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III. Tenebroso amore

PARTE PRIMA

L'Amico – quell'«amico» che troviamo sempre nelle novelle e nei drammi, il modesto e mansueto amico che non vive di vita propria ma esiste soltanto per accompagnare con brevi commenti ed esclamazioni i discorsi del protagonista – quell'amico (utilissimo anche in questo racconto) disse, come dice sempre:

– Ma.... ella ti ama!

– Sì; ella mi ama, – disse cupamente Manlio.

– E non ti tradisce.

– No, – disse Manlio, con un profondo sospiro; – non mi tradisce.

(Da quel sospiro che cosa deduce l'intelligente lettore?

Deduce: a) che Manlio parla di sua moglie.

b) che questa moglie è probabilmente grassa e sulla quarantina.

c) che Manlio ha un cuore modernamente irrequieto e infedele).

– Io non so di che cosa ti lagni, – disse l'amico. – Sei un uomo arrivato; sei un poeta stampato. Hai girato il mondo; ti sei divertito; ne hai fatto di tutti i colori....

– Ah no! – gridò Manlio – no! Non è vero. Non ne ho fatto «di tutti i colori».... – E sprofondando le mani nelle tasche soggiunse, crollando il capo: – Ed è questo, questo appunto che mi affligge.

L'amico (di cui la missione è di raccontare diffusamente al protagonista ciò che questi sa assai meglio di lui) enumerò la serie di brillanti conquiste fatte dal fortunato Manlio:

– La Tortola.... la Vannucci.... Carlottina.... Vilfrida.... Cicì.... la Soresina....

– Sì!… sì!… sì!… – gemette Manlio. – Ma quelle.... erano tutte dello stesso colore.

L'amico si stupì. – Che cosa vuoi dire?

– Voglio dire, – e Manlio appoggiò il capo sulla spalliera della poltrona guardando con aria ipocondriaca il soffitto, – voglio dire che quelle donne non erano di tutti i colori. Erano tutte più o meno bianche; chi un po' più chiara, chi un po' più scura; chi d'un bianco latteo, chi d'un bianco niveo, chi d'un bianco d'avorio.... Ora tutto quel biancore mi è venuto a nausea. Il mio cuore e i miei nervi reclamano delle tinte più forti e fosche, del pimento più carico e più caldo.... I miei sensi reclamano.... un tenebroso amore! – E Manlio si passò una mano fine e «psichica» (come l'aveva un giorno definita una Americana dilettante di chiromanzia) si passò dunque la mano psichica sulle lunghe chiome ondulate che portava spazzolate indietro dalla fronte e gonfie in cima al capo, à la Pompadour.

L'amico – che aveva i capelli semplicemente castani e tagliati a spazzola – crollò la testa.

– Manlio, tu leggi troppa letteratura psico-analitica, – disse. – Queste inquietudini intellettuali morbose, questa ricerca di stranezze, diremo così cromatiche, le ho trovate già nei libri di.... – (ed enumerò vari autori moderni a cui io qui non desidero fare della réclame).

– Ti sbagli, – rispose Manlio. – Questa mia brama, questo mio struggimento ha una tutt'altra origine. Tu sai che quando ero in Libia le donne indigene, per me.... posso dire che non esistevano. Le avevo in orrore colle loro forme nere e le loro chiome lanose.... Ebbene, strano a dirsi, partendo, quasi non ero ancora a bordo che già provavo come un senso di rammarico.... che so io!, di rimpianto; come se avessi mancato qualche cosa, come se fossi passato accanto a un fiore senza coglierlo, a una sensazione senza provarla.... Allora quando l'altra sera il maggiore Hubert Elia mi lesse certi suoi bellissimi versi intitolati: «La Migiurtina»....

– Ah! vedi che c'entra la letteratura! – esclamò l'amico.

– .... questo rimpianto, questo desiderio retrospettivo, si acuì fino alla sofferenza.

 
«Chi t'ha foggiato in questa forma pura
Di bronzo antico, figlia del deserto?
Quale artefice l'agile cintura
Ti assottigliò con lo scalpello esperto?…»
 

citò Manlio, fervido e fremente.

– Ah sì, sì! bellissimo, – mormorò l'amico, che non amava la poesia.

 
«Ma tu sei tutta caldo bronzo aurato....».
 

– Di chi parli? – interruppe l'amico.

– Ti dirò. Questa specie di nostalgìa vaga, questo desiderio fluttuante e indefinito, da ieri si è fissato su un essere vivo e tangibile, ha preso forma materiale e umana....

– La forma di chi? – chiese l'amico.

– Stasera vedrai! – pronunciò Manlio misteriosamente (anche per mantenere tesa l'attenzione del lettore). – Vieni con me all'Alhambra. Trovati sulla porta alle nove precise.

E l'amico, il quale, s'intende, non ha mai nulla da fare per conto suo, accettò.

PARTE TERZA

(Il lettore dirà: – Il tipografo ha sbagliato. Qui doveva esserci la «Parte Seconda» non la terza.

Invece no. Poichè la letteratura d'oggi esige qualcosa d'inatteso e d'originale, io ho escogitato questo modo di stupire il lettore.

L'inversione! Fargli leggere prima la fine della mia opera – Parte Terza – e poi la continuazione – Parte Seconda. Basta questo semplicissimo mezzo per generare nella sua mente quella confusione necessaria a convincerlo che si trova di fronte a un capolavoro.

Dunque ecco la fine del mio racconto).

Dopo questo trasecolante avvenimento.... (il lettore non sa di quale avvenimento si tratti, ma appunto in questo sta l'interessante) si sparse per la città sul conto di Manlio una dicerìa macabra e misteriosa.

Donde nacque?… Chi l'originò?… Mistero. Ma il nefando sospetto serpeggiò, subdolo, da casa a casa, da ristorante a caffè, da strada a piazza. E un giorno tutti lo sapevano, tutti lo dicevano. Manlio De Luca aveva ucciso sua moglie!

– Ma perchè, perchè l'avrebbe egli uccisa? – gridava l'amico (di cui oggi la missione era di saperne meno di tutti gli altri), perchè? – E battendo coi pugni sul tavolino di marmo del Caffè più frequentato, urlava: – Perchè?

– Perchè Manlio è un poeta, e quindi un degenerato, – diceva l'uno.

– Ma se voi stessi, – ribattè l'amico, – ma se voi tutti avete sempre detto di Manlio che non era che un mezzo poeta. Quindi non poteva essere che un mezzo degenerato. E per uccidere la moglie bisogna essere un degenerato completo.

Su questo punto si fu d'accordo. Ma un altro suggerì:

– L'avrà uccisa perchè aveva quarant'anni ed era grassa.

– Ma lui ne ha quarantotto! – gridò sdegnato l'amico. – E se la signora Clotilde era grassa, non era più facile farle fare la cura Guelpa (Digiuno e Purga, Quintieri L. 3.50) che ammazzarla?

Vi fu un breve silenzio. Poi qualcuno disse:

– L'avrà uccisa perchè ella lo amava troppo.

– Mio Dio! – fece l'amico, abbassando le palpebre e inarcando le sopracciglia, – se dovessimo uccidere tutte le donne che ci amano troppo!…

– Eh.... già! – sospirarono tutti. E tutti abbassarono gli occhi e inarcarono le sopracciglia con un'aria di rassegnazione e di lieve stanchezza. E chi aveva i baffi se li arricciò.

– Non ha ucciso! No! Non ha ucciso! – gridò l'amico, alzandosi in piedi pallido e fremente.

E poichè tutti lo guardavano, egli per non diminuire l'effetto di quel momento drammatico, si calcò in testa il cappello, e cupo, a lunghi passi, colle spalle curve, lasciò il Caffè, dimenticando di pagare la consumazione.

E Manlio? Aveva egli davvero ucciso sua moglie? E se non l'aveva uccisa dove la teneva?

Da oltre due mesi nessuno aveva più veduto la signora Clotilde. È vero che la sua suocera, e anche qualcuna tra le sue amiche più intime, avevano ricevuto qualche biglietto da lei, o che almeno parevano scritti dalla sua mano. In queste brevi comunicazioni ella diceva:

«Non state in pensiero per me.... Sto bene.... Mi rivedrete un giorno....».

Ma questi oscuri messaggi non facevano che accrescere vieppiù i sospetti.

E intorno a Manlio, divenuto cupo, evasivo, impenetrabile, si addensò la fosca nube del sospetto.

E qui possiamo tornare indietro alla

PARTE SECONDA

La signora Clotilde non aveva un «Amico». Non aveva neppure un'amica a cui si sentisse disposta a confidare i suoi intimi pensieri.

– Io conosco le donne. Sono vipere, tutte quante! – diceva a sè stessa. E si rassegnava quindi durante le frequenti assenze di suo marito a dare alle sue considerazioni e ai suoi sentimenti una forma di semplice soliloquio.

Nel giorno stesso in cui suo marito recitava all'amico la poesia del maggiore Elia, ella – facendo in camera sua un po' di ginnastica svedese secondo le prescrizioni di un Manuale intitolato «Igiene e Bellezza Muliebre», – così rifletteva:

– Ho notato che Manlio.... (la signora Clotilde si alzò sulla punta de' piedi, allargando lentamente le braccia e respirando profondamente) uno.... era alquanto.... due.... eccitato iersera.... tre. Non so precisamente.... quattro.... se era per quella canzonettista belga.... cinque..... oppure per una di quelle.... sei.... spudorate femmine seminude… sette.... nei tableaux vivants.... otto.

La signora Clotilde abbassò le braccia e le calcagna e tornò in posizione di «riposo».

– Già non avrei dovuto permettergli di condurmi in un Café-Chantant, – riflette. – Viceversa, se non mi ci lasciavo condurre.... (la signora mise le mani sui fianchi, coi pollici in avanti e i gomiti bene all'indietro).... probabilmente ci andava da solo. E visto che era l'anniversario del nostro matrimonio.... Uno.... (la signora chinò il busto in avanti e roteò lentamente otto volte da destra a sinistra).... questo mi sarebbe spiaciuto. Due.... tre.... quattro.... Tutta notte è stato.... cinque.... inquieto.... sei.... e mormorava in sogno.... sette.... delle parole strane.... otto. – (Si raddrizzò). – «Sed Formosa!» L'ho sentito chiaramente pronunciare più volte quelle due parole: «Sed Formosa». Vediamo! L'epiteto «formosa» potrebbe applicarsi a me. Ma «Sed?» Che cosa mai vorrà dire «Sed»?

 

La signora tornò a chinarsi in avanti e riprese il suo esercizio girando lentamente il busto otto volte da sinistra a destra.

Quindi si sdraiò per terra rigida e supina.

– Forse era quel Tokay che bevemmo a pranzo al Savini. U-no.... – (la signora sollevò lentamente i piedi in aria) – du-e.... – (li riabbassò). – Io non ne presi che mezzo bicchiere.... U-no.... e subito sentii un non so che.... du-e.... come uno stordimento.... U-no. E lui bevette tutto il resto.... du-e.... Sì, sì. Era probabilmente.... U-no.... il Tokay.... du-e.

Finiti gli esercizi la signora Clotilde, sempre seguendo il Manuale d'Igiene, si fece una frizione di Acqua di Colonia, si spalmò sulla faccia del bianco d'uovo sbattuto, e si sdraiò sul letto per venti minuti cogli occhi chiusi.

«Rilassate completamente i muscoli e la mente», diceva il Manuale; ma ahimè! se alla signora Clotilde riusciva di rilassare i suoi muscoli, il suo cervello rimaneva teso nello sforzo di sciogliere l'enigma dell'agitazione di suo marito.

– L'anniversario delle nostre nozze, l'anno prossimo lo festeggeremo in casa, – si prefisse ella. Ma questa saggia risoluzione non bastò a tranquillizzarla sul conto del festeggiamento di ieri.

Ella ben conosceva il suo Manlio; le erano note le sue placide abitudini giornaliere e notturne. Il suo calmo e ritmico russare che dalle undici di sera alle sette del mattino accompagnava i loro sonni coniugali (e che talvolta negli anni trascorsi l'aveva stizzita ed irritata) era divenuto ormai per lei quasi una musica piacevole e tranquillizzante, un simbolo di sicurezza maritale.

Già qualche altra volta, quando questa sonora berçeuse si era per un breve intervallo interrotta, la signora Clotilde vigile e all'erta si era guardata d'intorno. La prima volta – ben se lo ricordava! – si trovavano con certe sue cuginette ai bagni di mare ad Alassio. Allora, senza indugio, aveva deciso che si andrebbe a finire le vacanze in alta montagna. La seconda volta ella non aveva fatto altro che licenziare una cameriera bionda e petulante.... ed ecco che la notturna musica da camera, col suo timbro tra il bombardone e il fagotto, aveva ripreso il misurato ritmo abituale.

Ora, anco una volta, era interrotta; la berçeuse era divenuta spasmodica e sincopata come un «bunny-hug» americano. Manlio per tutta la notte si era rigirato inquieto e febbrile nel letto, destandosi di soprassalto, con una scossa, da brevi sogni agitati.

Nel buio, al suo fianco, sua moglie silenziosa ascoltava e notava quei rotti sospiri, e si diceva:

– Clotilde!… in guardia!

Ora, di giorno, coi muscoli rilassati, cogli occhi chiusi e il bianco d'uovo sulla faccia, ella passava in severa rivista i ricordi della serata precedente, come un colonnello farebbe allineare davanti a sè i soldati tra cui volesse ravvisare un delinquente.

Ripassò mentalmente l'intero programma della serata.

I primi due numeri – causa il pranzo e il Tokay – non li avevano veduti; dunque si potevano escludere. Erano entrati nel loro palchetto a metà del terzo numero: «The Jolly Japs», una compagnia di equilibristi giapponesi; Manlio non li aveva neppure guardati; anche quelli erano dunque esclusi.

Il numero 4 era un baritono francese. Escluso.

Numero 5: «La blonde Aglaé», danzatrice. Manlio l'aveva guardata; aveva detto: – «Che rana! – e ritiratosi in fondo al palco aveva schiacciato un sonnellino. Esclusa.

Numeri 6, 7 ed 8, esclusi, perchè Manlio dormiva.

Numero 9: Canzonettista Belga. Manlio s'era svegliato di soprassalto, s'era affacciato all'orlo del palco; poi, ritraendosi, aveva acceso un sigaro. Poteva essere lei?… Mah!

Numero 10: Prestidigitatore Chinese. Escluso.

Numero 11: Cani ammaestrati. Esclusi.

Numero 12: Quadri Viventi Allegorici della Guerra Mondiale. Primo Quadro: «Gli Alleati affrontano la Tigre Germanica». Niente. – Secondo Quadro: «La piccola Martire» (il Belgio). Niente. – «Il Sorriso della Vittoria». Ah!… Vediamo. La Vittoria era tutta chiusa in un'armatura d'acciaio, e invero di lei non si vedeva, sotto l'elmetto rilucente, che il sorriso. Ora è difficile che un sorriso per quanto radioso, basti da solo a turbare.... No. Escluso anche il Sorriso della Vittoria. – «La Liberazione della Colonia Germanica Sud Africana». Esclu.... Alto-là!

Della Colonia Germanica Sud Africana, rappresentata da una giovane negra che tendeva le braccia incatenate verso un gruppo di soldati alleati, non si vedeva il sorriso.... ma si vedeva quasi tutto il resto. Quelle braccia tese all'altezza del volto le celavano i lineamenti ma concedevano interamente allo sguardo del pubblico il corpo, quasi nudo, di un bel color mogano scuro. La linea di quel corpo, appena interrotta da una sciarpa rossa legata intorno ai fianchi, era perfetta; poteva anche dirsi conturbevole.... La signora Clotilde aveva creduto udire dietro di sè un piccolo fischio sommesso in scala discendente.... e s'era voltata di scatto. – Manlio? Cos'hai detto? – Ma Manlio non aveva detto niente. Allora la signora, china in avanti e movendo i piedi irrequieti, aveva esclamato: – Guarda un po' se vedi dove è andato a finire il mio sgabellino.... – E Manlio per tutto il tempo che aveva durato la Liberazione della Colonia Sud Africana era rimasto a brancolare per terra in cerca dello sgabello (ch'era poi sotto la sedia della signora Clotilde). Quando si rialzò, una bianca e grassa «Pace Imperante sul Mondo», reggendo una colomba imbalsamata aveva sostituita la Colonia Sud Africana che, probabilmente, era andata a rivestire di etiopici drappeggi le sue belle membra crepuscolari....

La signora Clotilde balzò dal letto. Che si chiamasse Sed Formosa quella femmina nera?

Ritrovò sul tavolo da toilette il programma. (Aprendolo notò che oggi vi era una matinée all'Alhambra). No. La negra non si chiamava Sed Formosa; si chiamava Alabama Loo.

– Del resto, – riflettè la signora Clotilde mettendosi le calze (ch'erano di seta fino ai ginocchi, e di cotone più in su) – quella donna non era affatto formosa. Lo sono assai più io.

Ciò che noi, pudichi lettori, ci asterremo dal constatare o contrastare.

La signora Clotilde scese mezz'ora dopo, e cercò suo marito nello studio. Non c'era. Sulla scrivania giaceva un libro aperto e la signora Clotilde si chinò a guardarlo. Commossa e stupita constatò ch'era la Bibbia: un'edizione bilingue, in latino a sinistra, in italiano a destra. Era aperta al Cantico dei Cantici.

Ed ecco che una parola nella colonna latina balzò, tonda come un molle pugno, agli occhi della signora Clotilde!

– Formosa! – Sì, sì.... ed era preceduta dalla paroletta: Sed. Lo sguardo di falco della signora viaggiò a ritroso e trovò la parola «sum», preceduta a sua volta dalla parola «Nigra».

«Nigra sum sed formosa». Che cosa voleva dire? Guardò la colonna a destra e ne trovò la traduzione: «Non ti dispiaccia, amato mio.... ecc. Nera io sono ma bella!».

Un grido sfuggì alle labbra della signora Clotilde. Manlio!… Dov'era?

L'intuizione la illuminò come una folgore: Manlio era andato alla matinée!

Le intuizioni non sono sempre esatte. Manlio non era alla matinée. La signora Clotilde, in agguato dietro una colonna nell'atrio dell'Alhambra, dovette convincersene vedendo vuotare la sala, e la folla che le passava dinanzi riversarsi sul Corso.

Ma subito un'altra intuizione la illuminò, mozzandole il respiro e facendole mancare i ginocchi. Manlio era colla negra! Era nel camerino della negra!… Ebbene – ci andrebbe anche lei.

. . . . . .

.... La fecero aspettare parecchio in corridoio. Miss Alabama Loo non poteva riceverla. Stava svestendosi.

– Ma che svestendosi! – esclamò sdegnata la signora Clotilde. – Se era già svestita!

Dopo un quarto d'ora ribattè alla porta. Ancora no.... Miss Alabama si vestiva.

Tremando e ansando la signora Clotilde aspettò, dicendosi: – S'egli esce di lì deve passare di qui. S'egli non esce, entro io. E guarderò negli armadi!…

– Entri pure, signora – disse una donna affacciandosi alla porta. E la signora Clotilde entrò.

Vide subito che non vi erano armadi. Vide anche che non vi era Manlio. E vide infine che non vi era neppure la negra.

Una signorina bionda, alta e sottile, stava incipriandosi davanti allo specchio. Fremente la signora Clotilde si guardò intorno.

– Dov'è?… Dove sono?… – chiese con voce rauca e tremante.

– Dove sono chi? – domandò con amabile sorpresa la signorina.

– La negra.... e mio marito.

La giovane si fermò impietrita col piumino della cipria in mano. Che fosse pazza questa povera signora?

– Suo marito, non so. La negra.... sono io.

.... La signora Clotilde ebbe un breve accesso convulso, e fu premurosamente assistita dalla signorina e dalla cameriera. Riavutasi alquanto, spiegò le sue angoscie e i suoi sospetti alle due, che ridevano sgangheratamente.

La Colonia Sud Africana non era affatto bella, e la signora Clotilde si trovò quasi a desiderare che Manlio fosse qui a vederla. E poi non era neanche «nigra-sum», si disse la signora con sarcastico compiacimento.

Era una buona e semplice creatura contenta di parlare di sè e di rivelare alla elegante visitatrice tutti i segreti della sua toilette: una parrucca di lana nera, una bottiglia di liquido bruno, un vasetto di vasellina color caffè....

– Ma non sarebbe più semplice mettere una maglia scura, invece d'impiastricciarsi tutta a quel modo? – chiese la signora Clotilde.

– Magari! – esclamò la signorina. – Ma la Direzione non permette. Il pubblico se ne accorgerebbe subito.

– E non è difficile levare tutto quel colore?

– No, no; affatto. Con questa lozione – e la signorina additò una grande bottiglia quasi piena di un liquido incolore, chiaro come l'acqua, – si toglie tutto. È un preparato americano, meraviglioso! Guardi come lascia la pelle bianca e levigata. – E stese alla signora Clotilde una mano bianca e un braccio fine e candido. – Appena appena se le unghie restano un pochino scolorite....

In quel momento si battè alla porta.

La signora Clotilde sussultò.

– Manlio!…

Ma non era Manlio. Era un telegramma urgente. La signorina l'aprì, lo lesse e diede uno strillo d'esultanza:

– Parigi, Parigi! Sono scritturata a Parigi!… – E nella sua gioia abbracciò la cameriera. E quasi quasi avrebbe abbracciato anche la signora Clotilde se avesse osato. – Mi ha portato fortuna, mi ha portato fortuna! – esclamava stringendole le grassocce mani inguantate. Ma d'un tratto si fece seria e guardò di nuovo il telegramma. – Si va in scena il primo del mese. E oggi è già l'ultimo. Cielo! Per arrivare a tempo dovrò partire stasera col diretto delle nove.

– Ma è impossibile! – esclamò la cameriera, molto agitata anch'essa; – poichè qui andiamo in scena alle nove e quaranta.... – La cameriera non andava affatto in scena, ma quando si alludeva alle funzioni artistiche della sua padrona parlava sempre al plurale.

– E che importa? Credi ch'io voglia perdere la scrittura di Parigi per un'ultima rappresentazione qui? Vuoi dire che per questa sera troverò una sostituta; oppure si ometterà il quadro, e pagherò la penale. Sì, sì! Che cosa importa?… Pagherò la penale.

La signora Clotilde ebbe un lampo d'ispirazione. Drammatica e maestosa mosse un passo avanti.

– Voi non pagherete la penale. Vi sostituirò io!

Un momento di silenzio esterrefatto seguì questa dichiarazione; ma la signora Clotilde, a testa alta, nell'atteggiamento ispirato e solenne di Martire Cristiana entrante nell'Arena, ripetè:

– Vi sostituirò io. Io, Clotilde de Luca, nata Arpiggiani, di eminente famiglia bolognese, figlia di avvocato e nipote di sottoprefetto, comparirò stasera sul palcoscenico dell'Alhambra vestita unicamente di tintura marrone, di una sciarpa rossa, e di una parrucca di lana! Ah!… Ma questo sacrificio ch'io compio, questa immolazione dei miei più sacri istinti e delle più eccelse tradizioni della mia famiglia, avrà la sua ricompensa! Allorchè mio marito questa sera tornerà al suo focolare, tutto fremente della sua illecita passione, io gli andrò incontro colle braccia aperte, col sorriso sulle labbra: «Manlio! Colei che tu credi d'amare, colei che ti conturba i placidi sonni.... la «Nigra sum sed formosa», sono io!… Io che t'amo, e ti perdono!».

Questa prova generale di una scena così commovente turbò la protagonista stessa a tal punto che scoppiò in lagrime, e di nuovo toccò alla buona Alabama Loo e alla fida cameriera di calmarla. A dir vero, parevano anch'esse in preda a un accesso di commozione convulsa; erano rosse in faccia e ogni tanto si coprivano la bocca colle mani. Riavutesi tutte e tre, la cameriera, ancora colle lagrime agli occhi, interrogò la sua padrona: – Che cosa ne dice?

 

La signorina sfiorò cogli occhi la persona breve e tondeggiante della signora Clotilde. – Dico ch'è un'idea magnifica!

– Ma, – fece in uno scoppio la cameriera, – il direttore non consentirà mai!

– Ma che! – esclamò Miss Alabama. – Non ha bisogno di saperlo.

– Già!… che non se ne accorgerà! – strillò la cameriera, dimenandosi convulsa.

– Se ne accorgerà troppo tardi, – singhiozzò Miss Alabama, coprendosi il viso. – Noi saremo già in treno.... lontane.... Del resto, a lui importerà poco, visto che è l'ultima sera dei Quadri Allegorici....

Furono impartite accuratamente alla signora Clotilde le istruzioni necessarie per l'uso del liquido bruno, della vasellina marrone, della cipria color caffè; e della lozione americana decolorante. Si fecero delle prove, che riuscirono perfette, sulla faccia della cameriera e sulle braccia di Miss Alabama. E poi anche sulle mani della signora Clotilde.

La signora Clotilde ringraziò Miss Alabama, Miss Alabama ringraziò la signora Clotilde.

Si lasciarono con un abbraccio.

. . . . . .

– Chi m'avesse detto che avrei baciato Alabama Loo!… – riflette la signora Clotilde andando a casa in carrozzella.

Quella sera Manlio, tornando a casa verso le sette, trovò sua moglie incappellata e ammantellata, pronta ad uscire.

– Pranzo in casa di mia nipote (la figlia del sottoprefetto!) – spiegò la signora ad occhi bassi, mettendosi i guanti. – Capirai, non potevo rifiutare.... Non aspettarmi prima delle undici.

– Oh, guarda un po', – fece Manlio, – come capita bene! Io per l'appunto stasera devo uscire....

– Ah, devi uscire? – fece ella, subdola, sogguardandolo.

– Ho da trattare un affare, – rispose disinvolto Manlio.

Un lampo passò negli occhi della signora Clotilde. – Te lo tratterò io l'affare, – disse tra sè e sè.

E uscì.

Manlio pranzò solo, con placido godimento, poggiando alla caraffa dell'acqua il giornale della sera.

Alle nove si trovò davanti alla porta dell'Alhambra dove l'amico, come d'accordo, l'aspettava.

. . . . . .

La Colonia Sud Africana ebbe quella sera un grande successo d'ilarità e d'applausi; e nella Direzione del teatro si decise, seduta stante, di continuare la serie dei Quadri Viventi, sostituendo però ai Quadri Viventi Allegorici una serie di Quadri Viventi Umoristici – visto che il pubblico pareva dilettarsi ancor più al comico che all'estetico.

Ma nella sala, Manlio, sprofondato nella sua poltrona accanto all'amico, esclamava sbigottito:

– Misericordia!… Che orrore!… Che orrore!… – E si batteva coi pugni la fronte. – Ma cosa avevo io iersera?… Le traveggole?… O allora che cosa diavolo m'avevano messo in quel Tokay?…