Dal Vangelo Secondo Giuda

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Dopo qualche giorno e molti accertamenti Giuda e Nicole furono dimessi, tentarono con tutte le loro forze di ricominciare la vita di sempre ma trovarono che niente era più come prima. Ormai avevano paura di tutto e di tutti, evitavano di frequentare luoghi affollati e ogni minimo rumore inconsueto, o talvolta anche soltanto uno sguardo da parte di qualcuno, apriva in loro la strada a un terrore tanto incontenibile quanto irrazionale. Non si sentivano più al sicuro neanche tra le mura di casa ed erano preoccupati, ancor più che per loro stessi, per il futuro di Jodie e per quello del nascituro. Continuavano a domandarsi se quello in cui li avevano invitati a venire era davvero un buon mondo, dal momento che era sufficiente il capriccio di una sola persona a generare tanto dolore gratuito negli altri.

PARTE II

LA MORTE DI NICOLE

«Allora, hai finito di prendermi in giro?» domandò risentito Freddy a Giuda, mentre giocavano l’abituale partita a tennis del martedì. Aveva deciso di riprendere a giocare dopo aver saltato per alcune settimane, per provare a darsi una scossa, ma quella mattina i suoi scambi erano finiti quasi tutti contro la rete. Fred era affannato a causa dei chili di troppo e per questo ancora più irascibile del solito, Giuda si disse che strippato in quella sua maglietta aderente, resa quasi trasparente dall’abbondante quantità di sudore della quale era impregnata, somigliava a un ridicolo salsicciotto.

«Scusami ma non ci sono con la testa, è meglio se per oggi la finiamo qui» si giustificò incamminandosi verso lo spogliatoio.

Fino ad allora la doccia bollente del dopopartita si era sempre portata via stanchezza e pensieri per lasciargli addosso un senso di rilassato benessere, quella volta invece non aveva sortito alcun effetto. L’ombra scura che lo accompagnava da tempo gli era rimasta appiccicata addosso come una seconda pelle, si domandò se sarebbe mai riuscito a ritrovare un briciolo di serenità.

«Se mi hai lasciato vincere così vuol dire che c’è proprio qualcosa che non va» osservò Fred continuando a fissarlo immusonito, quasi offeso, mentre si asciugava i capelli.

«Lo sai bene di cosa si tratta, sono molto preoccupato per Nicole. Tra poche settimane dovrebbe dare alla luce il bambino, ma alla visita periodica le hanno detto che probabilmente ci saranno problemi.»

«Che genere di problemi dovrebbero esserci?»

«Non ne ho idea, lei non vuole che l’accompagni alle visite e non parla praticamente più, si è completamente chiusa in sé stessa. Ogni volta che tento di affrontare l’argomento lo stronca sul nascere dicendo che andrà comunque tutto bene, ma io temo che non sarà così.»

«Ma com’è possibile, queste cose non accadono più da decenni!»

«E’ per via dell’aggressione. Le hanno detto che probabilmente il feto ha riportato alcuni danni, ma ancora non riusciamo a sapere in quale misura» gli spiegò Giuda. «Sono stato un vero idiota!» sbottò poi sferrando un pugno rabbioso all’armadietto metallico, «non avrei mai dovuto lasciare che entrasse in quella casa. E poi non mi era mai capitato di sentirmi così impotente, quel maledetto chip... »

«E’ per proprio per questo, che tutti ne abbiamo impiantato uno addosso. Il chip recepisce dalle Antenne il segnale che abbassa il livello della nostra aggressività e lo trasmette al nostro corpo. E come hai potuto sperimentare di persona, se questo non è sufficiente a farci stare buoni, scatena la produzione di acidi lattici che bloccano i tuoi muscoli tra crampi atroci. È proprio grazie al chip che la violenza è quasi del tutto scomparsa dalle nostre vite.»

«Questo lo sapevo già, ma non immaginavo che fosse così spaventosamente doloroso. In ogni caso, ho attirato mia moglie in quella trappola e poi non sono stato capace di difenderla, non sono riuscito a sparare un solo maledetto colpo di pistola. Adesso ho paura che perderà il bambino, se questo accadrà sarà stata tutta colpa mia.»

«Hai fatto quello che ritenevi giusto, non devi colpevolizzarti inutilmente. Sei soltanto un giornalista, non un soldato addestrato... e nessuno poteva sapere che quell’uomo avrebbe agito in quel modo» cercò di rincuorarlo Fred, posandogli una mano sulla spalla.

«Forse hai ragione tu» convenne Giuda per chiudere alla svelta il discorso. «Ma continuo a sentirmi un miserabile, anche se proprio non so cosa spinse Nicole a venire là quella sera.»

Prima di allora, i due non avevano mai parlato di quell’episodio. In una tacita tregua, Fred aveva perdonato l’amico per avergli soffiato il servizio e quest’ultimo non gli aveva mai chiesto perché se l’era preso tanto a cuore. Per di più Fred sapeva bene che non era stata colpa sua, per impedirgli di andare al posto suo era intervenuto addirittura l’Anziano in persona. Ripensando a quei fatti, Giuda rimase folgorato da una specie di illuminazione: quell’uomo dai capelli bianchi, che aveva maltrattato Nicole sotto a quel lampione finché Freddy non l’aveva tolta da sotto le sue grinfie, somigliava proprio a Sir Jonathan.

«A proposito, di che cosa stava discutendo con quell’uomo? E sopratutto, chi era?» domandò a Fred. Per un istante lui si fece ancora più rosso in viso, a causa dell’imbarazzo, Giuda ebbe l’impressione che volesse dirgli qualcosa per togliersi un peso ma che non ci riuscisse.

«Mi dispiace per Nicole, se posso fare qualcosa per aiutarti...» gli rispose infine l’amico.

Al controllo successivo, Giuda apprese che esisteva la seria possibilità che Nicole avrebbe perso il bambino, inoltre c’era anche un certo margine di rischio anche per la vita stessa di sua moglie. L’attesa per un evento così importante e lieto si era di colpo trasformato in un vero e proprio stillicidio di paura, lui si ritrovò a pensare che Lorentz aveva avuto ragione e che adesso si sarebbero ritrovati loro malgrado a capire il significato della parola “scegliere”.

Nicole cambiò totalmente e divenne distratta, perennemente persa a rincorrere orribili pensieri. Non si curava più della casa, aveva smesso di dipingere e aveva disdetto tutte le mostre in programma. I suoi occhi, un tempo così luminosi, adesso brillavano soltanto quando trascorreva il tempo davanti alla finestra a interrogare il cielo, ma era per colpa delle lacrime che spesso non riusciva a trattenere. Si stava lentamente chiudendo in un mondo tutto suo, Giuda non riusciva a trovare un modo per starle vicino e questo lo faceva sentire inutile, impotente. Al termine del lungo periodo di assenza, quindi, fu quasi felice di tornare al suo lavoro. Sperava che tenersi occupato con qualcosa l’avrebbe aiutato a stare meglio, ma il giorno stesso del suo rientro trovò ad attenderlo una sgradevolissima sorpresa.

Era pomeriggio inoltrato e lui stava lavorando al computer del suo piccolo ufficio, intento a rimettersi in pari, d’improvviso qualcuno bussò impetuosamente alla vetrata facendolo trasalire. Perplesso e spaventato, andò ad aprire la portafinestra che dava sulla terrazza e si trovò davanti Sir Jonathan, l’Anziano più conosciuto e più temuto per il suo rinomato rigore morale. Quell’uomo era a capo del Consiglio che riuniva i poteri politico e religioso della città, sulla sua persona giravano le voci più bizzarre. Per sentito dire, Giuda sapeva di lui che era intransigente verso gli altri quanto lo era verso sé stesso e che trascorreva gran parte dei suoi giorni e delle sue notti in preghiera. Lo lasciò entrare e lo seguì con lo sguardo, leggermente incuriosito perché prima di allora non l’aveva mai incontrato di persona. Sir Jonathan si fermò al centro della stanza e lo fissò intensamente, lui provò un disagio profondissimo. Trovò difficile sostenere lo sguardo dei suoi occhi grigi, dalla pupilla piccola come quella di un rettile e striati di venature rosse a causa delle notti insonni. Erano incastonati tra gli zigomi appuntiti e la fronte irta e bassa, sormontata da una zazzera di capelli così bianchi da sembrare artificiali. Il naso affilato faceva ombra sul viso ceruleo, che pareva tagliato trasversalmente dalle fini labbra violacee. Giuda lo invitò ad accomodarsi e ordinò al robot di portare il caffè, l’Anziano sedette e si complimentò con lui per i dipinti appesi alle pareti, che sapeva essere stati realizzati da sua moglie. Lo elogiò anche per alcuni dei suoi servizi, che a suo dire l’avevano colpito molto, poi cambiò bruscamente discorso e venne al reale motivo della visita.

«Si direbbe che nel suo articolo più tristemente famoso lei si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano» considerò, Giuda notò che la sua voce profonda sembrava provenire da molto lontano e sentì il suo disagio accrescersi. «Forse ha accentuato un po’ troppo alcuni aspetti della questione» precisò Sir Jonathan in tono severo, per rispondere al suo sguardo interrogativo.

«Perdonatemi Eccellenza, ma non sono d’accordo. Sono sicuro di essermi limitato a raccontare gli avvenimenti con precisione, esattamente per come si sono svolti» replicò Giuda.

«Questo è quello che crede lei! Avanti lo rilegga con attenzione» gli propose l’altro con indulgenza, dopo una breve pausa. «Probabilmente, adesso che è trascorso del tempo da quando l’ha scritto, converrà con me che si tratta davvero di un articolo un po’ pesante» aggiunse mettendogli agli occhi davanti quella sfilza di parole che conosceva fin troppo bene. L’aveva scritto settimane prima durante la degenza in ospedale, era più che sicuro di aver fatto un preciso resoconto di cronaca, senza fronzoli.

«Non pensa di aver messo troppo in rilievo i sentimenti di quello che in fondo era soltanto un folle assassino, oltre alle sue impressioni personali? La sua esposizione dei fatti è troppo violenta, nessun cittadino è abituato a venire a contatto con fatti di una tale intensità emotiva. La gente adesso è terrorizzata, molti chiedono l’intervento dei Signori dell’Ordine non appena assistono a un fatto apparentemente fuori della norma o appena vedono qualcuno comportarsi in modo un po’ strano. Sembra che improvvisamente abbiamo fatto un salto all’indietro di oltre mille anni, sembra che siamo tornati al tempo delle streghe e degli untori» concluse gravemente l’Anziano scuotendo la testa.

 

Giuda non sapeva dove l’altro volesse arrivare, ma era convinto che la sua fosse una visita confidenziale e così si sentì libero di dirgli quello che pensava. In fondo, si disse, la colpa dell’accaduto non era sua ma delle forze dell’ordine che non avevano svolto a dovere il loro compito.

«La verità pura e semplice è che io, e nessun altro, ero rinchiuso in una stanza con uno squilibrato che mi puntava una pistola alla tempia. Uno psicopatico che oltre a uccidere due agenti ha fatto del male a me e soprattutto a mia moglie. Non ho travisato proprio niente, ho soltanto reso la cronaca di quello che è accaduto, senza aggiungere nulla di più né di diverso. Quelli che adesso vivono nel terrore siamo io e mia moglie, siamo noi quelli che si svegliano gridando nel bel mezzo della notte.»

«A proposito di Nicole, ho saputo che rischia di perdere il bambino e questo mi addolora molto. Penso proprio lei non avrebbe dovuto lasciarla entrare in quella casa» osservò l’Anziano senza neanche curarsi di guardarlo in faccia, quelle parole dette con noncuranza furono per Giuda come un pugno in pieno stomaco. Ebbe l’impressione che le avesse pronunciate quasi con cattiveria, tanto per provocarlo, lui provò l’impulso di cacciarlo via a calci.

«Immagino che in questo momento lei sia molto turbato,» continuò Sir Jonathan, «percepisco in lei anche un certo astio. Posso persino arrivare a comprenderla, sotto un certo punto di vista, ma non posso certo permettermi di condividerla. Quindi, la invito a non commettere gesti di cui in futuro potrebbe pentirsi. In ogni caso, le prometto che la sua famiglia sarà assistita nel miglior modo possibile. Le garantisco che di tutta questa storia, col tempo, le resterà soltanto un brutto ricordo che sbiadirà lentamente fino a scomparire del tutto» disse, poi fece una pausa per andare a regolare l’oscurità della vetrata. Smorzò la luce intensa del Sole, che adesso entrava prepotente a creare fastidiosi riflessi sulle pareti metalliche, e quando la penombra riempì la stanza Giuda lo guardò incredulo. La figura di spalle, immersa nella semioscurità, era terribilmente simile a quella dell’uomo che quella sera aveva aggredito Nicole sul retro di quella casa.

«Capisco che per certi versi lei ha ragione, avete davvero vissuto una vicenda terribile e la vostra situazione non è facile» riprese mostrandosi lievemente indulgente, quasi come se nel fare quell’ammissione gli stesse facendo un favore, «ma ha comunque raccontato tutta la storia in modo troppo... appassionato, ecco la parola giusta. E tirando fuori la storia degli espianti agli ibernati ha fatto quasi apparire quell’uomo come una vittima, quando in realtà ha rischiato di essere il suo carnefice. Ed è pericoloso rimuovere certezze dalla mente della gente per sostituirle con dei dubbi, peraltro totalmente infondati. E’ pericoloso mettere a rischio l’ordine pubblico per narrare in chiave di pathos la storia di uno psicopatico, non dimentichi che senza l’intervento dei Tiratori Scelti avrebbe ucciso anche con lei e sua moglie.»

Giuda scorse ancora una volta i fogli che aveva tra le mani, poi li buttò sulla scrivania con uno scatto stizzito.

«Se il dubbio non fosse nato con l’Uomo, se questo avesse continuato ad accontentarsi delle sue piccole certezze, vivremmo ancora oggi nelle caverne!» considerò.

«Su questo ha perfettamente ragione. Ma il Mondo adesso ha raggiunto l’equilibrio, è arrivato a un punto in cui va perfettamente bene così com’è» tagliò corto l’Anziano usando un tono che non concedeva diritto di replica, poi lo scrutò serio in attesa delle sue scuse.

«Aldilà di tutto, sono davvero spiacente. Non pensavo che il mio articolo avrebbe generato così tanti problemi» ammise allora Giuda mostrandosi pentito, dopo una breve riflessione aveva concluso che l’unico modo per liberarsi di quell’uomo era dargli ragione.

«Sappiamo che lei ha agito in buona fede, per questo il Consiglio ha deciso di concederle un’altra opportunità. Ma veda di non sprecarla, altrimenti saremo costretti a farle lasciare questo lavoro, che ama in modo particolare, per un altro che le risulterebbe sicuramente meno gradevole» lo avvisò l’Anziano. Senza attendere la sua risposta uscì sul terrazzo, saltò in sella al suo monojet e sfrecciò via veloce, fino a scomparire tra le nubi basse.

Il tempo passava veloce e la situazione non migliorava affatto, anche Jodie, malgrado gli sforzi dei suoi genitori, era costretta a subire ogni giorno di più la pesantezza del clima domestico. Inoltre aveva cominciato a fare domande alle quali loro non sapevano cosa rispondere, era entrata nel momento della sua vita in cui non sei più un bambino ma neanche un adulto, di conseguenza loro non sapevano più come trattarla e come comportarsi con lei. Per interrompere quell’assurda routine, fatta di paure e angoscia, Giuda e Nicole decisero di trascorrere un fine settimana in montagna.

Quella sera, le ombre create dalle fiamme giocavano coi loro volti immobili, la brace scoppiettava diffondendo l’aroma dolciastro della resina a creare un’atmosfera quasi natalizia. Nicole si era seduta in poltrona e non riusciva a smettere di fissare il caminetto, quasi ipnotizzata dal fuoco. Sentiva di avere le guance e il collo caldi e coloriti, grazie anche agli effetti del distillato di linfa di abete che stavano sorseggiando. Giuda era seduto accanto a lei e continuava ad ammirare la perfezione dei suoi lineamenti, stupendosi una volta di più di come, in ogni momento e in ogni situazione, riuscisse suo malgrado ad apparire meravigliosamente bella. I capelli avevano preso i riflessi del mogano e incorniciavano l’ovale bronzeo, sul quale risaltava la bocca dalle labbra piene. Sul suo volto spiccavano gli occhi scuri tagliati in modo vagamente orientale, che gli ispiravano la voglia di perdersi per sempre in quelle profondità fino a dimenticarsi di esistere. Un canarino festoso uscì dall’orologio a cucù, li informò che era la giunta mezzanotte.

«Che cosa accadrà...» mormorò Nicole, quasi lo stesse domandando al fuoco più che a se stessa o a lui. Aldilà del vetro appannato, giù per il costone della montagna, stavano scendendo le torce di una fiaccolata di paese.

«Non lo so, so soltanto che non voglio perdervi... e invece, nonostante tutti gli sforzi che stiamo facendo per evitare di affrontare la situazione e di cercare una via d’uscita, è proprio quello che sto rischiando. A volte mi sembra di impazzire, ed è tutta colpa mia...» rispose Giuda. Nicole deglutì più volte per ricacciare indietro il groppo che sentiva in gola, poi andò ad accoccolarsi sulle sue ginocchia e si strinse tra le sue braccia.

«Possiamo soltanto aspettare e vedere cosa accadrà, non abbiamo altra scelta. Io sono fiduciosa, in fondo siamo sempre riusciti ad uscire dalle situazioni difficili, anche se allora era diverso perché dipendeva solo da noi.»

«Che cosa vuoi dire?» le chiese perplesso lui. «Da chi altri dipende la soluzione dei nostri problemi?» insisté, le prese il viso tra le mani e lo girò delicatamente verso di sé per guardarla negli occhi. Lei cambiò espressione e lo guardò come le fosse appena sfuggito qualcosa che non voleva o non poteva dire, ma subito dopo tornò a fissare le fiamme del camino. «Possiamo soltanto aspettare» ripeté rassegnata, senza spiegarsi. «Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio, ma anche se qualcosa andasse storto e dovessi davvero perdere la vita per far nascere il nostro bambino, gli anni che ho trascorso con te e Jodie mi avranno ripagata di tutto questo tormento» aggiunse poi sottovoce, come per cominciare ad abituarsi all’idea. Era la prima volta che affrontavano questo discorso, l’eventualità di trascorrere il resto dei suoi giorni senza di lei passò fugace nella testa di Giuda, che si sentì sprofondare in una voragine senza fine.

«Una soluzione ci sarebbe» sussurrò evitando di incontrare i suoi occhi, lei lo guardò turbata perché aveva paura di quello che lui le avrebbe detto.

Gli occhi di Ann erano di uno splendido colore verde mare ma tagliati in un’espressione lievemente arcigna, i corti capelli neri mettevano in evidenza i suoi lineamenti fini e regolari. Pur non essendo canonicamente bella aveva un certo magnetismo nello sguardo, quando sorrideva mostrando i denti candidi non era facile staccare gli occhi dal suo volto vagamente mascolino. Continuava a guardarsi le mani, che si muovevano nervose tamburellando sulla scrivania mentre cercava le parole più adatte. Non temeva in alcun modo l’uomo che aveva davanti, ma era molto orgogliosa e dover ammettere quella piccola macchia professionale la seccava.

«Qualcuno si è introdotto nell’Archivio Storico» annunciò infine semplicemente, quasi con rassegnazione.

«Ma com’è possibile? Il sistema informatico è protetto da un labirinto di miliardi di combinazioni, analizzarle tutte per arrivare alla password definitiva è praticamente impossibile» replicò l’Anziano, incredulo.

«Hanno installato un programma che si auto evolve. In base alle varianti degli errori commessi nei diversi tentativi di trovare la soluzione, arriva gradualmente a pensare come la persona che ha installato la password. Gli è bastato girare indisturbato all’interno del sistema per pochi giorni, attraverso un terminale satellite collegato alla rete.»

«Come lo avete scoperto?»

«Una volta passato lo sbarramento, il Server Centrale rivela automaticamente la violazione e cambia immediatamente la password. Ma stavolta non è stato abbastanza veloce, perché il programma intruso ragionava molto più rapidamente.»

«Siete almeno riusciti a individuare il terminale spia?»

«Per ora sappiamo solo che è situato nel Nono Quadrante, ma ci stiamo lavorando sopra e spero che potremo essere più precisi in capo a qualche giorno. Dobbiamo ancora analizzare i tempi impiegati per la trasmissione dei dati e le distanze percorse dai files, si lavora su miliardesimi di secondo perché esistono terminali vicinissimi tra loro.»

Sir Jonathan provò un fastidioso senso di oppressione al petto. Ancora una volta, e soprattutto in un momento delicato come quello, qualcuno stava cercando ostacolarlo. Sperò che l’autore dell’intrusione non avesse trovato le informazioni sul “Giorno della Rivelazione”, o che al limite non fosse stato abbastanza intelligente da decifrarle. Si lasciò andare a un moro di stizza e sbatté con forza un piede a terra, aveva appena avuto la conferma che il suo cammino verso la Gloria era ancora lungo e impervio, a dispetto dei risultati grandiosi che aveva ottenuto fino a quel momento.

Di questo era consapevole da sempre, ma era convinto che pur di arrivare alla mèta valeva la pena di rischiare tutto ciò che aveva. Per la prima volta in vita sua, però, si trovò a domandarsi se avrebbe avuto la forza e la determinazione necessarie per portare a compimento quella sfida. Nell’Archivio Storico erano celati segreti troppo importanti, per potersi permettere che divenissero di dominio pubblico. Eppure, nonostante tutte le precauzioni prese e tutte le barriere costruite, qualcuno era riuscito a penetrarvi.

«Lei è la migliore del Reparto Antisommosse, Ann, non è un caso che ne sia il comandante assoluto. Si dia da fare, faccia quello che meglio crede e usi i mezzi che ritiene più opportuni, ma trovi l’intruso. E lo trovi alla svelta! Se anche una soltanto, tra tutte quelle informazioni riservate, cadessero in mano a qualche cittadino, sarebbe un vero disastro. Un evento del genere produrrebbe un danno irreparabile ai nostri equilibri sociali» disse, poi se ne andò senza neanche attendere la risposta della donna.

«Sempre Sia Lodato!» gli gridò polemicamente lei alle spalle per rinfacciargli la sua maleducazione, poi si rimise al lavoro sul terminale.

«Hai spiato all’interno dell’Archivio Storico?» chiese Nicole quasi gridando, era sconcertata. «Devi essere impazzito! Se ti avessero scoperto, a quest’ora saresti rinchiuso in prigione. Ti avrebbero accusato di appartenere alla Setta e ti avrebbero somministrato ogni tipo di trattamento psicologico, pur di estorcerti informazioni.»

«Ma quale Setta, sai bene che la Setta non esiste! E comunque non l’ho fatto di proposito, stavo navigando in rete quando ho notato che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi sono ritrovato là dentro d’improvviso, probabilmente ho sfruttato involontariamente il varco creato da qualcun altro... una volta che ho capito dove mi trovavo, ho pensato che forse là avrei potuto trovare una soluzione ai nostri problemi» le spiegò Giuda allargando le braccia, ma lei continuò a scrutarlo seria, incapace di decidere se credergli o meno.

 

«Io non ce la faccio più a vivere in questo modo, non ce la faccio più a vedere che ti allontani da me ogni giorno di più senza che io possa fare niente... non posso limitarmi ad aspettare che si compia la tragedia» cercò di giustificarsi lui dopo un attimo di silenzio lungo come un’eternità.

Nicole lo guardò preoccupata, sapeva che non si sarebbe arreso tanto facilmente. Scese dalle sue ginocchia e tornò a sedere sulla poltrona di fronte, poi sospirò amareggiata e lo fissò dritto negli occhi, preparandosi ad ascoltare quello che era certa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Lui le spiegò in poche parole che cos’era l’aborto terapeutico, praticato decenni rima, lei scattò in piedi.

«Ma ti rendi conto di cosa sei arrivato a pensare?» gli chiese sgomenta, era incredula e profondamente adirata.

«Lo so che è contro natura, che è una cosa orribile... ma io non so più dove sbattere la testa, non so più cosa fare! Quando sono da solo e mi lascio andare, penso a come potrebbe andare a finire e mi sento annientato. Mi prende un’agitazione che non riesco a contenere, il livello dell’adrenalina cresce in me con la disperazione, con la voglia di gridare e distruggere tutto ciò che ho intorno, con la voglia di fuggire in un posto che non c’è. E così mi ritrovo disteso a terra, paralizzato dal chip come quella maledetta notte, in preda a dolori tremendi e prigioniero di me stesso. Non te l’ho mai detto prima perché non volevo che ti preoccupassi per me, ma mi è già accaduto molte volte.»

Nicole mise a fuoco la sua immagine come uscendo da uno stato di torpore, gli dedicò un lungo sguardo confuso, quasi quell’uomo fosse uno sconosciuto che vedeva per la prima volta in vita sua.

«Hai pensato di uccidere nostro figlio, il frutto del nostro amore. Hai pensato di uccidere colui per il quale abbiamo già scelto un nome, per il quale abbiamo già pensato un futuro... siamo soltanto poveri esseri umani, non abbiamo il potere di decidere la vita e la morte dei nostri simili. Come sei arrivato a pensare di poter fare una cosa del genere?» Si voltò verso il fuoco come per scaldarsi, cingendosi le spalle con le sue stesse mani, lui riempì per l’ennesima volta il bicchiere. Quando se lo portò alla bocca vide nel vetro il riflesso deformato del proprio volto, allora lo posò e andò ad abbracciarla.

«Non volevo farti soffrire. Non vorrei mai farvi del male, né a te, né a lui» sussurrò carezzandole delicatamente la pancia.

«Ma la vostra vita è in grave pericolo e io vorrei poter fare qualcosa di più, che starmene qui a piangere e rimuginare. E invece tutto ciò che riesco a fare è continuare a sognare quel pazzo, che mi guarda col coltello in mano e ride. “Capirai, presto capirai” mi bisbiglia all’orecchio con la sua voce stridula, digrignando i denti gialli, e quello scricchiolio mi fa rabbrividire. Vorrei gridare e fuggire, oppure ucciderlo premendo quel dannato pulsante di sparo, ma non riesco a fare niente di tutto questo. La mia mano trema e non riesco a fare fuoco, ogni volta che lo perdo di vista mi ricompare alle spalle e ricomincia da capo, e io posso soltanto piangere, paralizzato a terra, mentre lui infierisce su di te. E allora mi sveglio di soprassalto pensando che sono un miserabile, che se mi fossi comportato da uomo tutto questo non sarebbe successo.»

Mentre ascoltava le sue parole, Nicole si era come trasformata, aveva giunto le mani sulle ginocchia e le sue spalle si erano curvate in avanti come quelle di una vecchia. Pian piano aveva assunto l’espressione sconfitta di chi viene bruscamente svegliato da un sogno bellissimo, che pur desiderandolo con tutto sé stesso non riesce a riaddormentarsi per riprenderlo da dove l’aveva lasciato.

«Io penso che se restiamo uniti ce la possiamo ancora fare» mormorò con un filo di voce, ma a Giuda sembrò che le sue parole avessero tutta l’aria di una preghiera, più che di un’affermazione.

«Smettila di illuderti, smettila dannazione!» urlò, esasperato dai suoi modi rassegnati, si alzò di scatto e ribaltò il tavolino con un calcio. Lei sussultò per lo spavento e si rannicchiò in sé stessa, intimorita dalla sua reazione, lui l’afferrò per le spalle.

«Devi guardare in faccia la realtà!» continuò a gridarle, scuotendola. «Probabilmente il bambino verrà alla luce già morto, e tu stessa rischi di morire! Di morire, capisci cosa voglio dire? Di abbandonare me e Jodie, di lasciarci soli per sempre!»

«Lasciami, mi stai facendo male!» strillò a sua volta Nicole spingendolo via, sconvolta. Lui aveva preso a camminare avanti e indietro per la stanza, imprecando e dando pugni alle pareti come un matto.

«E se il bambino non morirà» continuò, «nascerà con dei problemi gravissimi, e sarà l’unico o quasi, in un mondo popolato da esseri perfetti. Un mondo popolato da persone che non prendono mai un raffreddore, che vivono felici. Conoscerà l’emarginazione e i soprusi perché sarà debole, e l’ipocrisia, perché chi ha una bella vita non vuole vedere il dolore altrui neanche da lontano, non vuole nemmeno sfiorarlo. Che razza di vita sarà la sua? Avanti, rispondi! Che vita sarà?» le gridò in faccia con tutto il fiato che aveva.

«Ora basta» mormorò lei. «Non puoi pensare davvero queste cose, non puoi essere così egoista. Non sei più l’uomo che ho sposato. La Legge parla chiaro, Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno, se non lui, può decidere dei nostri destini. Nessuno, se non lui, può sapere cosa è giusto per noi e cosa no!»

«Ma se Dio ci ama così tanto, perché allora ci sottopone a queste prove? Perché la vita di mia moglie e di mio figlio sono appese all’esile filo di una preghiera?» replicò lui a denti stretti. Appena finì la frase, la mano di Nicole partì veloce e lo colpì con tanta violenza da fargli girare la faccia dall’altra parte.

«Stai bestemmiando! Come pretendi di poter giudicare Dio se non puoi neanche lontanamente arrivare a immaginarlo? Come puoi pretendere di spezzare questa vita dentro me che cresce attimo dopo attimo? Se qualcuno ti sentisse anche soltanto parlare così finiresti nella Prigione Psicologica, ti ci lascerebbero marcire fino alla fine dei tuoi giorni» gridò, poi ricominciò a piangere e salì le scale di corsa, per andare a chiudersi in camera.

Quella discussione rappresentò il colpo di grazia per il rapporto tra Giuda e Nicole, che da quella sera si trovarono completamente distaccati. L’ultima decisione che presero di comune accordo fu quella di mandare lontano Jodie per qualche tempo, prendendo a pretesto una vacanza studio. Nicole si chiuse definitivamente in sé stessa mentre lui, incapace di dedicarsi a qualsiasi cosa, cominciò ad assentarsi sempre più spesso dal lavoro. Andava a trascorrere il tempo sulla cima di un piccolo promontorio che scendeva a picco sul mare, si sedeva su di un masso e fissava per ore la linea curva dell’orizzonte. Guardava in lontananza i delfini che saltavano e si rituffavano nell’acqua, felici e giocosi, vedeva scintillare al sole le loro pinne argentee e quasi li invidiava.

Shasa si aggirava eccitata nei locali semibui dai soffitti bassi, silenziosa come un fantasma. Rovistava freneticamente in ogni angolo e in ogni cassetto, in ogni mobile. Quel rituale la emozionava così tanto che o ogni volta era come se fosse la prima volta. Aveva l’abitudine di arrivare lì un poco prima degli altri per potersi permettere quel lusso, era rischioso e lei lo sapeva, ma quello era il suo piccolo grande segreto e non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo. Sebbene conoscesse ormai alla perfezione quel luogo e tutto ciò che vi si trovava dentro, ogni volta era più forte di lei: ricominciava daccapo alla ricerca di un particolare che poteva esserle sfuggito, nella speranza che, come per magia, prima o poi avrebbe trovato qualcosa di nuovo e interessante. Fece un piccolo balzo per buttare uno sguardo sul davanzale polveroso della finestrella posta in alto, nel farlo urtò la lampadina sospesa a mezz’aria che prese ad oscillare in modo irregolare. Un riflesso a terra attirò la sua attenzione, era lo scintillio di una chiave. Si chiese come potesse non averla mai notata prima. Eppure era lì ben visibile, e continuava a rimandarle ritmicamente il bagliore riflesso della luce artificiale come se la stesse chiamando. Non osava sperare che fosse proprio quella che apriva la pesante porta dell’armadio in ferro, l’unico luogo del covo che non era mai riuscita ad esplorare. Il cuore prese a batterle impazzito, lei raccolse la chiave con mani tremanti e raschiò via alla meglio un po’ di ruggine, poi ci sputò sopra per lubrificarla. Soffiò più volte nella toppa per eliminare la polvere e infilò la chiave, quando finalmente riuscì ad aprire la porta rimase allibita: l’armadio era quasi completamente pieno di sigarette. Non circolavano più da oltre quarant’anni, da quando nel 2137 erano state definitivamente proibite, e lei non ne aveva mai vista una dal vivo. Spinta dalla curiosità aprì convulsamente un pacchetto, ne prese una e la mise tra le labbra, impreziosite da un piccolo neo posto appena sopra quello superiore. Dopo essersi atteggiata per un po’ a donna fatta, ammirando il proprio riflesso sulla lastra di vetro che ricopriva il piano di un tavolo, decise di provare ad accenderla. Appoggiò la sigaretta sulla superficie incandescente della lampadina e cominciò ad aspirare forte.