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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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CAPITOLO III

Posate le armi, Hasan suggellò con due gravi fatti la novella amistà tra la dinastia fatemita e la colonia siciliana; obbedientissima ormai di contumacissima che sempre era stata. S'affrettò a comparire a corte di Mehdia col figliuolo Ahmed e con trenta de' primarii nobili musulmani dell'isola; i quali, al dir d'un compilatore, prestarono giuramento a Moezz;562 al dir della cronica contemporanea, Hasan li fece entrar nella setta del Principe dei Credenti:563 ond'e' mi par manifesto che s'affiliassero alla società ismaeliana.564 Non era avvenuto mai a' Fatemiti d'accalappiare a un tratto tanti e sì illustri proseliti. Moezz non rifiniva dunque d'onorarli; presentavali di Khil'a, o vogliam dire sontuose sopravvesti degli opificii regii, e, con liberalità più sustanziale, accrebbe loro gli stipendii militari565 e fors'anco promise più larghe concessioni.

Perocchè leggiamo nella cronica che quegli ottimati sollecitavano il califo a un'impresa sopra Taormina.566 Il qual cenno e gli effetti seguíti l'anno appresso, mostrano che si trattò di allargare le colonie musulmane nel Val Demone e Val di Noto, sottoporre al kharâg, e, secondo i casi, confiscare o dividere le terre delle due province; mutarvi la condizione dei Cristiani, da cittadini di municipii tributarii a meri dsimmi o schiavi. Questo sembra il vero scopo del viaggio in Affrica, e dell'affiliazione alla setta. Moezz, guardando sempre all'Oriente e agli Abbassidi, nemici comuni suoi e dell'impero bizantino, avea forse ricusato al solo Hasan, assentì forse a malincuore a tutta la nobiltà siciliana quell'impresa che metteva in pericolo la pace con Costantinopoli. Ma non potea dir no senza ridestare i tumulti in Sicilia. Sendo temporanea per natura la sicurtà accordata ai municipii tributarii, non mancava ai coloni il dritto d'occupar quelli con la forza. Non mancava loro la brama, o forse il bisogno, sendo la somma del tributo a gran pezza minore della gezîa e del kharâg, non che del fruttato diretto delle terre. Fu di certo Hasan l'autore e promotore del consiglio, premendogli più che a niun altro di metter mano sulla Sicilia orientale, per accrescere il giund, empierlo d'uomini suoi, raddoppiare le entrate e le forze dello Stato; ad onor della corona fatemita e profitto immediato di sè medesimo e dei figliuoli.

Tornati in Sicilia Ahmed e i nobili567 che di gioia non capivano nella pelle, si aprì la primavera del novecensessantadue con tripudio universale dei Musulmani, dal palagio degli emiri all'infimo tugurio. Avea bandito Moezz per tutto l'impero che il dì della circoncisione del proprio figliuolo, sarebbero anco circoncisi i fanciulli maturi a ciò di ciascuna famiglia, spesando lui le feste, che soglion farsi in tal solenne passaggio dell'uomo dal grembo della madre al consorzio della città:568 chè tai larghezze usano tuttavia i facoltosi musulmani verso lor clienti, e i poveri del paese partecipano dei banchetti imbanditi.569 Alla nuova luna dunque di rebi' primo del trecencinquantuno (8 aprile 962), scritti innanzi tratto i fanciulli, si compiè il rito, cominciando dal figliuolo e dai fratelli dell'emiro Ahmed, e via scendendo ai nobili ed alla gente minuta, che in Sicilia sommarono a quindicimila giovanetti; e da parte del califo lor furono dispensati centomila dirhem e cinquanta some di vestimenta e piccioli regali.570 La circoncisione, ch'è uso antichissimo degli Arabi, non precetto del Corano, non ha tempo determinato; si fa per ordinario a sette anni, la differisce qualche famiglia più o meno infino a' sedici. Però il numero che notammo non ne darà con certezza quello degli abitatori musulmani di tutta l'isola; pure servirà a ragionarlo a un di presso.571

Senza dimora, Ahmed mandava ad effetto il disegno. Mosse del mese di maggio, con esercito di Siciliani e Affricani, sopra Taormina; i cui cittadini, com'era manifesta la causa dell'assalto, s'erano apparecchiati a difendere fino agli estremi la roba e libertà. E valorosamente il fecero; nè li sgomentaron le nuove soldatesche di Hasan-ibn-'Ammâr, cugino d'Ahmed, venuto d'Affrica in Palermo il primo agosto e sopraccorso al campo. Ma quando i Musulmani tagliarono l'acqua che dava da bere alla città, fu forza calarsi all'accordo. Ricusato ogni onesto patto da Ahmed, che sapea quel ch'ei volea, la tortura della sete sforzò i Taorminesi a risegnare tutto ciò che possedeano e darsi schiavi, salva la vita sola: e così uscirono dalla rôcca il ventiquattro dicembre, dopo sette mesi e mezzo d'assedio. Le facoltà dei vinti, scrive Ibn-el-Athîr, divennero fei; ch'è a dire i terreni caddero nel fisco, per investirsi in stipendii militari. L'emiro mandava a Moezz mille settecento settanta dei prigioni.572 E mettea presidio di qualche centinaio di Musulmani nella città, mutando il nome, a onor del califo, da Taormina in Moezzia.573

 

Il che dà a vedere un primo principio di colonia e fa supporre l'ordinamento che si tentasse in tutta la regione orientale. Perchè Moezzia non fosse una bicocca, si lasciò al certo la popolazione agricola nel contado, e la gente minuta, mercatanti o artefici, nella città, da schiavi o da liberti. Le terre indifese o scarse di abitatori chiedeano al certo e otteneano l'amân, prima o dopo Taormina; scendendo i cittadini a condizione di dsimmi e scansando la schiavitù, fors'anco lo spogliamento dei beni privati; e cominciò a stanziare alcun picciolo stuolo del giund nei luoghi più importanti. In particolare nol sappiam che di Siracusa, dove comparisce due anni appresso debole colonia che non bastava a difendersi da qualche galea bizantina, ma a capo d'altri cinque anni la si scorge adulta, da farsi sentir nella guerra civile.574 Probabil è dunque che abbian messo piè nelle ruine d'Acradina e d'Ortigia verso il novecentosessantadue; trovandovi già raggranellato un po' di popolazione cristiana. In ogni modo, dopo la occupazione di Taormina, tutta la Sicilia obbediva ai Musulmani, fuorchè Rametta, solo avanzo de' municipii greci e romani di Sicilia; antico asilo, com'io penso, dei più valorosi cittadini di Messina,575 ed or di quanti altri cristiani della provincia amassero meglio guardar la morte in faccia che soffrire l'ignominia del vassallaggio.

Nè veggo nelle istorie qual popol abbia mai sortito fine più magnanima: tanta fu la saviezza dei preparamenti, la costanza della volontà, il valor nel combattere, e con sì poca speranza d'aiuto gettarono il guanto ai vincitori. Chè morto Romano secondo imperatore (15 marzo 963) e succedutigli due bambini, si disputava il comando tra la rea lor madre e un eunuco; nè potea sapersi in Sicilia l'esito della rivoluzione militare ch'esaltò Niceforo Foca (16 agosto 963), quando Hasan-ibn-'Ammâr poneva il campo a Rametta l'ultimo di regeb trecentocinquantadue (23 agosto 963); venendo a punir la ribellione, come al solito si chiamò. Si dubitava tanto poco dell'esito, che l'emiro Ahmed partì al tempo stesso per l'Affrica576 a compier, com'ei sembra, l'ordinamento amministrativo dell'isola con Moezz; il quale comandò che Ibn-'Ammâr riducesse intanto Rametta. E quegli piantò suoi mangani e 'arrâde,577 a batter le mura; si provò ad affaticare i cittadini ogni dì con assalti; e nulla approdava. Tanto che, pensando ridurli per fame, passò tra que' monti l'inverno e la primavera e la state appresso, trinceato bene il campo, e costruitovi un castello per sè e casipole ai soldati.578

Que' di Rametta intanto chiesero aiuti a Niceforo Foca, il Domestico, come il chiamano sempre gli Arabi, dall'alto oficio che tenne pria dell'impero e che illustrò, a danno loro, col conquisto di Creta (maggio 961) e altre belle vittorie.579 Salito al trono, volle levare all'Impero la vergogna del tributo che si pagava ai Musulmani; e sperò che bastassero gli auspicii suoi e le medesime armi a ripigliar la Sicilia col favor della popolazione cristiana. Onde adunò poderoso esercito, dicesi più di quarantamila uomini,580 di varie nazioni: Armeni, antichissimi difenditori dell'impero; mercenarii russi,581 battezzati di fresco; e gli eretici Pauliciani582 che, trasportati in Tracia, militavano sotto le insegne dei loro persecutori con riputazione di ferocissimi soldati: dei quali i Russi e i Pauliciani avean testè fatto buona prova a Creta.583 Si apprestarono legni di non più vista grandezza per traghettare le genti; le navi da battaglia robuste e munite di fuochi;584 il terrore dell'oste accresciuto da grande salmeria di macchine da gitto;585 deputato a pregare il cielo in buona forma e vigilare sì sospetta accozzaglia di costumi, lingue, e coscienze straniere, con oficio di cappellano maggiore, come noi diremmo, un Niceforo, uom di molta pietà e molto senno, prete di corte, poscia vescovo di Mileto e in ultimo santo canonizzato.586 Fin qui l'imperatore provvide da vecchio soldato. Se non che elesse i condottieri per favore e corta scaltrezza di palagio. Non uno ma due condottieri, patrizii entrambi; dei quali il primo fratello del protovestiario, o maggiordomo che noi diremmo, ebbe nome Niceta; eunuco pien di religione, erudito negli scritti dei Santi Padri, ma, sbagliata la via, si trovava in quella stagione protospatario, che suona aiutante di campo dell'imperatore. Ebbe costui il grado di drungario, o vice-ammiraglio, il comando particolare del navilio587 e supremo dell'impresa.588 L'altro, Manuele figliuol naturale di Leone Foca, nipote però di Niceforo, fatto generale della cavalleria: giovane d'animo bollente, testa dura e cieco valore.589 De' due messi insieme, pensò Niceforo comporre un ottimo capitano, senza avere ricorso ad alcun di que' suoi sperimentati commilitoni dell'Asia Minore, il quale andasse in Sicilia a guadagnare nuova riputazione e poi mettersi, com'egli stesso avea fatto, su la via del trono: e questo non gli fece veder l'errore di porre un forzuto e fiero principe del sangue mezzo a ragguaglio e mezzo sotto d'un soldato da tavolino. Pur a Costantinopoli non era chi dubitasse della vittoria. Oltre la potenza di tanto sforzo, n'erano pegno lor nuovi libri sibillini detti le Visioni di Daniele, ed i vaticinii d'Ippolito vescovo di Sicilia dei quali nessuno s'era visto fallire; e vi si leggea come il lione e il lioncello dovessero un giorno divorare l'onagro. Parea chiaro ai Greci che le due belve con le zanne simboleggiassero i due imperatori di Cristianità, Niceforo e Otone, e l'altra belva del deserto Moezz; se non che, quattr'anni dopo la sconfitta, il nostro Liutprando si beffò di loro che non avessero capito. Otone e il figliuolo, ei rimbeccò, veraci leoni, doveano manicarsi Niceforo, asino selvatico vano ed incestuoso, che avea sposata la comare. E il mordace vescovo di Cremona parlava tanto da senno, che appose la vittoria dei Musulmani alla fidanza che n'avessero presa, interpretando appunto come lui la profezia d'Ippolito.590

 

Risaputi i preparamenti del nemico, Ahmed racconciò e armò in fretta il navilio siciliano; scrisse marinari e soldati, e chiese immediati rinforzi a Moezz. Il quale, non perdonando a spesa, mandava il navilio d'Affrica con molte schiere di Berberi,591 capitanate da Hasan, padre d'Ahmed. Giunti del mese di ramadhan (11 settembre a 10 ottobre 964), Hasan avviava uno stuolo al campo di Rametta, rimaneva egli col grosso delle genti in Palermo, sovvenendogli dello sbarco di Basilio nella Sicilia occidentale (957). Già l'oste bizantina, traghettato l'Adriatico, s'era raccolta in su la punta di Calabria. Principiò il tre scewâl (12 ottobre), fornì in nove giorni il passaggio dello stretto; occupò a prima giunta Messina; afforzolla con fossati, e risarcì le mura.592 Intanto altri stuoli, recati al certo dall'armata, si mostravano per le costiere di settentrione e di levante; prendeano nell'una Termini d'assalto, ed era bene per tagliare gli aiuti di Hasan; nell'altra vanamente sparpagliavansi tra Taormina, Lentini e Siracusa, delle quali ebber le prime due di queto, la terza per battaglia.593 Cotest'errore di allontanar troppa gente da Messina, pianta della guerra, e la mala disciplina de' soldati, non isfuggirono agli ansiosi cristiani di Sicilia. Ci si narra che Prassinachio, uom di specchiate virtù, che s'era posto in un romitaggio in su lo Stretto ed era tenuto lucidissimo tra i “veggenti in Dio”594 del paese, avesse presagito la sconfitta al cappellano maggiore bizantino; il quale non s'aspettava altro da quella marmaglia armata595 che gli avean dato in guardia.

Mentre Niceta guazzava per trecento miglia di costiere col grosso del navilio, Manuele Foca s'avviluppò col grosso de' cavalli tra i precipizii dei monti Nettunii, per dare aiuto a Rametta. La quale, a guardarla in su la carta, è vicina a nove miglia a Messina;596 ma vi si frappone erto il Dinnamare, che guarda entrambe le acque del Ionio e del Tirreno e dalla cima sovrasta a quelle per tremila trecento piedi. Pertanto chi cavalchi da Messina a Rametta, dèe prender lungo giro intorno la montagna per settentrione e ponente infino a Spadafora, o per mezzogiorno infino a Mili, e risalir dall'una o dall'altra per le convalli; delle quali strade la prima corre ventiquattro miglia, l'altra più di trenta. Sboccano in una pianura ritonda di tre o quattro miglia di diametro; in mezzo alla quale spiccasi in alto una collina o piuttosto immane masso, che vi si poggia per un sol viottolo aspro e faticoso di mezzo miglio; e la cima disuguale è tutta coronata di mura. Quest'è Rametta. Il piano d'intorno sembra l'arena di un circo apparecchiato ad eserciti per duellare a ultimo sangue. Gli fan chiostra scoscese e spaventevoli coste, fendendosi quanto basti ad aprir la via per settentrione a Spadafora, per mezzogiorno a Mili; e un'altra gola verso ponente conduce a Monforte. Dal lato orientale taglia la pianura un burrone tirato quasi a filo per parecchie miglia da mezzodì a tramontana: profondo squarcio di terreno siliceo, targo, precipitoso; e all'imo fondo è talvolta stagliato come fosso di fortezza, che non dà via a calarvi. Così lo descrivono i cronisti arabi; e mel confermavan uomini pratichi dei luoghi, dai quali seppi quant'io ne ho scritto. Delle tre gole fanno anco menzione gli Arabi, ma danno il nome di quelle sole di Mikos e Demona; nell'una delle quali oggi mette capo la via di Mili e nell'altra la via di Monforte. E s'addimandavan così da due fortezze molto importanti in quel tempo; onde già ci è occorso di farne parola.597

Aveva Ibn-'Ammâr dato avviso dello sbarco ad Ahmed: e questi incontanente mosse di Palermo;598 ma non potè giungere avanti Manuele, il quale, non prima raccolte le genti a Messina, le menò in furia a Rametta, la notte innanzi il quindici scewâl (24 ottobre). Mandò una schiera a tentare il passo di Mikos, un'altra quel di Demona, una terza a intercettare gli aiuti su la strada di Palermo: egli, con l'esercito spartito in sei schiere, seguì la marina fino a Spadafora; indi poggiò alla volta di Rametta. E quivi Ibn-'Ammâr avea dovuto scemarsi anco di tre schiere per chiudere i passi di Mikos e Demona, e fronteggiare gli assediati, se tentassero la sortita. Altro non gli rimanea dunque che un buon nodo, tutto o la più parte d'Arabi Siciliani; col quale si fece incontro a Manuele. All'alba appiccarono la zuffa.599

Al fragore non si stettero i cittadin di Rametta che non facessero impeto nello stuolo musulmano messo in guardia; il quale li ricacciò dentro le mura. Con uguale fortuna que' che teneano i passi di mezzogiorno e di ponente respinsero i Bizantini.600 Ma gli Arabi che si erano travagliati lunga pezza contro Manuele con grande strage del nemico e loro, imberciati nella stretta serra, com'è sembra, dai tiri delle macchine, cominciarono a ritrarsi negli alloggiamenti:601 e i Cristiani ad incalzarli, ad irrompere nella pianura, a circondare il campo: se li abbiamo cacciati dal passo, che faranno or che li tenghiamo in mezzo e lor togliamo l'aria da respirare? E per troppa certezza della vittoria par si fossero disordinati i Bizantini. Gli altri, certissimi ed ormai bramosi della morte,602 voglion finirla a un tratto; intonano i versi dell'antico poeta arabo:

“Indietreggiai per amor della vita; ma vita, ah, non sento in petto se non ripiglio l'assalto!

“Che le ferite del codardo gli tingano le calcagna. A noi le ferite piovon sangue su la punta del piè.”603

E s'avventano con Ibn-'Ammâr: la misura del verso li unì in un sol impeto da farsi far largo. Il capitano, visto che in vece di morire si può vincer tuttavia, grida a tutto fiato: “Oh Dio, se m'abbandonano i figli d'Adamo non mi lasciar tu:” e diè un'altra carica, che scompigliò i nemici; e invano lor patrizii fecero prova a rattestarli con le parole e coll'esempio. Manuele spronava nella mischia con un'eletta di cavalli; rinfacciava a' suoi che si fossero millantati tanto coll'imperatore ed or fuggissero dinanzi un pugno di barbari. Ferì in questo dire tra i Musulmani; uccise di sua mano un uomo; e si trovò avviluppato, picchiato di lance d'ogni banda; ma non passavano la grave armadura. Tirano dunque al cavallo, chi di punta, chi di taglio a' garretti; caduto a terra col suo signore gli si abbaruffano addosso Arabi e Greci; alfine fu spacciato Manuele e chi l'aiutò. Gli altri si sbaragliarono. Era tra mezzodì e vespro.604 Il grosso degli Arabi eran fanti, come si vede nell'episodio di Manuele che terminò la battaglia.

Durò la caccia, la fuga, la carnificina infino a notte. A compier l'epico terrore del caso,605 un negro nembo che ottenebrava quella chiostra di monti, scoppiando a folgori e tuoni quando fu decisa la giornata, incrudelì sopra i fuggenti, accrescendo i pericoli degli ignoti e rotti luoghi. Uno squadrone messosi a briglia sciolta giù pel burrato, precipitò nella fossa; che la colmaron uomini e cavalli, e i vincitori passaronvi su di galoppo, dicono i loro annali, nè par mica impossibile. D'ogni lato, pe' greppi e per le boscaglie, inseguirono gli spicciolati, li scannarono quanto loro bastavan le forze a ferire: pochi patrizii o altri uomini di nota fatti prigioni, per avarizia del riscatto. Pochissimi camparono fuggendo. Più di diecimila i morti; bottino infinito di cavalli, robe, armi; tra le quali si trovò una spada ch'era passata dai Musulmani ai Cristiani in Oriente, e quella riebbero nel sanguinoso campo di Rametta. Su la quale era inciso in caratteri arabici: “Indiano è questo brando; pesa censettanta mithkâl; e molto ferì dinanzi l'apostol di Dio.” Cotesta reliquia delle prime guerre dell'islam era mandata poscia a Moezz con altre preziose armi e piastre e maglie;606 aggiuntovi una resta di capi mozzi e dugento prigioni barbari, dice una cronica,607 che sembran degli Armeni o dei Russi.

Ma come i trofei erano recati in Palermo, uscito all'incontro l'emiro Hasan, fu commosso, dice Ibn-Khaldûn, di tanta e sì improvvisa gioia che gli scoppiò una febbre maligna; della quale morì, del mese di novembre, a cinquantatrè anni.608 Tacciono tal drammatica infermità gli altri annalisti: onde potè per avventura immaginarsela quell'ardito e primo scrittor della Scienza Nuova,609 cercando sempre dentro la storia medesima la cagione del fatto la quale spesse volte si trova fuori. Fu pianto da tutti Hasan, valoroso, savio, fondator d'una dinastia e però maculato dei vizii del mestiere, che poi spariscono nel baglior d'una corona.

I martiri di Rametta intanto bevvero infino all'ultima stilla il calice amaro che la fortuna porgeva insieme con lor santa corona. Tennero il fermo dopo la sconfitta dei Greci; ma lo stremo delle vittuaglie li sforzò a mandar via le bocche inutili: mille della povera gente, com'e' sembra, tra vecchi, donne e fanciulli. Ibn-'Ammâr, in vece di rispingerli nella fortezza e affrettar la dedizione di quella, li accolse e mandò in Palermo; ma fu crudo coi rimagnenti. Fatti pelle ed ossa, tuttavia combattevano, entrato già il novecensessantacinque; quando un giorno Ibn-'Ammâr apparecchia le scale, dà l'assalto, lo protrae fino a notte; e allora una mano dei suoi salì su le agognate mura di Rametta. Passati a fil di spada gli uomini; menate in cattività le donne, i fanciulli; saccheggiata la città, e fattovi grande bottino. Partendosi dopo un anno e mezzo da' selvaggi luoghi illustrati con tanto sangue, Ibn-'Ammâr lasciò nella rôcca presidio e abitatori musulmani.610

In questo mezzo Ahmed guadagnava una battaglia navale. Saputa la rotta di Manuele mentr'ei si affrettava marciando sopra Rametta,611 tirò dritto, com'ei pare, a Messina612 per cavar la voglia d'un novello sbarco ai Bizantini che s'eran messi in salvo a Reggio. Seguiron poi in Sicilia tanti altri scontri,613 non sappiamo i luoghi; e d'un solo il nome del capitan bizantino, il maestro Essaconte, il quale fu sconfitto con grande strage.614 Donde è manifesto che i Musulmani ripigliavano ad una ad una le terre occupate; mentre il navilio greco pigramente stava lì a Reggio per raccorre i presidii. Ahmed si pose alla vedetta a Messina con quante forze potè. Quando l'armata nemica sciolse le vele per Costantinopoli, risolutamente ei l'assalì; con tanta disparità di preparamenti navali, che i Musulmani gittaronsi talvolta a nuoto per appiccare il fuoco ai legni nemici.615 Aspro e lungo indi il combattimento, che ne rosseggiò il mar di sangue, scrivono gli Arabi616 in metafora, e può passare. Compiuta fu lor vittoria nella battaglia dello Stretto, come la chiamarono. Affondate, arse o prese tutte le navi bizantine; fatto grandissimo numero di prigioni, con cento patrizii e mille altri nobili, se la non è metafora aritmetica d'Ibn-Khaldûn. Il bottino e i prigioni erano recati in Palermo.617 Tra gli altri l'eunuco ammiraglio, il quale fu mandato a Moezz, e dimorò due anni a Mehdia618 in comoda prigione, ingannando il tempo a copiar le omelie di San Basilio e qualche altro pio testo greco, in più di dugento fogli di pergamena: bel volume ch'è adesso nella Biblioteca di Parigi, soscritto con data e nome e titoli e donazione a una chiesa di Costantinopoli, condotto dal principio alla fine con mano uguale e ferma, di buon calligrafo, rubriche ad oro e colori, larghi margini e puliti, colonne e righi tirati a squadra e compasso, che Temistocle e Archimede avrebbero potuto invidiare tant'arte a Niceta.619 Ahmed, toltosi costui dinanzi, spingea le gualdane contro le città greche, com'io credo, di Calabria; le quali, visto depredati i contadi e intercetti i commerci, altro partito non ebbero che di far la tregua, pagando tributo ai vincitori.620 Questo fine sortì la impresa di Niceforo Foca.621

562Ibn-Sceddâd, dal quale è tolto questo passo d'Abulfeda, Annales Moslemici, tomo III, p. 446, seg., anno 336. Vi si accorda Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 37 verso. Entrambi pongono il fatto nel 347 (24 marzo 958 a 12 marzo 959), e dicono solo dell'andata di Ahmed coi trenta, senza nominare Hasan.
563Cronica di Cambridge, anno 6469 (1º sett. 960 a 31 ag. 961), presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 50, dicendo di Hasan e non di Ahmed. Il divario della data non monta, o accenna viaggi diversi.
564Il Martorana, tomo I, p. 100, e il Wenrich, lib. I, cap. XIV, § 128, p. 164, interpretano che i trenta fossero iti a far professione di rito sciita. Ma le parole della Cronica che ho citato portano piuttosto ad affiliazione alla setta ismaeliana. Il giuramento non occorrea per la esaltazione del principe, riconosciuto in Sicilia da parecchi anni. Nè giuramento poi, nè solenne professione si facea del rito sciita; il quale, differiva dall'ortodosso in una frase dell'appello alla preghiera e in pochi punti di dritto, e però la pratica di quello dipendea dagli oficiali del governo, nè i privati ci avean che fare. D'altronde si è già notato quanto agognasse la novella dinastia a far proseliti alla setta ismaeliana. Veggasi Libro III, cap. VI, p. 136, 137.
565Cronica di Cambridge, l. c. La voce che traduco “stipendii militari” si potrebbe leggere in altro modo, e significherebbe “acquisti.” Ma qui tornano a sinonimi; perchè, non essendovi per anco terre da dividere, il principe non potea donarne di quelle dello Stato, ma solo assegnare temporaneamente le entrate di esse. Veggasi il Libro III, cap. I, p. 16, seg., di questo volume.
566Cronica di Cambridge, l. c.
567Abulfeda, e Ibn-abi-Dinâr, ll. cc. S'intende ch'essi non fanno motto dei pensieri ch'io attribuisco a Moezz, ad Hasan ed ai nobili Siciliani.
568Nowairi citato da Quatremère, Vie de Moëzz nel Journal Asiatique, IIIe série, tomo II, p. 420.
569D'Ohsson, Tableau de l'empire ottoman, libro II, cap. 17.
570Abulfeda e Ibn-abi-Dinâr, ll. cc.
571Secondo le tavole di popolazione di Francia e di qualche provincia d'Italia che ho avuto alle mani, i fanciulli maschi di 7 anni sono il centesimo della popolazione. Supponendo metà dei 15,000 di sette anni e metà oltre gli otto, la popolazione musulmana di Sicilia nel 972 tornerebbe a 750,000 il qual numero non discorda dai computi che abbiam fatto con altri dati, Libro III, cap. XI, pag. 216 di questo volume. Il Palmieri, nella Somma della Storia di Sicilia, Palermo 1834, vol. I, p. 376, su questo medesimo dato ragiona i Musulmani dell'isola a 300,000. E sbaglia; perchè suppone istituita allora la circoncisione dai Fatemiti, e che si fosse praticata in Sicilia per la prima volta, e però su tutti i fanciulli di ogni età.
572Nowairi dice 1570. Nel supposto che fosse la quinta del principe si ragionerebbe a 9000 anime la popolazione di Taormina. Ma forse non era luogo ad osservare la proporzione legale, perocchè Moezz potea aver mandato soldatesche di schiavi, e prender come sua propria la parte che lor toccava dei prigioni e del bottino.
573Si confrontino: Cronica di Cambridge, anno 6470-71, op. cit., p. 51; Ibn-el-Athîr, anno 351, MS. B, p. 302; Abulfeda, Annales Moslemici, anni 336 e 351, tomo II, p. 446, seg., 478; Nowaîri, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 15, 16; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 170, e Storia dei Fatemiti, MS. di Parigi, Supl. Arabe, 742 quater, vol. IV, fog. 20 verso, e traduzione di M. De Slane in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo II, p. 542; Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, fog. 37 verso, seg.; Lupo Protospatario, presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 54.
574Si vegga per Siracusa nel 964, il séguito del presente capitolo, e nel 969 il capitolo V di questo Libro IV. Per altre città non ho testi da poter citare.
575Si vegga il Libro II, cap. X, pag. 426 del primo volume.
576Si confrontino: Cronica di Cambridge, anno 6471 (962-3), op. cit., p. 51, e Nowairi, op. cit., p. 16.
577Cotesta voce e il fatto si trovano nel solo Nowairi. Le 'arrâde, macchine da gitto più picciole del mangano, come le spiegano i dizionarii, erano già in uso nel decimo secolo appo gli Arabi, facendone menzione Mawerdi, ediz. Enger, p. 75.
578Nowairi, l. c.
579Secondo gli autori bizantini citati da Le Beau, Histoire du Bas Empire, Libro LXXIV, cap. 46, ambo i califi, abbassida e fatemita, abbandonarono i Cretesi, visto non poterli aiutare. Presso alcuni annalisti musulmani corse l'errore che Moezz avesse mandato forze che liberaron Creta; il qual fatto M. Quatremère notò in una compilazione persiana, e giudiziosamente lo suppose dato per anacronismo invece della sconfitta di Costantino Gongile del 958. Veggasi il Journal Asiatique, IIIe série, tomo II, p. 420, 421. Ma mi è avvenuto di trovare appunto lo stesso racconto in Ibn-el-Athîr, anno 351 (962), MS. C, tomo IV, V, e nell'altro MS. di Parigi, Supl. Arabe, 741 bis, fog. 228 verso; se non che in un MS. si legge ben Creta, e nel secondo “l'isola di…” lasciando il nome in bianco. Indi si potrebbe supporre che, in vece d'anacronismo, lo sbaglio fosse nel nome. E mi è parso di farne menzione, perchè l'isola potrebbe per avventura esser Malta.
580Ibn-el-Athîr.
581Nowairi.
582Nowairi. Questo compilatore scrive Magi. Il Di Gregorio tradusse Persis; M. Quatremère, op. cit., notò in parentesi Normands. Senza il menomo dubbio si tratta de' Pauliciani, ai quali l'eresia manichea potea ben meritare appo i Musulmani la volgare appellazione di Magi. Noi sappiamo che le legioni di Tracia erano composte di Pauliciani e che aveano trionfato a Creta. Si veggano Le Beau, op. cit., libro LXXIV, cap. 14, e Gibbon, Decline and Fall, cap. LIV, nota 4.
583Le Beau, l. c.
584Leone Diacono Caloense.
585Ibn-el-Athîr.
586Vita di San Niceforo vescovo di Mileto.
587Leone Diacono, e Vita di San Niceforo.
588Vita di San Niceforo.
589Leone Diacono.
590Liutprando. Ognun sa la sua rabbia contro i Bizantini, come lombardo; e contro Niceforo Foca perchè l'accolse freddamente o peggio, quando Otone primo il mandò oratore a Costantinopoli.
591Ibn-el-Athîr, Nowairi e gli altri Arabi. Il nome di Berberi si ricava dalla sola Cronica di Cambridge, dove fu franteso dai primi editori e con essi dal Di Gregorio; talchè tradussero in latino: “cum copiis Ben-Aber.” In vece di questo nome proprio, si dèe leggere senza il menomo dubbio Berâber, ch'è il plurale di Berbero.
592Ibn-el-Athîr, Nowairi, e gli altri Arabi.
593Coteste fazioni sono accennate dal solo Leone Diacono, in mezzo a luoghi comuni di rettorica, che mi fecero stare in forse se lo scrittore ci avesse anche ficcato, come luogo comune di erudizione, tutti i nomi classici che gli sovvenivano della geografia di Sicilia. Ei dà a Termini l'antico nome d'Imera, nè fa parola di Rametta. I Siciliani non potendo difendere le città, si ritraggono sui monti e nelle selve. I Romani, inseguendoli là dove i fronzuti rami togliean la vista del sole, sciolgono la falange, onde son côlti dai barbari in un agguato tra greppi e caverne, ec. Pur tra coteste frasi da scuola, le fazioni delle quattro città nominate hanno sembianza di vero; tantopiù che sappiamo da altre fonti che i Musulmani dopo le vittorie di Rametta e del Faro, ebbero a combattere in varii luoghi. Perciò ammetto la testimonianza.
594Θεοπτικῶν.
595Credo così render meglio che con versione litterale il testo ἀναγωγίαν πλείστην τῶν στρατηγῶν. Vita di San Niceforo vescovo di Mileto.
596Veggasi Libro III, cap. X, pag. 427 del primo volume.
597Si vegga il Libro II, cap. XII, vol. I, pag. 468, nota 4, ed il Libro III, cap. IV, pag. 85, nota 1. I nomi topografici son dati qui dal solo Nowairi; nei due MS. del quale, Demona si riconosce con certezza. Non così l'altro nome che ha le lettere ””Ksc ovvero ””Ks, rimanendo molto dubbie le prime due. Preferisco la lezione del migliore tra i MSS. di Edrisi.
598Nowairi; ma non dice se per terra o per mare. È più probabile il primo, e che Ahmed abbia dovuto allungare il cammino per iscansare Termini, occupata dal nemico.
599Confrontinsi: Ibn-el-Athîr e Nowairi. Questi, come dicemmo, non dà il nome della strada che tenne Manuele; ma la sola che gli restava, e la più breve delle due praticabili, era quella di Spadafora. Tal conseguenza necessaria è confermata dal fatto della schiera posta su la via di Palermo.
600Ibn-el-Athîr, e Nowairi.
601I compilatori dicono che Ibn-'Ammâr andò incontro a Manuele, senza particolareggiare il luogo dove si combattesse avanti la ritirata nel campo. Ma è evidente che fu nella gola di Spadafora. Ibn-'Ammâr non poteva aspettar nel piano un nemico sì superiore di numero e di cavalli.
602Ibn-el-Athîr, Nowairi ec.
603Cotesti versi, dati dal solo Ibn-el-Athîr, sono di Hosein-Ibn-Homâm della tribù di Morra, e si leggono nell'antologia poetica intitolata Hamasa ossia “della virtù in guerra,” testo arabico pubblicato dal Freytag, p. 92, 93. Hosein visse avanti l'islamismo; il poco che sappiam di lui, si vegga nel Commentario dell'Hamasa, l. c., e in Ibn-Doreid “Libro etimologico,” testo pubblicato a Gottinga dal Wüstenfeld, p. 186. I versi recitati dai combattenti provano che questi fossero Arabi, e però della colonia siciliana; poichè Moezz avea mandato d'Affrica soldatesche berbere. Il giund arabico d'Affrica, se pur ne rimaneva in questo tempo, era ridotto a picciol numero e niente disposto a venire in Sicilia.
604Nowairi scrive: fin dopo la prece del Zohr, che si fa passato mezzodì; Ibn-el-Athîr all'ora dell''Asr, che in quella stagione tornerebbe a ventun'ora e mezza, a modo dei nostri antichi.
605Ritraendosi cotesti particolari dagli Arabi, non v'ha il menomo sospetto di fattura rettorica. Non è al certo in lor annali che gli Arabi dan volo all'immaginazione.
606Si confrontino: Ibn-el-Athîr, Abulfeda, Nowairi, Ibn-Khaldûn. Il Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 18, tradusse l'ultima parte della leggenda incisa su la spada “multum is sanguinem fadit in manibus Apostoli Dei,” scostandosi dalla versione francese di M. Caussin; il quale (Histoire de Sicile… du Nowairi, pag. 34, in appendice a Riedesel, Voyages en Sicile ec.) gli rimbeccò che la frase arabica “nel mezzo delle mani” significa non già “nelle mani” ma “in presenza.” E ciò è verissimo; quantunque si potrebbe allegare a difesa del Di Gregorio qualche raro esempio ch'egli non conoscea di certo, nel quale la detta frase ha il significato litterale “nelle mani” ovvero “per le mani.” Ma nel caso nostro parmi dubbio essere stata cotesta spada in pugno non che di Maometto, ma d'alcun dei primi guerrieri dell'islamismo. Litteralmente abbiamo: “lungo (è) quanto fu percosso con esso (brando) nel mezzo delle mani ec.;” il che si può intendere in presenza di Maometto, dalla parte sua o dalla parte contraria. E mi appiglierei a quest'ultimo supposto anzi che ai primo, per l'ambiguità che pare studiata, e sopratutto perchè manca la formola (ferì) “nella via di Dio” cioè in difesa della religione. Il peso della spada torna da sette ad ottocento grammi, variando il mithkal secondo i tempi e i luoghi.
607Nowairi. L'appellazione 'Ilg non si dava ordinariamente ai Bizantini (Rûm) nè ai Persiani ('Agem). Il compilatore, o forse il cronista, adoperò la stessa voce 'ilg per designare il Palata alemanno, o piuttosto armeno, di cui nel Libro II, cap. I, p. 247 del primo volume.
608Confrontinsi: Abulfeda, Nowairi, Ibn-Khaldûn. La data della morte si trova soltanto nel primo e nella Cronica di Cambridge, secondo l'uno del mese di dsu-l-ka'da (8 nov. a 8 dic.), secondo l'altra in novembre.
609Ibn-Khaldûn, sì come il nostro Vico, notò che tentava una scienza novella. Si vegga la Introduzione nel primo volume della presente Storia, pag. LIV.
610Ibn-el-Athîr e qualche particolare da Nowairi.
611Nowairi.
612I cronisti bizantini, cominciando da Leone Diacono, son sì mal informati, che dicono preso il navilio bizantino nel porto di Messina dal nemico che inseguiva gli avanzi delli sbaragliati di Rametta. La nuova corse al par confusa nell'Italia di mezzo, poichè Liutprando dice ucciso Manuele e preso Niceta nella stessa battaglia tra Scilla e Cariddi.
613Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, Nowairi, Ibn-Khaldûn.
614Liutprando.
615Ibn-el-Athîr, e in due luoghi Ibn-Khaldûn. Il professore Fleischer, rivedendo le stampe della Biblioteca Arabo-Sicula, ha proposto di leggere qui “sfondare” invece di “ardere;” i quali due verbi non differiscono in scrittura arabica che per un punto diacritico su la prima lettera. Ma i MSS. sono uniformi nella lezione che io seguo. E la probabilità, in una battaglia navale, mi par maggiore per l'effetto di appiccare l'incendio gittandosi a nuoto con una fiaccola di fuoco greco, che per quello di tuffare con un palo di ferro e lavorar su i fianchi di una grossa galea.
616Nowairi.
617Confrontinsi: Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn. Entrambi dicono espressamente che la battaglia dello Stretto seguì nel 354.
618Leone Diacono, Liutprando, lo scrittore anonimo della Vita di san Niceforo, e Cedreno.
619MS. greco, Ancien Fonds, 497, proveniente dalla biblioteca di Colbert. La soscrizione è pubblicata dal Montfaucon, Paléographie, 45 A, e meglio da M. Hase, in nota alla pagina 67 del testo di Leone Diacono. La soscrizione a p. 444, data nella prigione di Africa, come si chiamava anche Mehdia ἐν τὸ δεϚμωτηρίῳ ’Αφρικῆς, è di settembre indizione decima (967). Niceta non vi dimenticò i titoli di protospatario e drungario dell'armata.
620Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn che dicono entrambi cittadi dei Rûm. Ma questi non poteano essere di Sicilia ove i Musulmani non si contentavano al certo di tributo che pagasse il municipio.
621Si confrontino: Leonis diaconi Caloënsis, ec., ed. di Bonn, p. 65-67; Vita di San Niceforo vescovo di Mileto, d'anonimo siciliano o calabrese, MS. greco di Parigi, Ancien Fonds, 1181, squarcio dato da M. Hase in nota a Leone Diacono, op. cit., p. 442; Cedreno, tomo II, p. 353 e 360, ediz. di Bonn; Liutprando, Legatio, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 355, 356; Lupo Protospatario, anno 965, presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 55; Cronica di Cambridge, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 51, la quale è interrotta appunto al principio di questa impresa; Ibn-el-Athîr, anno 353, MS. B, p. 308 seg., C IV, fog. 361 verso; Abulfeda, Annales Moslemici, anno 336, tomo II, p. 448; Nowairi, presso Di Gregorio, op. cit., p. 16 a 18; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique ec., p. 170, 171, e Storia dei Fatemiti, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quater, tomo IV, fog. 21 recto, con la versione di M. De Slane, in appendice alla Histoire des Berbères dello stesso Ibn-Khaldûn, tomo II, p. 529 seg.; Hagi-Khalfa, Cronologia, anno 353, nella versione italiana del Carli, p. 63; Ibn-abi-Dinâr, MS. di Parigi, Supl. Arabe, 851, fog. 26 verso, e 37 verso, seg. Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo V, p. 306, 311 e 314, con incredibile sbadataggine, fa sbarcare e morire Manuele il 963; lo fa tornare in Sicilia il 964, e inventa nel 965 una guerra dei Cristiani di Girgenti, che sembra replica della rivoluzione del 938. Il Quatremère, nella Vita di Moezz, Journal Asiatique, IIIe serie, tomo III, p. 65 a 68, fa il racconto di questa impresa su i testi di Abulfeda e di Nowairi. Una lezione erronea del secondo, portò l'illustre orientalista a tradurre “Les Musulmans étaient animés par le sentiment de l'honneur” in vece di “entrarono nel proprio campo” come si ha di certo, confrontando il testo d'Ibn-el-Athîr.