Legami Di Sangue

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Z serii: Legami Di Sangue #5
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Il suo sguardo acuto si posò su un club chiamato ‘Silk Stalkings’ e si accigliò sapendo che era qui che il caduto, Kriss, lavorava come ballerino. Era una scelta di carriera interessante per un caduto, ma Kane non poteva giudicarlo. Sospirando con rassegnazione, attraversò la strada ed entrò nel club per riportare Tabatha a casa, prima che si cacciasse in altri guai.

Capitolo 2

Tabatha varcò l’ingresso del Silk Stalkings e si guardò intorno. Era andata lì per cercare Kriss...e pregò di trovarlo. Era sparito da qualche giorno senza neanche chiamare...e aveva iniziato ad evitarla già da prima. Le mancava ed iniziava a preoccuparsi. Quando in passato spariva per un po’ almeno telefonava per farle sapere che andava tutto bene.

Il solo vederlo di sfuggita avrebbe scacciato il suo timore che Misery lo avesse divorato o rinchiuso in una grotta da qualche parte.

Sedendosi ad uno dei tavolini alti, continuava a guardare il palco sperando che Kriss uscisse e facesse il suo numero. Quasi un’ora dopo si rese conto dell’orario e capì che Kriss avrebbe dovuto essere già sul palco a quell’ora. Uno dei camerieri le si avvicinò e lei lo toccò sul braccio per avere la sua attenzione.

“Ha bisogno di qualcosa, signorina?” le chiese.

Tabatha sorrise. “Spero che tu possa aiutarmi. Sto cercando Kriss Reed. Puoi dirmi quand’è il suo turno?”

Il cameriere sospirò e scosse la testa “Lei è la sesta donna a chiedere di lui, questa settimana. Purtroppo se n’è andato da un po’ di tempo, da allora nessuno lo ha visto.”

Tabatha si sentì come se avesse ricevuto uno schiaffo. Una sensazione di affogamento le esplose nello stomaco e lei abbassò la testa per nascondere le lacrime che iniziarono a salire...aveva perso il suo migliore amico.

“Sta bene?” chiese gentilmente il cameriere.

Tabatha lo guardò e sorrise, asciugando le lacrime che minacciavano di rovinare il mascara. “Sì, sto bene. Puoi portarmi un Malibu con ananas?”

Il cameriere le lanciò un’occhiata interrogativa prima di sospirare e tornare al bar. Riconobbe Tabatha come una delle amiche strette di Kriss e immaginò che lui avesse lasciato la città senza dirglielo. Era un peccato...sembrava simpatica, e Kriss l’aveva ovviamente ferita.

Tabatha tirò fuori la cipria dalla borsetta ed esaminò il suo trucco. Se n’era andato senza nemmeno salutare...quando erano andati in Florida con Devon ed Envy aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata. Si erano anche avvicinati dopo il rapimento...e molto.

“Ecco a lei.” annunciò il cameriere e mise il drink davanti a lei.

Tabatha abbassò la cipria e gli sorrise. “Vai e segnalo sul conto...ho intenzione di stare qui per un po’.”

Il cameriere annuì ed iniziò a girare intorno ai suoi tavoli per assicurarsi che tutto filasse liscio, guardandola di tanto in tanto per assicurarsi che la sua nuova cliente non si ubriacasse.

Tabatha tracannò rapidamente il drink e posò il bicchiere sul tavolino. Perché era preoccupata? Kriss era un caduto...aveva cose migliori da fare che incasinarsi con gli umani...soprattutto con gli umani che erano suoi amici. Dio, odiava essere imbronciata e arrabbiata allo stesso tempo...turbava le persone.

Le fu portato un altro drink e bevve rapidamente anche quello. Dopo sei drink era cotta. Guardando verso il palco, si imbronciò vedendo un ragazzo uscire con indosso solo un paio di ali e un tanga argentati. Si chiese dove fosse il piagnone Guru ubriaco quando ne aveva bisogno e strinse gli occhi, odiando il ballerino che inconsapevolmente si faceva beffe di lei.

“Un altro, prima di andarmene?” chiese al cameriere che le girava intorno da quando si era seduta.

Il cameriere sorrise e scosse la testa. “Penso che lei abbia bevuto abbastanza. Vuole che le chiami un taxi?”

“No.” rispose Tabatha, e si alzò afferrando la borsa. “Voglio che tu dica a Kriss che se ricorda chi sono i suoi amici, allora faccia una telefonata.”

Naturalmente non voleva, ma al momento era molto arrabbiata con Kriss...la feriva che lui non desse abbastanza importanza alla loro amicizia per dirle almeno che se ne andava...o che era stato rapito. Aprendo la borsa, prese il portafogli e fece per pagare il conto, ma il cameriere scosse la testa.

“Il conto è stato già pagato.” disse lui. “Adesso vada a casa e dorma...sono certo che la chiamerà presto.”

Tabatha pescò le chiavi dell’auto nella borsetta e le fece cadere a terra. “Cavolo!” mormorò, volendo andarsene prima di fare qualcosa di stupido, come piangere in pubblico.

Si chinò per raccoglierle ma un’altra mano le prese e le raccolse. Tabatha seguì la mano lungo un braccio e poi una spalla. Rimase stupita quando il suo sguardo si posò sul bel viso di Kane.

“Andiamo, tesoro.” disse lui, osservando il modo in cui le luci le brillavano negli occhi azzurri. Stava per piangere. A quanto pare lui non era l’unico di cattivo umore, stasera. “Andiamo a casa.”

Il labbro inferiore di Tabatha si contorse mentre lo guardava e gli afferrò il braccio, sentendo all’istante la sua forza. Il suo principale stalker l’aveva trovata e per una volta...gliene era grata.

Kane fece un cenno al cameriere dietro Tabatha e la portò fuori dal club. Ringhiò dentro di sé, sapendo perché lei aveva scelto questo club. Voleva trovare il bastardo caduto che si nascondeva.

Kriss non si preoccupava del proprio cattivo comportamento verso Tabatha, o si riteneva suo potenziale nemico, invece che suo migliore amico? Kane avvolse un braccio attorno alle spalle di Tabatha e le afferrò saldamente l’altro braccio quando lei quasi inciampò sui tacchi alti.

“Lo hai visto?” chiese Tabatha guardando Kane.

Kane scosse la testa tristemente “No.” Evitò di dirle che, l’ultima che aveva visto Dean, aveva sentito l’odore di Kriss su di lui...il caduto stava bene.

“Se n’è andato.” Tabatha si asciugò la lacrima che finalmente riuscì a scendere. “E se poi Misery lo divora?”

Kane cercò di non ridere alla sua domanda ubriaca ma sincera. “Per Misery il sapore dei caduti è disgustoso.” lui citò le parole di Misery.

“Allora perché non mi ha salutata?” Tabatha abbassò lo sguardo mentre camminavano.

Kane non rispose mentre la faceva salire sulla sua auto e si sedette al posto di guida. Immagini di sé che strappava quelle ali morbide e setose dalla schiena di Kriss gli balenarono nella mente, ma Kane le scacciò. La vendetta poteva aspettare...adesso doveva portare il suo angelo a casa sano e salvo, prima che la porta girevole della sua personalità si aprisse sul lato oscuro.

Tabatha rimase in silenzio durante il tragitto, con i led azzurri nell’auto che proiettavano un bagliore tenue, come se la sfidassero a guardare l’uomo che guidava. Non era mai stata una che rifiutava una sfida e, anche se riusciva a gestire l’alcol meglio di una persona normale...i drink la aiutavano a reprimere una sana paura.

Girò lentamente la testa e guardò coraggiosamente Kane. “Perché Misery ha detto che io ti appartengo?”

La testa di Kane si girò rapidamente per fissarla con uno sguardo duro. Lei non avrebbe dovuto ricordare quello che era successo quella notte...le aveva cancellato i ricordi. Come diavolo faceva a ricordare qualcosa che doveva aver dimenticato? Vedendo le luci delle auto illuminarle il viso, lui guardò di nuovo la strada e sterzò appena in tempo per evitare di colpire un’auto in arrivo.

La mano di lei si posò d’istinto sulla maniglia dello sportello quando vide la sua reazione a quella domanda, ma si calmò. Non era abbastanza ubriaca da saltare da un’auto in movimento. Il brivido di paura che strisciava lungo la sua schiena servì solo a spingere il suo livello di coraggio oltre la stupidità.

“Scegli una corsia.” sorrise Tabatha, poi sbatté le palpebre con la voglia di prendersi a schiaffi. ‘Merda.’ pensò tra sé. ‘Bel modo di fare, stupida...far incazzare il tipo con i denti aguzzi.’

“Ti ricordi di quella notte?” le chiese Kane prima di fermarsi.

“E allora?” disse lei e scrollò mentalmente le spalle. “Sì, mi ricordo. Beh...una buona parte, almeno. Forse non sei così bravo come pensi a lanciare incantesimi alle persone.”

“Magari la prossima volta non sarò così gentile.” la ammonì Kane e la vide tremare per le sue parole oscure.

Tabatha restrinse lo sguardo per la sua espressione impassibile. Come osava sfidarla?

“Beh, prima che provi a cancellarmi di nuovo la memoria, che ne dici di rispondermi?” chiese lei e incrociò le braccia sul petto, sapendo che stava scaricando su Kane la rabbia per l’abbandono di Kriss...d’altra parte, forse Kane se lo meritava. Per quanto ne sapeva, magari aveva divorato lui Kriss.

“O mi dici che cosa intendeva, o giuro che mi appenderò al collo un enorme e succoso cuore di mucca per attirare Misery, così lo chiederò a lei.”

Lei sussultò e si aggrappò subito al cruscotto quando Kane sterzò bruscamente, fermando di colpo l’auto al lato della carreggiata, sul marciapiede. Inchiodò scivolando sul terrapieno polveroso, facendo fare all’auto un giro di centottanta gradi prima che si fermasse.

Kane si era avvicinato a lei prima che l’auto si fermasse. Tabatha non poté fare a meno di guardare il suo viso e ammirare le sue mascelle, l’ametista dei suoi occhi. Abbassò lo sguardo sulle sue labbra perfette e si chiese se fossero fredde come il ghiaccio o calde come il fuoco.

 

Kane era più che arrabbiato e voleva strozzarla per aver anche solo pensato una cosa simile. Mordendosi la lingua, aspettò di sentire il rapido flusso di sangue prima di catturare le labbra di Tabatha in un bacio feroce. In circostanze normali avrebbe dato qualsiasi cosa per avere l’occasione di farlo...ma d’altra parte, lei doveva essere sobria perché valesse. L’unica ragione per cui adesso la stava baciando con tale impeto era cancellare dalla sua mente i pericolosi piani dettati dall’alcol.

Calde, le sue labbra erano calde, e quel piacevole calore vorticò in lei fino al nucleo tra le sue gambe. Improvvisamente Tabatha sentì di nuovo la paura che era svanita solo un attimo prima. La pervase con ondate impetuose e lei sentì le dita dei piedi contrarsi nello stesso istante in cui il panico la prese allo stomaco. La sua mente cedette alla paura e lei iniziò a spingersi via da lui più forte che poteva. Purtroppo aveva lo stesso effetto di una formica che prova a sollevare una casa.

Kane sentì le mani di lei spingere contro il proprio petto ma, se questo sarebbe stato il loro ultimo bacio, allora voleva assaporarlo ancora per un attimo. Respirò l’alito caldo di lei mentre rendeva il bacio più dolce solo per intensificarlo di nuovo.

Tabatha fu assalita dal sapore dolce e pungente del sangue di Kane e il travolgente desiderio di avvinghiarsi a lui annullò ogni paura esistente. Quel desiderio si intensificò quando la mano di lui la prese per un fianco e la sollevò dal sedile, premendola a sé tanto quanto consentiva lo spazio limitato del veicolo. Le cosce di lei si infiammarono e, prima che potesse trattenersi, una delle sue mani salì lungo il petto di lui per avvolgersi intorno al suo collo, dove strinse con forza i suoi capelli bianchi come la neve.

Kane rabbrividì quando sentì le unghie di lei affondare nella propria pelle sensibile, facendogli flettere i fianchi e ringhiare nel petto. La voleva...Dio, la voleva così tanto. Udì il clacson di un’auto e Kane ricordò all’istante dove si trovavano. Ci volle più forza di quanto pensasse per lasciarla andare e sprofondò letteralmente nel sedile del conducente.

“Già sobria?” le chiese. I muscoli della sua mascella si contrassero e le sue nocche divennero bianche nel punto in cui stringeva il volante mentre tratteneva la sua fame.

Tabatha si portò una mano alla bocca ripensando a quella strana domanda. Dopo un paio di secondi annuì accigliata. “Sì, ma cosa sei, un caffè vivente?”

“Cosa sei tu?” la derise Kane. “Una pazza sanguinosa, ecco cosa sei...che parla di cuori di mucca e di demoni.”

Gli occhi di Tabatha si spalancarono quando un fulmine catturò la sua attenzione quando illuminò la strada. Si leccò il labbro inferiore assaporandolo ancora, poi si guardò per assicurarsi che le cosce non fossero davvero in fiamme. Ci fu un altro fulmine e lei si sporse in avanti, guardando il cielo in cerca di nubi di tempesta. Non vedendone, guardò di nuovo Kane e si rese conto che era lui a provocare la tempesta.

“Vacci piano. Mi sbagliavo...tu non sei un caffè vivente, sei una tempesta vivente.” gli disse, e si raddrizzò sul sedile. Non l’aveva notato prima ma, quando Kane si era chinato su di lei, il suo vestito era salito su, mostrando quasi il pizzo delle mutandine.

Kane si strofinò la tempia con le dita e chiuse gli occhi...dovette farlo. “C’è solo una cosa che devi fare...stare lontana da Misery.”

“È così che mi hai guarita nell’ufficio di Warren?” sussurrò Tabatha, sapendo in qualche modo che il suo sangue aveva appena cancellato ogni singola goccia di alcol che lei aveva assunto. Le mancava già la disinibizione ma non gli avrebbe dato del guastafeste, visto il suo umore. Però doveva ammettere che se lui non avesse interrotto il bacio avrebbero finito per fare altro.

Dire che lui fosse instabile sarebbe stato un eufemismo, se il modo in cui stringeva il volante voleva dire qualcosa. Dopo quello che lei stava per fare...forse erano instabili entrambi.

Quando lui non rispose ma guardò dritto e scrollò le spalle, Tabatha sentì di nuovo la rabbia. “Bene, portarmi a casa...o meglio ancora, scendi e va’ al diavolo. Adesso posso guidare da sola.”

Tabatha fu spinta di nuovo contro lo schienale quando Kane inserì la marcia e avviò il motore, rimbalzando giù dal marciapiede e reimmettendosi nel traffico...quel poco che c’era a quell’ora della notte.

“Forse dovresti andare a cercare in quale nido si trova Kriss e unirti a lui, visto che ad entrambi ovviamente piace avere dei segreti con me!” disse lei sarcastica.

“Nessuno ti ha mai detto che non è una buona idea inimicarsi un vampiro?” le chiese Kane con voce apparentemente tranquilla, evitando di guardarla.

“Sono ancora viva.” sottolineò Tabatha.

“Per ora.” Kane mentiva, ma si sentì soddisfatto quando il resto del viaggio proseguì in un silenzio teso.

Tabatha se ne stava sul sedile del passeggero con le braccia incrociate sul petto. Si rifiutava con forza di pensare a quel bacio e non avrebbe affatto pensato a quanto lui fosse sembrato sexy, chino su di lei...era arrabbiata e non solo.

Appena entrò nel suo vialetto Kane sospirò, passandosi una mano tra i capelli quando lei scese dall’auto e scappò via come se fosse stata morsa. Trovò la cosa piuttosto ironica, considerato che l’aveva già morsa in precedenza. Scendendo dall’auto, la seguì in silenzio sapendo che era la cosa sbagliata da fare.

Tabatha sbatté la portiera dell’auto dietro di sé e si precipitò verso la porta d’ingresso del suo appartamento. Non appena chiuse la porta dietro di sé, si voltò e in pochi secondi bloccò tutte e quattro le serrature, poi accese la luce in soggiorno.

“Per ora un corno!” Guardò la porta sentendosi finalmente al sicuro...finché non si voltò. Tabatha gridò quando vide Kane seduto sul divano come se fosse a casa sua, e gli lanciò la borsetta.

“Tu non sei stato invitato!” sbottò lei, poi aspettò di vedere se sarebbe svanito. In realtà era una cosa positiva che lui non lo fece, perché lei sarebbe stata ferita dalla risata isterica che ne sarebbe seguita.

“Dannazione, perché sei ancora qui?” gli chiese e gli lanciò le scarpe, soddisfatta quando lui dovette spostare una gamba per schivarne una.

Con suo stupore, Kane se ne stava seduto lì a fissarla con un’irritante espressione che sembrava un misto tra divertimento e rabbia. Lui brillò e scomparve per un secondo, poi lei sentì il rumore di qualcosa che colpiva la porta da ogni lato. Tabatha non riusciva a muoversi perché lui la teneva ferma contro la porta dietro di lei. Udì un tuono e sentì la propria paura aumentare a quel rumore.

Kane si chinò un po’ in avanti fin quando la propria guancia non toccò quasi la sua e inalò il suo odore misto di rabbia e paura. Era come un afrodisiaco e servì a ricordargli perché non aveva posseduto la sua anima gemella appena l’aveva trovata. Al contrario, lui lottava contro la voglia di possederla lì contro la porta...rapido e impetuoso.

Gli dei potevano averli uniti, ma avevano sbagliato il loro abbinamento. Per il bene di Tabatha...dovevano essersi sbagliati. Quando lui si scostò abbastanza per vedere il suo viso, fu soddisfatto nel vedere che la sua rabbia e la sua paura erano ancora lì.

Tabatha sentiva la sua frangetta muoversi ad ogni respiro che lui faceva mentre la guardava con quegli occhi infiammati. Rimase affascinata guardando le sue pupille ametista dilatarsi e poi sentì la delusione vibrare dentro di sé...lei non voleva dimenticare.

“Prima di farmi abracadabra...dimmi qualcosa di vero.” sussurrò lei. “Una verità sincera.”

“Una verità, tesoro?” Kane posò lo sguardo sulle sue labbra e abbassò la testa fin quando le proprie labbra non sfiorarono le sue...non con un bacio ma con qualcosa di molto più intimo. “Sono più pericoloso per te di quanto possa esserlo qualsiasi altro demone.”

A letto, Tabatha sbatté le palpebre per la luce del sole che ora filtrava dalla finestra e si mise a sedere. Tirò su le ginocchia e vi avvolse le braccia intorno, guardando la luce del giorno che quasi sembrava prenderla in giro. Ringhiando tra sé, sbuffò soffiando via la frangetta dagli occhi.

“Pericoloso un corno.” brontolò. “Così pericoloso che mi ha messa a letto prima di andarsene.”

*****

Zachary stava guardando la mappa sul muro con la testa piegata. Avevano segnato ogni evento strano avvenuto negli ultimi mesi, cercando di capire se formassero uno schema. Avevano iniziato con poche puntine ma, quando erano state trovate altre prove, le puntine avevano iniziato a formare uno schema.

Angelica prese un pennarello nero e disegnò un cerchio attorno alla zona malfamata e all’area circostante. “Misery agisce in questa zona.” dichiarò. “Gli altri eventi segnati sembrano essere opera di altri demoni che hanno preso coraggio e sono usciti dalla tana.”

“E quello che è successo al Love Bites?” chiese Trevor. “Non era conforme al suo modus operandi.”

“Potremmo dover ampliare il raggio a breve.” disse Chad. “E il corpo che abbiamo trovato oggi?”

Tutti tremarono ricordando la scena. Avevano ricevuto una chiamata dalla polizia riguardo il corpo di un giovane che secondo loro dovevano vedere. L’uomo aveva vent’anni e indossava i resti di una maglietta con il nome dell’università locale.

Quando erano arrivati, la polizia aveva perlustrato l’intera area e circa cento metri tutto intorno. A Chad era sembrato strano ed era andato a parlare con un paio di suoi compagni, al ritorno il suo colorito era notevolmente pallido.

“Che succede?” gli chiese Zachary.

“Hanno detto che dobbiamo vedere di persona...è brutto come quello che hai descritto tu sull’autobus l’altro giorno.”

Mentre i quattro si avvicinavano, Trevor dovette respirare con la bocca per evitare che il tanfo lo facesse vomitare. La cosa peggiore era che poteva sentire l’odore acre ed era altrettanto cattivo. Zach gli diede una mascherina chirurgica estraendola dalla tasca della giacca...ne teneva sempre alcune a portata di mano per situazioni del genere. Quando videro il corpo, persino Zachary dovette voltarsi e fare dei respiri profondi.

Il corpo era stato letteralmente sventrato e tutto quello che era al suo interno adesso era fuori. La cosa peggiore era che tutti avevano notato che era stato divorato, poiché mancavano interi pezzi. Lunghi segni di artigli ricoprivano quel po’ di carne rimasta e le ossa erano in vista, alcune delle quali rotte e sporgenti.

Le cavità oculari furono la parte più brutta quando essi alzarono lo sguardo...gli occhi erano stati cavati. Parte del cuoio capelluto era stato strappato e il cranio era coperto di materia cerebrale che fuoriusciva ancora dal buco lentamente. La bocca era aperta e la lingua anch’essa divorata.

Erano stati asportati grandi pezzi di carne da tutto il corpo e lo stomaco era sventrato. Angelica voltò le spalle alla scena e si coprì la bocca con una mano per evitare la nausea...non servì a molto.

“Povero disgraziato.” sussurrò Zachary e si inginocchiò accanto al ragazzo. Quest’ultima settimana era stata piena di attività demoniache e la situazione non sembrava migliorare. “Qual è la versione ufficiale?”

“La polizia dice che è stato un attacco animale.” rispose Chad.

Angelica scosse la testa “Non è stato un animale.” stridette lei, e si diresse verso la macchina. “È stata la tomba.”

Zachary si destò dai ricordi e guardò Angelica, distogliendo lo sguardo dalla mappa. “Cosa intendevi quando hai detto che era stata ‘la tomba’?”

Angelica aggrottò la fronte. “È tutto quello che sono riuscita a sentire dal corpo. Le ferite erano quasi troppo vecchie già solo per percepire quello. Non so come altro descriverlo se non dicendo che è stata ‘la tomba’ ad ucciderlo.”

Zachary si allontanò dalla mappa e andò al suo portatile poggiato sul tavolino. Collegandosi con il PIT, inviò un messaggio a Storm riportandogli gli ultimi eventi...la sua risposta fu immediata.

“Sembra che Storm stia per sguinzagliare i pezzi grossi del PIT.” Zachary informò gli altri e si interruppe prima di guardare i suoi compagni di squadra. “Ha portato dentro il leggendario Ren...è già qui.”

 

Trevor tremò visibilmente sentendo quel nome. Ren era sempre stato il fantasma del gruppo... ...più una leggenda che una persona reale, visto che Storm era l’unico ad averlo incontrato. Una volta aveva chiesto a Storm chi fosse il membro più potente del PIT e lui non aveva esitato a rispondere. Ma se Storm stava inviando il suo vice, allora significava che stava inviando un esercito insieme a lui.

Zachary e Trevor sapevano entrambi cosa significasse...la guerra era alle porte.

Capitolo 3

Durante la sua adolescenza, Ren aveva l’abitudine di accedere alla banca dati del Paranormal Investigation Team per poter seguire gli eventi in corso. Era anche abbastanza intelligente da distruggere il computer che aveva usato in modo da non essere rintracciato. Era elettrizzante sfidare i firewall installati su una divisione del governo che presumibilmente non esisteva.

La squadra di investigazioni sul paranormale, altrimenti conosciuta come PIT, sapeva che Ren seguiva i loro casi e si appropriava delle loro informazioni crittografate, ma finora non lo avevano mai preso e non avevano mai trovato un firewall abbastanza forte da escluderlo dal loro sistema privato. Non solo rubava i loro dati, ma Ren lasciava anche dati dietro le sue indagini paranormali.

Dopo diversi anni, il capo del PIT aveva iniziato a lasciare messaggi a Ren dietro i firewall più potenti e più crittografati che Ren avesse mai visto. Fu dietro quei firewall che Ren aderì in segreto all’elusivo gruppo del PIT, ma solo alle proprie condizioni...cioè lavorare da solo.

Chiunque fosse dietro quel firewall non solo sapeva il suo nome, ma anche altre cose su di lui che nessuno sapeva...come il fatto che non era del tutto umano. Fu solo dopo che lui catturò un demone di livello sette, che aveva originato un culto cannibale in Congo, e dopo che ci furono diversi feriti gravi, che l’uomo a capo del PIT lo aveva incontrato.

Ren era nel bel mezzo di una lotta con il demone e quasi sull’orlo della sconfitta quando una mano gli afferrò la spalla...dopodiché si ritrovò su una piccola isola privata in mezzo all’oceano. Ren si girò per guardare l’uomo che si nascondeva dietro i firewall crittografati...Storm.

Scosse la testa ricordando quei momenti. Storm sembrava il cantante di un gruppo rock degli anni ‘80, anziché la mente dietro il gruppo di persone più segreto al mondo.

Storm sorrise e tolse la mano che gli teneva ancora sulla spalla. “Vuoi ritirarti dal PIT con la scorciatoia più scomoda? Perché non resti per un po’? Mi dispiacerebbe perdere il mio migliore amico prima ancora di avere la possibilità di diventarlo.”

“Cosa?” Ren sussultò, portandosi una mano nel punto in cui il demone aveva tentato di strappargli il cuore.

“Mi dispiace.” Storm sospirò e allungò di nuovo una mano. Improvvisamente si trovarono nella struttura per metà sotterranea e per metà subacquea che era nascosta sotto l’isola. “Non c’è nessuno con poteri di guarigione, ma posso sempre portarti da qualcuno che ce l’ha, se vuoi.”

“No.” annuì Ren. “Se mi dai ago e filo, penso di poter risolvere da qualche parte in pochi minuti.” Si appoggiò ad un mobile cercando di restare fuori dalla portata di Storm. “E se mi tocchi di nuovo non avrai più la mano.”

Storm rise e aprì uno degli armadietti superiori, poi fece un cenno con la mano verso tutte le forniture mediche. Il suo sorriso scomparve quando Ren si sbottonò la camicia e Storm vide le profonde ferite che il demone gli aveva procurato. Ancora pochi secondi e Ren sarebbe morto.

“Secondo me, visto che hai un debole per i demoni, potresti imparare un po’ su di loro prima di sfidarne un altro in una lotta.” Storm distolse lo sguardo dai segni di artigli, sapeva già come sarebbero state le cicatrici. Conosceva Ren da molto tempo...quell’amicizia non era ancora nata.

Ren si avvicinò all’armadietto aperto e afferrò quello che sembrava un kit di sutura sterilizzato, poi si spostò verso lo specchio sulla parete. “Se incontri un demone, li hai incontrati tutti...no?” Non poteva trattenere il sarcasmo nella propria voce mentre cercava di bloccare mentalmente il dolore... ...non funzionò.

“Sbagliato.” lo corresse Storm. “Tu sai solo quello che io ho fatto caricare nel database.” Storm si sedette sul lettino medico al centro della stanza.

Ren guardò l’uomo dietro di lui attraverso lo specchio. Le cose nascoste in quel database erano sufficienti a gettare nello scompiglio il mondo intero...già avere il database era di per sé un pericolo. Era difficile credere che ci fosse dell’altro...ma d’altra parte, sapeva alcune cose che non erano nemmeno nel database.

“Ti ascolto.” E lo ascoltò...per settimane.

Storm faceva bene a tenere fuori dagli archivi le informazioni che condivise con lui, per le stesse ragioni per cui il Vaticano tiene la propria roba in archivi segreti. Se alcune di queste informazioni fossero arrivate alla gente normale, sarebbe stata la fine del mondo che conosciamo.

Ren sapeva senza dubbio che l’uomo continuava a nascondere informazioni, perché qualunque dio gli avesse dato il potere di saltare nel tempo e nello spazio aveva anche reso pericoloso per lui raccontare a qualcuno cose oltre il presente. Avrebbe potuto essere il miglior insegnante di storia del mondo...ma se Storm provava a parlare del futuro con qualcuno, poteva rompere il collegamento spazio-temporale...e quel collegamento era Storm in persona.

Aveva anche ragione riguardo la loro amicizia. Erano stati amici dal primo giorno, e questo la diceva lunga, perché nessuno dei due era il tipo che si fidava di qualcuno. La verità era che...erano entrambi molto simili sotto parecchi aspetti.

La piccola isola di Storm era in qualche luogo nel passato ma Storm l’aveva dotata di tutti i comfort di una dimora moderna e di una base futuristica. Un lato dell’edificio faceva sentire Ren come in un enorme acquario, mentre l’altro lato era stato costruito nella robusta roccia che circondava l’isola. L’aspetto migliore era la totale solitudine. Era l’unico posto in cui Ren potesse andare senza stare a contatto con qualcosa di paranormale, eccetto il potere di Storm. All’inizio aveva pensato che Storm avesse una ventina d’anni ma, trascorsi dieci anni da quando lo aveva conosciuto, non era invecchiato di un solo giorno, quindi si chiese da quanto tempo vivesse Storm. L’invecchiamento di Ren stesso era rallentato, poiché passava molto tempo a contatto con Storm e il suo potere.

Ren sussultò quando una voce lo destò dalle sue riflessioni.

“Ho appena fatto di te l’orgoglioso proprietario di una delle case più antiche di L.A.” annunciò Storm quando apparve alla fine del lungo molo che si estendeva dalla sua isola. Sorrise vedendo Ren quasi morto di paura.

“Dannazione, vuoi farti sentire quando spunti dal nulla in quel modo?” Ren si voltò e si appoggiò alla ringhiera, vedendo lo sguardo compiaciuto sul volto di Storm.

“Aspettavi qualcun altro?” Storm rise.

Ren gli lanciò un’occhiataccia, visto che nessun altro aveva mai messo piede sulla sua isola. “Ok, sentiamo. Perché mi hai comprato una vecchia baracca? Non è neanche il mio compleanno.”

Senza preavviso Storm si alzò, afferrò la spalla di Ren e l’oceano si allontanò, lasciandoli in piedi nell’erba e mostrando ciò che poteva passare come una moderna casa gotica in pietra scura. Sentendo l’infrangersi delle onde, Ren guardò verso destra, vedendo l’oceano. Girandosi, si accigliò vedendo il vialetto che continuava fin dove l’occhio poteva vedere, e sulla sinistra non c’era altro che una fitta macchia di alberi.