio di lontano,

« Eccomi tornata nella città, la terribile città, torrida e rumorosa sotto il violento sole di luglio. E voi mi scrivete dall'Hôtel Bellevue ad Andermatt!

« Andermatt! Che frescura e chiarità e scintillìo mi mette nella mente quella parola. Nell'afa opprimente di questa città, mi cade sul cuore come un fiocco di neve. E nella lettera vostra soltanto tre parole: « Vieni qui. Subito ».

« Di nuovo l'imperiosa, irresistibile chiamata mi scuote deliziosamente i nervi. Se me lo dite una terza volta – per i biondi Dei del Walhalla! – verrò!

« Sarete contento? Mi bacerete con gratitudine le bianche mani abbandonate? Saremo semplici, e assurdi, e felici? bisognerà fare della scherma intellettuale, e gareggiare d'arguzia, motteggiatori e ostili?

« Che importa? che importa? I miei occhi vi vedranno e l'anima mia non chiederà di più. »

******

Un telegramma da New York ad Andermatt, risposta pagata. (Denari presi in prestito da Fräulein Müller):

« Vistovi stanotte in sogno. Avevate lunga barba nera. Ditemi che non è così. »

« Nancy. »

Risposta da Andermatt:

« Non è così. Vieni subito ».

Nancy non andò subito. Già non aveva nessuna intenzione d'andare.... e poi non aveva i denari del viaggio.

Egli scrisse: « Vieni a Lucerna! »

Ed ella rispose: « Impossibile ».

Lui: « Ti aspetterò a Interlaken ».

Lei: « Impossibile ».

Lui: « Incontriamoci a Parigi ».

Lei: « Impossibile ».

Lui: « Allora, in ottobre, parto pel Transvaal ».

Allora, in settembre, ella gli riscrisse:

« Amo di figurarmi il nostro primo incontro.

« Avrà certo luogo nella cornice convenzionale d'un salottino in un Grand Hôtel. Sarà nel pomeriggio, un po' tardi, perchè siano già accesi per tutta la stanza i lumi rosso-velati, come fiorellini lucenti in un racconto di fate.

« Udrò bussare alla porta. E voi entrerete nella mia vita.

« E allora? e allora, caro Sconosciuto?

« Quando le mie mani, come farfalle imprigionate, saranno chiuse nelle vostre mani, quando i vostri occhi si affonderanno nei miei, che ne sarà della balda mia sfrontatezza, della mia gaiezza frivola e disinvolta? Io so che sarò muta e spaventata.

« Già al solo pensarci mi sento pulsar via la vita per l'estasi, e l'ansia, e la felicità!

« E allora?

« Allora saremo rigidi e compassati e corretti!… L'Usanza, come una vecchia signora per bene, ci riprenderà per mano e ci ricondurrà a passeggiare per i giardini della Consuetudine, tra le ben tenute aiuole e i frequentati viali della Convenzionalità.

« O credete voi forse, ignoto amico mio, che oseremo sfuggirle? Che in groppa al fantastico destriero della nostra Sorte ci lancieremo al di là delle barriere e dei divieti, nei fiammanti abissi della passione?

« Addio, mio signore. Ben inteso, non verrò ».

XIII

Fräulein Müller veniva in città tre volte alla settimana per insegnare ad Anne-Marie l'aritmetica e la geografia.

D'aritmetica Anne-Marie capiva poco. Di geografia niente.

Con occhi vacui accennava a due punti sulla carta geografica e diceva: « Skagerrack e Kattegat ».

Queste erano le uniche due parole che voleva tenere a mente.

– Ma insomma, – diceva Fräulein, – sei ridicola col tuo Skagerrack e Kattegat. Questa è la Gran Bretagna....

– Perchè è la Gran Bretagna? – chiedeva Anne-Marie distratta, guardando fuori dalla finestra.

E Fräulein, molto depressa, diceva a Nancy:

– No, no. La tua figlia non è niente affatto un genio.

Un giorno George e Peg vennero a trovar Nancy nella pensione di Lexington Avenue. Condussero con loro anche il signor Markowski, timido e unto, col suo violino.

Nel salone, dopo il thè, Nancy pregò il violinista di suonare. Questi si alzò subito; andò ad aprire la cassetta del suo violino e tolse teneramente dal giaciglio di felpa grigio-perla il suo istrumento.

Markowski era polacco, e giovane, e lacero, ma il suo violino era italiano, e vecchio, e prezioso. Markowski aveva un fazzoletto sudicio, ma il violino ne aveva uno pulito, morbido, di seta bianca. Markowski pose un cuscinetto di velluto nero sul collo spelato della sua giacca; vi poggiò sopra il violino, alzò l'arco e chiuse gli occhi: allora Markowski divenne un dio!

Conoscete l'angoscia affrettata della « Sonata in fa » di Grieg? Conoscete le strillanti e scoppiettanti risate della « Ronde des Lutins » di Bazzini? Il lamento ululante e nostalgico dei non scritti canti tzigani? Il battito di piedini alati nel « Moto perpetuo » di Ries?

Tutto ciò avvolse nel suo turbine di note la piccola Anne-Marie.

Ritta in mezzo alla stanza, pallida come un lino, immobile, pareva che la musica le avesse tolto la vita, l'avesse mutata in una piccola morta, rigida e statuaria. Ah! ecco la bianca statuetta neoterica che Nancy aveva cercato di fissare nei suoi poemi!

Gli occhi della bimba erano vaghi e fluidi come acqua azzurra versata sotto le sue palpebre. Le sue labbra scolorite erano socchiuse.

Nancy la guardò. Una subitanea immensa tristezza la invase, un senso cupo e dolente, come se qualcuno le avesse posto un grande sasso pesante dentro al cuore. Quella piccola figura smorta, scolorita, trasfigurata, chi era? Era Anne-Marie? Era la sua piccola Anne-Marie? la bambina stordita e sciocchina che ella accarezzava e sgridava e metteva in letto?… la bambina così insensata per l'aritmetica, così ottusa per la geografia?

– Anne-Marie! Anne-Marie! Parlami!… Che cos'hai! che cosa pensi?

Anne-Marie volse la chiarità sognante dei suoi occhi verso la madre. Ma in quei larghi occhi l'anima sua non c'era.

L'anima di Anne-Marie era lontana.

Lo Spirito della Musica era sceso su lei, e l'aveva avvolta nel turbine delle risonanti ali: l'aveva rapita, involata, sommersa nelle favolose onde del Mistico Mare dei Suoni.

XIV

– Fräulein, non ho più denari. Non posseggo in tutto il vasto mondo neppure la meschina e trascurabile moneta che si chiama un soldo.

E Nancy, che prendeva il thè nel piccolo giardino del Gartenhaus a Staten Island, sorseggiò compunta la profumata bevanda nelle nuove tazze ad orlo viola di Fräulein Müller.

– « Ach! was sagst du »? – disse Fräulein.

E per molto tempo si videro le sue labbra muovere in astruso calcolo multale. Poi disse:

– Posso darti quarantasette dollari.

Nancy depose la sua tazza, e si chinò in avanti a baciare la lanuginosa guancia di Fräulein.

– Caro angelo, – disse. – E poi?

– Poi cosa? – chiese Fräulein.

– Appunto, – disse Nancy.

Fräulein riflettè a lungo.

– Come si può fare? – disse.

Nancy fece un piccolo gesto scorato.

– Da tuo marito nessune nuove?

– Nulla, – disse Nancy.

Fräulein sospirò. Poi disse:

– Non c'è che una cosa da fare. Tu e la bambina, verrete a stare con me. Manderò via Elisabeth, che del resto è una ragazza sbadata che ha già rotto due piatti e un vetro di lampada; e voi, care, rimarrete qui. Bisognerà vivere con economia. – Fräulein, che aveva sempre vissuto con quel magro e disaggradevole ospite, tossì e assunse un'aria grave di persona positiva. – Sì, sì, sarò molto contenta di sbarazzarmi di quella balorda di Elisabeth.

Nancy la cinse col braccio e la ribaciò. Poi disse:

– Non ho che una àncora di salvezza.

– Che cos'è? – chiese Fräulein.

Stavolta fu Nancy che tossì. Poi disse:

– C'è.... vi sono.... in Europa.... una.... delle persone che s'interessano a me, cioè ai miei scritti. Forse mi aiuterebbero, se mi recassi da loro.

– Certamente, – disse Fräulein. – Dovresti andar subito. Io intanto terrei qui Anne-Marie. Così non dovrebbe interrompere le sue lezioni di violino.

– Oh Dio! – esclamò Nancy, – dovrei lasciar qui Anne-Marie? – E sospirò profondamente. – Lo so che non deve interrompere le sue lezioni.... ma come vivrò io senza di lei? – E dopo una pausa disse: – Credi proprio che farei bene ad andare?6

 

– Ma senza dubbio, – assicurò Fräulein che si vantava di avere molto senso pratico. – Una casa editrice come quella di cui parli, non farà mai niente senza vederti e conferire con te. Io so come sono le case editrici.... Ma bada, bada veh! che non t'imbroglino!…

Nancy sorrise.

– Starò attenta, – disse.

– Oh sì, cogli editori – disse Fräulein – si ha un bel star attenti…

E qui Fräulein Müller ripetè un discorso che aveva già fatto molti anni prima, a Wareside, quando Nancy aveva scritto la sua prima poesia. E Fräulein, rammentando quel tempo, si sentì tutta commossa. Rievocò il giorno – era la domenica di Pasqua – c'era ancora il povero vecchio Nonno… Fräulein credeva persino di ricordarsi ancora quei versi, i primi versi di Nancy. Erano splendidi! E Fräulein li citò molto commossa:

 
Stamane nel giardino
Io colsi i fiorellin,
Stamane nel giardino
Rincorsi gli uccellin…
 

– Non posso dire che li trovo molto belli, – disse Nancy, ridendo.

– Forse non erano proprio così, – disse Fräulein. – Anzi credo che non erano proprio « uccellin », erano forse « rime »…

E Fräulein ritentò:

 
Stamane nel giardino
Io colsi i vaghi fior,
Stamane nel giardino (o nell'orto)
Volavan rime ancor.....
 

– Perchè volavano? – chiese Nancy.

– Non so, – disse Fräulein, coll'occhio vitreo di chi cerca rammemorare qualche cosa. – Forse sbaglio in qualche piccolo dettaglio. Ma ti accerto che erano bellissimi. E tu eri una bimbettina piccola, piccola come Anne-Marie.

– Ascolta Anne-Marie! – disse Nancy, accennando alla finestra aperta della saletta da pranzo.

Anne-Marie non aveva voluto venire neppure per due ore al Gartenhaus senza il suo violino. E adesso si era chiusa nella sala da pranzo a studiare. Ripeteva molto piano una piccola ninna-nanna, lieve e dolce, e perfettamente intonata.

– Quella è un vero Wunderkind, – disse Fräulein. – Un vero prodigio!…

Così l'aveva chiamata anche Markowski appena l'aveva veduta scossa da pianto convulso quando egli suonava. Aveva detto:

– Questa è un Wunderkind. Le insegnerò il violino.

Difatti l'indomani era venuto, portando un piccolo violino di mezza misura che pareva il morto Guarnerius, risuscitato e malconcio. Poi aveva dato ad Anne-Marie la sua prima lezione.

La lezione fu lunga, e Anne-Marie ne emerse con le guancie infocate e gli occhi sdegnosi. Una profonda ira le bruciava il cuore.

Perchè nel violino di Markowski c'era una cosa che cantava – un uccelletto o una fata o una sirena – e nel suo brutto piccolo violino non c'era?

– Sta buona, sta buona, – diceva Markowski, scotendo le ciocche di capelli neri che gli spiovevano sugli occhi veementi, – aspetta! Uno di questi giorni anche nel tuo violino ci saranno gli uccelletti e le fate… E canteranno per te. Adesso studia la scala di sol.

Allora Anne-Marie aveva studiato la scala di sol, con immenso stupore di Nancy, che non credeva che in una lezione si potesse imparar tanto.

In dieci lezioni Anne-Marie aveva imparato quindici scale e una ninna-nanna. E poi, in due mesi aveva imparato ciò che gli altri bambini imparano in due anni. Così diceva Markowski sempre più agitato e veemente; e dava delle lezioni sempre più lunghe, e veniva tutti i giorni, invece di due volte alla settimana come era stato convenuto.

– Io non so più cosa vi devo, – gli disse Nancy. – C'è molta confusione nei nostri conti. La lezione di oggi era di due ore: dunque equivale a una settimana. E ieri anche… E avant'ieri? Non so più. Mi pare che siate sempre qui.

– Non importa, non importa, – disse Markowski, agitando le lunghe mani, – mi pagherete un altro giorno. – E, ricordando ciò che aveva udito da George riguardo alle loro condizioni finanziarie, soggiunse: – Potrete pagarmi quando la bambina vi suonerà la Chaconne di Bach.

– Va bene, – disse Nancy, tranquilla, pensando che questo volesse dire tra otto o dieci giorni.

E vedendo Markowski torcersi in silenziosa ilarità mentre riponeva il violino, lo credette un po' pazzo.

Fräulein Müller fece tutto un giorno e metà d'una notte degli astrusi calcoli di divisione e sottrazione in un suo taccuino; all'indomani mattina si recò a New York a trovare Nancy in Lexington Avenue.

– Io ti posso dare ottanta dollari, – disse. – Ti basteranno per fare il viaggio in Europa e andare a vedere i tuoi editori?

Sì, sì; Nancy era persuasa che basterebbero. E Fräulein era un angelo! E grazie, oh, grazie!

– Naturalmente, – disse Fräulein di cui il senso pratico era velato da un nebuloso romanticismo, – questa gente sarà felice di darti qualche migliaio di lire anticipate, anche se il manoscritto non è pronto.

– Spero, – disse Nancy con gli occhi bassi.

– E bada di avere un contratto in regola. Farai bene a fartelo fare dal console o da un magistrato, – disse Fräulein, di cui le idee erano vaghe.

E Nancy promise che così farebbe.

Dunque Fräulein s'avviò frettolosa alla Banca tedesca-americana e ritirò gli ottanta dollari; e qualche cosa di più, perchè Anne-Marie sarebbe venuta a stare con lei, e per Anne-Marie ci volevano delle cose un po' buone da mangiare: delle minestre col brodo ristretto e dei piatti dolci… Il pensiero dei piatti dolci che darebbe ad Anne-Marie le fece cercare in fretta il fazzoletto, perchè sentiva di dover piangere.

– Un giorno sarà riso al latte con prugne cotte; e un giorno sarà charlotte di mele; e un giorno sarà semolina… o anche tapioca… – e Fräulein Müller si asciugò gli occhi, e s'affrettò coi suoi ottanta dollari per Nancy.

Ma ecco che accadde l'inaspettato. Nancy non volle partire. Ogni giorno trovava una scusa nuova per non aver fatto i suoi bagagli, e per non essere andata a fissare la sua cabina. Fräulein s'impazientiva.

– Ma vediamo; cosa ci vuole a mettere nel baule le tue poche cose? Il vestito bleu marino va benissimo per il viaggio. Poi, hai quello grigio e nero a righette che non ti sta molto bene, ma è serio. E' proprio quel che ci vuole.

– Credi? – sospirò Nancy.

– Ma sicuro, – disse Fräulein, – per andare a parlar d'affari bisogna essere vestita in modo adatto. Guai se tu arrivassi lì in tolette frivole ed eleganti… Non ti prenderebbero sul serio. No, no, tu devi essere una donna metodica e inflessibile: anche nel vestire.

– Già, – disse Nancy, con un pallido sorriso.

Appena Fräulein fu partita, Nancy scrisse un bigliettino a George.

George venne l'indomani, all'ora della colazione, e domandò di lei.

Nancy lasciò a tavola Anne-Marie – che mangiava con molte smorfie l'« oxtail soup », una broda nera e glutinosa, – e s'affrettò a entrare nel salotto dove George, timido e lungo, la aspettava.

– George, – disse Nancy, trattenendo fra le sue la mano fredda e umidiccia del giovane, – ho bisogno di denari. Di molti denari.

La stretta di George si rallentò, ed egli ritirò la mano da quella di Nancy. Poi si tirò pensoso la barbetta, recente e non riuscitissima, che aveva coltivato sul mento fuggente.

– Allora, indovino, – disse George, coll'intercalare americano, – indovino che bisognerà darvene.

– Ma me ne occorre tanto! – disse Nancy, – Duecento o trecento dollari, o quattrocento…

– « Stop »! – disse George. – Se andate avanti così non posso starvi dietro.

E tornò a tirarsi la barba.

– Oh George! Come siete buono! come siete caro!

E Nancy gli afferrò la fredda mano moscia e la strinse con fervore.

– Il peggio è – disse George – che non so dove andarli a cercare. Penso che per l'appunto…

– Oh non me lo dite! Non voglio sapere! – E Nancy si coprì con gesto vezzoso le orecchie. – Preferisco molto di non sapere. Non me lo direte, vero? So che non ruberete, nè assassinerete nessuno! E grazie, caro, caro George! E addio!

Nancy, seguendolo cogli occhi dalla finestra, lo vide saltare sul « cable-car » che andava nella città bassa, e notando le sue spalle cadenti e il suo povero cappello a buon mercato, ebbe molti rimorsi, e sentì di essere un avoltoio e un'arpìa.

– E' « Quella delle Lettere » che mi demoralizza, – disse Nancy fra sè.

Il lunedì seguente egli le portò quattrocento dollari, e Nancy versò delle leggiadre e limpide lagrime accettandoli; e non volle sapere da dove venivano; e gli fece molti gesti graziosi e molte irresistibili fossette.

Faceva già la parte di « Quella delle Lettere ». Voleva esercitarsi… E con George il risultato fu immediato e stupefacente. Anzi, lo fu a tal punto che Nancy dovette subito smettere di essere Quella, e tornare a essere sè stessa. E allora George se ne andò.

E Nancy uscì e si comprò delle vesti; ma non delle vesti rigide e inflessibili. Comprò delle vesti fragili e fini, e delle vesti morbide e lunghe, e delle vesti diafane e deliziose. Comprò dei grandi cappelli flosci a lunghe piume; dei cappelli che nessuno prenderebbe sul serio. E poi comperò delle scarpe in cui era quasi impossibile camminare. Poi comperò della « crème des crèmes » per la sua faccia; e della « crème de beauté » per le sue mani, e della vernice rosata per le sue unghie, e dell'unguento di violetta ambrata per i suoi capelli.

6ma come [come come] vivrò io