Dal Vangelo Secondo Giuda

Tekst
0
Recenzje
Przeczytaj fragment
Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Adesso Joe era di nuovo steso al suolo, immobile a pancia in su, con la testa lievemente reclinata di lato. Le gambe poggiate in modo scomposto sui gradini in legno si muovevano a scatti, con un ultimo impercettibile movimento si portò un braccio verso il petto. Fabien era scosso da violenti conati di vomito, causati dal dolore alla spalla e da ciò che aveva appena visto, gridava forte il nome del suo compagno e vedeva tutto abbagliato perché stava piangendo. Appena un attimo dopo, però, sentì cambiare qualcosa dentro di sé. Sapeva che non sarebbe mai stato coraggioso come Joe, ma si disse che ci avrebbe almeno provato perché glielo doveva. Smise di piangere e si pulì il viso con l’avambraccio, i suoi occhi erano divenuti due fessure strette e le sue labbra erano increspate dalla rabbia.

«Maledetto,» biascicò alzandosi, «la pagherai cara.»

Prese le armi dal bagagliaio dell’auto, poi richiuse violentemente il portello e si avviò verso la casa con passo fiero, impugnando le pistole laser. Ne lanciò una a Nick indicandogli la porta sul retro, raccolse il distintivo di Joe e lo strinse fino a farsi sanguinare il palmo della mano, come se questo semplice gesto avesse potuto infondergli tutta la forza e l’esperienza del compagno. Dopo aver ripulito con cura il dischetto d’oro lo appuntò al petto del suo amico, poi gli abbassò le palpebre mentre si stupiva per non aver nuovamente vomitato di fronte a quel macabro spettacolo.

«Esci fuori con le mani in alto!» gridò risoluto verso la casa.

«Non è colpa mia,» piagnucolò l’altro da dietro la porta, «il colpo è partito quando mi ha urtato... è stato un incidente, non volevo fare del male a nessuno... vi prego, non cercate di entrare o si farà male qualcun altro, io voglio soltanto rivedere mio figlio... e voglio parlare con un giornalista!»

Le serrature si squagliarono sotto il calore del laser e Nick prese ad avanzare lentamente nel buio, col cuore in gola. Aveva appena visto morire il suo compagno ed era terrorizzato, se per caso non avesse obbedito al suo ordine di restare a terra avrebbe fatto la stesa fine. Camminava cercando di trattenere il respiro per non fare rumore, ma gli sembrava che il rimbombo dei battiti del proprio stesso cuore in petto risuonasse per tutta la casa. Fino ad allora Nick era stato da sempre destinato a semplici incarichi di sorveglianza, ora che per un’assurda serie di coincidenze si trovava a due passi dalla morte gli sembrava di percepirne persino l’odore. Intanto i suoi occhi si erano abituati un poco alle tenebre e lui continuava ad avanzare senza neanche un briciolo di convinzione, si sentiva soffocare ed era certo che da qualche parte, prima o poi, sarebbe sbucato il suo carnefice sorprendendolo. Il sudore freddo gli colava negli occhi ad annebbiargli la vista, aveva appena messo il piede in una camera quando qualcosa di gelido gli toccò il collo scoperto. Si irrigidì di colpo e temette di non riuscire nemmeno a implorare pietà, aveva la gola era serrata dallo spavento.

«Non farmi del male, ti prego» supplicò con voce flebile lasciando cadere l’arma, poi riprese a camminare, spinto alle spalle da qualcosa di terrificante.

Non devo avere paura, Joe l’ha sconfitta e si è sacrificato per difenderci. Lo devo vendicare, devo riuscire a fermare quel bastardo si diceva Fabien, ma il sangue continuava a martellargli le tempie mentre gran parte dell’impeto iniziale era già svanito. Era consapevole che se voleva sperare di sopravvivere doveva uccidere quell’uomo, si domandò se ne sarebbe stato capace. Se lo avesse avuto davanti appena tre minuti prima non avrebbe esitato a far fuoco, ma adesso non era più neanche sicuro della propria mira perché doveva usare la mano sinistra e temeva di sbagliare. Inoltre il dolore alla spalla era tornato a farsi sentire con cattiveria, pugnalandolo con delle fitte tanto lancinanti da farlo barcollare. E quando si voltava, la vista dell’osso che sporgeva dalla sua tuta macchiata di sangue sembrava togliergli le poche forze emotive che gli erano rimaste. Un’ombra gli si avventò improvvisamente contro, sbucando come un fantasma dal sottoscala, senza pensarci due volte Fabien alzò il braccio e sparò. Subito dopo la luce si accese e lui vide che il cadavere disteso sul pavimento era quello di Nick, fece per balbettare delle parole di scusa ma qualcosa lo colpì violentemente alla nuca.

Appena smise di piovere, Giuda abbandonò la prudenza e schiacciò con foga il pedale dell’acceleratore. Malgrado l’angoscia che lo attanagliava, era ansioso di affrontare ciò che lo attendeva per tornare a casa da Jodie e Nicole. Quando arrivò sul luogo del crimine, trovò che tutto quanto era immerso in un silenzio irreale e artificioso. Un’auto si stava rapidamente trasformando in un ammasso di rottami puzzolenti d’olio, con un susseguirsi di piccole esplosioni, il fumo denso e nero saliva dritto contro il cielo ormai sgombro. Ovunque c’erano appostati Signori dell’Ordine, Guardie Semplici e Tiratori Scelti. Una piccola folla era radunata a debita distanza e la gente si contendeva a spintoni il posto in ultima fila, da dove si poteva vedere comunque bene rischiando meno. Giuda scese dall’auto trattenendo il respiro e s’incamminò guardingo attraverso il prato, illuminato soltanto dal chiaro di Luna, tenendo gli occhi fissi alla porta. Quando arrivò alle scalette dell’ingresso per poco non inciampò in qualcosa, abbassò lo sguardo e un prepotente senso di nausea gli salì in gola. Lembi di carne carbonizzata tenevano insieme le metà inferiore e superiore di un uomo, strisce di tessuto sanguinolento si protendevano dal perimetro verso l’interno di un foro grande quanto un grosso pugno chiuso. Un braccio vi era poggiato sopra, la mano era adagiata sul selciato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la schiena del povero Joe. Il ribrezzo e l’orrore fecero scaturire in lui la voglia di scappare il più lontano possibile, ma sapeva che ormai era là e doveva fare la sua parte fino in fondo. Durante il tragitto era stato informato che l’uomo teneva in ostaggio altri due poliziotti, aveva urlato ai Signori dell’Ordine che se non avessero soddisfatto le sue richieste avrebbe ucciso anche loro. Quindi non aveva scelta, se non voleva rischiare di doversi portare dentro un tale rimorso per tutta la vita. Tirò un profondo respiro rassegnato, come un paracadutista in procinto di lanciarsi dall’aereo, poi lanciò un’ultima occhiata perplessa al cordone di guardie schierate e varcò la soglia. Aveva le immagini di Nicole e Jodie ben fisse davanti agli occhi, sapeva che per domandarsi che ne sarebbe stato di loro se gli fosse capitato qualcosa di brutto era ormai troppo tardi.

All’interno della casa regnava un ordine assoluto, come se fosse stata disabitata da tempo, la quiete era turbata soltanto dal robot domestico, danneggiato, che continuava a girare su sé stesso. “Qualcosa da bere... qualcosa da bere...” ripeteva ossessivamente con la sua fredda e snervante voce metallica. Lo spense e si inoltrò all’interno, vicino alla scala che portava alle camere trovò un altro Signore dell’Ordine. Giaceva sul pavimento con la visiera del casco schizzata di sangue, Giuda lo oltrepassò sforzandosi di non guardarlo e si affacciò cautamente in soggiorno. Scorse l’uomo in un angolo, affacciato alla finestra, si faceva scudo col corpo di un ragazzo in uniforme e aveva una macchia scura di sangue rappreso sulla camicia, in corrispondenza del fianco sinistro. L’ostaggio poteva avere al massimo venticinque anni, aveva i capelli corti e scuri, il viso sporco di fango e gli occhi gonfi di pianto. Si teneva il braccio destro e continuava a fissare sgomento la sporgenza dell’osso sulla sua spalla. L’uomo accolse il nuovo arrivato con un sorriso indecifrabile, accompagnato da un’occhiata furiosa e spaurita al tempo stesso, Giuda si chiese cos’altro sarebbe stato ancora capace di fare.

Devo sostenere il suo sguardo, - pensò comunque per darsi coraggio, - devo fargli credere che non lo temo.

«Lascia andare il ragazzo, stava soltanto facendo il suo dovere. Sai bene che non è lui, la causa dei tuoi problemi» gli propose cercando di mantenere un tono neutro.

«Io non ho fatto niente di male, io voglio soltanto vivere la mia vita... ma voi volete impedirmelo!» replicò l’assassino.

«Per quanto mi riguarda non voglio impedirti niente, ma a quanto pare questo per te non conta. Volevi me e sono qui, adesso lascia andare il ragazzo» insisté Giuda.

«Non se ne parla! Il ragazzo resta qui con noi, e se solo tenti di fregarmi...»

«Anche se lo volessi come potrei? Sono soltanto un giornalista e sono disarmato.»

«Avvicinati!» gli ordinò l’assassino mostrandogli la pistola, lui obbedì e l’altro lo perquisì minuziosamente. Poi controllò velocemente il suo tesserino di giornalista, quando si sentì soddisfatto spinse via l’ostaggio. «Vattene, prima che ci ripensi!» gli disse accompagnando le parole con uno spintone. Il ragazzo guardò il nuovo arrivato come a chiedergli il permesso di andare, lui annuì e allora si incamminò a testa bassa verso l’uscita, strascicando i piedi.

«Lui è uno di quelli che dovrebbe garantire la sicurezza di noi cittadini,» commentò l’assassino in tono sprezzante, «e non è stato capace di badare neanche a sé stesso.»

«Perché mi hai voluto qui?» tagliò corto il reporter senza replicare, non intendeva lasciarsi trascinare in discussioni fini a sé stesse.

«Non voglio essere ibernato, non voglio perdere mio figlio» piagnucolò l’assassino, Giuda pensò al pancione di Nicole e sentì una morsa gelida torcergli lo stomaco.

«Sai bene che questo non è possibile» rispose dopo un attimo, cercando di rimettere insieme le poche informazioni che gli avevano fornito durante il tragitto. «Alla morte di tua moglie, tuo figlio è stato affidato ad una famiglia regolare. Là potrà crescere con tutti i punti di riferimento di cui ha bisogno... lo so che questo ti fa male, farebbe male a chiunque, ma sai anche che è soltanto per il suo bene.»

 

«Questo non è giusto, e tu lo sai! Voglio che tu scriva sul tuo maledetto giornale che sto subendo un’ ingiustizia assurda!»

Giuda immaginò che fingere di assecondarlo sarebbe stata la soluzione cosa migliore, ma temeva che se gli avesse mentito l’altro se ne sarebbe accorto e si sarebbe infuriato, generando conseguenze imprevedibili.

«Non posso scrivere una cosa del genere. Così facendo esprimerei un giudizio e sai che non mi è permesso, un articolo del genere non lo farebbero neanche uscire. Tutto quello che posso fare è raccontare i fatti per come si sono svolti... inoltre, se vuoi, posso mettere per iscritto le tue proteste e cercare di farle arrivare a chi sta più in alto di noi» gli propose allora, per cercare un compromesso. «Non posso mettermi a discutere La Legge, nessuno di noi può farlo. Tutto ciò che ci è concesso è rispettarla... come tutte le leggi non sarà perfetta, ma almeno garantisce l’Ordine. Se non fosse così, se ognuno di noi cercasse di aggiustarsela come meglio crede, le cose tornerebbero in poco tempo come due secoli fa. Sarebbe di nuovo il caos» disse. L’assassino lo guardò scettico, poi gli fece cenno di continuare.

«Credo di capire come ti senti. Ho una bambina, quando mi sfiora il pensiero che un giorno potrei perderla mi sento morire. Posso dirti che mi dispiace molto, mi spiace davvero, ma per te non posso fare niente di più né di diverso da ciò che ti ho detto. In ogni caso, tuo figlio non lo perderai per sempre. Sai che il ciclo iniziale di Ibernazione Transitoria dura soltanto sette anni, se tutto andrà bene, al termine di quel periodo lui potrà tornare a vivere con te.»

Per tutto il tempo l’assassino lo aveva ascoltato continuando a scrutarlo con quei suoi occhi spiritati e la pistola stretta in pugno.

«No, non è vero che capisci la mia situazione... parli così soltanto perché ti conviene, perché hai paura... ma ti garantisco che non puoi comprendere... guarda qui!» rispose alzando improvvisamente la voce, tirò fuori una fotografia da una tasca e gliela piazzò bruscamente davanti. «Questo è mio figlio! Non vedrò spuntare il suo primo dente, non lo vedrò muovere il primo passo. Il giorno in cui dirà per la prima volta “papà”, davanti a lui ci saranno soltanto degli estranei. E invece voglio esserci io... devo esserci io, capisci? Perché quando crescerà comincerà a domandare dove sono i suoi genitori e gli verranno date risposte vaghe, allora si chiederà perché l’ho abbandonato e mi odierà. E tra sette anni non vorrà neanche più sapere il mio nome. Tu non stai rischiando tutto questo, quindi non è vero che puoi capirmi! Io non voglio essere ibernato, di cosa potrebbe accadere o non accadere dopo non me ne frega niente» concluse, poi cominciò a singhiozzare nervosamente e malgrado tutto Giuda provò quasi pena per lui.

«E poi,» riprese, e adesso sembrava davvero spaventato, «le strane storie che si raccontano sugli ibernati le conosci anche tu! Si dice che non verranno più svegliati perché vengono usati per gli esperimenti, che i loro organi vengono asportati per sostituirli a quelli malandati degli Anziani del Consiglio.»

«Ma che cosa dici, queste sono soltanto voci. Lo sai che le persone sole vengono ibernate esclusivamente per non alterare gli equilibri sociali. E poi, costituiscono una “riserva di esseri umani” per il caso in cui un evento inatteso dovesse abbassare drasticamente i livelli demografici» obiettò il giornalista.

«Ah si? Allora dimmi quanto ex ibernati conosci! E visto che ci sei, spiegami anche perché i soggetti che vengono scelti sono tutti quanti sani, giovani e forti» obiettò l’assassino.

«Perché un giorno potrebbero divenire soldati, per difenderci in caso di un attacco alieno» replicò l’altro come ripetendo una lezione imparata a memoria.

«E tu lo credi davvero?» ribatté l’altro col tono di chi parla a un bambino, quella semplice domanda fu sufficiente a far vacillare in un attimo tutte le sue certezze.

Giuda sentì il bisogno improvviso di buttare lo sguardo fuori dalla finestra, in cerca di qualcosa di rassicurante. I Tiratori Scelti erano appostati sui tetti delle palazzine vicine, i lampeggianti delle auto continuavano a giocare col nero della notte. I molti curiosi erano ancora assiepati col fiato sospeso dietro il cordone di Guardie Semplici, intenzionati ad assaporare fino all’ultima emozione quell’assurda tragedia. L’improvvisa percezione della realtà reale sconvolse Giuda, si rese conto di essersi infilato in un vicolo cieco e di averlo fatto con le sue stesse gambe. Pensò che le storie simili che aveva vissuto al Cinema Totale, impersonando qualche eroe, non rendevano minimamente giustizia al turbine di sensazioni che gli stavano martoriando la mente e il cuore. Si trovava rinchiuso in una stanza, in compagnia di un uomo sconvolto che gli agitava una pistola laser davanti al viso, un pazzo furioso che non aveva più niente da perdere perché aveva appena ucciso due poliziotti. Si chiese se sarebbe riuscito a uscirne incolume e cominciò a sentirsi male, gli tornarono a mente i suoi familiari e capì che doveva trovare il modo di scuoterlo, di fargli capire che non aveva una sola possibilità di ottenere ciò che pretendeva.

«Hai ammazzato due uomini e forse farai lo stesso con me, ma questo non cambierà le cose» gli disse convinto. «Non potrai fuggire da nessuna parte e perderai per sempre la possibilità di rivedere tuo figlio. La Legge non verrà mai cambiata e il Mondo continuerà a girare sempre nello stesso verso, fregandosene di me e di te. E tu finirai comunque ibernato, o peggio ancora, verrai ucciso dai Tiratori Scelti» concluse tendendo un braccio verso la finestra. «Sono tutti là fuori per te, aspettano soltanto che tu commetta un errore.»

Fece una pausa per lasciargli il tempo di ragionarci sopra, sperando che finalmente avrebbe compreso di non avere scampo, poi riprese.

«Se ti arrendi adesso, forse te la potrai ancora cavare. Magari riuscirai a dimostrare che la morte dei due Signori dell’Ordine è davvero stata soltanto un incidente, una cosa non voluta.»

«Chiudi quella bocca!» gli ordinò l’altro sbattendo con rabbia un piede a terra, furioso, era appena stato messo con le spalle al muro. Si avvicinò a un palmo dalla faccia di Giuda, lui sentì le folate calde del suo alito affannato e puzzolente invadergli le narici. «Stai zitto, stai dicendo soltanto stronzate!» disse, fece un passo indietro tendendo il braccio e cominciò a carezzare il pulsante di sparo, con una lentezza sadica.

E’ finita, pensò rassegnato Giuda, ma l’assassino non gli sparò. Tolse il dito da sopra il pulsante di sparo e si girò verso la finestra, si fissò a guardare ciò che stava accadendo in una zona appartata del giardino. Sotto la luce nebulosa di un lampione, un uomo dai capelli bianchi come neve stava rimproverando aspramente Nicole. Lei teneva la testa bassa e fissava le proprie braccia conserte al petto, scuoteva ritmicamente le spalle come se stesse piangendo. Giuda accennò istintivamente un passo verso la finestra ma l’altro irrigidì il braccio armato, impedendogli di fare un altro passo. Subito dopo, comparve sulla scena anche Freddy, spostò da parte Nicole con modi gentili e prese il suo posto nella discussione con l’uomo dai capelli bianchi.

«Chi è quella donna? La conosci?» chiese l’assassino.

«E’ mia moglie» confessò subito Giuda, un attimo dopo maledì la propria incapacità a mentire.

«Mi arrendo» annunciò allora l’assassino abbassando il braccio, Giuda lo guardò sconcertato e lui lasciò cadere l’arma sul pavimento. Si chinò sulle ginocchia tenendosi il fianco, aveva l’aria distrutta.

«Sei felice?» gli domandò guardandolo di sotto in su.

«Si, penso di esserlo» ammise lui vergognandosene un po’.

«Vorrei conoscere tua moglie» chiese l’assassino quasi garbatamente, spiazzandolo del tutto. Lui non intendeva esporre Nicole a un simile rischio, ma temeva che in caso di un suo rifiuto l’altro avrebbe nuovamente perso la testa.

Maledizione, perché Nicole è venuta qui? E quel tipo che la stava rimproverando chi è? Accidenti, proprio adesso che quest’uomo aveva deciso di arrendersi... pensò mentre cercava di prendere una decisione.

«Avanti, non ho più voglia di lottare contro i mulini a vento» insisté l’assassino col tono di chi chiede un favore. Giuda esitò, era convinto che l’assassino potesse essere ancora capace di qualsiasi cosa, ma questi raccolse l’arma e gliela posò gentilmente in mano, come se gli avesse letto nel pensiero.

«Avanti, di che cosa hai paura? Ora quello armato sei tu!»

Lui andò ad affacciarsi alla finestra, pregando di non aver fatto la scelta sbagliata.

«State calmi, è tutto a posto» gridò, qualcuno ordinò ai poliziotti di abbassare le armi e lui chiamò Nicole, che nel frattempo era rimasta sola sotto quel lampione perché Fred e l’altro uomo misterioso si erano dileguati.

Giuda aveva impugnato la pistola e si era piazzato davanti alla finestra, da là, in caso di bisogno, avrebbe potuto facilmente chiedere aiuto. Intanto, con mano tremante, cercava di tenere sotto tiro l’assassino che si era sistemato al centro della stanza, ad aspettare sua moglie.

«Non ho alcuna intenzione di farvi del male» si affrettò a dirle lui non appena Nicole si affacciò sulla soglia, quasi temesse un suo ripensamento. «Non aver paura, avvicinati» aggiunse poi in tono fin troppo affabile, per rassicurarla. Lei fece una faccia sorpresa e trattenne a stento un’esclamazione, suo marito ebbe la sensazione che in qualche modo quei due si conoscessero già. Nicole si accorse che lui la stava scrutando perplesso, scosse la testa e andò ad abbracciarlo senza rispondere al suo sguardo interrogativo.

«Siete proprio una bella coppia!» commentò l’assassino dopo aver fatto un passo indietro, per osservare meglio il quadretto familiare. «Devi essere orgogliosa di tuo marito, è un uomo intelligente e coraggioso. Credo che siano davvero pochi, quelli che stasera avrebbero accettato di entrare in questa casa. E poi è saggio, perché dice che la Legge va rispettata... e tra un po’ vedremo se la penserà ancora in questo modo, o se diceva tanto per tenermi buono» proseguì avvicinandosi a un divanetto posto in fondo alla stanza. Alzò uno dei cuscini e afferrò una mazza da baseball.

«Metti giù quella mazza!» gli ordinò Giuda irrigidendo il braccio armato, ma lui si voltò e continuò a parlare a Nicole come se non lo avesse sentito. «Vedi questa? E’ il gioco preferito di mio figlio, ha soltanto pochi mesi ma dovresti vedere come guarda le partite in televisione. Gli ho promesso che un giorno gli avrei insegnato a giocare, ma purtroppo non potrò farlo. Giuda mi ha detto che anche voi avete una bambina e che mi capisce, ma secondo me non è vero. Secondo me non può capire, perché non è mai stato costretto a scegliere» spiegò, intanto aveva ripreso a muoversi a scatti, nervosamente. «La Legge a volte è crudele... troppo crudele. A volte non possiamo limitarci a chiedere quello che ci spetta, dobbiamo lottare con tutte le nostre forze per prendercelo. Forse tra un po’ capirete quello che voglio dire, perché certe cose vanno provate di persona» annunciò sempre più eccitato, Nicole fece per correre via ma lui le sbarrò il passo con la mazza.

«Fermati!» gli ordinò nuovamente Giuda, lui rispose con un’alzata di spalle.

Nicole cominciò a strisciare lungo la parete per tenerlo alla larga, l’assassino prese a seguirla passo dopo passo come in un’assurda coreografia mentre suo marito li guardava atterrito, non riusciva a prendere una decisione. Non sapeva che cosa fare, avrebbe voluto sparare a quell’uomo ma temeva di colpire sua moglie. D’un tratto l’assassino si mise in posizione come un vero battitore, con le gambe divaricate e la mazza in posizione orizzontale all’altezza della spalla, allora Giuda lasciò cadere l’arma e gli si avventò addosso.

«Non farlo, non farlo!» gridò, ma l’assassino effettuò una mezza torsione del busto.

«Adesso capirete!» sentenziò, la mazza fendette rapidamente l’aria e colpì in pieno ventre Nicole, che cadde a terra senza fiato. Subito dopo lui alzò la mazza per colpirla di nuovo e l’altro lo caricò come un toro, lottarono rotolando sul pavimento finché Giuda riuscì ad assestargli un pugno nel fianco, nel punto esatto in cui aveva la macchia di sangue. L’assassino si accasciò con un gemito e lui si rialzò per soccorrere Nicole, convinto che il dolore avrebbe tenuto buono per un po’, ma l’assassino lo inseguì e gli sferrò da dietro un pugno alla tempia. La vista gli si sdoppiò, si voltò per reagire ma le sue braccia si fecero improvvisamente fiacche, il chip collegato alle sue ghiandole surrenali aveva cominciato a fare il suo dovere. Dapprima un vago senso di torpore si impadronì dei suoi muscoli, appena un istante dopo fu la volta del dolore. Giuda si irrigidì e andò giù disteso senza poter più muovere un solo dito, con la sensazione che tarli famelici dai denti affilati stessero nutrendosi della sua carne e delle sue ossa. Intanto l’assassino era corso in cucina, adesso stava tornando verso di lui ridendo come un ossesso mentre gli mostrava un coltello elettrico.

 

«Questo è solo l’inizio» ringhiò chinandosi su di lui, che era terrificato dal fatto di aver perso completamente il controllo del proprio corpo. Tentò di chiedere aiuto ma non riusciva neanche ad aprire la bocca, non riusciva quasi neanche a respirare. L’assassino gli affondò l’affilatissimo coltello nel torace fino a toccare le costole, dopodiché cominciò a scorrerlo in senso orizzontale.

«A volte non si può scegliere, ora lo capirete anche voi» ripeté ancora una volta, poi si disinteressò a lui e si alzò per tornare a dedicarsi a Nicole. Avanzò verso di lei puntando il coltello in direzione della sua pancia, aveva appena cominciato a calarlo quando il vetro di un lucernario andò in frantumi, attraversato da un proiettile. Schegge dai riflessi sfavillanti inondarono la stanza, una macchia rossa si allargò rapidamente sulla schiena dell’assassino togliendogli le forze. Giuda lo vide andar giù senza dire una sola parola, poi riuscì a guardare un’ultima volta Nicole, raggomitolata a terra con gli sporchi di orrore. Infine, tutto quanto si fece buio.

L’autoambulanza che trasportava Giuda e Nicole partì veloce in direzione dell’ospedale, i curiosi cominciarono a disperdersi pigramente. Erano ancora eccitati per quello spettacolo fuori programma, lievemente pensierosi perché stavolta il cattivo di turno aveva rischiato di vincere. Alcuni si allontanavano radunati in gruppetti e si raccontavano a vicenda i momenti più intensi di tutta la storia, scambiandosi opinioni e gesticolando come al termine di una partita di football.

Dopo aver pazientemente che il quartiere tornasse deserto e silenzioso, Sir Jonathan salì a bordo del furgone mortuario destinato a trasportare l’assassino e fece cenno all’autista di mettersi in movimento. Sedette accanto al corpo apparentemente privo di vita disteso sulla lettiga, aprì una borsa di cuoio e tirò fuori un apparecchio per monitorare le funzioni vitali. Ripose l’apparecchio e aspirò il contenuto di una boccetta con una siringa, sbottonò la camicia dell’assassino e gli praticò l’iniezione al petto, senza alcun garbo. L’uomo aprì gli occhi di scatto, come svegliandosi di soprassalto, subito dopo li socchiuse nel tentativo di mettere a fuoco. Si guardò più volte intorno, frastornato, per cercare di capire dove si trovava.

«Che orrore, stare sospeso così tra la vita e la morte è davvero un’esperienza allucinante. C’è una piccola parte di te che resta cosciente e si alimenta di paura, del terrore di non risvegliarsi più e restare per sempre in quello stato, come un vegetale» biascicò con voce impastata, poi i suoi occhi si rovesciarono a mostrare la parte bianca e lui ricadde in una specie di sonno artificiale. Dopo alcuni minuti si svegliò nuovamente e si mise seduto, si stiracchiò lungamente perché i muscoli gli si erano fastidiosamente irrigiditi.

«Se non dite niente significa,che è andato tutto secondo i piani» chiese all’Anziano, una velata luce di soddisfazione attraversò fulminea l’espressione di quest’ultimo.

«E’ stata una grandissima interpretazione» ammise questi battendo piano le mani in un dolce, signorile, applauso. «Lei ha sbagliato mestiere, anziché il dottore avrebbe dovuto fare l’attore! L’idea della macchia di sangue sul fianco in corrispondenza del chip, per giustificare il possesso della pistola, è stata semplicemente grandiosa. Addirittura geniale, direi! Sono dispiaciuto che non abbiamo potuto installare delle telecamere per registrare la sua performance, sono sicuro che rivedersi le sarebbe piaciuto molto. Ma non potevamo lasciare in giro un documento simile, sarebbe stato troppo pericoloso. Lei invece che cosa pensa?»

«Penso che due cadaveri sono troppi, e per poco non ce ne sono stati un terzo e un quarto» rispose il dottor Lorentz accigliandosi lievemente.

«Quelle morti non erano previste, si è trattato di uno sgradevole incidente. Avevo pensato che la pattuglia numero Sette sarebbe stata la più adatta: il Capopattuglia era a un passo dalla pensione, l’autista alle prime armi e il terzo era il meno ligio al dovere di tutto il Dipartimento di Polizia. Ero convinto che nessuno dei tre avrebbe avuto intenzione di rischiare, non avrei mai pensato che il vecchio Joe si sarebbe messo a fare l’eroe. Sono sinceramente rammaricato, ma purtroppo ormai è andata così e non possiamo farci niente. Le loro morti sono state necessarie, seppure inconsapevolmente quei due si sono sacrificati per la crociata più importante di tutta la storia dell’Umanità.»

«Può darsi che sia come dite voi, ma adesso quello con le mani sporche di sangue sono io... non ero preparato a uccidere» puntualizzò il dottor Lorentz.

«E che cosa ha provato nel farlo?» gli chiese allora a bruciapelo Sir Jonathan.

«...come dite, Eccellenza?» fece sorpreso il dottore, non era certo di aver capito bene la domanda.

«Sa benissimo cosa intendo! Voglio sapere quali emozioni ha provato uccidendo quell’uomo, che sensazione le ha dato togliere la vita a un altro essere umano» precisò l’Anziano, spogliandolo della sua ipocrisia. Lorentz si rivide con il laser in mano e rivisse il terrore negli occhi dei poliziotti, riassaporò per un istante il senso di onnipotenza che si era impadronito di lui subito dopo aver ucciso Joe e non ebbe il coraggio di rispondere.

«Dottor Lorentz, da adesso è l’unico responsabile del Settore Ibernati per quanto riguarda il Progetto Cielo. Finora ha svolto un lavoro magnifico, veda di non deludermi e avrà un futuro glorioso. Riceverà ulteriori istruzioni in seguito» annunciò Sir Jonathan, subito dopo bussò al vetro che li separava dalla cabina di guida, l’autista fermò il mezzo e lui si allontanò a piedi.

Jodie aprì la porta della camera d’ospedale e rimase impietrita sulla soglia. La sua mano si dischiuse, lasciando cadere a terra il mazzo di fiori e il disegno che aveva preparato per Nicole. La fissava senza riuscire a dire niente, rattristata dalla vista degli aghi e dei tubi che le correvano tutto intorno e del grosso livido che aveva sulla fronte. Sua madre si era riproposta che l’avrebbe accolta con un gran sorriso tranquillizzante ma non ci riuscì, gli occhi le si fecero lucidi e le labbra cominciarono a tremarle.

«Oh, mamma!» scoppiò a piangere la bambina correndo verso il letto, «ho avuto tanta paura! Ho visto tutto alla tivù, le ambulanze, la polizia, tutta quella gente. E quelle persone morte... perché debbono accadere queste cose, perché?» le chiese. Carezzò il pancione della mamma, che creava una collinetta sotto il lenzuolo, e la interrogò con lo sguardo. Nicole non riuscì più a tenere a freno le lacrime, tirò a sé la bambina e la strinse con tutte le sue forze.

«Adesso è tutto a posto. Stai tranquilla tesoro, è tutto finito» le sussurrò all’orecchio evitando di guardarla negli occhi, altrimenti Jodie avrebbe capito che le stava mentendo.