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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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Più franca ospitalità loro offrivano in Spagna da dodici dinastie gareggianti a bandir corte per mostrar che da vero regnassero; la miglior parte gentiluomini arabi, usi a far della poesia lusso ed a tener unica virtù civile la liberalità. Sia la frequenza dei commerci, sia il gusto delle lettere, si strinse con la Sicilia più che ogni altro stato spagnuolo quel dei Beni-Abbâd di Siviglia: e già al tempo di Mo'tadhed (1041-1068) s'era rifuggito nell'isola un poeta Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan, di nobil gente spagnuola, amico del principe, poscia temuto e perseguitato; il quale tornato alfine in patria, Mo'tadhed lo fece assassinare.1422 Ma succeduto al cupo tiranno il figliuolo Mo'tamid, che avea gran cuore in guerra e in casa, ed altamente sentiva in poesia, la corte di Siviglia fu asilo dei poeti Siciliani Abu-l-Arab e Ibn-Hamdîs.

Abu-l-Arab-Mos'ab-ibn-Mohammed-ibn-Ali-Forât, coreiscita della schiatta di Zobeir, nato in Sicilia il quattrocentoventitrè (1033) avea nome già di gran poeta, quando, occupata Palermo dai Normanni, impazienza del giogo stretta di povertà lo sospinsero ad andar via, dicendo alla patria ch'essa l'abbandonava non egli lei.1423 Mo'tamid gli avea profferto asilo a Siviglia; mentr'egli pur tentennava, sbigottito dai rischi del viaggio, invecchiato a quarant'anni, aveagli mandato per le spese cinquecento dînar: e vedendolo giugnere a corte dopo un anno o poco meno (465, 1072-73), l'accolse lietamente, gli fu poi sempre largo di danari e d'affetto;1424 e quegli ne rendea merito coi versi; par anco abbia militato in alcuna impresa del mecenate.1425 Sopravvisse Abu-l-Arab alla ruina di casa Abbadida una ventina d'anni, sapendosi di lui fino al cinquecento sette (1113-14). Improvvisatore, poeta di gran fama, più arabo che niun altro Arabo nel pregio della lingua, dice Ibn-Bassâm, scherzando sul soprannome; e Scehâb-ed-din-Omari, preso d'un estro di prosa rimata, lo esalta duce e maestro di tutti i poeti del suo secolo e gente.1426 In vero le Kasîde ed altri componimenti d'Abu-l-Arab, dei quali non ci mancano squarci, sembrano elegantissimi di lingua e stile; arabici pur troppo in ragion poetica, ma vi si frammette spesso la semplicità che dianzi lodammo in Ibn-Tûbi.

Abd-el-Gebbâr-ibn-Mohammed-ibn-Hamdis nacque in Siracusa (1056) di nobile famiglia della tribù di Azd, che prendea nome da un Hamdîs, capo himiarita ribellatosi (802) in Affrica contro Ibrahim-ibn-Aghlab.1427 Cresciuto al romor delle armi normanne che già infestavano il Val di Noto, Ibn-Hamdîs, più che agli studii si diede a combattimenti, amori, festini, trincare; finchè un successo sul quale ei tocca e passa, credo avventura amorosa in nobil casato, sforzollo a fuggire1428 in Affrica il quattrocensettantuno (1078-79). Ma sdegnando i costumi delle tribù arabiche scatenate dall'Egitto su l'Africa propria,1429 allettato altresì dalla fama di Mo'tamid-ibn-Abbâd, andò a corte di Siviglia, ove fu accolto con onore e liberalità.1430 In quel ritrovo dei primi poeti contemporanei d'Occidente rifulse il genio d'Ibn-Hamdîs; non si corruppe in corte l'animo franco, liberale, pien d'amore del padre, della Sicilia, degli amici, della gloria, delle donne; d'ogni bellezza di natura e d'arte. Seguì il principe nei campi com'uomo d'arme ch'egli era ed anco ne facea troppa mostra nei versi. Alla battaglia di Talavera (1086) abbattuto dal cavallo nei primi scontri che tornarono ad avvantaggio dei Cristiani, si sviluppò gagliardamente, n'uscì con la corazza tutta affrappata dai fendenti, più che a sè stesso pensando al figlio giovinetto che combattea lì presso con gran valore.1431 Ma quando gli Almoravidi tornarono in Spagna da nemici; quando Mo'tamid fu spoglio del regno e d'ogni cosa, e scannatigli due figliuoli sotto gli occhi, e con le figlie mandato in catene ad Aghmat (1091), Ibn-Hamdîs passava in Affrica, andava a visitarlo nella prigione: dove fecero scambio di sante lagrime e versi mediocri.1432 Tornatosi il poeta siciliano a Mehdia,1433 saputa non guari dopo la morte di Mo'tamid (1095), soggiornò parecchi anni nelle due corti di casa zîrita, avendo lasciato in lungo poema la descrizione d'un palagio di Mansûr principe hammadita di Bugia, aspro nemico degli Almoravidi;1434 due Kaside in vita1435 ed un'elegia in morte di Iehia-ibn-Temîm (1116) principe di Mehdia;1436 e le lodi di Ali-ibn-Iehia (1116-21) ed Hasan-ibn-Ali (1121-1148) saliti successivamente a quel trono.1437 Scrisse la Storia di Algeziras.1438 Rifinito dall'età e dall'avversa fortuna, ch'ei s'assomigliava ad aquila che più non voli e i figli le imbecchino il pasto,1439 perduto il lume degli occhi, morì di ramadhan cinquecentovensette (luglio 1133), chi dice a Majorca, chi a Bugia, sepolto accanto al poeta spagnuolo Ibn-Labbâna, col quale avea gareggiato nella grazia di Mo'tamid a Siviglia e nel carcere.1440

 

Ingegno felicissimo nel coglier e ritrarre le sensazioni, nel colorirne le dipinture che veggiamo sparse a larga mano in duemila e cinquecento versi: dipinture d'obietti materiali, avvenimenti, passioni, costumi. Delle quali lascerem da canto ciò che non si riferisca alla Sicilia: le geste di Mo'tamid, i suoi palagi ed orti o del principe di Bugia, gli episodii accademici di Siviglia, la morte d'una moglie, il naufragio d'altra sua donna nel viaggio di Spagna ed Affrica, le cacce affricane, le descrizioni d'animali e frutta e fiori,1441 gli specchi di pece,1442 le lampadi a spirito di vino,1443 il piglio feroce dei masnadieri d'oltre Nilo, cui poneva a riscontro gli Arabi inciviliti di Sicilia. Quei compagni di sangue chiarissimo come lo splendor delle stelle,1444 coi quali in gioventù solea cercare all'odorato il miglior muschio1445 dei vigneti siracusani. Entrano di notte in un romitaggio; chiuse le porte, gittan su le bilancette un dirhem d'argento, e la vecchia suora lor ne rende una coppa piena di liquid'oro; poi ne menan via le sposine: quattro anfore1446 vergini, impeciate e sepolte da lunghi anni; elette da un tal che d'ogni succo d'uva ti sa dir patria, età e cantina. Ma gli svelti e vaghi giovani traggono a sala illuminata da gialli doppieri messi in file come colonne che sostenessero eccelsa volta di tenebre; dove il signor della festa bandisce esilio e morte alla tristezza: e già le suonatrici, cominciando a toccar le corde, destan gioia negli animi; quella si stringe al petto il liuto, questa dà baci al flauto: una ballerina gitta il piè a cadenza dello scatto delle dita; gentil coppiera va in giro, mescendo rubini e perle, avara sì delle perle che rado allarga le stringhe dal collo della gazzella.1447 Oh dolci ricordi della Sicilia, campo di mie passioni giovanili, albergo ch'era di vivaci ingegni, paradiso dal quale fui scacciato! e come riterreimi dal piangerlo? Quivi risi a vent'anni spensierato; ahi che a sessanta mi rammarico di quelle colpe; ma non le biasmar tu, accigliato censore, poichè le cancellava il perdono di Dio!1448

 

Figliuoli delle Marche siam noi, cantò altrove Ibn-Hamdîs; a noi spunta il sorriso quando la guerra aggrotta le ciglia; divezziamo i bamboli, in mezzo all'armi, col latte di generose giumente: rassegnaci; e quanti siamo, tanti campioni conterai che ciascun vale una schiera. Indietreggia nostr'oste per rinnovare l'assalto; ritraendosi, sparge la morte: no, che tutte le stelle non sono cadute, e pur v'ha una speme in questa guerra, e siam noi. I condottieri ci mostrano il dì della battaglia, un drappo da ricamare con gruppi d'avvoltoi; chè i prodi ad ogni carica di lor nobili 'Awagi,1449 spargon sul terreno larga pastura agli uccelli voraci. Ecco una colomba messaggiera di strage, volar secura tra i lampi. Sì; percotemmo i nemici della Fede entro lor focolari: piombò un flagello su le costiere dei Rûm; navi piene di lioni solcarono il mare, armate la poppa d'archi e dardi, lancianti nafta che galleggia e brucia come la pece della gehenna ov'ardono i dannati; cittadelle che vengono a combattere le città dei Barbari, a sforzarle e saccheggiarle. E che valser quei vestiti di maglie di ferro luccicanti, e usi a dar dentro quando pur si ritraggono i prodi? Non piegammo noi al duro scontro; ingozzata la coloquinta, gustammo alfine il dolce favo, e li rimandammo con le armadure squarciate e addentellate da questo sottil filo de' nostri brandi. Perchè l'acciaro nelle nostre mani ragiona,1450 e nelle altrui si fa mutolo. Ma dalla casa mi guardano furtivamente begli occhi travagliati dalla vigilia e dal pianto, che il dolore dì e notte li avea dipinti di kohl;1451 una manina incantatrice muove le dita a salutarmi. Oh dilettoso giardino, la cui sembianza viene a visitar le pupille aggravate di sonno e le schiude all'immaginativa! Io sospiro la mia terra; quella nel cui seno si fan polvere le membra e le ossa de' miei, chè già se n'è ito il fior della prima gioventù, alla quale tornan sempre le mie parole.1452

Sotto il bel cielo di Spagna, nelle regioni temperate dell'Affrica settentrionale, il poeta siracusano non obbliò mai quel paese “cui la colomba diè in presto sua collana, e il pavone suo splendido ammanto;1453 dove i raggi del sole avvivan le piante d'amorosa virtù ch'empie l'aere di fragranza;1454 dove respiri un diletto che spegne le aspre cure, senti una gioia che cancella ogni vestigio d'avversità.”1455 Pur l'alto sentimento che gli facea parer più belle le naturali bellezze della Sicilia, lo ritenne dal tornar a vederla serva; gli dettò versi di rampogna no, ma di compianto e di verità, ch'è primo debito di cittadino alla patria. Ripetendo ed esaltando in mille modi il valore delle persone,1456 ricordava sospirando, esser morta nel paese la virtù della guerra.1457 E in età più matura sclamava:

“Oh se la mia patria fosse libera, tutta l'opera mia, tutto me le darei con immutabile proponimento.

Ma la patria come poss'io riscattarla dalla schiavitù nelle rapaci mani dei Barbari?

(Lo potea forse, quando) il suo popolo si straziava a gara in guerra civile, e ciascun legnaiolo vi gittava esca al foco?

(Quando) i congiunti non sentivano carità di parentela; bagnavano le spade nel sangue dei congiunti,

E (il popolo tutto insieme) avea lo stesso piglio d'una destra le cui dita non giochino l'un a seconda dell'altro?”1458

A tanta altezza di poesia giunse Ibn-Hamdîs! Con soave sentimento cantò d'amore; con leggiadria ed arte e abbondanza d'estro sopra ogni argomento ch'ei toccava. E se l'intemperanza orientale d'immagini, le antitesi, i bisticci, i vizii radicali della letteratura arabica tolgono a noi di collocarlo tra i sommi poeti, i critici di sua nazione il tenner tale,1459 e in Occidente i suoi versi furono poco men citati che que' d'Imrolkais e di Motenebbi. Il critico Abu-Salt-Omeîa, che l'accusò di plagii, lo dicea ladro illustre, uso ad abbellire le idee rubate.1460

Dimorò in Affrica o Spagna il suo figliuolo Mohammed, più poeta del padre al dir d'Ibn-Bescirûn; ma i brevi saggi che ne dà, fan giudicare altrimenti.1461 Soleiman-ibn-Mohammed da Trapani, oriundo di Mehdia stanziatovi, esule dopo il quattrocento quaranta (1048), erudito e scostumato, passò in Affrica, indi in Spagna; ove s'acconciò nelle corti di principi minori, e piacquero sue Kaside, e vi lasciò nome non oscuro.1462 Più elegante poeta Abu-Sa'îd-Othmân-ibn-'Atîk, Siciliano, forse di Palermo come ogni altro di cui non si noti particolarmente la città natia, andò a dirittura in Spagna al conquisto normanno, a corte del rivale di Mo'tamid in lettere e munificenza (1054-1091), il principe d'Almeria Mo'tasem, della illustre stirpe dei Beni-Somâdih.1463 Vissero al par nella seconda metà dello undecimo secolo poeti di Kasîde, i segretarii Hâscem-ibn-Iunis e Ibn-Kûni e Omar-ibn-Abd-Allah, dei quali si è detto;1464 e un Ali-ibn-Abd-Allah-ibn-Sciami.1465

Ibn-Tazi, cultor di scienze e di lettere,1466 facile ingegno ed umore bilioso, censor di vizii infangato in brutto costume egli stesso, va lodato tra i primi poeti satirici degli Arabi per vivacità di concetti, stile incisivo, e pur naturale, eleganza e grazia non infrequente.1467 Ci avanzan di lui, dopo che li vagliavano Ibn-Kattâ' e Imâd-ed-dîn, da ottanta epigrammi, tra descrittivi ed erotici, se così possan chiamarsi, e satirici; ma sol di questi diremo. Dei quali è grave e lepido molto quel sopra i Sufiti;1468 altri con lindura riprendono vecchi che tingeano i capelli,1469 facce irsute di barba,1470 e noiosi cantori:1471 ed erano ridicolaggini del tempo. Su i vizii eterni dell'umana natura lanciò arguti motti ad avari.1472 chiacchieroni,1473 permalosi;1474 nè perdonò ai difetti fisici:1475 mise il dente ove potè a lacerare con rabbia, ed arrivò a chiamare l'umanità razza di vipere e cani.1476 Ruzaik-ibn-Sahl, già nominato, toccò l'argomento con più misura e men poesia, nei soli versi che ci rimangon di lui.1477

Meritano i Kelbiti particolar menzione pria di continuare la lista dei poeti minori, perchè s'e' non arricchirono gran fatto il Parnaso siciliano, incoraggiarono e favorirono cui v'aspirasse. Dell'emiro Ahmed (953-969) si ricordano due mediocri versi con che si lagnava che in età avanzata nol curasser le donne: strana querela in bocca a principe musulmano.1478 Cantò più lietamente d'amore Abd-er-Rahman-ibn-Hasan, intitolato emiro per onor di famiglia e Mostakhles-ed-dawla (L'eletto dell'impero) per oficio ch'avesse tenuto a corte fatemita in Egitto,1479 Abu-Mohammed-Kâsim-ibn-Nizâr, detto anche emir, contemporaneo di Ahmed, poscia prefetto di polizia a Misr, ci attesta la puntigliosa superbia di sua gente in faccia anco al principe.1480 Improvvisava l'emiro Giafa'r-ibn-Iûsuf qualche versuccio, e faceva ai poeti le carezze dell'asino.1481 L'altro Giafa'r soprannominato Thiket-ed-dawla, figliuolo di Akhal, si scusava in rima delle promesse non compiute per la malignità di sua fortuna.1482 Del dotto e audace Ammâr abbiam detto e de' suoi versi.1483 Abu-Kasim-Abd-Allah-ibn-Selmân di gente Kelbita, si vantava con mediocre poesia d'amare e proteggere la virtù, esalava lamenti erotici, e attestava l'epoca in cui visse, dicendosi circondato da nemici che facean le viste d'ossequiarlo.1484 Avanzò ogni altro Kelbita nel pregio dei carmi un Gia'far-ibn-Taib, che carteggiavasi con Ibn-Kattâ', n'ebbe lodi nell'Antologia siciliana e meritolle, come provano due squarci di Kasîda e qualche altro verso petrarchesco.1485 Caduta la dinastia, que' che se ne divisero le spoglie, ambiron pur ad onori letterarii che noi non possiamo assentire: dico, il kaid Abu-Mohammed-ibn-Omar-ibn-Menkût,1486 e il kaid Abu-l-Fotûh figlio del kaid Bodeir-Meklâti ciambellano, soprannominato Sind-ed-dwala, d'umor niente allegro.1487 Fe versi anco Ibn-Lûlû, detto forse per errore principe di Sicilia.1488 Nè sdegnava l'arte un prefetto di polizia di que' tempi, per nome Abu-Fadhl-Ahmed-ibn-Ali, coreiscita;1489 nei cadi Abu-Fadhl-Hasan-ibn-Ibrahim-ibn-Sciâmi, della tribù di Kinana,1490 Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Kâsim-ibn-Zeid, della tribù di Lakhm,1491 e Ahmed-ibn-Kâsim già ricordato.1492

Perchè il verseggiare è facile quando non si badi alla poesia del concetto, e l'aiuti un linguaggio classico che risuona sempre agli orecchi, una certa educazione letteraria, qual ebbero in quell'età tutti i Musulmani che non nascessero proprio dal volgo, e l'uso generale vi sospinga, come avvenne nei tempi della nostra Arcadia. Di quei che trattarono argomenti morali non spiccando altrimenti per bellezze di forma, noteremo quel solo che possa giovarne, cioè com'intendessero la filosofia pratica della vita: gli uni a cantare il vino, le ballerine, i passatempi, che sono Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr oriundo di Kamûna in Affrica,1493 Abu-Ali-ibn-Hasan-ibn-Khâlid, il Segretario,1494 Abu-Abbâs-ibn-Mohammed-ibn-Kâf;1495 gli altri austeri, fissati nell'altra vita e spregianti quella che fruivano di presente, come Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Setabrîk, devoto di grido,1496 Abu-l-Kârim-Ahmed-ibn-Ibrahim Waddâni,1497 e i già ricordati Abu-Ali-Ahmed-ibn-Mohammed-ibn-Kâf il Segretario,1498 Ibn-Mekki,1499 Abd-er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghâni,1500 Atîk,1501 il Siracusano Ibn-Fehhâm,1502 Ali-Waddâni.1503 D'altri abbiamo descrizioncelle, epigrammi sui quali poco o nulla è da notare. Abu-Mohammed-Abd-el-Azîz-ibn-Hâkem-ibn-Omar, della tribù iemenita di Me'âfir, dettò qualche verso sui corpi celesti.1504 Abu-l-Feth-Ahmed-ibn-Ali-Sciâmi è lodato dall'autore dell'Antologia siciliana, il quale gli domandò alcuni versi per metterli nella raccolta;1505 Ruzaik-ibn-Abd-Allah fu perseguitato sì ostinatamente dalla povertà, che una volta donatagli da gran personaggio una borsa d'oro, tornando a casa tutto lieto, trovò che un ladro gliel'avea svaligiata, e sfogò il dolore in rime.1506 Il Segretario Ibn-Kerkûdi è detto poeta di vaglia da Ibn-Kattâ'; ma dai versi non me ne accorgo.1507 Alla lista vanno aggiunti: Abu-Hasan-Sikilli,1508 Abd-el-Azîz-Bellanobi, fratello d'Ali,1509 il Segretario Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-'Attâr,1510 Abd-el-Wehâb-ibn-Abd-Allah-ibn-Mobârek,1511 Abu-Hasan-ibn-Abd-Allah da Tripoli o Trapani,1512 Abu-Mohammed-Abd-Allah-ibn-Mekhlûf lo Scilinguato,1513 e il Segretario Ibn-Sir'în,1514 dei quali ci rimangono pochissimi versi o nessuno. Ci sono occorsi trattando d'altri studii, e abbiam detto del merito che loro s'attribuisca in poesia, Kholûf da Barka,1515 Ibn-Abd-el-Berr,1516 Gia'far-ibn-Kattâ',1517 Dami'a,1518 Ja'kûb Roneidi,1519 Ali-ibn-Hasan-ibn-Habîb,1520 Ibn-Sados,1521 Taher-Rokbani,1522 e il costui figlio Ali,1523 Othman-ibn-Ali da Siracusa,1524 Ali-ibn-Waddani,1525 Abd-Allah-ibn-Mosîb,1526 Ibn-Kereni,1527 ed Abu-Bekr-Mohammed.1528

Da quanto abbiamo esposto, si può conchiudere che la poesia rifioriva in Sicilia, dopo tredici secoli; e se non agguagliò le bellezze dei tempi di Teocrito e Stesicoro, produssene quella specie che concedea il Parnaso di Arabia. A noi Italiani non solo, ma a tutti Europei nudriti alla scuola dei Greci, non può sembrar lieto soggiorno nè la sala vaporosa d'Odîn nè la tenda de' Beduini, dove si gareggia di metafore baldanzose, descrizioni sopra descrizioni, antitesi incessanti di pensieri e di vocaboli, paralelli bizzarri e lambiccati, lingua ricercata o morta e sepolta, gergo nomade che ormai mal si adattava alle idee delle colonie musulmane d'Europa, ma il culto classico comandava adoperarlo. E però ci offendono a prima vista tutti quegli orpelli e gemme di vetro di che s'adornavano i poeti arabi di Sicilia, come ogni altro di lor età e linguaggio: le pupille omicide, le palpebre taglienti come spade, le guance di fuoco su cui spunti il mirto della barba, o guance di rose, e vi fu anche chi disse di rubino, cui mordessero gli scorpioni d'una negra chioma inanellata, i tralci di ben1529 sormontati di lune piene, che è a dire svelti giovani dal volto fresco e splendente, i capelli bianchi che spandan tenebre; e infinite secenterie di simil tempra, nelle quali si compiaceano gli stessi Ibn-Hamdîs, Ibn-Tûbi, Abu-l-Arab, Ibn-Tazi, e il Bellanobi. Ma poi va considerato che il genio diverso delle lingue toglie nell'una a tal espressione figurata quel sapor aspro che abbia nell'altra: il che si noterebbe tra le lingue d'unica famiglia che parliamo in Europa, non che tra le indo-europee e le semitiche. Scendendo più addentro, scopriremo sovente pensieri semplici ed alti, linguaggio spontaneo d'affetti, verace colorito, tratteggiare risoluto, grazie non contigiate; e diremo che quelle brune muse arabiche se si abbigliassero a foggia nostra, passerebbero per belle. Io chieggo che nel giudicare i poeti arabi di Sicilia dagli squarci che ho mostrati e su le intere opere che spero sian date un giorno all'Italia, si guardi al concetto della mente piuttosto che alla forma in cui si manifestava; e che per la forma s'accettino, com'è ragione, i giudizii dei critici arabi ch'ho accennato a lor luogo. Forse quei biografi ed antologisti che ci serbarono frammenti de' poeti arabi siciliani li defraudavano delle nostre lodi più meritate, trascrivendo appunto i versi che noi avremmo messi da banda, e tralasciando come scipiti quelli che noi avremmo trascelto.1530

Vuolsi in fine far parola dei musici che soleano cantar sul liuto i versi dei poeti: la quale usanza gli Arabi appresero dai Persiani, i devoti musulmani la condannavano, e quando lor venia fatto vietavanla, ma i grandi e' ricchi tosto richiamavano nelle brigate musici, cantatrici e ballerine. Il gran diletto che ne prendessero i Musulmani di Sicilia, è quanto se ne travagliassero si ritrae dalle poesie, dove spesseggiano le descrizioni dell'arte che dissipava i tristi pensieri e movea alla gioia; nè sdegnavano i poeti di lodare, talvolta anco biasimare i musici: Ibn-Tazi fe ad uno l'epigramma: “Ei canta e ti gitta addosso noia e malanni; ei tocca il liuto, affè che gliel'avresti a spezzare su le spalle.”1531 Le croniche degli Abbadidi registrano con superstizioso terrore il caso del Musico Siciliano, così il chiamano, condotto agli stipendi di Mo'tadhed. Il quale sendosi fitto in capo (1068) che sovrastassegli la morte e la ruina di sua casa, volle cavar augurio dai versi che a sorte gli fossero recitati; fatto venire il Musico Siciliano e seder seco con grandi onori e carezze, e richiestolo di cantare, venner detti al Siciliano cinque versi, che incominciavano: “Consumiam le notti, sapendo ch'esse ci debbono consumare;” ed appunto a capo di cinque giorni il principe si morì.1532

Aggiugnendo i nomi rassegnati in questo capitolo a quei che notammo nel capitolo XI del terzo Libro, si hanno (salvo il raddoppiamento di qualche nome che non ci sia venuto fatto di chiarire) a un di presso centoventi Musulmani di Sicilia e una dozzina di stranieri dimoranti nell'isola, che segnalaronsi nelle scienze e nelle lettere sino al fin della dominazione musulmana. Il quale abbozzo, disteso la più parte senza conoscer le opere, su i cenni solamente di autori arabi, è imperfetto di certo; pur adombrerà la cultura della Sicilia in quei tempi, supposta anzichè conosciuta quand'io mi accinsi a coteste ingrate ricerche. Pervenuti che saremo, nel sesto Libro, ai letterati e scienziati che rimasero fino ai tempi di Federigo, mi proverò a indagare la parte che si debba attribuire ai Musulmani nel risorgimento degli studii in Italia.

1422Mesalik-el-Absar, nella Biblioteca arabo-Sicula, testo, p. 654, 655.
1423Squarcio di poema dato da Imad-ed-dîn nella Kharîda, Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 609. I primi tre versi e il settimo, riferiti anco da Tigiani, si leggono nella Historia Abbadidarum del Dozy, tomo II, p. 146, dei quali si può vedere la traduzione del dotto editore. Gli altri son del tenore seguente: “Su, alma, non tener dietro all'accidia, i cui lacci allettano, ma l'è trista compagna. “E tu, o patria, poichè mi abbandoni, vo' fare soggiorno nei nidi delle aquile gloriose. “Dalla terra io nacqui, e tutto il mondo sarà mia patria, tutti gli uomini miei congiunti. “Non mi mancherà un cantuccio nello spazio; se nol trovo qui, lo cerco altrove. “Hai tu ingegno? abbi anco cuore: chè l'assente non conseguì mai suo proposito appo colui che nol vede.”
1424Ibn-Bassâm narra che un giorno sedendo Mot'amid a brigata, recatogli un carico di monete di argento, ne donò due borse ad Abu-l-Arab; il quale vedendo innanzi il principe tante figurine d'ambra, e tra le altre una che fingea un camelo ingemmata di pietre preziose, sclamò: “A portar coteste monete, che iddio ti conservi, ci vuol proprio un camelo.” E Mot'amid, sorridendo, gli regalò la statuetta: onde il poeta lo ringraziava con versi estemporanei. Dal Mesâlik-el-Absar, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 656, e da Tigiani, nella Historia Abbadidarum, del Dozy, l. c.
1425Oltre i versi di risposta all'invito di Mot'amid, che si trova nelle biografie d'Abu-l-Arab, la Kharîda, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1376, fog. 35 recto, e Sappi. Arabe 1411, fog. 8 recto e verso, dà squarci di altri due poemi, dei quali il primo sembra, e il secondo è di certo, indirizzato a Mo'tamid. Quivi si accenna ad una impresa in terra nemica, alla quale si trovava il poeta, poich'ei dice: “Notti (gloriose) che tutte le notti tornassero a noi con le medesime speranze ec.”
1426La biografia di Abu-'l-Arab si ricava da: Imad-ed-dîn, Kharîda nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 606; Ibn-Khallikân, Dizionario Biografico, versione inglese di M. De Slane, tomo II, p. 277 nella vita di Ali-ibn-Abd-el-Ghani-el-Husri; Scehâb-ed-dîn-Omari, Mesâlik-el-Absâr, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, 655 e seg. Fa cenno di lui Melik-Mansur, op. cit., p; 613. Hagi-Khalfa, edizione di Flüegel, tomo III, p. 314, nº 5678, nota il diwano delle sue poesie. Non trovo in alcun autore il titolo dell'opera di arte poetica alla quale par che voglia alludere Scehâb-ed-dîn-Omari.
1427Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique ec., versione di M. De Vergers, p. 87, 88, e citazione di Nowairi, ibid., nota 96. Al dir di Nowairi, questo Hamdîs discendea della tribù di Kinda, che sarebbe collaterale a quella di Azd, entrambe del Iemen, ossia del ceppo di Kahtân. Suppongo Ibn-Hamdîs nato il 447 (1055-1056), poichè morendo il 527 (1132-3) avea circa ottant'anni, leggendosi nel suo diwân, Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 573, i versi seguenti, un po' senili: “Ecco un bastone ch'io non strascino nel sentiero della vergogna; mi regge ansi a scostarmene. “O vogliate dir che l'impugno per correr meglio all'ottantina, non per battere (gli alberi e raccorre) foglie al mio gregge. [Si vegga il Corano, Sura XX, verso 19.] “Io sembro un arco, e il bastone la corda; l'arciere v'incocca canizie e caducità.”
1428Le allusioni a questo fatto si raccapezzano da due Kasîde, la prima delle quali ho data nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 552 e seg., e comincia così: “Le sollecitudini della canizie hanno scacciato l'allegrezza della gioventù. Ah! la canizie quando comincia a splendere la t'abbuia! “Per un'ombra d'amore il destino mi spinse lungi; e l'ombra fuggì da me e sparve. ..... “Una brezza vespertina mormora, rinfresca, e sospinge soavemente (la barca). “Ella sciolse. Evviva! E la morte facea piangere il cielo sugli estinti che giaceano in terra. “Il mugghio del tuono incalzava le nubi come il camelo che freme contro la compagna ribelle. “D'ambo i lati di lei avvampano i baleni, col lampeggiare di spade brandite. “Passai la notte nelle tenebre. O bianca fronte dell'aurora, arrecami la luce! ..... “In quella (terra) è un'anima amante, che alla mia partita, mi infuse questo sangue che scorremi nelle vene; “Luoghi ai quali corrono furtivi i miei pensieri, come i lupi si rinselvano nella (natia) boscaglia. “Quivi fui compagno dei lioni alla foresta; quivi in suo covile visitai la gazzella. “O mare! dietro da te è il mio giardino, del quale mi ascondi le delizie non già le miserie! “Lì vidi sorgere una bella aurora, e lungi di quello mi coglie il vespro. “Ahi se non m'era data la speme, quando il mare mi vietò di porvi il piede, “Io montava, in vece di barchetta, l'arcione, e correva in quelle piagge incontro al sagrifizio.” Ho dovuto tradurre liberamente le strane metafore che ha il testo nell'ultimo verso. L'altra Kasîda, è scritta in risposta ad un amico che par abbia profferto ad Ibn-Hamdis, dopo molti anni, di rappattumarlo con possente famiglia perch'ei tornasse in Sicilia, ove i Musulmani, com'e' parmi, volean tentar qualche sollevazione. La difficoltà di ridurre a lezione plausibile alcuni versi di questo lungo componimento, mi distolse dal pubblicarlo nella raccolta dei testi. Nondimeno vi si scorge manifesta la cagione della fuga; e la famiglia nemica par si chiamasse dei Beni-Hassân. Il poeta, già maturo e collocato a corte di Mo'tamid, ricusa di tornar di presente nella Sicilia soggiogata dai Normanni; ma perdona a tutti, e finisce la Kasîda sclamando: “Lode ai viventi, lode a coloro le cui ossa giacciono nelle tombe, lode sia a tutti! “Lode, perchè non dura quivi il letargo; e grandi eventi ne riscoteranno anche me.''
1429Si vegga la descrizione ch'ei fa di costoro e il paragone con gli Arabi di Sicilia in una Kasîda che comincia: “Pascon la bianca foglia il cui frutto è sangue (lo stipendio dei mercenarii ec.)” nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 561 e segg.
1430Ibn-Khallikân. L'Autore dell'Akhbar-el-Molûk intitola Ibn-Hamdîs dsu-l-wizâratein (quel dal doppio officio) che solea dirsi a vizir investito di comando civile e militare: ma qui mi sembra allusione al genio poetico e valor guerriero d'Ibn-Hamdîs. Tra i molti componimenti indirizzati a Mo'tamid ve n'ha uno, nel quale, ricordando la patria e i parenti, conchiude con effusione di gratitudine: “Nè tu mi chiudesti la via dell'andar appo loro; ma ponesti il dono a vincolo che mi ritenesse; “Ed una generosa amistà, la cui dolcezza spandendosi nel mio cuore lo rinfrescò, arso ch'esso era dal cordoglio.” Di questa Kasîda ho dato uno squarcio nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 554. Si veggano le altre poesie indirizzate a Mo'tamid ed al costui figliuolo Rescîd, delle quali ho dato le rubriche nella stessa raccolta, p. 567, 569, 570.
1431Diwân d'Ibn-Hamdîs, nell'op. cit., p. 569. Il poeta tornando a Siviglia, fece questi versi al figliuolo che avea nome Abu-Hâscim. Suppongo si tratti di Talavera, poichè il testo dice, per antonomasia, “la battaglia.” “Oh Abu-Hâscim! le spade m'hanno sminuzzolato: ma, lode a Dio, non voltai faccia dal taglio loro. “Ricordaimi, in mezzo a quelle, il tuo sembiante, mentre non mi prometteano riposo alle fresche ombre.”
1432Questi versi riferiti da varii annalisti e biografi, si leggono presso Dozy, Historia Abbadidarum, tomo I, p. 246, tomo II, p. 44. Altri ve n'ha nel Diwan d'Ibn-Hamdîs, accennati nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 571.
1433Nowairi, Storia di Beni-Abbâd, presso Dozy, op. cit., II, 138, e Biblioteca Arabo-Sicula, p. 459.
1434Makkari, Analectes sur l'histoire etc. d'Espagne, testo arabico, tomo I, p. 321 e seg., dà in tre squarci 48 versi di questa Kasîda. Mansûr-ibn-Nâsir-ibn-'Alennâs, regnò dai 1088 al 1104, nello stato hammadita, che già avanzava per territorio e forze il reame del ceppo zîrita di Mehdia. Si vegga Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo II, p. 51 e seg., dove si fa menzione dei sontuosi palagi edificati a Bugia da Mansûr e dal padre.
1435Diwân d'Ibn-Hamdîs. Le rubriche si leggono, op. cit., p. 572.
1436Ibn-el-Athîr, anno 509; nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 280.
1437Ve n'hanno squarci nella Kharîda, le cui rubriche si leggono nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 608.
1438Hagi-Khalfa, edizione Flüegel, tomo II, p. 124, nº 2196.
1439Diwân, op. cit., p. 572, 573. Ibn-Hamdîs diceva al raccoglitor del diwan, aver letto nelle opere di Storia Naturale questa filial pietà delle aquile, e che la non si notasse in alcun altro animale.
1440Le notizie d'Ibn-Hamdîs, si ricavano da: Ibn-Khallikân, Biographical Dictionary, versione di M. De Slane, tomo II, p. 160 seg.; Imad ed-dîn, Kharîda nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 607 e seg.; Malek-Mannu, Tabakat-el-Scio'arâ, op. cit., p. 612. Scehab-ed-dîn-Omari, Mesalik-el-Absâr, op. cit., p. 653 e seg.; e soprattutto dagli avvertimenti premessi a varie poesie, nel Diwân di Ibn-Hamdîs dal raccoglitore anonimo, il quale lo conobbe di persona e conversò con lui, come si ritrae da una glosa, op. cit., p. 573. Gli estratti cominciano dalla p. 547. Il Diwân pur non contiene tutte le poesie; mancandovi la Kasîda pel palagio di Mansûr, dianzi citata, e altre di cui si leggono squarci nella Kharîda, in Ibn-el-Athîr, Nowairi ec.
1441La giraffa, il cavallo, lo scorpione, le melarance, gli anemoni, i doppier di cera ec. Parte di coteste descrizioni, mancanti nel Diwân d'Ibn-Hamdîs, son date da Nowairi in un volume della Enciclopedia, MS. di Leyde, nº 273, e ne occorrono sovente in varie raccolte enciclopediche, per esempio il Giâmi'-el-Fonûn, di Ahmed Harrâni, autor del XIII secolo, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 367, fog. 18 verso e 39 recto.
1442“Come se scaldi specchio di pece, (vedi) il rosso del fuoco camminar su quella negrezza.” Da Scehâb-ed-dîn-Omari nel Mesâlik-el-Absâr, volume XVII, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1372, fog. 76 verso.
1443La Kasida dedicata a Iehia-ibn-Temîm, principe di Mehdia, comincia con questo verso: “È fiamma questa che squarci le tenebre della notte, o la lampade il cui fuoco (si alimenta con) l'acqua dell'uva? “Ovvero sposa che comparisca alta sul seggio ec.” Diwân, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 572.
1444Nella parafrasi di queste ed altri squarci d'Ibn-Hamdîs non aggiugnerò nulla del mio. Tradurrò fedelmente, ma scorcerò, e trasporrò, studiandomi a rendere il manco male che io possa il colorito dell'originale.
1445Questo vocabolo furbesco si usa tuttavia in Sicilia; e chi sa se venne dagli Arabi? Forse nacquero da quella espressione figurata i nomi di moscato e moscatello.
1446Dinân, plurale di denn, orcio lungo che finisce aguzzo.
1447Cioè l'otre di pelle di gazzella che serviva a portar l'acqua.
1448Diwân, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 548 e seg. Questa Kasîda comincia coi versi: “L'anima sfogò tutte voglie in gioventù, e la canizie le ha recato suoi ammonimenti. “La fortuna non la piantò come virgulto in buon terreno, nè poi ne raccolse i frutti, “No; fui sorteggiato alle passioni che mi divisero in pezzi tra loro: “Logorai le armi in guerra; fornii molti trascorsi alla pace ec.”
1449Razza di cavalli rinomata nelle antiche poesie degli Arabi. Si vegga una nota di M. De Slane nel Journal Asiatique, Serie III, tomo V, (1838), p. 467, 477.
1450Ibn-Hamdîs, adopera altrove la stessa figura. Gli Arabi odierni d'Affrica, come ognun sa, dicono del combattere che “parli la polvere.”
1451Antimonio o altra polvere negra con che le donne d'Oriente (ed oggi anche ve n'ha in Europa) tingono i lembi delle palpebre e le occhiaie.
1452Diwân di Ibn-Hamdîs nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 563 e segg.
1453Mesâlik-el-Absâr nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 151.
1454Diwân d'Ibn-Hamdîs, op. cit., p. 553, dalla Kasida che abbiam testè citato a p. 526, nota 2.
1455Stesso Diwân, Biblioteca Arabo-Sicula, p. 562.
1456Nella Kasîda, della quale or or darò cinque versi nel testo, ripiglia dopo il biasimo del popolo le lodi dei guerrieri: “uomini che quando li vedi in furore, ameresti meglio il ratto dei lioni… Galoppanti su snelli corsieri, a' cui nitriti fanno eco in terra di nemici le nenie delle piagnone… Li vedi caricare or con la lancia or con la spada; ferir d'ambo i lati non altrimenti che il re nel giuoco degli scacchi… Muoion della morte del valore in mezzo alla mischia, quando i vigliacchi spirano in mezzo alle donne dal turgido petto. Imbottiscon della polvere de' campi i cuscini che lor si pongono sotto gli omeri nella sepoltura.” Quest'ultimo era costume dei devoti guerrieri.
1457Diwân, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 554.
1458Litteralmente “le falangi, delle dita, ec.” op. cit., p. 558. Questa lunga Kasîda, scritta, com'e' pare, in Affrica, lagnandosi di qualche principe zîrita, comincia, p. 554, col verso: “Ho vestito la pazienza com'usbergo contro i colpi della sorte. O tristo secolo, poichè non vuoi la pace, su combattiamo.”
1459Ibn-Bassâm, Imâd-ed-dîn, Scehâb-ed-dîn-Omari, Malek-Mansûr ec., ll. cc.
1460Nella Karîda, Biblioteca Arabo-Sicula, p. 608.
1461Kharîda nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 608. L'autore lo pone al par che il padre tra i poeti Spagnuoli; Ibn-Bescirûn, tra quei del Maghreb di mezzo, che risponde presso a poco all'Algeria.
1462Iakût nel Mo'gem, Homaidi nella Gedswa, Ibn-Kattâ' nella Dorra, Scehâb-ed-dîn-Omari nel Mesâlik, estratti, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 122, 377, 594, 653. Ibn-Bescowâl, Ms. della Società Asiatica di Parigi, copia il cenno di Homaidi.
1463Kharîda, da Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 597. Una Kasîda è indirizzata a Mo'tasim, sui quale si vegga il Dozy, Recherches sur l'histoire d'Espagne, tomo I, p. 116.
1464Si vegga sopra a p. 514, 516.
1465Kharîda, da Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 596.
1466Si vegga a p. 511, in questo capitolo.
1467Imâd-ed-dîn, Kharîda nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 589, loda i suoi versi come “di buon gitto e intessuti con gusto.” Si vegga anche Dsehebi, Anbâ-en-nokâ, op. cit., p. 647. I versi si trovano nella Kharîda e somman quasi a dugento.
1468Si vegga la p. 494, in questo capitolo.
1469Kharîda, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 24 verso, e altrove.
1470Ibid., e 25 verso. Di cotesti barbuti, l'uno chiamavasi Gia'far-ibn-Mohammed, e l'altro Hamdûn, nomi che non troviamo nelle memorie del tempo. Del secondo ei diceva: “La barba d'Hamdûn, è una casacca che gli serve a ripararsi dal gran freddo. O piuttosto, quand'ei vi s'asconde in mezzo, la ti pare un mantello da letto addosso a una scimmia.”
1471Op. cit., fog. 24 recto, 26 recto ec. Ve n'ha non men che otto, un dei quali è di lode. A fog. 26 verso, lode d'una ballerina.
1472Kharîda, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 26 recto. “Andai a fargli visita per novellare, che alla sua borsa io non pensava per ombra. Ma suppose che venissi a chieder danaro, e fu lì lì per morir di paura.”
1473Kharîda, nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 590: “Con le parole ti avvicina ogni cosa; richiedilo, ed ecco ch'è lontano (cento miglia). “L'amico non faccia assegnamento su la sua promessa; il nemico non tema mai la minaccia.”
1474Kharîda, MS. cit., fog. 29 recto: “Gran pezza sopportai la mal indole di costui e dicea tra me: s'emenderà forse. “Ma or che ha tolto moglie, alla larga! ho paura delle cornate.”
1475Ad un butterato di vaiolo, e a due di fiato puzzolente, op. cit., fog. e 27 recto e 28 recto.
1476Op. cit., fog. 24 verso: “O tu che mi biasimi del fuggire gli uomini e viver solitario, “(Sappi), ch'io non so star con le vipere.” Ed a fog. 29 recto: “Quand'uom ti dice villania, lascialo andare, che Dio ti aiuti! Abbaieresti forse contro il can che t'abbaia?”
1477Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 592. Ecco i versi che leggiamo nel MS., fog. 37 verso: “Le indoli e costumi degli uomini, variano come le qualità d'acqua che tu conosci. “Qui la limpida e pura, e puoi gustarla un sol giorno; e qui la torbida e puzzolente. “Negli uomini il bene è pozzetta invernale che (la estate) si corrompe; il male è pozzo ridondante e inesauribile.”
1478Dal Mesâlik-el-Absâr, estratto, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 154.
1479Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 592. Sendo messo da Ibn-Kattâ' immediatamente prima d'Abu-Mohammed-Kasîm-ibn-Nizâr, sembra anche dei Kelbiti che sgombrarono di Sicilia con Ahmed, come notammo nel cap. IV di questo Libro, p. 291.
1480Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', op. cit., p. 592. Nel MS. son questi versi: “Se l'amico mi fa ingiuria, regalo alle sue ciglia un allontanamento, “Vieto all'occhio mio di vederlo: mi sia cavato l'occhio se il guarda! “Gli ficco negli occhi il suo proprio tratto come uno stecco; “Lo pongo giù nell'infima abside, quand'anche ei sedesse su le due stelle polari; “La rompo con lui, foss'egli pure Ahmed-ibn-Abi-Hosein.”
1481Si veggano il cap. VII ed VIII di questo Libro, p. 334 e 349 del volume.
1482Si vegga il cap. IX di questo Libro, p. 368, e la Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 596. È chiamato emiro. Il titolo di Thiket-ed-dawla, sarebbe lo stesso che avea portato l'avolo Iûsuf.
1483Si vegga in questo capitolo la p. 481.
1484Dal Mesâlik-el-Absâr, nella Bibl. Arabo-Sicula, p. 154, 155.
1485Kharîda, estratto da Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 598. Ecco tre versi che troviamo nel MS. di Parigi, fog. 48 verso. “M'ange un dolore ch'io ignorava: un padrone che tiranneggia me debole, ed io pur gli servo. “Una sua perfida parola mi fa bramar sempre chi promette e non attende. “Oh Dio! accresci in me il desiderio dell'amor suo, e serba sempre nel mio cuore gli affetti che lo struggono!”
1486Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 506. Questa famiglia tenne la signoria di Mazara; ma non sappiamo se Hasan fu di quei che regnarono, nè se fu quel medesimo Ibn-Menkût, di cui abbiam detto in questo capitolo, p. 504.
1487Op. cit., p, 592. Si vegga il cap. XII di questo Libro, p. 421. I versi di costui nella Kharîda, MS., fog. 37 recto, sono: “Non v'ha letizia al mondo; il mondo è tutto angosce, “Che se letizia appare, è poca e non durevole. “La eletta degli uomini lascia il mondo; chè l'una e l'altro non possono stare insieme.”
1488Si vegga il cap. XII di questo Libro, p. 427 del volume.
1489Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 595.
1490Ibid.
1491Op. cit., p. 598.
1492In questo cap., p. 489.
1493Kharîda, p. 597.
1494Op. cit., p. 592.
1495Ibid.
1496Op. cit., p. 597.
1497Op. cit., p. 591.
1498Op. cit., p. 592. Questi e il precedente sì segnalano per elegante gravità nei pochi versi che ne abbiamo. Ahmed, come ognun vede, era fratello d'Abu-Abbâs-ibn-Mohammed citato poc'anzi.
1499Pag. 513.
1500Pag. 477.
1501Ibid.
1502Pag. 474.
1503Pag. 477.
1504Kharîda, op. cit., p. 591.
1505Kharîda, op. cit., p. 598.
1506Op. cit., p. 597.
1507Op. cit., p. 595.
1508Potrebbe essere per avventura il Bellanobi o altro Abu-Hasan. Ne abbiamo soli cinque versi, senza cenno biografico nella Enciclopedia di Nowairi, MS. di Leyde 273, p. 747 e 749.
1509Iakût, Mo'gem, estratto, nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 108.
1510Kharîda, estratto d'Ibn-Kattâ', nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 598.
1511Ibid.
1512Op. cit., p. 597.
1513Ibid.
1514Op. cit., p. 595.
1515Pag. 476, 477, in questo cap.
1516Pag. 504, in questo cap.
1517P. 505, in questo cap.
1518Pag. 512, in questo cap.
1519Ibid.
1520Ibid.
1521Ibid.
1522Pag. 511.
1523Pag. 512.
1524Pag. 476 e 511, in questo cap.
1525Pag. 477, in questo cap.
1526Pag. 412, in questo cap.
1527Pag. 464, in questo cap.
1528Pag. 478, in questo cap.
1529Salix Ægyptiaca.
1530Ciò si dee pensare a priori. Lo conferma il Diwân d'Ibn-Hamdîs, che abbiamo intero, dal quale Imâd-ed-dîn, Ibn-Khallikân, Scehâb-ed-dîn-Omari, scelsero qualche bello squarcio e parecchi mediocri e lasciarono i migliori, quasi sempre a rovescio del gusto nostro.
1531Kharîda, estratti d'Ibn-Kattâ', nel MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 27 verso, e altri epigrammi d'Ibn-Tazi dal fog. 24 recto; altro di Moscerif-ibn-Râscid, a fog. 30 recto; e la descrizione d'una festa d'Ibn-Hamdîs, qui innanzi a p. 531.
1532Ibn-Abbâr, presso Dozy, Historia Abbadidarum, tomo II, p. 62, ed estratto nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 329.