Za darmo

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1

Tekst
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

CAPITOLO VI

Il giorno dipoi, Valancourt fece colazione coi compagni, ma nessun d'essi parea aver dormito. Sant'Aubert portava l'impronta dell'oppressione e del languore. Emilia trovava la di lui salute molto infiacchita, e le sue inquietudini crescevano del continuo: osservava essa tutti i di lui sguardi con timida premura, e la loro espressione si trovava subito fedelmente ripetuta ne' suoi.

Sin dal principio della loro conoscenza, Valancourt aveva indicato il suo nome e la sua famiglia. Sant'Aubert conosceva l'uno e l'altra, non meno che i beni delle sua casa, posseduti allora da un fratello maggiore di Valancourt, i quali distavano otto leghe circa dal suo castello; ed aveva incontrato questo fratello in qualche luogo del vicinato. Questi preliminari avevano facilitato la sua ammissione; il contegno, le maniere e l'esterior suo gli avevano guadagnata la stima di Sant'Aubert, che volentieri fidava nel proprio criterio, ma rispettava le convenienze; e tutte le buone qualità che riconosceva in lui, non gli sarebbero parse motivi sufficienti per avvicinarlo tanto alla figlia.

La colazione fu quasi taciturna, quanto eralo stata la cena della sera precedente; ma la loro meditazione fu interrotta dal romore della carrozza che doveva condur via Sant'Aubert ed Emilia. Valancourt si alzò, corse alla finestra, riconobbe la carrozza, e tornò alla sua sedia senza parlare. Il momento di separarsi era omai giunto. Sant'Aubert disse al giovane che sperava rivederlo nella valle, e che non vi sarebbe passato di certo senza onorarli di una visita. Valancourt lo ringraziò affettuosamente, e l'assicurò che non ci avrebbe mai mancato: sì dicendo guardava timidamente Emilia, la quale si sforzava di sorridere in mezzo alla sua profonda tristezza; passarono qualche minuto in un colloquio animatissimo; Sant'Aubert s'avviò alla carrozza, Emilia e Valancourt lo seguirono in silenzio: il giovane restava fermo allo sportello, e quando furono saliti pareva che nessuno avesse il coraggio di dirsi addio. In fine Sant'Aubert pronunziò la trista parola; Emilia fece altrettanto a Valancourt, che lo ripetè con un sorriso forzato, e la carrozza si mise in moto.

I viaggiatori restarono a lungo in silenzio. Sant'Aubert finalmente disse: « È un giovine interessante; sono molti anni che una conoscenza sì breve non m'ha così affettuosamente colpito. Egli mi ricorda i giorni della mia gioventù, quel tempo in cui tutto mi sembrava ammirabile e nuovo. » Sospirò, e ricadde nella sua meditazione. Emilia si affacciò alla portiera, e rivide Valancourt immobile sulla porta, che li seguiva cogli occhi; egli la scorse, e salutolla colla mano; ella gli restituì il saluto, ma ad una svolta della strada non potè più vederlo.

« Mi ricordo ciò ch'era io in quell'età, » soggiunse Sant'Aubert; « io pensava e sentiva precisamente come lui. Il mondo allora aprivasi dinanzi a me, ed or esso si chiude.

– O caro papà, non abbandonatevi a pensieri sì lugubri, » disse Emilia con voce tremante; « voi avete, spero, da vivere molti anni, per la vostra felicità e la mia.

– Ah Emilia! » sclamò Sant'Aubert; « pel tuo! sì, spero che abbia ad esser così. » Asciugò una lagrima che scorrevagli lungo le guance, e sorridendo della sua emozione, aggiunse con voce tenera: « Avvi qualcosa nell'ardore ed ingenuità di quel giovane, che dee soprattutto commovere un vecchio, di cui il veleno del mondo non alterò i sentimenti; sì, io scopro in lui un non so che d'insinuante, di vivificante, come la vista della primavera quando si è infermi. Lo spirito del malato assorbe qualcosa del succhio rinnovantesi, e gli occhi si rianimano ai raggi meridiani; Valancourt è per me questa felice primavera. »

Emilia, la quale stringea amorosamente la mano del padre, non aveva mai udito dalla sua bocca un simile elogio che le riescisse tanto gradito, nemmen quand'erane stata ella medesima l'oggetto.

Viaggiavano in mezzo a vigneti, boschi e prati, entusiasmati ad ogni passo di quel magnifico paesaggio cui limitavan i Pirenei e l'immenso pelago. Dopo mezzodì giunsero a Calliure, situato sul mediterraneo. Vi pranzarono, e lasciata passare la caldura, ripresero a seguire i magici lidi che stendonsi fin nella Linguadoca. Emilia considerava con entusiasmo il vasto impero dell'onde, di cui i lumi e le ombre variavan tanto singolarmente la superficie, e le cui spiagge, adorne di boschi, rivestivan già le prime assise dell'autunno.

Sant'Aubert era impaziente di trovarsi a Perpignano, dove aspettava lettere di Quesnel, e per tal motivo aveva lasciato tosto Calliure, malgrado l'urgente bisogno di qualche riposo. Dopo alcune leghe di strada, addormentossi; ed Emilia, la quale avea messi due o tre libri in carrozza partendo dalla valle, ebbe agio di farne uso. Essa cercò quello che aveva letto Valancourt il dì prima: desiderava ripassar le pagine sulle quali gli occhi d'un amico sì caro eransi fissati poc'anzi. Volea riandar i passi ch'egli ammirava, pronunziarli com'egli facea, e ricondurlo, per dir così, alla di lei presenza. Cercando questo libro ch'essa non potea trovare, scorse in vece sua un volume del Petrarca, appartenente al giovane, il cui nome vi appariva sopra scritto. Spesso ei gliene leggeva alcuni brani, e sempre con quella patetica espressione che caratterizzava i sentimenti dell'autore.

Arrivarono a Perpignano subito dopo il tramonto del sole. Sant'Aubert vi trovò le lettere che aspettava da Quesnel. Se ne mostrò così dolorosamente commosso, che Emilia, spaventata, lo scongiurò, per quanto glielo permise la delicatezza, di spiegargliene il contenuto. Non le rispose se non con lacrime, e tosto parlò di tutt'altro. Emilia credè bene di non sollecitarlo ulteriormente, ma lo stato di suo padre l'occupava forte, e non potè dormire per tutta la notte.

Il dì seguente continuarono lungo la costa per giungere a Leucate, porto del Mediterraneo, situato sulle frontiere del Rossiglione e della Linguadoca. Cammin facendo, Emilia rinnovò la istanze del dì prima, e parve talmente turbata dal silenzio e della disperazione di Sant'Aubert, che questi bandì alfine qualunque riguardo. « Io non voleva, cara Emilia, » le diss'egli, « avvelenare i tuoi piaceri, e avrei desiderato, almeno durante il viaggio, nasconderti circostanze, che avrei pur troppo dovuto manifestarti un giorno; la tua afflizione me lo impedisce, e tu soffri forse più dell'incertezza che non soffriresti della verità. La visita del signor Quesnel fu per me un'epoca fatale; ei mi disse allora parte delle notizie dispiacenti che mi vengono ora confermate dalle sue lettere. Tu mi avrai inteso parlare d'un tal Motteville di Parigi, ma ignoravi che la maggior porzione di quanto possiedo era deposto in sue mani; io aveva in lui cieca fiducia, e non voglio ancora crederlo indegno della mia stima: parecchie circostanze hanno concorso alla sua rovina, ed io sono rovinato con lui. »

Qui si fermò per moderare la sua emozione.

« Le lettere che ho ricevute dal signor Quesnel » continuò egli eccitandosi a fermezza, « ne contenevano altre di Motteville stesso, e tutti i miei timori sono confermati.

– Bisognerà egli abbandonare il nostro castello? » disse Emilia dopo un lungo silenzio.

– Non è per anco ben certo, » disse Sant'Aubert; « ciò dipenderà dall'accordo che Motteville potrà fare co' suoi creditori. Il mio patrimonio, tu lo sai, non era molto pingue, ed ora non è quasi più nulla. Io ne sono afflittissimo per te sola, figlia cara. »

A tai parole gli mancò la voce. Emilia, tutta lacrimosa, gli sorrise teneramente, e sforzandosi di superare la sua agitazione, gli rispose: « Non vi affliggete nè per voi nè per me, o mio buon padre. Noi possiamo essere ancora felici. Sì, se ci resta il castello della valle, noi lo saremo certamente; terremo una sola donna di servizio, e non vi accorgerete del cambiamento della vostra fortuna. Consolatevi, caro papà, noi non proveremo nessuna privazione, giacchè non abbiamo mai gustato le vane superfluità del lusso, e la povertà non potrà privarci giammai dei nostri più dolci godimenti; essa non potrà nè diminuire la nostra tenerezza, nè avvilirci ai nostri occhi od a quelli delle persone che ci stimano. »

Sant'Aubert celossi il volto nel fazzoletto, non potendo parlare; ma Emilia continuò a favellare al padre le verità ch'egli stesso avea saputo inculcarle. « La povertà, » essa gli dicea, « non potrà privarci d'alcuno de' diletti dell'anima; voi potrete sempre essere un esempio di coraggio e bontà, ed io la consolazione d'un prediletto genitore. »

Sant'Aubert non poteva rispondere: strinse Emilia al cuore: le loro lacrime si confusero, ma non erano più lacrime di tristezza. Dopo questo linguaggio del sentimento, ogni altro sarebbe stato troppo debole, ed entrambi stettero silenziosi. Sant'Aubert parlò in seguito secondo il consueto, e se lo spirito non era nella sua ordinaria tranquillità, ne aveva almeno ripresa l'apparenza.

Giunsero a Leucate assai per tempo, ma Sant'Aubert era stanchissimo, e volle passarvi la notte. La sera andò a passeggiare colla figlia per visitarne i contorni. Si scuopriva il lago di Leucate, il Mediterraneo, una parte del Rossiglione circondato dai Pirenei, ed una porzione molto considerevole della Linguadoca e delle sue fertilissime campagne. Le uve, già mature, rosseggiavano sui colli aprichi, e la vendemmia era principiata. I due passeggianti vedevano i crocchi giulivi, udivano le canzoni a lor recate sui vanni di lieve zeffiro e godevano anticipatamente di tutti i piaceri che lor promettea la strada. Sant'Aubert nondimeno non volle lasciar il mare: bene spesso fu tentato di tornarsene nella valle, ma il piacere che prendeva Emilia a questo viaggio, contrabbilanciava sempre questo desiderio; e d'altronde, voleva far la prova se l'aria marina non lo sollevasse un poco.

Il giorno seguente si rimisero in cammino. I Pirenei, sebbene molto lontani, offrivano una veduta delle più pittoresche; a destra aveano il mare, ed a sinistra immense pianure, che si confondevano coll'orizzonte. Sant'Aubert se ne rallegrava, e ne parlava con Emilia; ma la sua allegria era più finta che naturale, ed ombre di tristezza facean velo bene spesso alla sua fisonomia: un sorriso però di Emilia bastava per dissiparle; ma ella stessa aveva il cuore straziato, e vedeva benissimo che gli affanni del padre indebolivano visibilmente tutti i giorni la sua salute.

 

Giunsero molto tardi ad una piccola città della Linguadoca; avevano prefisso di dormirvi, ma fu impossibile; la vendemmia teneva occupati tutti i posti, e convenne recarsi ad un villaggio più lontano; la stanchezza ed i patimenti di Sant'Aubert richiedevano un pronto riposo, e la notte era già avanzata; ma la necessità non ha legge, e Michele continuò il suo cammino.

Le ubertose pianure della Linguadoca, nel fervore delle vendemmia, rintronavano de' frizzi e della rumorosa allegria francese. Sant'Aubert non potea più goderne; il suo stato contrastava troppo tristamente col brio, la gioventù e i piaceri che circondavanlo. Quando volgea i languidi occhi su quella scena, pensava che in breve non la vedrebbero più. – Que' monti lontani ed eccelsi, » dicea tra sè, considerando i Pirenei ed il tramonto, « queste belle pianure, quella vôlta azzurra, la cara luce del dì, saranno per sempre interdette a' miei sguardi; fra poco la canzone del contadino, la voce consolatrice dell'uomo non giugneranno più all'orecchio mio… —

Gli occhi d'Emilia parean leggere tutto che passava nell'animo del padre: essa li fissava sul di lui viso coll'espressione d'una tenera pietà. Dimenticando allora gli argomenti d'un vano rammarico, non vide più altro che lei, e l'orribile idea di lasciar la figlia senza protettore, cambiò la sua pena in un vero tormento; sospirò dal cuor profondo, e non mosse labbro. Emilia comprese quel sospiro; gli strinse le mani con tenerezza, e si volse dalla parte della portiera per nascondere le lagrime. Il sole proiettava allora un ultimo raggio sul Mediterraneo, i cui vapori parevano tutti d'oro; a poco a poco le ombre del crepuscolo si distesero; una zona scolorita apparve solo a ponente, segnando il punto dove il sole erasi perduto nelle brume d'una sera autunnale. Una fresca brezzolina sorgeva dalla spiaggia. Emilia calò i cristalli; ma la frescura, sì gradevole nello stato di salute, non era necessaria per un infermiccio, e il padre la pregò di rialzarli. Crescendo la sua indisposizione, pensava allora più che mai a por fine alla marcia del dì; fermò Michele per sapere a qual distanza fossero dal primo villaggio. « A quattro leghe, » disse il mulattiere. – Io non potrò farle, » disse Sant'Aubert; « cercate, nell'andare innanzi, se non vi fosse una casa sulla strada in cui possano riceverci per istanotte. »

Si rigettò in carrozza; Michele fe' schioccar la frusta, e galoppò finchè Sant'Aubert quasi fuor de' sensi, gli fece segno di fermarsi. Emilia guardava alla portiera: vide alla perfine un contadino a qualche distanza: lo aspettarono e gli chiesero se non vi fosse ne' dintorni alloggio pe' viaggiatori. Rispose di non conoscerne. « C'è un castello in mezzo ai boschi, » soggiunse, « ma io credo che non vi si riceve nessuno, e non posso insegnarvene la strada essendo quasi io stesso forestiero. »

Sant'Aubert stava per rinnovellare le sue domande sul castello; ma l'uomo piantollo lì e se ne andò. Dopo un momento di riflessione, Sant'Aubert ordinò a Michele di andare pian piano verso i boschi. Ad ogni istante il crepuscolo diventava più oscuro, e la difficoltà di guidarsi cresceva. Passò un altro paesano.

« Quale è la strada del castello ne' boschi? » gridò Michele.

– Il castello ne' boschi! » sclamò il paesano. « Volete parlare di quelle torrette?

– Non so se son torrette, » disse Michele: « parlo di quel caseggiato bianco che vediamo da lungi in mezzo a tutti quegli alberi.

– Sì, son torrette. Ma che! fareste conto d'andarci? » rispose l'uomo con sorpresa.

Sant'Aubert, udendo quella strana interrogazione colpito in ispecie dall'accento con cui la si faceva, scese di carrozza e gli disse: « Noi siamo viaggiatori, e cerchiamo una casa per passarvi la notte: ne conoscete voi qui una vicina?

– No, signore, » rispose l'uomo « a meno che non voleste tentar fortuna in que' boschi: ma io per me non ve lo consiglierei.

– A chi appartiene quel castello?

– Nol so, signore.

– È dunque disabitato?

– No, non è disabitato; il castaldo e la governante, vi sono, a quanto credo. »

All'udir ciò, Sant'Aubert si decise a rischiare un rifiuto presentandosi al castello. Pregò il contadino di servir di guida a Michele, e gli promise una ricompensa. L'uomo riflettè un poco, e disse che avea altre faccende, ma che non potevano sbagliare seguendo il viale cui accennò. Sant'Aubert stava per rispondere, quando il paesano, augurandogli la buona notte, lo lasciò senza aggiugner altro.

La carrozza si diresse al viale, cui si trovò sbarrata da una stanga; Michele smontò ed andò a levarla. Penetrarono allora tra antichi castagni e querce annose, i cui rami intralciati formavano una vôlta altissima: eravi qualcosa di deserto e di selvaggio nell'aspetto di quel viale, ed il silenzio erane tanto imponente, che Emilia si sentì côlta da involontario tremore. Ricordavasi l'accento del paesano nel parlare di quel castello: essa dava alle di lui parole un'interpretazione più misteriosa che non avesse fatto prima: cercò nullameno di calmare la paura; pensò che un'imaginazione turbata ne l'avea resa suscettibile, e che lo stato del padre e la sua propria situazione dovevano senza dubbio contribuirvi.

Inoltrarono lentamente; l'oscurità era quasi completa: il terreno disuguale e le radici degli alberi che l'imbarazzavano ad ogni tratto obbligavano a molta precauzione. D'improvviso, Michele si fermò: Sant'Aubert guardò per saperne la causa. Vide a qualche distanza una figura traversare il viale; faceva troppo buio per distinguere di più, ed egli ordinò d'avanzare.

« Mi sembra un luogo strano, » disse Michele; « non veggo case, e faremmo meglio a tornar indietro.

– Andate un po' più innanzi, e se non vedremo edifizi, torneremo sulla strada maestra. »

Michele s'avanzò, ma con ripugnanza; e l'eccessiva lentezza della sua marcia fe' riaffacciare Sant'Aubert alla portiera, e vide ancora la medesima figura. Questa volta trasalì. Probabilmente l'oscurità lo rendea proclive a spaventarsi più del consueto; ma, checchè esser potesse, fermò Michele, e gli disse di chiamar l'individuo che traversava di tal modo il viale.

« Con vostro permesso, » disse Michele, « può bene essere un ladro.

– Nol permetto di certo, » ripigliò Sant'Aubert, non potendo astenersi dal sorridere a quella frase; « via, torniamo sulla strada, chè non veggo alcuna apparenza di trovar qui quel che cerchiamo. »

Michele voltò con vivacità, e rifece velocemente il viale; una voce partì allora d'in fra gli alberi a sinistra; non era un comando, non un grido di dolore, ma un suono roco e prolungato che nulla avea d'umano. Michele spronò le mule senza pensare all'oscurità, nè agl'intoppi, nè alle buche, e neppure alla carrozza; nè si fermò se non quando fu uscito dal viale, e giunto sulla strada infine, rallentò il passo.

« Io sto assai male, » disse Sant'Aubert stringendo la mano della figlia, la quale, spaventata dal tuono di voce del padre, esclamò: « Gran Dio! voi state più male, e noi siamo senza soccorso; come faremo? » Egli appoggiò la testa sulla di lei spalla; essa lo sostenne fra le sue braccia, e fece fermar la carrozza. Appena il rumore delle ruote fu cessato, sentirono musica in lontananza, lo che fu la voce della speranza per Emilia, che disse: « Oh! noi siamo vicini a qualche abitazione, e potremo trovarci aiuto. » Ascoltò attenta: il suono era molto lontano, e parea venire dal fondo di un bosco, una parte del quale costeggiava la strada. Guardò dalla parte d'onde venivano i suoni, e vide al chiaro di luna qualcosa che somigliava ad un castello, ma era difficile di giungervi. Sant'Aubert stava troppo male per sopportare il più piccolo movimento: Michele non poteva abbandonare le mule; Emilia, che sosteneva ancora il padre, non voleva abbandonarlo, e temeva pur di avventurarsi sola a tal distanza, senza sapere dove ed a chi indirizzarsi: frattanto bisognava prendere un partito, e senza dilazione. Sant'Aubert disse dunque a Michele di avanzare più lentamente che gli fosse possibile, e dopo un momento svenne. La carrozza si fermò di nuovo; egli era privo affatto dell'uso dei sensi. « Ah! padre mio, mio caro padre! » gridava Emilia disperata; e credendolo in punto di morte, esclamò: « Parlate, ditemi una sola parola; ch'io ascolti anche una volta il suono della vostra voce. » Egli non rispose nulla: spaventata sempre più, ordinò a Michele di andare ad attingere acqua nel ruscello vicino; egli ne portò un poco nel suo cappello, che la ragazza spruzzò sul viso del genitore. I raggi della luna, riflettendo allora sopra di lui, mostravano l'impressione della morte. Tutti i movimenti di terrore personale cedettero in quel punto a un timore dominante, e, confidando Sant'Aubert a Michele, il quale con molta difficoltà lasciò le mule, Emilia saltò fuori della carrozza per cercare il castello che aveva veduto da lontano, e la musica che dirigeva i suoi passi, la fece entrare in un sentiero che conduceva nell'interno del bosco. Il suo spirito, unicamente occupato del padre e della sua propria inquietudine, aveva dapprincipio perduto qualunque timore; ma la foltezza degli alberi, sotto i quali passava, intercettavano i raggi della luna; l'orrore di quel luogo le rammentò il suo pericolo; la musica era cessata, e non le restava altra guida che il caso. Si fermò un poco con uno spavento inesprimibile; ma l'immagine del padre vinse ogni altro sentimento, e si rimise in cammino. Non vedeva nessuna abitazione, nessuna creatura, e non udiva il più piccolo romore; camminava sempre senza saper dove, scansava il folto del bosco e si teneva in mezzo il più che poteva; finalmente vide una specie di viale in disordine che metteva ad un punto illuminato dalla luna; lo stato di quel viale le rammentò il castello delle torrette, e non dubitò più di esserne vicina. Esitava a procedere, quando un romore di voci e scrosci di risa colpirono all'improvviso il suo udito; non era un riso di allegrezza, ma quello di una gioia smoderata, ed il suo imbarazzo crebbe d'assai. Mentre essa ascoltava, una voce in gran distanza si fece sentire dalla parte della strada ond'era partita; immaginandosi che fosse Michele, suo primo pensiero fu quello di tornare indietro, ma poi non seppe risolversi. L'ultima estremità poteva solamente aver deciso Michele a lasciare le sue mule: credè il padre moribondo, e corse con maggiore celerità, nella debole lusinga di ricevere qualche soccorso da' convitati del bosco. Il suo cuore palpitava per terribile incertezza; e più si avanzava, più il romore delle foglie secche la faceva tremare ad ogni passo. Giunse ad un luogo scoperto illuminato dalla luna; si fermò, e scorse fra gli alberi un banco erboso formato a cerchio cui stavan sedute parecchie persone. Nell'avvicinarsi, giudicò dal loro abbigliamento che dovevano essere contadini, e distinse sparse pel bosco varie capanne. Mentre guardava e si sforzava di vincere il timore che la rendeva immobile, alcune villanelle uscirono da una capanna; la musica seguitò e ricominciarono a ballare; era la festa della vendemmia, e l'istessa musica udita da lontano. Il di lei cuore, troppo lacerato, non poteva sentire il contrasto che tutti quei piaceri formavano colla propria situazione; si fece innanzi ad un gruppo di vecchi assisi vicino alla capanna, espose la sua circostanza, e ne implorò l'assistenza. Parecchi si alzarono con vivacità, offrirono tutti i loro servigi, e seguirono Emilia, che parea aver l'ali correndo verso la strada maestra.

Quando furono giunti alla carrozza, essa trovò il padre rinvenuto. Ricuperando i sensi, aveva inteso da Michele la partenza della figlia; la sua inquietudine per lei oltrepassando il sentimento dei suoi bisogni, aveva mandato Michele a cercarla; non pertanto era tuttora in istato di languore, e sentendosi incapace di andar più oltre, rinnovò le sue domande sopra un albergo, o sul castello del bosco. « Il castello non può ricevervi, » disse un contadino venerabile, il quale aveva seguito Emilia, « esso è appena abitato; ma se volete farmi l'onore di accettare il mio tugurio, vi darò il mio letto migliore. »

Sant'Aubert era francese: non istupì dunque della cortesia di un francese. Malato com'era, sentì quanto valore acquistava l'offerta, dalla maniera colla quale era fatta. Aveva troppa delicatezza per iscusarsi, o per esitare un sol momento a ricevere quell'ospitalità contadinesca; l'accettò dunque con altrettanta franchezza, quanta n'era stata adoperata nell'offerta.

 

La carrozza camminò lentamente, seguitando i contadini per la strada già fatta da Emilia, e giunsero alla capanna. L'affabilità del suo ospite, e la certezza di un pronto riposo, resero le forze a Sant'Aubert; egli vide con dolce compiacenza quel quadro interessante; i boschi, resi più cupi dal contrasto, circondavano il sito illuminato; ma diradandosi ad intervalli, un bianco chiarore ne facea spiccar una capanna o riflettevasi in un rigagnolo; egli ascoltò con piacere i suoni allegri della chitarra e del tamburello, ma non potè vedere senza emozione il ballo di que' villici. Non avvenne l'egual cosa di Emilia: l'eccesso dello spavento si era cambiato in una profonda tristezza, e gli accenti della gioia facendo luogo a spiacevoli confronti, servivano ancora a raddoppiarla.

Il ballo cessò all'avvicinarsi della carrozza: era un fenomeno in quei boschi remoti, e tutti la circondarono con istraordinaria curiosità. Appena intesero che vi era un forestiero ammalato, molte fanciulle traversarono il prato, tornarono immediatamente con vino e canestri di frutta, e li offersero ai viaggiatori disputandosi la preferenza. La carrozza si fermò finalmente vicino ad una casuccia decentissima, che apparteneva al venerabile condottiero; egli aiutò Sant'Aubert a scendere, e lo condusse con Emilia in una stanzetta terrena, illuminata soltanto dalla luna. Sant'Aubert, lieto di trovare il desiato riposo, si adagiò sopra una specie di poltrona. L'aria fresca e balsamica, impregnata di soavi effluvi, penetrava nella stanza dalle finestre aperte e rianimava le sue facoltà infiacchite. Il suo ospite che si chiamava Voisin, tornò immediatamente con frutta, crema, e tutto il lusso campestre che poteva somministrare il suo ritiro. Offrì tutto col sorriso della cordialità, e si mise in piedi dietro la sedia di Sant'Aubert, il quale insistè per fargli prendere posto a tavola; quando i frutti ebbero calmato la di lui sete ardente, si sentì un poco sollevato, e cominciò a discorrere. L'ospite gli comunicò tutte le particolarità relative a lui ed alla sua famiglia. Questo quadro di unione domestica, dipinto col sentimento del cuore, non poteva mancare di eccitare il più vivo interesse. Emilia, seduta vicino al padre, tenendo una mano fra le sue, ascoltava attenta il buon vecchio. Il di lei cuore era pieno di tristezza e versava lacrime, pensando che quanto prima non avrebbe più posseduto il prezioso bene di cui essa godeva ancora. Il fioco raggio della luna autunnale, e la musica che si faceva ancora sentire da lontano, s'accordavano colla sua malinconia. Il vecchio parlava della sua famiglia, e Sant'Aubert taceva.

« Non mi resta più che una figlia, » disse Voisin, « ma fortunatamente essa è maritata e mi tiene luogo di tutto. Quando morì mia moglie, » aggiuns'egli sospirando, « io andai a riunirmi con Agnese e la sua famiglia. Essa ha parecchi figli, che voi vedete ballare laggiù, allegri e grassi come tanti fringuelli. Possano eglino esser sempre così! io spero morire in mezzo a' loro, o signore: ora son vecchio, e mi resta poco da vivere; ma è una gran consolazione il morire fra i suoi figli.

– Mio buon amico, » disse Sant'Aubert con voce tremante, « voi vivrete, lo spero, lungamente in mezzo ad essi.

– Ah, signore! nella mia età, non ho molto luogo a sperarlo. » Il vecchio fece una pausa. « Eppoi lo desidero appena, » ripigliò quindi. « Ho fiducia che, se muoio, andrò difilato al cielo; la mia povera moglie vi è prima di me. La sera, al chiaro di luna, credo vederla vagolar presso questi boschi cui amava tanto. Credete voi, signore, che noi possiam visitare la terra, quando avremo lasciati i nostri corpi?

– Non dubitatene, » gli rispose Sant'Aubert; « le separazioni sarebbero troppo dolorose se le credessimo eterne. Sì, Emilia cara, noi ci ritroveremo un dì. »

Alzò gli occhi al cielo, ed i raggi della luna, che cadevan sopra di lui, mostrarono tutta la pace e la rassegnazione dell'anima sua, malgrado l'espressione della tristezza.

Voisin comprese aver troppo prolungato il tema, e l'interruppe dicendo: « Ma noi siamo all'oscuro; abbiamo bisogno di un lume.

– No, » gli disse Sant'Aubert, « preferisco il chiaro della luna: non v'incomodate, caro amico. Emilia, amor mio, io sto ora assai meglio di quel che non lo sia stato tutto il giorno. Quest'aria mi rinfresca; io gusto questo riposo, e mi compiaccio di ascoltare questa bella musica che si ode in lontananza. Lasciami vedere il tuo sorriso. Chi è che suona così bene la chitarra? » diss'egli in seguito; « son due strumenti oppure un'eco?

– È un'eco, o signore, almeno io lo credo. Ho inteso spesso questo strumento la notte, quando tutto è in calma: ma nessuno conosce chi lo suona. Talvolta è accompagnato da una voce, ma sì dolce e così trista, che si potrebbe credere compaiano spiriti nel bosco.

– Vi compariranno per certo, » disse Sant'Aubert sorridendo, « ma in carne ed ossa.

– Qualche volta, a mezzanotte, quando non posso dormire, » proseguì Voisin, il quale non badò a quell'osservazione, « l'ho sentita quasi sotto le mie finestre, nè mai ho intesa musica tanto piacevole: essa mi faceva pensare alla mia povera moglie, e piangeva. Talfiata apersi la finestra per procurare di scorgere qualcuno, ma nell'istante medesimo cessava l'armonia, e non si vedeva nessuno. Ascoltava con tanto raccoglimento, che il rumore d'una foglia o il menomo vento finiva col farmi paura. Si diceva che questa musica fosse un annuncio di morte; ma son molti anni che l'ascolto e sopravvivo ancora a questo tristo presagio. »

Emilia sorrise ad una superstizione tanto ridicola, e non pertanto, nella posizione del suo spirito, essa non potè del tutto resistere alla sua impressione contagiosa.

« Va bene, amico mio, disse Sant'Aubert; ma se qualcuno avesse avuto il coraggio di andar dietro al suono, il musico sarebbe stato conosciuto. Nessuno l'ha fatto?

– Sì, signore, fu tentato più volte, si è seguita la musica sino al bosco, ma essa si ritirava a misura che noi avanzavamo, e sembrava sempre alla medesima distanza: i nostri villani hanno avuto paura, e non vollero andar più oltre. Ben di rado la si sente tanto di buon'ora come stasera; d'ordinario ciò accade verso mezzanotte quando quella fulgida stella che si trova adesso al di sopra di quelle torrette tramonta a sinistra del bosco.

– Quali torrette? » domandò Sant'Aubert; « io non ne vedo alcuna.

– Perdonate, signore, eccone là una, sulla quale riflette la luna; vedete voi quel viale? il castello è quasi nascosto interamente dagli alberi.

– Sì, papà, » disse Emilia guardando; « non vedete voi qualche cosa brillare al disopra del bosco? io credo sia una banderuola, sulla quale riflettono i raggi della luna.

– Sì, ora vedo ciò che mi accenni. Di chi è quel castello?

– Il marchese di Villeroy ne era il possessore, » rispose Voisin con fare d'importanza.

– Ah! » disse Sant'Aubert agitatissimo: « siamo dunque così vicini a Blangy?

– Era la dimora favorita del marchese, » soggiunse Voisin; « ma la prese in antipatia, e son molti anni che non vi è stato: mi fu detto che è morto da poco tempo, e che questo feudo passò in altre mani. »

Sant'Aubert, ch'era caduto in pensieri, uscì dalla sua meditazione a queste ultime parole esclamando: « Morto! gran Dio! e da quanto tempo? »

– Mi fu detto esser già da quattro settimane, » rispose Voisin; « lo conoscevate voi forse?