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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1

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– È vero, » disse Emilia, riconoscendo Valancourt, la cui fisonomia sembrava molto animata. Mille rimembranze penose rinnovarono le sue tristi afflizioni, e lo sforzo che fece per contenersi, non servì se non ad agitarla davvantaggio. Valancourt intanto s'informava premurosamente della salute di Sant'Aubert. Un torrente di lacrime gli fece conoscere pur troppo la fatal notizia. Egli la condusse ad una sedia, e si assise vicino a lei che continuava a piangere, mentre il giovane teneva una mano stretta fra le sue.

« Io so, » disse finalmente, « quanto in simili casi sono inutili le consolazioni: dopo una sì gran disgrazia, non posso che affliggermi con voi. »

Quando Valancourt intese che Sant'Aubert era morto in viaggio, ed aveva lasciato Emilia in mano a persone estranee, esclamò involontariamente: « Dov'era io? » quindi mutò discorso, e parlò di sè medesimo. Le raccontò che, dopo la loro separazione, aveva errato qualche giorno sulla riva del mare, ed era tornato in Guascogna passando per la Linguadoca.

Dopo questa breve narrazione, egli tacque: Emilia non era disposta a riprendere la parola, e s'incamminarono verso il castello. Quando furono giunti alla porta, egli si fermò come se avesse creduto di non dover andar più oltre; disse ad Emilia che contando recarsi il giorno seguente ad Estuvière, domandava il permesso di venire a congedarsi da lei, ed essa non ebbe coraggio di negarglielo.

Giunta la notte, non potè prender sonno, essendo più che mai occupata dalla memoria del padre. Rammentandosi in qual maniera precisa e solenne le aveva ordinato di bruciare le sue carte, rimproverò a sè stessa di non avere obbedito più presto, e decise di riparar la domane a questa negligenza.

CAPITOLO IX

La mattina seguente, Emilia fece accendere il fuoco nella camera da letto del padre, e vi andò ond'eseguire scrupolosamente i di lui ordini: chiuse la porta per non essere sorpresa, ed aprì il gabinetto dov'erano i manoscritti; là, in un canto, presso un seggiolone, eravi il medesimo tavolino ove avea veduto assiso il padre la notte precedente alla loro partenza, ed essa non dubitò più che le carte di cui le aveva parlato, non fossero quelle stesse la cui lettura gli cagionava allora tanta emozione. La vita solitaria vissuta da Emilia, i malinconici subietti de' suoi consueti pensieri avevanla resa suscettibile di credere a spettri e fantasime. Era in ispecie passeggiando la sera in una casa deserta, ch'ella avea rabbrividito più volte a pretese apparizioni, che non l'avrebbero mai colpita quand'era felice: tal fu la causa dell'effetto da lei provato, allorchè, alzando gli occhi per la seconda volta sulla sedia posta in un canto oscuro, vi scorse l'imagine del genitore. Fu colta da terrore, ed uscì a precipizio. Poco stante rimproverossi la sua debolezza nel compiere un dovere così serio, e riaperse il gabinetto. A tenore delle istruzioni ricevute trovò ben presto il nodo che doveva servirle di guida: calcò col piede, e la tavola scorse da per sè sotto la contigua. Emilia vi ritrovò il fascio di carte, la borsa dei luigi, e qualche altro foglio sparso; prese tutto con mano tremante, richiuse il segreto, e disponevasi a rialzarsi, quando si vide ancora dinanzi l'imagine che l'avea spaventata: ella si precipitò nella camera, e cadde sopra una sedia svenuta; poco dopo rinvenne, e superò in breve quella spaventevole, ma pietosa sorpresa dell'immaginazione. Tornò alle carte, ma avea la testa sì poco a casa, che fissò gli occhi quasi involontariamente sopra le pagine aperte, senza pensare che trasgrediva agli ordini formali del padre; una frase di estrema importanza risvegliò l'attenzione e la memoria di lei. Abbandonò le carte, ma non potè cancellare dallo spirito le parole che rianimavano così vivamente il suo terrore e la sua curiosità; essa erane estremamente commossa. Più meditava, e più la sua immaginazione accendevasi. Spinta dalle più imperiose ragioni, voleva conoscere il mistero che si nascondeva in quella frase; si pentiva del giuramento fatto, ed arrivò perfino a dubitare di essere obbligata ad osservarlo; ma il suo errore non fu di lunga durata.

« Ho promesso, » diss'ella, « e non devo discutere, ma obbedire: allontaniamo una tentazione che mi renderebbe colpevole, giacchè mi sento forza bastante per resistere. » E all'istante tutto fu arso.

Aveva lasciata la borsa sul tavolino senza aprirla; ma accorgendosi che conteneva qualcosa di più grosso dei dobloni, si mise ad esaminarla.

« La sua mano ve li pose, » dicea ella baciando ogni moneta ed irrigandola di lagrime; « la sua mano, che or non è più se non fredda polvere! »

Vi trovò in fondo un pacchettino, contenente una scatoletta d'avorio nella quale esisteva il ritratto d'una signora. Stupì e sclamò: « È la stessa dinanzi la quale piangeva mio padre! » Per quanto la considerasse attentamente, non potè precisarne la somiglianza: essa era di peregrina beltà. La sua espressione particolare era la dolcezza, ma vi regnava un'ombra di tristezza e rassegnazione.

Sant'Aubert non le aveva prescritto nulla a proposito di questa pittura. Emilia credè poterla conservare, e rammentandosi in qual modo le avesse parlato della marchesa di Villeroy, s'immaginò facilmente che quello ne fosse il ritratto: pur non sapeva comprendere per qual ragione egli l'avesse conservato.

La fanciulla osservava la miniatura, senza comprendere l'interesse che prendeva a contemplarla, e il movimento d'affetto e di pietà che sentiva in sè. Ricci di capelli bruni scherzavano trascuratamente sovra un'ampia fronte: avea il naso quasi aquilino. Le labbra sorridevano, ma con malinconia: sollevava gli occhi cilestri al cielo con amabil languore, e la specie di nube sparsa su tutta la sua fisonomia parea esprimere la più viva sensibilità.

Emilia fu scossa dalla profonda meditazione in cui l'aveva gettata quel ritratto, sentendo aprire la porta del giardino: conobbe che Valancourt ritornava al castello, e le abbisognarono alcuni momenti per rimettersi. Quando lo incontrò nel salotto, fu colpita dal cambiamento della sua fisonomia dopo la loro separazione nel Rossiglione: il dolore e l'oscurità le avevano impedito di accorgersene la sera precedente; ma l'abbattimento di Valancourt cedè alla gioia di vederla.

« Voi vedete, » le disse, « ch'io faccio uso del permesso da voi accordatomi. Vengo per dirvi addio, sebbene abbia avuto la fortuna d'incontrarvi ieri soltanto. »

Emilia sorrise debolmente, e, come imbarazzata di ciò che dovrebbe dire, gli domandò da quanto tempo fosse tornato in Guascogna. « Vi sono da… » disse Valancourt facendosi rosso, « dopo aver avuta la disgrazia di separarmi da amici che mi avevano reso così delizioso il viaggio dei Pirenei; ho fatto un giro assai lungo. »

Una lacrima scorse dagli occhi d'Emilia mentre Valancourt parlava; egli se ne avvide e parlò di tutt'altro; lodò il castello, la sua bella situazione ed i punti di vista che offriva. Emilia, imbarazzatissima per quel colloquio, scelse con piacere un soggetto indifferente. Andarono sul terrazzo, e Valancourt fu incantato dalla vista del fiume, dei prati, e dei quadri molteplici che presentava la Guienna.

Si appoggiò al parapetto, contemplando il rapido corso della Garonna. « Non è molto tempo, » diss'egli, « che sono rimontato fino alla sua sorgente; io non aveva allora la fortuna di conoscervi, poichè in tal caso avrei dolorosamente sentita la vostra assenza. »

Il giovane tacque, e sedette accanto a lei, muto e tremante; finalmente disse con voce interrotta: « Questo luogo delizioso.... dovrò abbandonarlo, e abbandonerò anche voi, forse per sempre.

Questi momenti possono non tornar più; non voglio perderli: soffrite intanto che, senza offendere la vostra delicatezza e il vostro dolore, vi esprima una volta tutta l'ammirazione, e la riconoscenza che m'inspira la vostra bontà. Oh! se io potessi avere un giorno il diritto di chiamare amore il vivo sentimento che… »

La commozione di Emilia non le permise di rispondere, e Valancourt, avendo gettato gli occhi su di lei, la vide impallidire e sul punto di venir meno: fece un moto involontario per sostenerla, e questo moto bastò a farla rinvenire con certo quale spavento. Quando Valancourt riprese la parola, tutto in lui, e perfino la voce, manifestava l'amore il più tenero.

« Io non ardirei, » soggiunse egli, « parlarvi più a lungo di me: ma questo momento crudele avrebbe meno amarezza, se potessi portar meco la speranza, che la confessione, testè sfuggitami, non mi escluderà in avvenire dalla vostra presenza. »

Emilia fece un nuovo sforzo per vincere la confusione delle sue idee. Temeva di tradire il suo cuore, e di lasciar conoscere la preferenza che accordava a Valancourt. Ella esitava a manifestare i sentimenti ond'era animata, non ostante che il cuore ve la spingesse con molta vivacità. Nonpertanto, riprese coraggio, per dirgli che si trovava onorata dalla bontà d'una persona, per la quale suo padre aveva avuto tanta stima.

« Egli mi ha dunque giudicato degno della sua stima? » disse Valancourt con dubbiosa timidezza; poi, rimettendosi, soggiunse: « Perdonate questa domanda; io so appena ciò che voglia dirmi. Se ardissi lusingarmi della vostra indulgenza, se voi mi concedeste la speranza di avere qualche volta le vostre nuove, mi separerei da voi con maggior tranquillità. »

Dopo un momento di silenzio, Emilia rispose: « Io sarò sincera con voi; voi vedete la mia situazione, e son certa che vi ci adatterete. Vivo in questa casa, che fu quella del padre mio, ma ci vivo sola. Oimè! Io non ho più genitori, la cui presenza possa autorizzare le vostre visite…

– Non affetterò di non sentire questa verità, » disse il giovane. Poi aggiunse tristamente: « Ma chi m'indennizzerà del sacrificio che mi costa la mia franchezza? Almeno mi permetterete voi di presentarmi ai vostri parenti. »

La fanciulla confusa, non sapeva che rispondere conoscendone la difficoltà. Il suo isolamento e la sua posizione non le lasciavano un amico del quale potesse ricevere un consiglio. La Cheron, unica sua parente, era occupata solo de' propri piaceri, e trovavasi talmente offesa della ripugnanza di Emilia a lasciar la valle, che sembrava non pensar più a lei.

 

« Ah! io lo vedo, » disse Valancourt, dopo un lungo silenzio, « conosco che mi sono lusingato di troppo. Voi mi credete indegno della vostra stima. Viaggio fatalissimo! Io lo riguardava come l'epoca più fortunata della mia vita: quei giorni deliziosi avveleneranno il mio avvenire. »

Qui si alzò bruscamente, e passeggiando a gran passi sul terrazzo, gli si vedeva la disperazione dipinta in volto. Emilia ne fu vivamente commossa. I movimenti del suo cuore trionfarono della di lei timidezza, e quando egli le fu vicino, gli disse con una voce che la tradiva: « Voi fate torto ad amendue, quando dite ch'io vi credo indegno della mia stima; devo confessare che la possedete da molto tempo, e che.... »

Valancourt aspettava impaziente la fine della frase, ma le parole le spirarono sul labbro: i suoi occhi nullameno manifestavano tutte l'emozioni del di lei cuore; Valancourt passò rapidamente dall'imbarazzo alla gioia. « Emilia, » esclamò egli, « mia cara Emilia. O cielo! come resistere a tanta felicità! »

Si accostò alla bocca la mano della fanciulla; essa era fredda e tremante, e Valancourt la vide impallidire; si rimise però prontamente, e gli disse sorridendo: « mi pare di non essere ancora ristabilita dal colpo terribile che ha ricevuto il mio povero cuore.

– Perdonatemi, » le rispose il giovane, « io non parlerò più di ciò che può eccitare la vostra sensibilità. » Poi, obliando la sua risoluzione, cominciò a parlare nuovamente di sè medesimo.

« Voi non sapete, » le disse, « quanti tormenti ho sofferti vicino a voi, quando senza dubbio, se mi onoravate d'un pensiero, voi dovevate credermi molto lontano di qui. Non ho cessato di vagolar tutte le notti intorno a questo castello avvolto in una profonda oscurità; quanto m'era delizioso il sapermi vicino a voi! Godeva nell'idea che vegliava intorno al vostro ritiro, e che voi gustavate sonno tranquillo. Questi giardini non sono nuovi per me. Una sera scavalcai la siepe, e passai una delle più felici ore della mia vita sotto la finestra, che credeva la vostra. »

Emilia s'informò quanto tempo Valancourt fosse stato nel vicinato. « Molti giorni, » rispos'egli; « io voleva profittare del permesso accordatomi da Sant'Aubert. Non capisco com'egli avesse questa bontà, ma sebbene lo desiderassi vivamente, quando si avvicinava il momento, io perdeva il coraggio, e differiva la mia visita. Era alloggiato in un villaggio poco discosto, e scorreva co' miei cani i dintorni di questo bel paese, anelando la fortuna d'incontrarvi, senza aver l'ardire di venire a trovarvi. »

Passarono circa due ore in questa conversazione; finalmente Valancourt, alzandosi: « Bisogna ch'io parta, » disse tristamente, « ma colla speranza di rivedervi, e con quella di offrire il mio rispetto e la mia servitù ai vostri parenti. La vostra bocca mi confermi in tale speranza.

– I miei parenti si chiameranno fortunatissimi di far la conoscenza d'un antico amico del padre mio. »

Valancourt le baciò la mano, e restarono immobili senza potersi allontanare. Emilia taceva, teneva gli occhi bassi, e quelli di Valancourt stavano fissi in lei. In quel punto, udirono camminare frettolosamente dietro al platano.

La fanciulla, voltandosi, vide la signora Cheron; arrossì, e fu assalita da improvviso tremito; pure si alzò, e corse incontro alla zia.

« Buon giorno, nipote mia, » disse la Cheron gettando uno sguardo di sorpresa e curiosità su Valancourt, « buon giorno, nipote mia, come state? Ma la domanda è inutile; il vostro volto indica bastantemente che vi siete già consolata della vostra perdita.

– Il mio volto in tal caso mi fa torto, signora; la perdita da me fatta non può mai essere riparata.

– Bene!… Bene!… non voglio affliggervi. Voi somigliate moltissimo a vostro padre… e certo sarebbe stata una fortuna pel pover'uomo se avesse avuto un carattere diverso. »

Emilia non volle replicare, e le presentò l'afflitto Valancourt; il giovane rispettosamente salutò la signora Cheron, la quale gli restituì una fredda riverenza, guardandolo con piglio sdegnoso. Dopo qualche momento egli si congedò da Emilia con un'aria che le faceva bastantemente conoscere il suo dolore di allontanarsi, e lasciarla in compagnia della zia.

« Chi è quel giovine? » disse questa con asprezza; « suppongo sarà uno dei vostri adoratori; ma io credeva, nipote mia, che aveste un po' più rispetto delle convenienze, per ricevere le visite d'un giovinetto nello stato di solitudine in cui siete. Il mondo osserva questi falli; se ne parlerà, credetelo a me, che ho più esperienza di voi. »

Emilia, punta da un rimprovero così violento, avrebbe voluto interromperla, ma la zia continuò: « È necessariissimo che vi troviate sotto la direzione d'una persona in grado di guidarvi più di quello che possiate farlo voi stessa. In verità, ho poco tempo per un compito tale; nondimeno, giacchè il vostro povero padre, negli ultimi istanti di sua vita, mi ha pregato di vegliare sulla vostra condotta, sono obbligata d'incaricarmene; ma sappiate, nipote cara, che se non vi determinate alla massima docilità, non mi tormenterò troppo a riguardo vostro. »

Emilia non si provò neppure a rispondere. Il dolore, l'orgoglio ed il sentimento della sua innocenza la contennero fino al momento in cui la zia aggiunse: « Io son venuta a prendervi per condurvi a Tolosa; mi dispiace però che vostro padre sia morto con sì tenue sostanza: malgrado ciò, vi prenderò in casa mia. Quel benedetto vostro padre è stato sempre più generoso che previdente; in caso diverso egli non avrebbe lasciato sua figlia alla discrezione dei parenti.

– E così appunto non ha fatto, » disse Emilia freddamente; « il disordine della sua fortuna non proviene tutto da quella nobile generosità che lo distingueva: gli affari del signor Motteville possono accomodarsi, come spero, senza rovinare i creditori, e fino a quell'epoca mi stimerò fortunatissima di risiedere nella valle.

– Non ne dubito, » rispose la Cheron, con un sorriso pieno d'ironia. « Oh! non ne dubito; e vedo quanto la tranquillità ed il ritiro furono salutari al ristabilimento del vostro spirito. Non vi credeva capace, nipote mia, di una simile doppiezza. Quando mi allegavate questa scusa, io ci credeva in buona fede, e non mi aspettava certo di trovarvi in una compagnia tanto amabile come quella del signor La.... Va.... me ne sono scordata il nome. Si vede che osservate bene le convenienze!… »

Emilia si fece di fuoco, raccontò la relazione di Valancourt e di suo padre, la circostanza della pistolettata, e il seguito de' loro viaggi; vi aggiunse l'incontro fortuito del giorno precedente, e confessò infine che Valancourt le aveva dimostrato qualche interesse, e domandato il permesso di rivolgersi a' suoi parenti.

« E chi è quel giovine avventuriere? » disse la Cheron; « quali sono le sue pretese?

– Ve le spiegherà egli stesso, o signora; mio padre lo conosceva, ed io lo credo irreprensibile.

– Sarà un cadetto, » sclamò la zia, « e per conseguenza un mendico. Così dunque mio fratello s'appassionò per cotesto giovine in pochi giorni! già fu sempre così; nella sua gioventù prendeva inclinazione o avversione, senza potere indovinarne il motivo; ed ho osservato più volte, che le persone dalle quali si allontanava, erano sempre più amabili di quelle che l'interessavano; ma dei gusti non si può disputare. Era assuefatto a fidarsi molto della fisonomia; qual ridicolo entusiasmo! Cos'ha di comune il volto d'un uomo col suo carattere? Un uomo dabbene non potrà forse qualche volta avere una fisonomia spiacevole? »

La Cheron pronunziò questa sentenza col tuono trionfante di una persona, la quale, credendo aver fatta una grande scoperta, se ne applaudisce, e pensa non si possa contraddirla.

Emilia, desiderando finire quel colloquio, pregò la zia di accettare qualche rinfresco.

Appena giunta a casa, questa le ordinò di fare i suoi preparativi della partenza per Tolosa fra due o tre ore. Essa la scongiurò di differire almeno fino al giorno seguente, e l'ottenne con qualche difficoltà.

Il resto del giorno fu passato nell'esercizio di una pedantesca tirannia per parte della zia, e nei disgusti e nel dolore per parte della nipote. Appena quella si fu ritirata, Emilia diede l'ultimo addio alla casa, ch'era stata la sua culla. La lasciava senza sapere il tempo della sua assenza, e per un nuovo genere di vita che ignorava assolutamente; ma non poteva vincere il presentimento che non sarebbe mai più ritornata nella valle. Mentre era nella biblioteca paterna, e che sceglieva qualche libro per portar seco, Teresa aprì la porta onde assicurarsi, secondo il consueto, se tutto era in ordine, e restò sorpresa di trovare colà la padroncina. Emilia le diede le opportune istruzioni pel mantenimento del castello.

« Oimè! » le disse Teresa; « voi dunque partite? Se non m'inganno però mi sembra che voi sareste più felice qui, che non dove vogliono condurvi. »

Emilia non le rispose, e tornò nella sua camera. Ivi giunta, si mise alla finestra, e vide il giardino fiocamente illuminato dalla luna che sorgea allora al disopra dei fichi. La placida bellezza della notte accrebbe il di lei desiderio di gustare un tristo piacere, facendo pure i saluti ai luoghi prediletti della sua infanzia. Si sentì spinta a scendere, e gettandosi indosso il velo leggero col quale soleva passeggiare, entrò a cauti passi nel giardino, e si diresse celeremente verso i boschetti lontani, lieta di respirar ancora un'aura libera e sospirare senza essere osservata da veruno. Il profondo riposo della natura, i soavi effluvi diffusi dal notturno zeffiro, la vasta estensione dell'orizzonte e l'azzurro firmamento stellato rapivano in dolce estasi l'anima sua e la portavano gradatamente a quelle altezze sublimi donde le orme di questo mondo svaniscono.

Emilia fissò gli occhi sul platano, e vi riposò per l'ultima volta. Quivi, ancor poche ore prima, ella discorreva con Valancourt. Ricordossi la confessione da lui fatta che spesso vagolava la notte intorno alla sua dimora, che ne scavalcava il recinto; e d'improvviso pensò che in quel momento stesso egli poteva trovarsi forse in giardino. La paura d'incontrarlo, il timore altresì delle censure della zia la indussero a ritirarsi in casa. Si fermava spesso ad esaminare i boschetti prima di traversarli; vi passò senza vedere alcuno; ma giunta ad un gruppo di mandorli più vicino alla casa, ed essendosi voltata per vedere ancora il giardino, credette scorgere una persona uscire dai pergolati più tenebrosi ed avviarsi lentamente per un viale di tigli, allora illuminato dalla luna. La distanza, la luce troppo fioca, non le permisero d'accertarsi se fosse illusione o realtà. Continuò a guardare alcun tempo, e poco dopo credette udir camminare a sè vicino. Rientrò a precipizio, e tornata nella sua stanza, aprì la finestra nel momento in cui qualcuno penetrava sotto i mandorli, nel luogo stesso da lei lasciato poc'anzi. Chiuse la finestra, e, benchè agitatissima, potè gustare qualche ora di sonno.