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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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CAPITOLO IV

Due anni dopo le raccontate vittorie, correndo il trecencinquantasei (16 dic. 966, 5 dic. 967) Moezz significò all'emir di Sicilia la pace fermata con l'Impero, e gli ingiunse di riattare, meglio oggi che domani, dicea lo scritto, le mura e fortificazioni di Palermo; ordinare in ogni iklîm dell'isola una munita città che avesse moschea giami' e pulpito; e ridurvi la gente dell'iklîm, vietandole di soggiornare sparsa pei villaggi. Ahmed fece metter mano immantinenti ai lavori in Palermo, e mandò per tutta l'isola sceikhi preposti ad inurbare le province. Tanto e non più una cronica musulmana.622 Ed Ibn-Haukal, venuto in Palermo sei anni appresso, ammirava le forti muraglie del Cassaro e della Khâlesa; e intendea come delle nove porte del Cassaro tre fossero state innalzate da Ahmed, una delle quali tramutata da debole a difendevol sito.623 Delle città ristorate oltre la capitale nulla sappiam di certo.624 Ma più monta indagare l'ordine militare ed amministrativo accennati sì laconicamente dal cronista. Ed a ciò ne proveremo; e direm poi della pace.

La prima cosa è da vedere che valga qui iklîm; la qual voce gli Arabi tolsero del greco, al par di noi;625 le serbarono il significato che aveva in geografia fisica; e v'aggiunser quello di circoscrizione territoriale. Così la troviamo in Affrica nel decimo secolo,626 in Sicilia nel duodecimo627 e in Egitto nel decimoquarto;628 dinotando per lo più quel tratto mezzano di paese ch'oggi chiameremmo distretto, o cantone: nè altro vuol dire al certo in questo rescritto di Moezz. La moschea giami' e il pulpito non portano a supporre più vasto l'iklîm; ma solo che il capoluogo fosse città importante, da farvisi la prece pubblica del venerdì.

Ma la gente629 che si dovea dai villaggi ridurre nei capoluoghi, non poteva essere l'universale degli abitatori: cristiani o musulmani; liberi, dsimmi o schiavi; nobili e plebei. Poco men assurdo sarebbe a intender tutti i Musulmani, non esclusi i contadini, chè al certo ve n'erano in Val di Mazara; e quanto agli artefici e mercatanti, non occorrea comando del principe perchè soggiornassero nelle città. Però trattavasi della sola milizia, dei nobili cioè con lor lunghe parentele; e chi altro era tenuto gente nel medio evo, fosse in Cristianità o in terra d'islâm? Ignoriam noi se nel Val di Mazara, conquistato ormai da un secolo, le milizie fossero pagate dall'erario in moneta sonante, ovvero con iktâ', o vogliam dire delegazioni, sul kharâg di un dato territorio, che riscuotessero con lor proprie mani,630 stanziando qua e là nelle ville. Ma ciò seguiva necessariamente in Val Demone e Val di Noto, per la fresca mutazione del tributo dei municipii, in gezîa degli individui e kharâg dei poderi; mancando il tempo di stendere i ruoli e i catasti, secondo i quali l'azienda pubblica riscuotesse il danaro o il frumento del kharâg. E però non si eran fatti nè anco iktâ' in buona forma; ma nulla toglie che le milizie, con partaggio provvisionale e tumultuario assentito o non assentito dall'emir Ahmed, avessero diviso tra loro alla grossa le entrate mal note delle nuove province, e si fossero sparse nelle campagne, esattori a libito e pagatori di sè medesimi. La qual rapina permanente rovinava i sudditi cristiani, snervava lo Stato musulmano, per le sciupate rendite presenti, la inaridita sorgente di quelle avvenire e la sciolta disciplina militare. A cotesti danni volle ovviare Moezz, forse in Val di Mazara, di certo nella Sicilia orientale, con l'ordinamento novello; per lo quale par fosse affidata a magistrati civili la riscossione, e deputati gli stessi o altri oficiali in ciascun capoluogo a vegliare i governati, e significar loro la parola del principe; il che si facea d'ordinario nella khotba, e però dal pulpito, nella moschea giami'.631 Quali fossero allora i nomi e limiti degli iklîm di Sicilia, e se mere circoscrizioni militari, o anco di azienda, nessun ricordo di quel tempo cel dice; nè vi si può supplire con induzioni. Sol dobbiamo supporre che gli iklîm fossero stati adattati ai corpi del giund, non questi a quelli: perocchè, eccettuati gli stanziali, le altre milizie facean corpo secondo le parentele, nè agevolmente si potea dividere un corpo, nè tranquillamente tenerne insieme due o più di schiatte diverse. Da questo e dalla diversità delle entrate pubbliche sopra territorii uguali in superficie,632 nascea la disuguaglianza grandissima di estensione degli iklîm, che si nota in varii Stati musulmani; e che durava in Sicilia infino al duodecimo secolo.633

 

La pace parve tempo opportuno a tale riforma d'amministrazione militare; o forse nelle pratiche della pace l'avea chiesta il governo bizantino, per temperare coi consigli i mali dei Cristiani di Sicilia, che non avea saputo prevenire con le armi e che non poteva ignorare, nè farne le viste coi frati e il clero di Sicilia. I quali consigli, utili anco al principe musulmano, più gratamente doveano essere ascoltati nella stretta amistà che allor nacque tra le corti di Costantinopoli e di Mehdia da comuni interessi. L'uno era il sospetto di Otone di Sassonia, il quale volle regnare in Italia quanto Carlomagno e più: ubbidito ormai senza contrasto dalle Alpi al Tevere; coronato imperatore a Roma (962); padrone della città; fattosi giudice a gastigare o vendicare i papi, ed arbitro di eleggerli e deporli; e si voltava già ai favori del principe di Benevento e contro Niceforo; assaltava (968) la Calabria, e minacciava però la Sicilia.634 Ma in Oriente stringea Moezz a Niceforo, passione più gagliarda, la brama di spogliare altrui. Il califato abbassida, mutilo da più tempo delle estreme province, comandava or appena, e di nome solo, a Bagdad e in breve cerchio. I Buidi o Boweidi teneano la Persia; la casa di Hamdân la Mesopotamia; la dinastia d'Ikhscid la Siria e l'Egitto; i Karmati l'Arabia, donde terribili irrompeano fuori. Lo stesso nome di califo rimanea per ipocrisia o compassione dei vicini usurpatori, dei ministri o capitani di ventura avvicendatisi nella signoria della capitale, i quali vendettero gli oficii pubblici in faccia ai successori di Omar e di Harûn Rascîd, saccheggiarono la reggia, messer loro le mani addosso, lor fecero stentare la vita con una pensioncella; mentre i mercenarii turchi o deilemiti e la plebe ad ogni piè sospinto insanguinavano le strade di Bagdad. Tra tanta rovina del califato, Niceforo Foca (962-7) trionfando nell'Asia Minore, s'era innoltrato due volte in Siria; avea preso Aleppo, Laodicea e molti altri luoghi, e assediato Antiochia, che fu indi espugnata da' suoi.635 Venuto così Niceforo alle mani con gli Ikhsciditi, nemici immediati di Moezz, probabil è che si trattasse tra l'uno e l'altro di operare d'accordo.

Tanto più che Moezz ebbe con un ambasciatore bizantino quella famigliarità che sovente nasce tra svegliati ingegni. Costui chiamossi Niccolò, mandatogli più volte da Costantinopoli a Mehdia ed al Cairo;636 forse il medesimo che stipulò la detta pace del novecensessantasette, recati a Moezz splendidi doni di Niceforo, e avutone per riscatto o in cortesia l'eunuco Niceta.637 L'ambasciatore, sostato per viaggio in Sicilia, andava misurando la possanza fatemita: accolto onorevolmente dal governatore dell'isola, e notato il bell'aspetto dell'esercito; viste poscia a Susa le grosse schiere che v'erano apparecchiate. Ma a Mehdia il greco si facea strada a stento nella calca dei soldati, famigliari e cortigiani, finchè, entrato nella reggia, uno splendore lo abbagliò: e condotto a Moezz che sedea maestosamente sul trono, gli parve proprio il Creatore del mondo, non uomo mortale; che se si fosse vantato di salir su in cielo gli avrebbe risposto: “è incredibile, ma tu lo farai.” Tanto si dice che confessasse Niccolò, pochi anni dopo, al principe medesimo, il quale, chiamatolo in segreto nella reggia del Cairo, gli avea domandato: “Ti sovviene del tal dì ch'io ti prediceva in Mehdia saresti venuto a salutarmi re in Egitto?” – “È vero,” rispose; e Moezz: “Ci ritroveremo adesso a Bagdad; tu ambasciatore, ed io califo.” Ma il Greco stiè zitto; e, sforzato da Moezz, gli fe' quel racconto della luce sfolgorante di Mehdia e che adesso vedea negra di tenebre la capitale, e ammorzata nella sua faccia quella terribile maestà; donde giudicava rovesciata e sinistra la fortuna. Moezz abbassò gli occhi tacendo; s'ammalò; e non guari dopo morì (975). Che che sia di cotesto dialogo, il quale non disconviene a due adetti d'astrologia del decimo secolo, si accetteranno i particolari della prima ambasceria che fanno all'argomento nostro: la condizione cioè dell'esercito siciliano; e che Moezz volentieri ragionasse di sue ambizioni orientali coi legati di Costantinopoli.638

Già le guerre di Niceforo e le irruzioni dei Karmati in Siria batteano la dinastia turca, fondata in Egitto da Ikhscid, capitano degli Abbassidi, il quale avea occupato la provincia commessagli e l'avea lasciata a' suoi. Venuto a morte (maggio 968) il loro liberto Kafûr che tenne con man ferma lo Stato, succedettegli di nome un Ahmed, nipote d'Ikhscid, fanciullo di undici anni, e di fatto un reggente e due ministri i quali si sfamarono in rapine e soprusi. Indi tumultuavano le soldatesche; i cittadini malcontenti prestavano orecchio alle pratiche di Moezz; e un sensale giudeo di Bagdad, che s'era fatto musulmano e straricco e strumento necessario dell'azienda d'Egitto, visto che i nuovi signori stendesser le mani a pelarlo, si rifuggì appo il Fatemita; gli svelò le condizioni del paese e le vie di insignorirsene. La pestilenza e la carestia che in quel tempo desolavan orribilmente l'Egitto, aiutarono al precipizio.639

Moezz ebbe sapienza e genio di amministrazione, di che solea trar vanto. Narrasi che una volta, per sermonare i grandi della vezzeggiata e temuta tribù di Kotama, si fece trovare in farsetto, nel suo studio, tra libri e dispacci: “Ed ecco,” lor disse, “com'io spendo i giorni a far di mia mano il carteggio con l'Oriente e l'Occidente, in vece di sedere a desco profumato di muschio, vestito di sete e pellicce, a sbevazzare al suono di strumenti musicali e canto di belle giovani! Chi mai in questo popolo crederebbe che il principe è serrato in camera a procacciare la sicurezza e prosperità del paese e il trionfo vostro su i nemici?” E finì con ricordar loro, da moralista e da medico, tutte le virtù, anche di star contenti a una moglie; promettendo che, s'e' lo ascoltassero, così conquisterebbero i paesi orientali, com'avean fatto del Ponente.640 E con ciò a consultare gli astrologi e più sovente le spie; tenere mandatarii con le man piene d'oro nei paesi agognati; e biechi bargelli su le popolazioni arabiche d'Affrica. Ond'ei parrebbe a legger di Filippo secondo di Spagna, se nei costumi di Moezz si notasse fanatismo ed ipocrisia, anzichè un animo generoso e un colto ingegno, vago di poesia, vivace e facondo, pratico in varie lingue; il berbero, il negro e lo slavo.641 Del rimanente uom di stato non ordinò mai vasto disegno con maggior arte, ch'egli il conquisto d'Egitto. Oltre le dette pratiche, si procacciava séguito nelle due città sante dell'Arabia; si assicurava in Affrica; accumulava tesori; ordinava gli eserciti; e cercava, per mandarli ai conquisto, un gran capitano senz'ambizione.

 

Lo trovò o lo fece egli stesso: un Siciliano di schiatta cristiana,642 Giawher, che suona “'gioiello;” se pur questo non è il vocabolo arabico raddolcito dalla nostra pronunzia. Figliuolo d'un Abd-Allah, che pare schiavo rinnegato, Giawher fu comperato da un eunuco affricano, rivenduto a un secondo e da questi a un altro; il quale ne fece dono al califo fatemita Mansûr.643 Messolo a lavorar coi segretarii, Mansur poi l'affrancò; donde entrava, secondo legge musulmana, nella famiglia. Era giovane di bello aspetto, lodevoli costumi, pronto ingegno, affaticante, vigilante, sennato scrittore e pulito, chè ne resta di lui l'editto della sicurtà data al popolo egiziano; e molto amò la poesia e le lettere, protesse cui le coltivasse, e salito a potenza fu largo coi poeti. Moezz, sperimentatolo in varii oficii pubblici, lo fece vizir; poi si consigliò di mandarlo (958) con un esercito di Berberi a ridurre le province occidentali d'Affrica, di cui alcuna s'accostava agli Omeîadi di Spagna: e Giawher in men di due anni occupava per molti combattimenti l'odierno Stato di Marocco; mandava a Moezz i pesci e le alghe presi nell'Atlantico, e gli recava egli stesso in gabbie di ferro i principi di Segelmessa e di Fez. Però, deliberata, dopo la morte di Kafûr, l'impresa d'Egitto, Moezz la commetteva al liberto siciliano; provvedeva con esso lui ad ogni cosa, fatti financo scavar pozzi nel deserto di Barca su la strada che dovea battere l'esercito da Sort a Faiûm. Giawher s'infermò a morte in questo tempo; e il califo a visitarlo ed assisterlo; e sicuro dicea: “Non morrà, poichè mi dèe conquistare l'Egitto.”644

All'entrar di febbraio del novecensessantanove, ragunate le genti nei piani di Rakkâda per muovere all'impresa, apparve più brutta che mai l'uguaglianza del dispotismo. Giawher smontava di sella, baciava la mano di Moezz e l'unghia del pontifical palafreno; e alla sua volta, cavalcando con l'esercito, si vedea camminar dinanzi a piè, per comando del califo, i costui figliuoli e congiunti, non che i grandi del regno. I centomila uomini che gli danno i cronisti, significano che fu possente l'esercito; i cameli carichi d'oro gittato in forma di macine, simboleggiano, a mo' delle Mille ed una notte, il provvedimento necessario a chi andava a combattere in paese affamato, con giunta d'infinite barche stivate di grano che seguivano l'armata alle bocche del Nilo. Nei primi di giugno, non lungi da Fostat, sede del governo, Giawher fermava un accordo coi principali cittadini;645 concedendo a tutto il popol d'Egitto la sicurtà della vita, sostanze e famiglie, a nome del califo; il quale, mosso a pietà del paese, avea mandato sue armi invitte a liberarli dai ladroni e dagli empii e farvi rifiorir la giustizia. Scendendo alle realtà, promettea di rilasciare le indebite esazioni del fisco su i retaggi; fornir le spese necessarie alle moschee; rispettare le opinioni religiose,646 e i giudizii secondo l'usanza del paese, non contraria al Corano nè alla sunna; e mantenere i dritti dei dsimmi.647 Si recò allora in parti la città; chi sdegnava l'accordo uscì a combattere e fu rotto; il vincitore, confermati saviamente i patti, entrava a Fostat nei primi di luglio. Altro non mutò dei riti che il nome del principe nella Khotba, l'appello alle preghiere, e il color delle vestimenta degli oficiali pubblici, di nero in bianco. Provvide all'azienda da uom del mestiere; pose in ogni uficio un egiziano e un affricano; amministrò rettamente la giustizia; e con rara modestia esercitò il pien potere commessogli.648 Piantato il campo presso Fostat, disegnovvi la novella capitale, la Kâhira, ossia trionfatrice; e diè mano immantinente a edificarla.649 Quivi innalzò la moschea Azahr, che fu compiuta entro due anni; nella quale il fondatore volle tramandare ai posteri il nome della patria siciliana e dell'oficio ch'era stato principio di sua grandezza.650 Assicurò il conquisto reprimendo chi si levasse nelle province; e dando una memorabile sconfitta (971) ai Karmati, che vennero ad assalirlo al Cairo.651

Intanto il nome di Moezz era gridato alla Mecca e Medina; capitani minori mandati da Giawher gli acquistavano parte di Siria;652 non ostante i Karmati, o forse per la paura che avean di loro i Musulmani, parea che i popoli da Suez all'Eufrate volesserlo riconoscere signore. Onde Giawher tanto insistè, che il trasse a trasferir la sede in Egitto; il che se non bastò a dare ai Fatemiti l'ambito impero musulmano, fece durar due secoli la dinastia, la quale, rimasa in Affrica, sarebbe stata spiantata di corto. La prodigiosa fertilità dell'Egitto; la postura che ne fa scala del commercio tra l'Oriente e l'Occidente; la popolazione gran parte cristiana, docile o servile e attaccata al suolo, offrian salda base a una dominazione reggentesi sugli ordini dell'azienda, d'una setta e d'una tribù berbera, non su popolo ed armi di sua propria nazione: oltrechè i padroni d'Egitto, per necessità geografica, comandaron sempre alla Siria e tennero le chiavi dell'Arabia occidentale. In Affrica, al contrario, i Fatemiti non avean potuto vincere la nimistà dei cittadini arabi in sessant'anni di terrore e di sferza,653 non spegnere l'antagonismo del sangue berbero racceso dalle sètte kharegite; e mentre e' conquistavan l'Egitto, erano necessitati raccomandarsi alla tribù di Sanhâgia per reprimere un altro ribelle che seguía le orme di Abu-Iezîd.654 Nè Sanhâgia, condotta dalla famiglia zîrita, lor prestava le armi con sì cieca lealtà da far serva sè stessa. Nè i Kotamii soffrivano che il califo comandasse in casa loro:655 nè d'altronde bastavano a tener l'Affrica, facendo insieme da pretoriani in Egitto e un pugno anco in Sicilia.

Moezz si deliberò dunque a sgomberare d'Affrica per sempre, recando seco arredi, tesori, armerie e fin le ossa degli avi. Partì d'agosto novecensettantadue; sostato alquanto a Sardegna, villa d'Affrica che par abbia preso il nome dai Sardi che vi soggiornarono,656 con magnifica lentezza entrò al Cairo di giugno novecensettantatrè; assestò le cose pubbliche con Giawher; poi messe da canto l'illustre liberto, il quale morì il novantadue; e il suo figliuolo Hosein, generalissimo del nipote di Moezz, fu ucciso da quello a tradimento.657

Di rado ci occorrerà ormai di tornare alla storia dell'Egitto; e di Moezz, basterà aggiugnere gli ordini politici lasciati nelle antiche province. Presto ei depose, se pur l'ebbe mai, il pensiero di commettere l'Affrica a un Arabo di nobil sangue, il quale, non sarebbe stato contento a picciola autorità; nè bastante a tenere il paese coi coloni arabi contumaci.658 Si volse pertanto ai Berberi, alla tribù di Sanhâgia, alla famiglia zîrita, al capo Bolukkîn, e, per arabizzarlo, gli diè nome di Iûsuf-abu-l-Fotûh e titolo di Seif-ed-dawla, ossia Spada dell'impero. Il quale gli avea prestato mano forte contro i ribelli, come il padre al padre di lui; e sapea bene Moezz, che, non lasciandolo governatore, quei si potea far principe.659 Bolukkîn, che il sapeva anco, non si dolse che gli scemassero l'impaccio del governo civile: che Moezz eleggesse i cadi, e qualche capo di milizia;660 che un consiglio degli oficiali pubblici trattasse la somma degli affari ed egli facesse eseguire le deliberazioni.661 Assentì anco a più duro taglio: che fosse posto da Moezz un direttore sul kharâg, ed un su le tasse diverse, entrambi mezzo independenti dal governo d'Affrica;662 i quali lungo tempo mandarono moneta in Egitto.663 Ond'era proprio quel governo bipartito che la dinastia volle porre in Sicilia e non le venne fatto. Nè Moezz si promettea di perpetua obbedienza da Bolukkîn;664 ma, come fan sovente gli uomini di stato, fruiva del comodo oggi e rimetteva al domani le cure del pericolo che non si potea cansare.

Assestata così l'Affrica fatemita con un vicerè che comandasse dalle rive occidentali del golfo di Cabès fin dove potesse verso l'Atlantico, il cauto Moezz eccettuò Tripoli, Adgâbîa e Sort a mezzogiorno del golfo; commettendole ad altre mani, per aver libero il passaggio dall'Egitto, se mai venisse in capo a Bolukkîn di tentar novità. Eccettuò anche la Sicilia, data da tanti anni e testè confermata ai Beni-abi-Hosein di Kelb.665

CAPITOLO V

Moezz volle anco far prova a raccogliersi in mano il fren della Sicilia. Del trecencinquantotto (24 nov. 968, 12 nov. 969), mentre Giawher era in su le mosse per l'Egitto, si notò che, giunto in Mehdia un oratore bizantino con ricchi presenti, il califo comandava di smantellare Taormina e Rametta, ristorate poc'anzi. Il che fu sì grave ai Musulmani dell'isola666 che l'appiccarono a consiglio degli Infedeli: come l'odio pubblico lascia sovente le giuste accuse, e va a trovare le più assurde. L'emiro Ahmed, temendo peggio che parole, mandovvi con genti il fratello Abu-l-Kasem e lo zio Gia'far; i quali, accampatisi tra le due città, le fecero diroccare ed ardere.667 Era il preludio d'un colpo di stato; perchè Moezz lo stesso anno richiamò in Affrica Ahmed con tutti i suoi,668 il quale volentieri ubbidì. Ei fu preposto al navilio,669 ed il cugino Ibn-'Ammâr ad una schiera che si dovea mandare di rinforzo a Giawher;670 Mohammed, fratello d'Ahmed, rimase a corte finch'ei visse, fidato e caro a Moezz sopra ogni altro amico.671 Manifesto egli è dunque che ai Beni-abi-Hosein fu promesso alto stato appo il califo in Affrica o in Egitto; e che Taormina e Rametta furono spiantate perchè le tenean gli Arabi Siciliani, i quali era mestieri disarmare pria di offenderli. Ahmed se ne andava dopo sedici anni e nove mesi di governo, in su la fine del trecencinquattotto (ottobre o nov. 969). Fece uno sgombero di casa: figliuoli, fratelli, congiunti, famigliari, clientela, ricchezze, arredi, quanto si potea portar via; caricatone trenta navi salpò l'emiro per Mehdia. Lasciò un solo liberto del padre, per nome Ia'isc; al quale Moezz commise il reggimento della Sicilia.672

Ma le tribù, leggiamo, assembrate nell'arsenale vennero a contesa coi liberti di Kotama, li combatterono e ne fecero strage.673 Le tribù di certo significano i corpi del giund d'arabi siciliani, ordinati secondo loro schiatte. Liberti di Kotama, di certo gli stranieri Negri, Slavi, Berberi e d'altre tribù, e fors'anco rinnegati cristiani di Sicilia o di Terraferma, che i capi di Kotama aveano manomessi ed armati per rinforzar loro squadre, troppo poche ormai ai bisogni della dinastia. Nè parmi abusare il dritto d'interpretazione se aggiungo che il giund siciliano sì fieramente nimicasse i liberti di Kotama per cagione del fei, creduto suo proprio retaggio, del quale vedea partecipare quegli usciti di schiavitù; e forse lor erano stati concessi gli stipendii ricaduti per la partenza dei Kelbiti. Il tumulto par che fosse seguíto allo scorcio del novecensessantanove.674 L'arsenal di Palermo sendo posto nella Khalesa,675 e' si vede che Ia'isc, perduti i suoi sgherri entro la stessa cittadella, non ebbe difesa contro i sollevati.

Com'avvenne sempre in Sicilia, il fuoco di Palermo si appigliò subito alle altre città: ammazzati nelle parti676 di Siracusa i liberti kotamii; subbugli e zuffe per tutta l'isola; rotto il freno alle nimistà: indarno Ia'isc cercò di racchetare gli animi, sospetto com'egli era, senz'armi nè séguito, onde niuno lo ascoltò. Le milizie trascorsero a rapine e violenze sopra i terrazzani;677 dettero addosso alle città cristiane assicurate:678 difendendo lor proprii dritti, non ebbero rispetto agli altrui. La forza fatta ai Cristiani mostra che in fondo si dolessero della distribuzione del fei, e che pretendessero riparare l'ingiustizia prendendoselo dassè. Moezz, risaputo cotesto scompiglio quando forse non era spenta la ribellione della tribù di Zenata in Affrica,679 ed i Karmati gli minacciavano il recente conquisto d'Egitto, non si ostinò contro i Siciliani. Deposto Ia'isc, mandò nell'isola Abu-l-Kasem-Ali-ibn-Hasan, con grado di vicario del fratello Ahmed; per dar a vedere che non avesse mai pensato a mutare nè gli ordini nè gli uomini. Al cui arrivo, che seguì il quindici scia'bân del cinquantanove (22 giugno 970), posarono i tumulti; la colonia lietissima l'accolse e docile gli ubbidì.680

Entro pochi mesi Ahmed, veleggiando con l'armata affricana alla volta d'Egitto, s'infermava a Tripoli, dove di corto morì. E in novembre del novecensettanta Moezz scriveva insieme ad Abu-l-Kasem lettere di condoglianza per la morte del fratello e il diploma d'investitura ad emir di Sicilia.681 Lo stato si rassodò nelle mani di quel giusto e generoso.682

Capitò in questo tempo (972-73) in Palermo Abu-l-Kasem-Mohammed-ibn-Haukal che ci ha lasciato una descrizione della città.683 Ibn-Haukal nato a Bagdad in mezzo all'anarchia pontificale, viaggiò trent'anni (943-76) per genio di studiare i paesi e gli uomini, e bisogno di mercatare; percorse la più parte degli stati musulmani, dall'Indo alle spiagge settentrionali d'Affrica;684 e s'ei non passò in Spagna, toccò pure la terraferma italiana a Napoli, dove traean per loro traffichi i Musulmani d'ogni parte del Mediterraneo.685 La geografia d'Ibn-Haukal, compilata in parte su gli altrui scritti ed in parte sul taccuino di viaggio, pecca al solito di preoccupazioni, giudizii precipitosi, fatti facilmente creduti all'altrui ignoranza o passione: opera d'ingegno non esercitato in scienze nè lettere; pur v'ha un tal senno mercantile che dà nel segno discorrendo le cose pubbliche; e se ne cavano genuini ragguagli su gli itinerarii, le usanze, le derrate, le entrate pubbliche e gli ordini amministrativi. Della Sicilia Ibn-Haukal altro non dice, se non essere lunga sette giornate di cammino e larga quattro, tutta abitata e coltivata, montuosa, coperta di rôcche e di fortezze, ed esserne Palermo metropoli e sola città importante per numero di abitatori e fama nel mondo. E di Palermo discorre più e meno del bisogno; tacendo i fatti economici che suol andar notando per paesi anco minori e che son forse perduti con un opuscolo ch'egli intitolò: “I Pregi dei Siciliani,” ovvero con un altro libercolo o capitolo della Geografia, del quale ci è sol rimaso qualche frammento.686

La pianta di Palermo, ch'agevolmente si può delineare con questa scorta e coi ricordi archeologici, ritrae le vicende essenziali della Sicilia fin dal conquisto musulmano e la sorte della colonia che si bilanciava tra una virtù e un vizio. Virtù di accentramento e civiltà; vizio di divisione: le schiatte, le classi, le religioni, per mutuo sospetto separate d'animi e di soggiorno; onde ne crescea tanto più la ruggine tra loro. Che se furon tali tutte le metropoli del medio evo, Palermo nè anco serrava i cittadini in un muro e una fossa. Spartivasi, dice Ibn-Haukal, in cinque regioni (hârât); ma poi chiama cittadi687 due di quelle, come bastionate e vallate ciascuna dassè. L'una, detta Cassaro (Kasr); la vera, ei nota, ed antica Palermo, afforzata d'alte e robuste muraglie di pietra, fiancheggiata di torri, abitata dai mercatanti e dalla nobiltà municipale.688 L'altra, la Khâlesa, cinta di minor muro, soggiorno del sultano e suoi seguaci, non avea mercati nè fondachi, ma bagni, oficii pubblici, l'arsenale, la prigione. Più popolosa e grossa che le due solenni città del municipio e del governo, la regione non murata detta delli Schiavoni, dava stanza alla marineria ed ai mercatanti stranieri che traeano in Palermo.689 Eran altresì aperte, e non dissimili l'una dall'altra, le Regioni Nuova e della Moschea, le quali racchiudeano i mercati e le arti: cambiatori, oliandoli, venditori di frumento, droghieri, sarti, armaiuoli, calderai, e via dicendo ciascun mestiere dassè, diviso dal rimanente; se non che i macellai teneano oltre cencinquanta botteghe in città690 e molte più fuori. Due contrade, ch'Ibn-Haukal intitola regioni senza porle nel novero delle cinque, si addimandavano dei Giudei e di Abu-Himâz. Similmente il Me'sker, che suona Stanza di soldati, par fosse ricinto a parte.691 I sobborghi che serbavan vestigia dei guasti durati nelle guerre dell'independenza, correano a scirocco frammezzo ai giardini fino all'Oreto, ove si sparpagliavano su la sponda; ed a libeccio salivano dal Me'sker in fila continua fino al villaggio di Baida.692 La postura delle regioni si ravvisa di leggieri. Il Cassaro in mezzo, in forma di nave che volgesse la prora a tramontana. Come ancorata per traverso, a greco, la Khâlesa; da levante a libeccio la Regione della Moschea, la Regione nuova e il Me'sker: gli Schiavoni, in linea paralella al Cassaro, dal lato di ponente.

Il mare, sì come è manifesto, entrando per una stretta foce che non è punto mutata, disgiungea la Khâlesa dalla estremità settentrionale delli Schiavoni; e imbattendosi nella punta del Cassaro, si fendeva in due bacini o lagune; dei quali su l'occidentale era costruito nelli Schiavoni il porto di commercio; su quel di levante nella Khâlesa, l'arsenale. Se mai nell'antichità le lagune bagnarono tutti i fianchi della città, erano rattratte nel decimo secolo al tronco e ai due bacini; di che resta, dopo novecent'anni, il sol tronco detto la Cala.693 Perchè scrive Ibn-Haukal che parecchi grossi rivi, ciascuno da far girare due macine, frastagliavano tutto il terreno tra il Cassaro e li Schiavoni; e dove offrian comodo ai mulini, dove si spandeano in laghetti, dove facean paduli che vi crescea la canna persiana o vi si coltivavan piante d'ortaggio.694 “Tra così fatti luoghi, ei dice, è una fondura coperta del papiro da scrivere, ch'io pensai non venisse altrove che in Egitto, ma qui ne fabbricano cordame per le navi e quel po' di fogli che occorrono al sultano.” E però non sembra inverosimile che sia di Sicilia, anzi che d'Egitto, il gran papiro con lettere arabiche a mo' di marchio di manifattura, sul quale è scritta una bolla di Giovanni ottavo a pro dell'abbadia di Tournus in Francia, data il primo anno di Carlo il Calvo imperatore (875) e serbata nella Biblioteca di Parigi.695 La pianta egiziana ministra dell'antico sapere, recata forse dai Greci a Siracusa e dagli Arabi in Palermo, crebbevi oziosa fino al secol decimo sesto, quando, prosciugato lo stagno, gli rimase il nome e si chiama anch'oggi il Papireto.

Invece di paduli ed umili culture, la campagna di levante lussureggiava d'orti e giardini da diletto su le sponde dell'Oreto, che s'addimandava Wed-Abbâs, e così infino ai tempi normanni e svevi;696 ma oggi ha ripigliato il nome classico. Salivano i giardini e si mesceano ai vigneti presso il villaggio di Balharâ,697 voce indiana,698 vinta adesso dalla latina appellazione di Monreale, presso il quale giaceva una miniera di ferro, posseduta prima da un di casa d'Aghlab ed or dal sultano che adoperava il metallo alle costruzioni navali. Il fiume volgea gli altri mulini abbisognevoli a sì gran popolo. E scende Ibn-Haukal a rassegnare le scaturigini d'acqua della città e dei dintorni, delle quali alcuna serba il nome;699 ma egli ne tace due di nome arabico, onde sembrano scoperte nell'undecimo secolo.700 Contro l'opinion comune, e' si vede che i Musulmani di Palermo sciupavan tanto tesoro di acque. Ibn-Haukal, nato in sul Tigri, chiama pure il Wed-Abbâs gran riviera, onde fa supporre che lo ingrossassero tante polle oggi condotte ad uso della città.701 Nè dimentica che del territorio parte fosse adacquata con canali, parte delle sole piogge si come in Siria. Fecegli maggiore meraviglia che li abitatori della parte orientale del Cassare, della Khâlesa e dei quartieri di quella banda, bevessero la greve acqua di lor pozzi. Donde è manifesto che non si debba riferire alla dominazione musulmana quella egregia economia idraulica che in oggi dà acque correnti in tutte le parti della città, fino ai piani più alti delle case. Risguardando alle voci tecniche dei fontanieri di Palermo che son mescolate greche, latine ed arabiche, si scopre l'opera comune delle tre schiatte unite sotto i Normanni: e però differiamo a trattarne nell'ultimo libro.

622Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 19. Se avessi più osato, avrei tradotto “preposti all'inurbamento,” che sarebbe proprio la voce del testo: 'imâra. Avvertasi che la cronica copiata da Nowairi dice “fabbricare.” Ma le mura di Palermo erano al certo più antiche. Si deve intender anco “riattare” là dove parla delle città di provincia.
623Journal Asiatique, IVe série, tomo V, p. 92 a 95.
624Il Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 167, diè il disegno ridotto d'una iscrizione del castel di Termini, nella quale si leggono certamente i nomi di Moezz-li-dîn-Allah e di Ahmed. Ma la data del 340, anche aggiuntavi una cifra d'unità, ed anche supposta tal cifra di nove, sarebbe anteriore al fatto nostro; e in ogni modo mancano altri compartimenti che doveano contenere “fabbricato per comando ec. per le cure dell'emiro ec.” Pertanto questa iscrizione, come tutte le altre, è da rivedersi sul monumento, se si potrà; e per ora accerta soltanto che il castel di Termini fu edificato nel regno di Moezz.
625Schivando, per genio di lor lingua, due consonanti in principio di parola, premessero a κλίμα una alef con la vocale i.
626Ibn-Haukal, Geografia, capitolo dell'Affrica, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 885, p. 36, 45, 48, 51, 52, dice degli iklîm della penisola Bâsciu (oggi Dakhel), di Susa, Setfura, Laribus, Ascîr, e Cafsa.
627Edrisi, Geografia, nel capitolo di Sicilia, dice degli iklîm di Siracusa, Noto, Mazara, Marsala, Trapani, Cefalà, Rahl-Menkûd; chiama Sciacca la metropoli degli iklîm (al plurale), che prima dipendeano da Caltabellotta; anche al plurale accenna quei di Castrogiovanni e quei di Pietraperzia: e infine dice che da Caronía cominciasse l'iklîm di Demona. Tolto quest'ultimo, che pare risponda al Val Demone, gli altri sono o distretti o circondarii, non mai province.
628Presso Sacy, Description de l'Egypte par Abdallatif, appendice, p. 586 seg. Il titolo è appunto “Dei luoghi (che si comprendono) negli iklîm d'Egitto.” Percorrendo la lista, si trova il solo iklîm di Nesterawa, e le altre circoscrizioni sono denominate talvolta 'aml (governo), talvolta thaghr (frontiera). 'Aml sembra, anche in Edrisi, sinonimo di iklîm, se pur non indica meramente la circoscrizione del governo civile, quando iklîm sia riserbato alla circoscrizione militare; il che suppongo senza poterlo affermare. Thaghr avea il valore che diamo oggidì a “piazza,” in linguaggio d'amministrazione militare. È da notare che nel detto documento di Egitto v'ha 21 divisioni; che gli 'aml racchiudono un numero di luoghi molto diverso, da 383 a 150 ed anche meno. I thaghr di Alessandria, Rosetta e Damiata ne hanno molto meno; e l'iklîm di Nesterawa sol cinque.
629Il testo ha la voce Ahl, popolo, famiglia, gente in generale.
630Veggasi, Libro III, capitolo I, pag. 28 seg., di questo volume.
631Nei primi tempi dell'islamismo oravano dal pulpito i califi o gli emiri delle province. Poi si ebbero khatîb (predicatori) stipendiati.
632Non solo per la diversa ubertà del territorio; ma anche perchè lo Stato in alcuni possedeva le terre, in altri riscoteva il dazio solo.
633Per esempio, il territorio di Giato giugnea da una parte a Sagana presso Palermo e dall'altra presso Calatafimi: che sono circa venti miglia siciliane di lunghezza. Il territorio di Mazara prendea quasi tutto il distretto odierno di tal nome e metà di quello d'Alcamo, confinando col territorio di Giato; cioè avea da trenta miglia di lunghezza. Si vegga il diploma del 1182 presso Del Giudice, Descrizione del real tempio… di Monreale, appendice, p. 8, 9, 10. All'incontro il territorio di Palermo e molti altri erano brevissimi.
634Si vegga il capitolo VI di questo Libro.
635Veggansi per questa epoca gli Annali Musulmani d'Abulfeda, e la Storia del Basso Impero di Le Beau.
636Ibn-abi-Dinâr, che narra quest'aneddoto, dice precisamente “andare e venire più volte.”
637La data della pace e i doni che recò l'ambasciatore si ritraggono da Nowairi, presso di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 19. Al dir di Liutprando, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 356, Niceta fu riscattato con tant'oro, che niun uomo di senno ne avrebbe dato mai per un eunuco. Mi sembra più probabile che Moezz l'avesse reso senza riscatto, come afferma il Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXXV, cap. XI. Ma le autorità che cita il compilatore francese nol dicono nè punto nè poco, nè parlano della spada di Maometto che avesse mandata Niceforo a Moezz; la quale mi par la stessa presa a Rametta, e che Le Beau abbia confuso il fatto o rabberciatolo a modo suo.
638Questo lungo aneddoto, tolto al certo da antica cronica affricana, si trova intero in Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 28 recto, dal quale io traduco, saltando molte parole qua e là, ma senza aggiungerne alcuna. Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo III, fog. 7 verso, 8 recto, lo dà quasi con le stesse parole, se non che vi mancano l'andata in Sicilia ed a Susa. La versione dello squarcio di Ibn-el-Athîr si vegga presso Quatremère, Vie de Moezz-li-dîn-Allah, nel Journal Asiatique, IIIe série, tomo II, 1836, p. 131 dell'estratto.
639Ibn-Khallikan, Vita di Giawher, versione inglese di M. De Slane, tomo I, p. 340, seg.; Quatremère, op. cit., p. 37 seg.
640Quatremère, op. cit., p. 22, seg., che cita Makrizi.
641Quatremère, op. cit, p. 134, 135, anche da Makrizi.
642Khodhâ'i, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 761, fog. 116 recto; Ibn-el-Athîr, anno 338, MS. C, tomo V, fog. 7 recto; Ibn-Khallikân, versione inglese di M. De Slane, tomo I, p. 340, seg. e il Baiân, testo, tomo I, pag. 229, dicono espressamente Giawher Rumi, che significa, come ognun sa, di schiatta greca o latina. Nella moschea el-Azhar al Cairo, fondata da Giawher il 361 (971) è, o era, una iscrizione trascritta da Makrizi e posta probabilmente dal conquistatore medesimo, il quale non vi s'intitola altrimenti che “Giawher il segretario siciliano.” Perchè si legge chiaramente Sikîlli nei quattro MSS. di Parigi, ch'io ho citato nella Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 669, 670, e lo stesso nella recente edizione di Bulak in Egitto che ho notato nelle aggiunte. Però non posso accettare la conghiettura di M. Quatremère, op. cit., p. 75, il quale tradusse “Esclavon;” leggendo Saklabi, perchè tanti Slavi si trovavano negli eserciti fatemiti. Ho avvertito altrove che questa voce in scrittura arabica si confonde facilmente con Sikîlli, ma nel presente caso non è luogo a dubbio; perchè un Rumi poteva ben essere Siciliano, e non mai Slavo.
643Khodhâ'i e Baiân, ll. cc.; Ibn-Hammâd, MS. di M. Cherbonneau, fog. 8 recto.
644Si confrontino Ibn-Khallikan, l. c, e gli altri autori arabi citati da M. Quatremère, op. cit., pag. 9 ad 11, e 35. Il capitolo d'Ibn-el-Athîr su le imprese di Giawher fino all'Oceano è stato pubblicato da M. Tornberg in nota agli Annales Regum Mauritaniæ, (Kartâs), tomo II, p. 382. Abulfeda, Geografia, versione di M. Reinaud, tomo II, pag. 204, indica precisamente la linea di operazione disegnata da Moezz.
645Confrontinsi: Ibn-Khallikan, l. c, e le autorità date da M. Quatremère, op. cit., p. 40 seg.
646Il testo ha qui la voce milla, “credenza religiosa.”
647Ibn-Hammâd, MS. di M. Charbonneau, fog. 8 verso e 9 recto. Quest'atto è segnato di scia'bân 358 da “Giawher segretario, schiavo del principe dei Credenti ec.” E l'amân è accordato a tutto il popolo del Rîf e del Sa'îd, ossia basso ed alto Egitto. Credo che il testo risponda a quello che M. Quatremère ha tolto dal MS. Leyde del Nowairi e datone il principio nell'op. cit., p. 41 a 43; quantunque manchino nella versione i patti importanti di cui io fo parola. Da questi si vede che i Fatemiti non vietavano affatto il rito sunnita, e che si limitavano ad innovare la formola dell'appello alle preghiere, sì come ho notato in questo volume, p. 131, 136, lib. III, cap. VI.
648Ibn-Hammâd, fog. 8 verso; Quatremère, op. cit., p. 51, 56.
649Quatremère, op. cit., p. 48.
650Ecco, secondo Makrizi, l'iscrizione in giro della cupola sul primo portico: “In nome di Dio ec. Edificata per comando del servo e amico di Dio Abu-Temîm-Ma'dd-Moezz-li-din-Allah principe dei Credenti (sul quale e sugli egregi suoi progenitori e discendenti siano le benedizioni di Dio), e per opera del servo di esso principe, Giawher il segretario siciliano, l'anno 360.” Biblioteca arabo-sicula, p. 669-670.
651Quatremère, op. cit., p. 57, 82, seg.
652Quatremère, op. cit., p. 51, 63, 69, seg.
653Si veggano i molti fatti che provan questo, nel Riâdh-en-Nofûs, fog. 92 verso, 93 verso, 98 verso ec., e le altre citazioni di questo MS. che ha fatte M. Quatremère, op. cit., p. 13 seg. Non intendo dire delle cagioni del trasferimento della sede in Egitto, su la quale il concetto mio è al tutto diverso.
654Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo V, anno 358, fog. 367 recto. Il nome del capo era Abu-Kharz o Abu-Kherez della tribù di Zenata, e i suoi seguaci delle due sètte sifrita e nakkarita. Nei MSS. d'Ibn-Khaldûn è chiamato Abu-Gia'far: Histoire des Berbères, versione, tomo II, pag. 548, Appendice. Si vegga anche Quatremère, op. cit., p. 62.
655Per Sanhâgia si vegga Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo V, anno 361; per Kotama, Makrizi, citato da M. Quatremère nella detta opera, p. 30.
656Ibn-el-Athîr, l. c.; Bekri e Ibn-Khaldûn citati da M. Quatremère, stessa opera, p. 86, nota 1. Indi è venuto, come avverte questo dotto orientalista, l'errore di un supposto viaggio di Moezz nell'isola di Sardegna. Si vegga anche Wenrich, Commentarii, lib. I, cap. XIII, § 113.
657Ibn-Khallikan, versione inglese di M. De Slane, tomo I, p. 340, seg.
658Quatremère, op. cit., p. 87, da Makrizi. Si vegga nel presente volume, pag. 237, nota 2.
659Ibn-el-Athîr, anno 361, MS. C, tomo IV, fog. 370 recto e verso, e tomo V, fog. 10 verso.
660M. Quatremère, op. cit., p. 88, secondo Makrizi, dice i capi. Parmi si debba intendere di qualche capo; poichè si trattava certamente dei mercenarii e delle milizie arabe; non già della vera forza, cioè la tribù di Sanhâgia, la quale avea gli ordini militari suoi proprii.
661Quatremère, l. c., da Makrizi.
662Ibn-el-Athîr, l. c., e Ibn-Khaldûn, Storia dei Fatemiti, in appendice alla Histoire des Berbères del medesimo autore, versione, tomo II, p. 550. Il primo aggiugne che Moezz comandò ai due direttori di carteggiarsi con Bolukkîn. Certamente per la forma, e per aver mano forte all'uopo. Si noti la distinzione delle amministrazioni del kharâg e delle tasse diverse. La distinzione parmi fatta non solo perchè eran diversi i modi di riscossione, cioè l'uno tassa invariabile e diretta, com'oggi diciamo, e gli altri tasse mutabili e in parte indirette, ma anche per la diversità dei territorii e delle genti. Il kharâg principalmente si dovea trarre dall'Affrica propria, nè credo sia stato mai consentito dalle più forti tribù berbere. Kotama nè anche volea pagare la decima musulmana. Si vegga Quatremère, op. cit., p. 30.
663Il Baiân, testo, tomo I, p. 238, narra, l'anno 366 (976-7) e il seguente, che 400,000 dinâr raccolti a Kairewân furono mandati in Egitto dal direttore. Questo fatto tronca ogni dubbio.
664Lo dice espressamente Ibn-el-Athîr. È da notare che su questi primi ordini del governo zîrita i compilatori orientali differiscono dagli affricani. Ibn-el-Athîr, e più di lui l'egiziano Makrizi, ristringono l'autorità di Bolukkîn. Ibn-Khaldûn, nel luogo testè citato, riferisce in compendio gli stessi fatti; ma nella Histoire des Berbères, versione, tomo II, p. 10, dice quasi lasciato assoluto potere a Bolukkîn. Indi è manifesto che i primi compilavano sui cronisti egiziani, e che Ibn-Khaldûn nella Storia dei Fatemiti copiò Ibn-el-Athîr, e in quella dei Berberi seguì le autorità affricane, senza curarsi della contraddizione: il che gli avvien sovente. Ognun poi vede che i cronisti d'Egitto sotto i Fatemiti sosteneano il dritto della dinastia, e quei d'Affrica sotto gli Zîriti, già scioltisi dall'obbedienza all'Egitto, voleano fare risalire l'independenza fino ai primi principii del governo zîrita.
665Ibn-el-Athîr, anno 361, MS. C, tomo IV, fog. 370 recto, e tomo V, fog. 10 recto, con le varianti che ho notato nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 267 del testo.
666Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 19.
667Nowairi, l. c. La frase che il Di Gregorio stampò erroneamente nel testo, e tradusse ut earum edificia disficerent, va corretta “onde entrambi (Abu-l-Kasem e Gia'far) posero il campo tra le due città.” Così anche l'ha spiegato M. Quatremère, op. cit., p. 68. È supposizione mia che si attribuisse tal provvedimento ai doni dei Bizantini; ma se no, perchè accoppiar quei due fatti?
668Nowairi, l. c.; Abulfeda, Annales Moslemici, an. 336; Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 38 recto.
669Abulfeda e Ibn-abi-Dinâr, ll. cc.
670Quatremère, op. cit., p. 84.
671Makrizi, Mokaffa, MS. di Leyde, tomo I, sotto il nome di Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Ali etc., detto il Siciliano. Il biografo aggiugne che ammalatosi costui al Cairo, Moezz l'andava a visitare, e che venuto a morte del 363 (973-4) lo compose egli stesso nel feretro, e recitò la prece sul cadavere. Questo Mohammed era nato il 319 (931), e però prima della venuta del padre in Sicilia.
672Si confrontino: Nowairi, Abulfeda, Makrizi e Ibn-abi-Dinâr, ll. cc., ma l'ultimo sbaglia la data. Tutti dicono Ia'isc surrogato dallo stesso Ahmed. Ma convien meglio alla ragion del fatto la narrazione d'Ibn-el-Athîr, anno 359, MS. C, tomo IV, fog. 368 verso, e tomo V, fog. 9 recto, che Ia'isc fosse stato eletto da Moezz. Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione, p. 172, segue questa tradizione, ma erroneamente dice che Ahmed fosse stato eletto dai Siciliani alla morte del padre. Si confronti il presente volume, Libro IV, cap. II, pag. 249, nota 1.
673Ibn-el-Athîr, anno 359, MS. C, tomo IV, fog. 368 verso, e tomo V, fog. 9 recto. Il testo ha kabâil, plurale di kabîla, che significa una delle suddivisioni della tribù arabica. Gli scrittori arabi del decimo secolo che parlan dell'Affrica usano cotesto nome generico per designare le tribù sia d'Arabi, sia di Berberi, ed in oggi nelle province d'Algeri e di Orano (non già in tutta l'Algeria nè in tutto il resto dell'Affrica) si chiamano Kabili, come ognun sa, i soli Berberi. Nondimeno nel presente passo d'Ibn-el-Athîr, copiato da croniche del X o XI secolo la voce kabâil non si può intendere altrimenti che tribù di Arabi Siciliani; primo perchè è messa assolutamente senza appellazione etnica che la determini; e secondo, perchè in Sicilia a quei tempo la lite non potea nascere se non che tra i coloni arabi ed i pretoriani. I Berberi della Sicilia meridionale non contan più dopo la guerra del 940, e non fecero mai parte della popolazione di Palermo.
674In novembre 969 partirono i Kelbiti, e in giugno 970 tornarono.
675Ibn-Haukal, Description de Palerme, nel Journal Asiatique, IVe série, tomo V, p. 93.
676Così litteralmente il testo: parti, contrada, vicinanza. Forse si tratta del distretto o iklîm.
677Il testo ha un vocabolo analogo e derivato dalla stessa radice che il ra'ia, che tutti sentiamo ripetere nei fatti dei paesi musulmani d'oggidì. È però si deve intendere principalmente dei sudditi cristiani.
678Questo importantissimo fatto della rivoluzione contro Ia'isc è riferito dal solo Ibn-el-Athîr, l. c., e appena accennato da Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione, p. 172.
679Secondo Ibn-el-Athîr, anno 358, MS. C, tomo V, fog. 367 recto, il capo di questa ribellione si sottomesse di rebi' secondo 359 (febbraio e marzo 970). Sul nome si vegga qui innanzi la nota 2 della pag. 287.
680Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 359, MS. C, tomo IV, fog. 368 verso; Ibn-Khaldûn, l. c.; Abulfeda, Annales Moslemici, tomo II, anno 336; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 19; Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 38 recto. Il giorno della venuta d'Abu-l-Kasem in Palermo risponde esattamente al computo degli anni del suo governo che fa Ibn-el-Athîr, narrando la sua morte seguíta il 20 moharrem 372. Egli avea tenuto l'oficio, al dir dell'annalista, 12 anni, 5 mesi e 5 giorni, che sono secondo il calendario musulmano 4405 giorni. Si vegga Ibn-el-Athîr, anno 371, che citeremo in fin del capitolo VI del presente libro. Abulfeda dà la stessa cifra di Ibn-el-Athîr; Ibn-abi-Dinâr dice in numero tondo 12 anni; e il Baiân con errore 11.
681Si confrontino: Abulfeda, Annales Moslemici, an. 336, tomo II, p. 446, seg. Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 19; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione, p. 172. Secondo il primo, Ahmed morì negli ultimi mesi del 359 (fino al 2 nov. 970), e Moezz scrisse al fratello il 360 (dal 3 nov.).
682Ibn-Khaldûn, l. c. La versione ha “integro” invece di “generoso,” come ho tradotto appigliandomi alla variante di un MS. di Tunis.
683Questo capitolo della geografia d'Ibn-Haukal fu pubblicato da me con versione francese nel Journal Asiatique del 1845, IVe série, tomo V, p. 73, seg.; poi in italiano nell'Archivio Storico, appendice XVI (1847), p. 9, seg., con le varianti ricavate dal MS. di Oxford. Adesso due articoli del M'ogem-el-Roldân, di Iakût, che do nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 107 e 120 del testo arabico, mi abilitano a correggere alcuni luoghi e supplire altre notizie le quali mancano nelle copie d'Ibn-Haukal, che abbiamo in Europa; ma si trovavano al certo nella edizione ch'ebbe per le mani Iakût. Le differenze che si vedranno tra quel che scrivo adesso e le mie versioni del 1845 e 1847 vengono in parte dalle dette correzioni e in parte da migliore riflessione, e, se mi si voglia concedere, da un poco più di pratica nella lingua. Oltre a ciò debbo avvertire che nella versione italiana e più nelle note corsero moltissimi errori di stampa. La citazione d'Ibn-Haukal e Iakût valga per tutto il resto del presente capitolo.
684Su la vita e le opere d'Ibn-Haukal si veggano: Uylenbroek, Iracæ persicæ descriptio, Leyde, 1822, in-4º; e Reinaud, Géographie d'Aboulfeda; introduzione, p. LXXXII, seg.
685Si vegga il Libro III, cap. VIII, pag. 178, nota 2, di questo volume.
686L'autore, ne' MS. che abbiamo in Europa, accenna il primo opuscolo in fin della descrizione della Sicilia. Il titolo e qualche altro particolare si leggono nel citato passo del Mo'gem-el-Boldân, di Iakût, il quale ebbe certamente alle mani il secondo opuscolo su la Sicilia, o altra edizione più copiosa della Geografia.
687Così nel testo che abbiamo. Nell'altra edizione di cui Iakût ci serba i frammenti, par che Ibn-Haukal abbia chiamato anche cittadi le altre tre regioni.
688Ibn-Haukal dice di proposito dei soli mercatanti; ma venendo a toccare la superbia dei cittadini, come innanzi si vedrà, confessa senza volerlo che soggiornassero nel Kasr le famiglie ragguardevoli che avean moschee proprie e vi si davan lezioni di dritto; cioè i membri della gema', la nobiltà cittadina, come noi diremmo.
689Ibn-Haukal non dice la condizione e nazione degli abitatori, ma che quivi era il porto: il che basta. D'altronde sappiam che fossero in quel quartiere gli stabilimenti dei Genovesi, infino al XVII secolo; e vi rimane tuttavia la Chiesa di San Giorgio detta dei Genovesi. Quivi anche giacea nel XII secolo la contrada detta degli Amalfitani, come ritrasse dai diplomi il Fazzello, il quale aggiugne che del suo tempo v'era una chiesa di Sant'Andrea degli Amalfitani.
690Ibn-Haukal scrive beled, che è vago quanto paese. Par che voglia dire di tutte le cinque regioni, non delle due sole murate.
691Lo fu di certo nel XII secolo, onde il nome che portava di halka, in cui la prima lettera si trascrivea in modi diversi nei diplomi; sì come dirò a suo luogo. Ibn-Haukal, senza notarlo espressamente, parla del Me'sker come di contrada fuor la città vecchia.
692Si vegga la pag. 68 di questo volume.
693Nel XVII secolo un Giambattista Maringo, su vaghe autorità, disegnò una carta dell'antica Palermo, copiata poscia a colori in certi quadri, uno dei quali passò nella Biblioteca Comunale. Il Morso fe' ridurre e incidere così fatta pianta e vi fabbricò sopra la sua Palermo dei tempi normanni, nella quale le navi veleggiano troppo dentro terra d'ambo i lati della città vecchia. L'attestato d'Ibn-Haukal tronca adesso ogni lite, poich'ei ci dice quali acque separavano la città vecchia dalli Schiavoni, e che dall'altro lato si usciva nella regione della Moschea e dei Giudei, delle quali sappiamo il sito attuale, cioè l'oficio della posta, la strada dei calderai, ec. Ma in vero i diplomi dell'XI e XII secolo non concedeano al Morso di tirar sì in alto il mare. Ei lo fece arrivare fino alla Biblioteca Comunale odierna, supponendo che gli statuti di una confraternita della Madonna delle Naupactitesse, i quali si leggono in una pergamena greca della cappella palatina, 1º appartenessero alla città di Palermo; 2º che vi fosse fatta menzione di un quartiere di Naupactitessi, anzichè di un monastero di Naupactitesse (ἐν τῇ τῶν ναυπακτιτησσῶν μονῇ); e 3º che questa voce significasse “costruttori di navi” non già “donne di Lepanto” (Ναύπακτος). A suo luogo dirò più particolarmente di cotesto diploma, ch'è stato allegato per provare la fondazione di detta confraternita prima del conquisto normanno.
694Ibn-Haukal precisamente dice: ottime piantagioni di zucche.
695Bulle de Tournus, litografiata per uso dell'École des Chartes, Paris 1835. Si vegga anche Marini, Papiri Diplomatici, p. 26, 27, 222, 223. Questo papiro è lungo parecchi metri, e largo 58 centimetri. La leggenda arabica, tramezzata di qualche linea rossa, si scorge in capo del ruolo in caratteri corsivi grandi e franchi, tratteggiati con un pennello a colore in oggi bruno, anzichè nero d'inchiostro; ma sendo molto frusto il papiro in quella estremità, vi si può leggere appena qualche congiunzione e preposizione, qualche sillaba interrotta, la voce allah, ed un brano di nome Sa'îd-ibn… Il commercio della Sicilia musulmana con Napoli, e le note relazioni di Giovanni VIII con quella città e coi Musulmani, dan valido argomento a supporre palermitano cotesto papiro, il quale per altro sembra più grossolano che quei d'Egitto.
696Abbes in un diploma del 1164, presso Mongitore, Sacræ domus Mansionis… Monumenta, cap. V; Habes in un diploma del 1206 presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 129, e Audhabes, Avedhabes, o Leudhabes in altri del 1207 e 1211, op. cit., p. 130, 136, con le note del D'Amico. Non occorre di spiegare che Aud, Aved, Leud, sieno trascrizioni della voce arabica Wed, fiume. Abbâs è nome proprio d'uomo.
697Il nome agevolmente si riconosce nel Bulchar di Fazzello, Deca I, libro VIII, cap. 1, e nel Segeballarath, ibid., come un tempo si chiamava, al dir dello stesso autore, la piazza odierna di Ballarò. Senza dubbio era corruzione di Sûk-Balharâ, “il mercato di Balharâ,” il quale villaggio appunto s'accostava da quel lato alla città.
698Si vegga il Libro III, cap. I, p. 34 del presente volume.
699Ghirbâl, “cribrum,” oggi Gabrieli. Il nome arabico potea ben essere il latino del quale ha la significazione. Fawâra, “polla d'acqua,” oggi La Favara. Ain-Abi-Sa'îd “fonte di Abu-Sa'îd,” che fu un tempo, al dir d'Ibn-Haukal, governatore del paese. Si vegga il Libro III, cap. VII, p. 157 di questo volume. Il Fazzello trovò nei diplomi Ain-Seitim; oggi Annisinni o Dennisinni.
700Garraffu e Garraffeddu, diminutivo siciliano del primo. Gharrâf è aggettivo “abbondante (d'acqua).” Il sito era laguna o padule al tempo d'Ibn-Haukal, giacendo fuor la punta settentrionale del Kasr. E però queste due fonti, o almen la prima, furono scoperte tra il X secolo e la metà del XII, pria che si cominciasse a dileguare il linguaggio arabico.
701Si potrebbe aggiugnere a questa cagione la mutata o trascurata coltura delle montagne che accresce le piene del torrenti, ma fa menomare le acque perenni. La valle di questo fiume, là dove fa grotta nel sasso, mostra che un tempo il letto dovea essere assai più largo e profondo del presente.