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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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LIBRO QUARTO

CAPITOLO I

La tribù di Kelb,515 rampollo di Kodhâ'a, e però del ceppo himiarita, diè soldati agli eserciti che passavano in occidente al principio dell'ottavo secolo; occorrendo poco dipoi nella storia di Affrica e Spagna emiri kelbiti di gran fama,516 dei quali Biscir-ibn-Sefwân capitanò una correria sopra la Sicilia.517 Prevalsi poi in Affrica gli Arabi di Adnân, i quali in ogni modo abbassarono e calpestarono la schiatta di Cahtân, si vede tuttavia un capitano kelbita ucciso nelle guerre civili alla fin dell'ottavo secolo, ch'avea tenuto Mila presso Costantina,518 e però nei luoghi ove facea soggiorno la tribù di Kotama. Preso infine lo stato dalla casa modharita d'Aghlab, si dilegua il nome kelbita dalle storie, fino alla esaltazione dei Fatemiti; ai quali era ragione che si accostassero gli avanzi dei nobili arabi nemici della passata dinastia. Intanto uomini kelbiti aveano acquistato séguito, e forse stretto parentele, nella gente di Kotama, che amava ad arabizzare; poichè nei tempi appresso (986) veggiamo sceikh de' Kotamii in Egitto, capo connivente a loro insolenza e non dato al certo dai califi, un Kelbita della casa appunto degli emiri di Sicilia.519 Sia dunque in grazia dei Kotamii, sia della setta ismaeliana o d'altri servigi i Beni-abi-Hosein di Kelb furono ben visti a corte del Mehdi;520 Ali di quella gente, morì a Girgenti combattendo per Kâim;521 Hasan, figlio di Ali, guadagnò nuovi meriti appo Mansûr, come si è detto. Affidando a costui la Sicilia, Mansûr potea fare assegnamento, non meno su la fedeltà e il valor dell'uomo, che su le qualità della famiglia: nobile e però riverita dal popolo; nuova in Sicilia e però sciolta d'ogni legame con la parte aristocratica del paese.

Non occorre di esaminare la sognata concessione feudale della Sicilia ad Hasan, che si fondava su la versione erronea del testo d'un plagiario; e i moderni compilatori l'hanno abbandonata, conoscendo quanto ripugnasse agli ordini musulmani.522 In vece di quella impossibilità legale, il Martorana pensò che il califo fatemita, a un tempo con la elezione di Hasan, avesse ordinato il governo di Sicilia con titolo più illustre ed autorità più larga, accordando all'isola “un emirato suo proprio.”523 Ma veramente, nè il nome era nuovo, nè l'autorità. La prima cosa, l'oficio di wâli, che il Martorana crede inferiore a quel d'emiro, è il medesimo, semprechè si tratti d'una provincia; e vale tanto a dir wâli d'Africa, d'Egitto, di Sicilia, o simili, quanto emiro: e ciò in linguaggio comune al par che in linguaggio legale.524 In secondo luogo, nessuno scrittore fa motto di mutati ordini al tempo di Hasan;525 nessuno serba a lui ed ai successori il titolo di emir ed ai predecessori quello di wâli: fin dai principii del conquisto di Sicilia, son adoperati da sinonimi, or l'uno or l'altro, come portava l'uso della lingua e il capriccio dello scrittore; allo stesso modo che gli Aghlabiti or son detti wâli, ed or emiri d'Affrica. In fine, se per “emirato suo proprio” s'intenda governo che non abbracciasse altra provincia, la Sicilia se l'ebbe sempre sotto i Musulmani. E se voglia significarsi emirato con pien potere, oficio di wâli o emir generate, come lo chiamano i pubblicisti, la Sicilia l'ebbe senza interruzione fino all'ottocentosettantotto, e di tratto in tratto, nei settant'anni che seguirono infino al novecenquarantotto, quante volte i principi d'Affrica non poteano calpestare i coloni a lor talento.526 In ciò si dèe dunque correggere la sentenza. Da un'altra mano la si dèe spiegare alla più parte dei lettori. “Governo proprio” significava in Sicilia, venti o trent'anni addietro, un luogotenente del re di Napoli, albergato più o meno splendidamente nella reggia di Palermo, ed un'amministrazione civile, finanziaria e giudiziale independente dai ministri napoletani: il qual ordine bramavano que' Siciliani che non odiasser molto la dinastia regnante; e loro ne fu conceduta una sembianza che durò qualche anno. Donde “emirato proprio della Sicilia,” era frase grata a taluni e credo al Martorana, chiarissima a tutti nel paese; e nel nostro caso, rendea, propriamente o no, una idea giusta; poichè l'ordine del milleottocentrentadue somigliò molto a quello del novecenquarantotto, astrazion fatta dagli antecedenti e dalle conseguenze. Il Wenrich, non avendo alle mani tal cemento, si appigliò alla innovazione di titolo e d'autorità, ch'era la parte più debole del concetto di Martorana; vi persistè non ostante gli schiarimenti datigli dalla erudizione orientale; e con troppa fretta si cavò da cotesta esamina di dritto pubblico.527

 

La quale a me par molto piana. Il dritto musulmano ammette due forme di governo provinciale; autorità civile e militare raccolta in unica mano, o divisa. La prima forma, obbligatoria nei nuovi conquisti e nei paesi confinanti con Infedeli, fu adoperata necessariamente in Sicilia, dove i coloni la tiravano a independenza. Ibrahim-ibn-Ahmed, Mehdi e Kâim vollero provar l'altra forma; e non bastaron fiumi di sangue a farla allignare. Mansûr, più generoso, più savio, o che gli aprisse gli occhi la rivoluzione d'Abu-Iezîd, rinunziò al gusto di reggere la Sicilia, come un villaggio d'Affrica, dal suo sofà, e di espilarla a suo talento per commissarii: le rese il governo normale di grande provincia di confini, con mandarvi un vicerè, com'oggi si direbbe. Il qual fatto non fu, ne poteva essere, accompagnato da novello statuto, nè da novello titolo.528

Molto manco potea Mansûr istituire l'emirato ereditario. La successione del quale oficio in una famiglia si vede sovente nelle storie musulmane, dagli Aghlabiti d'Affrica infino agli odierni pascià d'Egitto, ma sempre nacque di fatto e durò con le sembianze di elezione che venisse dalla volontà del principe. Cominciò sempre da un emir temporaneo; finì sempre col fatto di novella dinastia independente; passando per una serie di vicende, che da una dinastia all'altra si assomigliano come le figure simili in geometria; procedono secondo unica legge; e danno agli occhi lo stesso aspetto. Morto Mansûr, pochi anni appresso la elezione di Hasan, i successori del primo non mutarono la famiglia degli emiri in Sicilia, perchè l'era potentissima a corte e governava l'isola tranquillamente. Quando poi i Kelbiti caddero in disgrazia al Cairo, i califi fatemiti si accorsero di non poterli sradicare dalla Sicilia. Perchè già era avvenuto il caso che nascea necessariamente dagli ordini sociali e politici dei Musulmani, come altrove accennammo. La nobiltà militare, i soldati mercenarii, i dottori erano avvinti alla famiglia kelbita dal saldo vincolo dell'interesse, per via degli stipendii e del patrocinio; la plebe nudrita con le scorrerie contro i Cristiani e le limosine in patria; l'universale soddisfatto delle entrate che s'investiano in comodo pubblico o di privati siciliani, degli edifizii che sorgeano, dello splendor d'una corte protettrice di begli ingegni, del reggimento condotto secondo i bisogni o il genio dei cittadini di Sicilia, non degli impiegati di Mehdia; soddisfatto delle colonie che moveano dal Val di Mazara a ripopolare le città della Sicilia orientale, a coltivarne le campagne o godersi i tributi di quelle ove rimanessero i Cristiani. Però non è a domandare se i Musulmani dell'isola volessero correre il rischio d'un governo d'uomini nuovi, che avrebbe potuto rimutar tutto e ricondurre i bargelli è i commissarii fiscali del tempo di Sâlem. Una volta che il califo fatemita il tentò, acconsentendo, com'e' pare, la casa kelbita per la promessa di maggiore stato in Egitto, i Siciliani corsero alle armi (969); e il califo non trovò altro modo di porre fine ai tumulti che d'inviare al più presto un emiro kelbita. In venti anni dunque era fondata di fatto là eredità dell'emirato, la quale premeva tanto ai Siciliani.

E però era già surto un principato di Sicilia: senza decreto nè plebiscito che potesse registrarsi dai cronisti, ognuno ormai sel vedeva. Ibn-Haukal, venuto in Palermo del trecentosessantadue (972-3), parla del palagio ove albergava il Sultano; la qual voce è usata già dagli scrittori del decimo secolo per designare principi di fatto, riconosciuti o no dal califo: e veramente ella ha valore radicale di violenza; e quando il tempo onestò la cosa e il nome e mutò questo in titolo pubblico, significò impero privo della sacra potestà dei califi.529 Sia che Ibn-Haukal abbia ripetuto la voce Sultano perchè la sentiva in Palermo, o che l'abbia detto dassè per definire l'ordine di cose che toccava con mano, l'attestato è di gran momento collimando con lo scopo della rivoluzione divampata in Sicilia tre anni prima, e col ritratto delle vicende che seguirono fino alla metà dell'undecimo secolo. Dal novecensettanta in poi non muovon d'Affrica nè d'Egitto eserciti che combattano in terraferma d'Italia, non che in Sicilia, insieme coi Musulmani dell'isola. I Siciliani, quando lor pare, depongono un emir kelbita e ne scelgono un altro nella famiglia. Che se il califo manda tuttavia al designato dall'emir predecessore, o dal popolo, un diploma, con le insegne dell'oficio e col titol sonante di Corona dell'Impero, Spada della Fede e simili, ciò significa soltanto che la Sicilia riconoscea pontefici i fatemiti. Nè monta il nome loro stampato nelle monete siciliane fino alla metà dello undecimo secolo. Abbiamo notato più volte che nel medio evo i Musulmani tenesser poco conto di tal regalia, sì gelosamente custodita dai principi cristiani. Inoltre il nome dei Fatemiti dava corso più largo al conio siciliano nei frequenti commerci con l'Affrica e l'Egitto, per la qual ragione non ebbero scrupolo a contraffarlo o imitarlo i principi longobardi di Salerno.530 Ma niuno sosterrà che l'isola obbediva al califo fatemita Daher o Zâhir (1021-1036) perchè v'abbian di lui e del successore tante monete battute in Palermo,531 quando i lor nomi non si ricordano punto nè poco nella sollevazione contro i Kelbiti; nè que' califi se ne dierono briga; nè pensò a loro la casa kelbita, nè alcuna delle fazioni che agognavano al potere dello Stato: anzi una parte che cercò aiuti di fuori, si volse agli emiri zîriti d'Affrica, minacciando, s'e' ricusavano, di chiamare a dirittura i Bizantini.

Aiutaron cotesta emancipazione della Sicilia, la potenza dei Kelbiti a corte, com'abbiam detto; il tramutamento della sede fatemita, da Mehdia al Cairo; le guerre orientali dei primi califi d'Egitto; la pazzia e debolezza degli altri; la emancipazione contemporanea dell'Affrica. Pur la cagione principale fu che i Siciliani voleano. Raro avvien che rimangano frustrati i popoli quando fermamente si propongano e tenacemente procaccino di scuotere il giogo: che se una generazione fallisca, per colpa propria o fortezza del nemico, un'altra coglierà il nemico sprovveduto e avvolto in alcuna delle brighe che non mancano mai agli oppressori; e vincerà, forse senza combattere. Il sangue sparso per sessant'anni, fruttò alla Sicilia che nel novecenquarantotto, col romor d'un tumulto, riebbe l'emir generale; e nel novecensettanta, con breve guerra, si sciolse dall'arbitrio del califo nelle elezioni: che è a dire salì al sommo grado di libertà d'un popolo musulmano. E prima vi sarebbe giunta la colonia, se non fosse stato per le divisioni etniche, municipali e sociali, che sempre la dilaniarono.

CAPITOLO II

Fin dalla morte del Mehdi, o vogliam dire dalla rivolta di Girgenti, l'impero bizantino non soddisfaceva il tributo di Calabria;532 le città assicurate di Sicilia lo avean anco smesso negli ultimi tempi. Ma, risaputo come Hasan dava sesto alla cosa pubblica, venne tosto in Palermo un frate a recare i decorsi di tre anni da parte di qualche città.533 Altre di Sicilia o di Calabria che nol fecero, furon punite dal novello emiro con aspre correrie; onde chiesero aiuti a Costantinopoli.534 Dove rimase inaspettatamente padrone il Porfirogenito, gli parve indegno della maestà imperiale pagar quel tributo ai Barbari. Sforzandosi, quanto il poteva un picciolo ingegno ed una natura inerte, a ristorare gli ordini della civiltà romana ch'egli avea studiato su i libri ed affastellato in sue compilazioni, Costantino Porfirogenito non lasciò da canto l'amministrazione militare, nè la disciplina; di che tornò qualche frutto all'impero, ed egli molto più se ne prometteva. E però mandava in Italia, in vece d'oratori col tributo, que' che gli parean capitani e soldati. I quali alla prima si diedero a maltrattare e taglieggiare i sudditi, peggio che non avrebbe fatto il nemico.535

 

Hasan, dal suo canto, com'ei seppe sbarcati i Bizantini ad Otranto, chiese rinforzi. Mandatigli da Mansûr settemila cavalli e tremila cinquecento uomini da piè, oltre i soldati d'armata e le navi da guerra e da carico, giugneano in Palermo, il due luglio novecencinquanta, condotti dal liberto schiavone Farag-Mohadded. L'esercito siciliano era in punto; sì che a' dodici luglio poderoso sforzo mosse per mare e per terra alla volta di Messina, sotto il comando di Hasan. Immantinenti, valicato lo stretto, assalirono Reggio, cui trovaron vota di abitatori. Hasan spargeva i cavalli a far preda intorno; andava egli col grosso delle genti all'assedio di Gerace; davale indarno aspri assalti; e già la riducea, tagliatole l'acqua da bere, quando ebbe nuove dell'esercito bizantino che venisse a trovarlo. Perlochè, composto coi Geracini e presone danari e statichi, raccolti i suoi, mosse contro i Greci; i quali precipitosamente si rifuggirono ad Otranto e Bari. Hasan, inseguendoli, poneva il campo sotto Cassano; infestava i dintorni. Combattuta per un mese la città senza frutto, e sopravvenuto l'inverno, fe' l'accordo come a Gerace; ripassò il Faro; lasciò l'armata a svernare nel porto di Messina; ed ei tornò alle stanze in Palermo.536 I patti di Gerace e Cassano sembrano tregua per un anno, comperata con una taglia che si pagava parte in contanti, e si davano gli statichi in sicurtà del resto.537

S'adunavano intanto in Calabria le armi bizantine, che l'anno innanzi o non eran tutte passate in Italia, ovvero avean osteggiato i dominii beneventani in Puglia, ove occuparon Ascoli.538 L'armata obbediva ad un Macrojoanni, o diremmo noi Giovanni il Lungo; l'esercito, che fu grosso se non valido, al patrizio Malaceno, col quale si accozzarono le genti di Pasquale stratego di Calabria539 Hasan, per comando del califo, riassaltava la terraferma in primavera del novecencinquantadue. L'otto maggio, che fu quell'anno tra i dì festivi alla Mecca, scontravansi i due eserciti sotto Gerace: della quale battaglia gli annali arabici dicono non essersi unque vista più aspra e fiera; gli annali greci attestano averne il nemico riportata nobilissima vittoria; e par torni a questo, che i Cristiani avean l'avvantaggio del numero, i Musulmani degli ordini e della fiducia nel capitano,540 il valore si pareggiava. Li sbaragliati poi, sfrenatamente fuggirono; inseguendoli i Musulmani infino a notte, con grande strage, cattura d'uomini, preda d'armi, cavalli, bagaglie: e a mala pena camparono il patrizio e lo stratego.541 Le teste degli uccisi mandate a trionfo nelle varie città di Sicilia e d'Affrica, come tuttavia porta il brutto costume degli Arabi. Hasan strinse d'assedio Gerace, che di nuovo fe' bella difesa, non ostante la mancata speranza d'aiuti. Pur Costantino mandava il segretario Giovanni Pilato all'emir di Sicilia; il quale, notano i Bizantini, non s'inebbriando nelle vittorie, assentì la tregua.542 Fermossi nella state del cinquantadue; e sembra limitata dapprima a Gerace, poi resa comune a tutti i luoghi di Calabria che obbedivano all'imperatore, e stipulatovi il solito patto del tributo e di più la tolleranza del culto musulmano. Uno stuolo mandato da Hasan saccheggiava intanto Petracucca, come par si chiamasse a quel tempo una grossa terra tra i capi di Spartivento e di Bruzzano.543 Altri assalivano un'altra terra, non sapremmo dir se Roseto su i confini della Calabria con la Basilicata, ovvero le isole di Tremiti, presso il Gargano:544 e si nota in questo medesimo anno saccheggiato il santuario del Gargano e infestati parecchi luoghi dello Stato di Benevento.545 I prigioni di Petracucca e di Roseto, o Tremiti, che furon molti; andavano di Sicilia in Affrica; e con essi, incatenato il capitano, del navilio musulmano, per nome Abu-Mehell; il quale, giunto a Mehdia, era punito con l'estremo supplizio. S'ignora il delitto: se infrazion della tregua, se peculato sul bottino; che è più verosimile.546

Mentre i suoi infestavano le costiere dell'Adriatico,

. Hasan, ritrattossi da Gerace a Reggio, apriva547 nel bel mezzo della città una moschea; cospicua al minaretto spiccantesi in alto da un angolo, perchè tutti il vedessero e ne sentissero la cantilena del muezzin. Stipulò in fatti libero ai Musulmani l'appello alla preghiera e ogni altro rito pubblico; che cristiano non mettesse mai piè nella moschea; che la desse legittimo asilo ad ogni musulmano, anche prigione di guerra ed anche fatto cristiano, al quale paresse di rifuggirvisi. E minacciò che, sapendo tolta, non che altro, una pietra della moschea di Reggio, farebbe diroccar le chiese cristiane per ogni luogo di Sicilia e d'Affrica. I quali patti, i Cristiani umilmente osservarono, scrive tutto lieto Ibn-el-Athîr; ignorando che la moschea di Reggio non durò oltre quattro anni.548 E preoccupato del gran dispetto degli Infedeli, passò sotto silenzio la vera importanza del fatto: il civil pensamento di Hasan ad usar la vittoria in favore del commercio, ch'era operoso al certo tra la Sicilia e la Calabria e molto più potea progredire con la tolleranza dell'islamismo a Reggio. Non guari dopo l'impresa di Calabria, venuto a morte Mansûr (marzo 953), e rifatto califo il figliuolo Abu-Tamîn-Ma'àd, che fu soprannominato Moezz-li-dîn-illah, l'emiro Hasan andava a corte a Mehdia; lasciato al governo della Sicilia il proprio figlio Abu-Hasan-Ahmed. E Moezz ratificava: il quale atto riferiscono i cronisti con parole diverse; ma la somma è che il califo lasciò l'emirato ad Hasan con sostituzione d'Ahmed in caso d'assenza e di morte.549 Segnalatissimo favore, da potersi comprendere col bisogno che avea Moezz del vincitor di Gerace per l'impresa d'Egitto, la quale poi si differì. Dovea forse combattervi l'esercito affricano, tornato di Calabria in Sicilia, il quale ripassò in Affrica poco dopo il viaggio di Hasan.550

Mentre si pensava a tal conquisto, l'emiro andò ad audace fazione in Spagna. Era occorso che spacciato un corriere di Sicilia in Affrica con lettere per Moezz, s'imbattè in una nave di mole non più vista in que' tempi, fatta costruire da Abd-er-Rahman califo omeiade di Spagna e mandata a mercatare in Egitto; le genti della quale detter di piglio piratescamente al legnetto siciliano, nè rispettarono gli spacci. Il che risaputo da Moezz, commetteva ad Hasan di far la vendetta con l'armata di Sicilia. Entrato nel porto d'Almeria, l'emir bruciò quanti legni v'erano; prese il naviglio che avea fatto l'insulto, tornato già d'Alessandria con ricche merci e giovani cantatrici per Abd-er-Rahman; poi sbarcò, messe Almeria a sangue ed a ruba; e salvo si ridusse a Mebdia. Due correrie delli Spagnuoli su le costiere d'Affrica mal rendeano la pariglia; essendosi combattuto con varia fortuna. Seguì l'assalto d'Almeria l'anno trecenquarantaquattro (26 aprile 955 a 13 apr. 956).551

Maggior guerra richiamò Hasan in Sicilia. La tregua coi Bizantini, era stata rinnovata il cinquantaquattro forse per altri due anni, venuto a ciò in Palermo un frate Assiropulo.552 Ma Costantino, mal soffrendo sempre il tributo, e rinfrancato dal valore che cominciavano a mostrare i suoi contro i Musulmani dell'Asia Minore, volle ritentar la fortuna in Italia. Mandovvi le soldatesche di Tracia e Macedonia col patrizio Mariano Argirio, e l'armata che ubbidiva a due capitani minori, Crambéa e Moroleone, il novecencinquantasei,553 quando spirava la tregua. L'Argirio cominciò da Napoli, notata allora a corte come ribelle e amica de' Musulmani per antichi e forse anco recenti patti: la strinse per mare e per terra; bruciò il contado; ridusse i cittadini a riconoscere la signoria bizantina finchè avessero il coltello alla gola. Varii luoghi dei principati longobardi e di Calabria, più o meno disubbidienti, si sottomessero del pari;554 e chi sa se coi voti, fors'anco con pratiche, non chiamavano i Musulmani? I quali non tardarono. 'Ammâr, fratello di Hasan, giunto d'Affrica con l'armata il nove agosto del cinquantasei, svernò in Palermo ed a primavera assaltò la Calabria.555 Non che correre il paese, par abbia dovuto afforzarsi 'Ammâr in qualche luogo; e chiamare in soccorso il fratello; vedendosi chiuso a settentrione dal grosso delle forze bizantine, mentre al suo fianco o alle spalle tentava audacissima fazione Basilio, protocarebo, o direm noi capitan di vascello, con un'armatetta. Sbarcato a Reggio costui distruggeva la moschea; poi risolutamente drizzava le prore al bel mezzo della colonia musulmana di Sicilia; prendea Termini a ventiquattro miglia di Palermo; assaliva indi la città di Mazara. Dove sopraccorso Hasan, l'emiro ebbe la peggio, e perdè molti de' suoi:556 pur Basilio se ne andò senza infestar l'isola altrimenti. L'anno appresso (958), Hasan con l'armata siciliana toccava le costiere di Calabria; congiungea le forze con 'Ammâr; e insieme andavano ad affrontare ad Otranto l'armata bizantina, capitanata da Mariano Argirio in persona. Dalle tre narrazioni, diverse e mutile, che abbiam di questa fazione, si ritrae come un gagliardo vento levatosi contro l'armata di Sicilia quando si veniva alle mani, desse agio al patrizio d'uscir di briga senza battaglia, e di prendere una nave musulmana imbattutasi tra le sue. Le altre, ricacciate dalla medesima tempesta vêr la Sicilia, la più parte fecero naufragio. I Siciliani poi si vantarono della fuga dell'Argirio; questi impiastrò a Costantinopoli che, aiutandolo il vento, avea distrutto e affondato tutte lor navi; un cronista bizantino, di cui s'ignora la età, scrisse che i Musulmani accampati a Reggio, mentre l'armata bizantina stava per passare d'Otranto in Sicilia, presi di timor panico, se ne tornarono a furia ed annegarono nei mari di Palermo. E in vero, se 'Ammâr avea le stanze presso Reggio, i cittadini dovean credere precipitosa fuga quel montar delle sue genti su le navi d'Hasan, delle quali poi si riseppe, non l'andata ad Otranto, ma il naufragio presso la Sicilia.557

In ogni modo, il patrizio nè assali L'isola, ne tentò altra impresa di che si faccia memoria. Hasan in men d'un anno rifece l'armata siciliana.558 Non è inverosimile, ma nè anco provato, che in questo tempo un'armatetta musulmana abbia osteggiato Napoli per parecchi dì, fatto prigioni, perduto la maggior nave in un assalto, e in fine assentito a lasciar tranquilla la città, prendendone taglia in moneta e vasellame d'oro e d'argento: e può credersi anco ch'alcun dei prigioni avesse visto in sogno San Gennaro e Sant'Agrippino, i quali gli promettessero il riscatto che poi seguì.559 Da miglior fonte sappiamo che seguirono avvisaglie: il novecensessanta preso dai Musulmani un Afrina o come che si chiamasse, capitan greco al certo, e dai Bizantini un Ibn-Baslûs e menato a Costantinopoli; il novecensessantuno venuto in Sicilia un legato bizantino che portava il gran nome di Socrate, il quale riscattò con danaro Afrina e gli altri prigioni di sua gente.560 La debole guerra finì con una tregua, fermata, com'ei pare, il medesimo anno, e durata infino all'esaltazione di Niceforo Foca.561

515Kelb, vuol dir “cane.” Questo nome d'un dei progenitori della tribù fu dato forse, come usavano gli Arabi avanti Maometto, pel caso d'essersi visto, o sentito abbaiare, un cane alla nascita del fanciullo.
516Libro I, capitolo VI, p. 135, nota 1, e p. 136 del primo volume. Si vegga anche Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, passim; Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte I, cap. 22, 32, 33, 35; Makkari, Mohammedan dynasties in Spain, versione del prof. Gayangos, tomo II, p. 41, 66.
517Libro I, capitolo VII, p. 171 del primo volume.
518Nowairi, Storia d'Affrica, in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, versione del baron De Slane, tomo I, p. 391.
519Makrizi, citato da Sacy, Chrestomatie Arabe, tomo I, p. 137.
520Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 15. La versione “tum quod de majoribus suis optime meritus fuisset,” si corregga: “ed anche per essere stati i maggiori di Hasan, fedeli servitori degli antenati di Mansûr.” Così evidentemente si risalisce al Mehdi.
521Veggasi il Libro III, cap. IX, p. 191.
522Sapendo male l'arabico e peggio il diritto musulmano, Marco Dobelio Citeron tradusse: “dedit insulam Siciliæ in feudum ec.,” negli estratti di Scehâb-ed-dîn-Omari, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 59. Il Di Gregorio sospettò l'errore, ibid., nota f; e con minore incertezza lo ha condannato il Wenrich, lib. II, cap. 230, p. 270, 271. Il fatto di cui nè l'uno nè l'altro si accorsero, è che il compilatore copiava Abulfeda, e che però abbiamo il testo arabico, quantunque siasi perduto il MS. di Scehâb-ed-dîn. Or Abulfeda dice meramente che Mansûr diè il waliato (ossia oficio d'emir) di Sicilia ad Hasan. Annales Moslemici, tomo II, p. 446, anno 336. Il Martorana scansò l'errore senza confutarlo.
523Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, tomo I, p. 92, II, p. 15.
524L'ho accennato, Libro I, capitolo IV, p. 147, del primo volume, e Libro III, cap. I, p. 5, del presente. Wâli, in rapporto di annessione con altri titoli di magistrato, significa altro. Emir, legato alla voce “esercito,” significa meramente “capitano.” In tempi più recenti si son chiamati emir tutti i discendenti di famiglia principesca ed anche que' di Maometto.
525Nè anco la Cronica di Cambridge, scritta al tempo dei Kelbiti. Pur fu questa che suggerì la distinzione al Martorana, poichè Hasan è il primo emiro di cui noti la elezione (948). Ma degli altri il cronista non la disse, ignorando forse la data; e in ogni modo ei ben dà il titol d'emiro a Sâlem (917-937).
526Veggansi: Libro II, cap. V, VI, VII, IX, X, e tutto il libro III. Prendendo a caso qualche esempio in Ibn-el-Athîr, si trova il titolo di emir di Sicilia negli anni 835, 851,882, 895, 925; frammessovi talvolta il titolo di wâli, e chiamandosi sempre l'oficio waliato. Così negli altri annalisti musulmani. Il Bâian dà nell'835 il titolo di Sâheb, del quale si è detto a suo luogo.
527Wenrich, Commentarii, lib. I, § 229, p. 269. I passi ch'ei cita dell'opera del barone De Hammer su la Costituzione dell'impero musulmano doveano farlo accorto del vero; tanto più che De Hammer gli forniva il nome di un emir di Sicilia nell'880; e che egli stesso ne avrebbe potuto vedere molti altri nei testi arabici. Ne uscì scrivendo: Utcumque vero rex se habuerit, id certe constat dignitatem illam in Hasani Calbitæ familia, hereditario quasi jure postmodum remansisse. E col quasi sdrucciolò su quell'altro intoppo dell'oficio rimaso per un secolo nella medesima famiglia.
528Lo stesso punto di diritto pubblico si trattò per l'Affrica propria nel 361 (971-72), allorchè Moezz, trapiantando la sede in Egitto, dovea non ristorare ma instituire l'emirato nella provincia. Proffertolo ad un Gia'far-ibn-Ali di schiatta arabica, questi domandò pien potere nella elezione dei magistrati, nell'amministrazione della finanza e in ogni altro atto di governo; senza obbligo di render conto dell'azienda nè di aspettare l'approvazione del califo per mandare ad effetto i provvedimenti. Moezz gli rispose in collera che volea farsi principe in vece di lui. Accomiatatolo, si volse al berbero Bolukkin, fondatore della dinastia zirita; il quale domandò al contrario che il califo eleggesse i magistrati, gli amministratori della finanza, i capitani delle milizie; che gli affari più rilevanti si trattassero in un consiglio degli oficiali pubblici; e ch'egli, Bolukkin, facesse eseguire le decisioni del Consiglio. Moezz scelse lo Zirita; dicendo pure a un suo fidato, che quegli andrebbe per via più lunga allo stesso scopo al quale Gia'far volea giugnere d'un salto. Makrizi, Kitâb-es-Solûk, versione presso Quatremère, Vie da calife fatimite Moezz; Journal Asiatique, (novembre 1836 e gennaio 1837), estratto, p. 87, 88.
529Adopero indistintamente Sultano e Soldano che son varianti di trascrizione; l'una secondo l'uso nostro d'oggi, l'altro come suonava agli orecchi dei nostri padri al tempo che le repubbliche italiane teneano i commerci del Levante. I principi ottomani seguendo le tradizioni dei principi turchi dell'Asia Minore e delle varie dinastie d'Egitto dopo Saladino, preferiscono tuttavia il titol di Sultano a quel di califo, ch'ebbero per cessione, al certo illegale, della seconda dinastia abbassida.
530Si veggan queste nell'opera di Domenico Spinelli principe di San Giorgio, Monete cufiche etc., Napoli 1844, un vol. in-4, p. 1, seg. Ma dubito di alcune, delle quali non mi sembrano ben trascritte le leggende.
531Si vegga la lista in Mortillaro, Opere, tomo III, p. 377, seg. Se ne aggiungano altre 14 che ve n'ha nella collezione del Cabinet des Médailles, a Parigi, e tre altre pubblicate dal sig. Federigo Soret, Extrait des Mémoires de la Societé imp. d'Archéologie, Saint-Petersbourg, 1851, p. 50, 51, ni 122, 124, 125.
532Cedreno, ediz. di Bonn, tomo II, p. 358.
533Ibn-el-Athîr, anno 336, MS. C, tomo IV, fog. 350 verso; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 167; i quali autori parlano di Rûm, e si deve intendere di que' soli di Sicilia, poichè Costantino ricusò di pagare il tributo per la Calabria.
534Ibn-el-Athîr, anno 340, C., tomo IV, fog. 353, verso. L'annalista qui dice Rûm di Sicilia; ma par si debba intendere di Calabria e di qualche città più forte di Sicilia, come Taormina e Rametta.
535Cedreno, l. c. È da credere, per men vergogna delle armi bizantine, che le dette forze fossero venute parte innanzi e parte dopo la state del 950. Cedreno, come ognun sa, non ricorda mai le date.
536Confrontinsi: Cronica di Cambridge, anni 6459-6460, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 49, 50; Ibn-el-Athîr, anni 336 e 340, MS. B, p. 263, seg., MS. C, tomo IV, fog. 350 verso, seg., e 353 verso; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 167, 168, dove in vece di Sire Doghous si legga stratego; e Storia dei Fatemiti, MS. arabo di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quater, tomo IV, fog. 18 verso, con la traduzione di M. De Slane in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo II, p. 529. È da avvertire che Ibn-el-Athîr narra i medesimi fatti con circostanze diverse, nei due capitoli del 336 e del 340. Così anche Ibn-Khaldûn nei due luoghi ch'io cito, il secondo dei quali contien parecchi errori. Ho tradotto salmerie la voce che la versione latina della Cronica di Cambridge rende cameli, aggiugnendo al testo un punto diacritico che non v'ha. In vero questa voce arabica non ha la forma che apparterrebbe al plurale di nave oneraria, o salmeria. Ma che andavano a fare i cameli nelle montagne e selve di Calabria?
537La Cronica di Cambridge dice di soli statichi, Ibn-el-Athîr di solo danaro; nè l'una nè l'altro particolareggiano i patti.
538La presa d'Ascoli è registrata da Lupo Protospatario, presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 54. La data ch'è del 950 par si debba correggere 951.
539Cedreno, l. c. Si vegga la nota 1 della pagina 242.
540Cedreno dice che il capitan musulmano, innanzi la battaglia, confortò i suoi a non temere un esercito ove i soldati erano maltrattati dai condottieri; alludendo alle taglie e ingiurie con che il patrizio e lo stratego aveano offeso i sudditi. Mi è parso di accettare il fatto morale, non il materiale del discorso di Hasan; il quale sembra dettato al Cedreno dall'arte rettorica con che si è scritta la storia per tanto tempo.
541Confrontinsi: Cronica di Cambridge, anno 6461, op. cit., p. 50; Cedreno, Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn, ll. cc; Lupo Protospatario, anno 951 presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 54, dove si legge: “Malachianus fecit prælium in Calabria cum Saracenis et cecidit.” Il giorno della battaglia si ricava da Ibn-el-Athîr, il quale lo dice diverso nei due racconti del 336 e del 340; che son d'origine evidentemente diversa. Nel primo è la festa di Aráfat ossia il 9; nel secondo quella del Dhohâ ossia il 10 di dsu-l-higgia; il qual divario vien forse dal conto astronomico che precede il civile di mezza giornata. Il nome del patrizio Μαλακένος, dato dal Cedreno, è trascritto nella Cronica di Cambridge M””l”gên o M””l”gân e in Lupo Malachianus. Novella prova del fatto da noi già notato, che in Sicilia il x si pronunziava c ovvero g, almen dal IX secolo in poi. In Puglia si rendea con l'antico suon latino ch.
542Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, e Cedreno, ll. cc. Ho notato sopra che Ibn-el-Athîr dia due narrazioni diverse di questa impresa dal 952. Le narrazioni differiscono anche sul modo della tregua; leggendosi nel cap. del 336 che entrato l'anno 341 (28 maggio 952), e stando Hasan tuttavia all'assedio di Gerace, venne a trovarlo un ambasciatore di Costantinopoli, col quale fece la tregua e passò indi a Reggio. Lo stesso autore, nel capitolo del 340, scrive che, assediata Gerace, fu fatta composizione per danaro, e che Hasan poscia mandò uno stuolo alla città di Petracucca. La tregua di Gerace fu dunque per la sola città, e si estese poi alla provincia; ovvero si fermò a Gerace per tutta la Calabria? In quest'ultimo caso si potrebbe supporre che Pietracucca fosse stata assalita, sia contro i patti, sia perchè non obbediva all'imperatore e però non entrava nella tregua.
543Il fatto è indubitabile, leggendosi nella Cronica di Cambridge e in Ibn-el-Athîr. Il nome nella Cronica è B tra”ûka, dove si potrebbe porre un f. ovvero un k al luogo che ho segnato con virgolette, mancandovi i punti diacritici. In ogni modo è inesatta la trascrizione e versione latina, dove le prime tre consonanti furono attribuite al nome geografico e delle altre si compose un avverbio, molto inopportuno. 1 MSS. d'Ibn-el-Athîr hanno B tr kûka. La stessa lezione si trova nel Mo'gem-el-Boldân di Iakût, il quale trascrive un passo d'Ibn-Haukal, che pone appunto B tr kûka tra Gerace e Reggio; e la menzione fattane in suo breve cenno prova che nel X secolo fosse terra importante per popolazione o commercio. Due secoli dopo Ibn-Haukal, Edrisi ha B tr kûna, secondo i MSS. di Parigi, i quali sendo di scrittura africana, vi si può leggere un altro k in vece della n senza far violenza al testo. Ed è nome, dice Edrisi, d'un fiumicello che mette foce a tre miglia dal capo Gefira (Zephyrium) e sei miglia da Bruzzano: come va corretta la versione di M. Jaubert, tomo II, p. 116, che salta queste e altre cifre di distanze. Invano ho cerco nelle carte e descrizioni della Calabria il nome moderno di questo luogo. Il sito risponde a Pietrapennata o Brancaleone, e si dèe supporre in monte, atteso quel nome di Petra. Cocca, cucco, e simili son voci di bassa latinità e bassa grecità, passate nell'idioma nostro e nei dialetti di Calabria e di Sicilia dove cucca significa civetta, coccoveggia.
544Nella sola Cronica di Cambridge troviamo dopo B trakûka l'altro nome geografico Rm t sa. Rametta in Sicilia non può essere; poichè la stessa Cronica scrive il nome altrimenti. Roseto e Tremiti mi sembrano le lezioni più probabili; la seconda delle quali s'accorderebbe con l'assalto al Gargano.
545Chronicon Sanctæ Sophiæ presso Muratori, Antiquitates Italicæ Medii Ævi, tomo I, p. 253. Gli assalitori poteano esser Cretesi; ma sembra più probabile che l'armata siciliana, dopo la tregua coi Bizantini, abbia infestato i dominii di Benevento
546Cronica di Cambridge, l. c., la quale porta questi fatti nel 6461 (1 sett. 952 a 31 agosto 953) quando forse Hasan fece ritorno in Sicilia. Il Rampoldi, tomo V, p. 284, anno 954, fa sequestrare il navilio siciliano, e condurlo in Affrica, cioè applica ai legni ciò che la cronica scrive del Capitano. Martorana e Wenrich lo seguono. È da avvertire che gli Annali arabici dan sempre Hasan come capitan supremo nelle due imprese del 951 e del 952. Coteste vittorie de' Musulmani in Calabria sono ricordate in termini generali da Iehia-ibn-Sa'îd, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 131 A, fog. 87 verso.
547Il testo dice fabbricò; par si debba intendere che acconciò ad uso di moschea qualche edifizio della città.
548Ibn-el-Athîr, anno 336, MS. B, p. 263; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 168, 169, dove per errore di stampa è detto: “El Haçan retourna alors à Kharadja où il bâtit etc.” In luogo di Kharadja, dèe dire Reggio, come nel testo arabico. Terminando il racconto di queste imprese di Hasan in Calabria, avverto averne escluso i fatti che si leggono dal 948 al 952 nella Cronica di Arnolfo e nelle interpolazioni alla Cronica della Cava, pubblicate l'una e le altre dal Pratilli, tomi III e IV; della quale impostura non diffidò sempre il Martorana, nè prima di lui il De Meo, Annali… del Regno di Napoli, tomo V, p. 288 a 325.
549Ibn-el-Athîr, anno 340, MS. C, tomo IV, fog. 353 verso, ed Ibn-Khaldûn, l. c., scrivono chiaramente che Hasan lasciò in luogo suo il figlio; ma è certo più esatto il linguaggio di Abulfeda, Annales Moslemici, tomo II, p. 446, anno 336, e di Ibn-Abi-Dinar, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 851, fog. 37 verso, dei quali il primo aggiugne che Moezz confermò Ahmed e il secondo, più precisamente, che lasciato da Hasan a reggere la Sicilia in sua vece Ahmed, il califo rinnovò l'atto di elezione in persona di costui. Abulfeda trascrive le parole d'Ibn-Sceddad, autore del XII secolo. Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 15, dice: “E Hasan chiese a Moezz che onorasse suo figlio Abu-Hasan col titolo di wali di Sicilia etc.;” come si dèe leggere la vece dell'erronea versione “a quo cum nobilissimus filius ejus etc.” La data esatta si trova anche in Abulfeda; secondo il quale Hasan era rimaso in Sicilia cinque anni e due mesi; e però la partenza per l'Affrica va posta in giugno o luglio 953.
550Cronica di Cambridge, presso Di Gregorio, op. cit., p. 50, anno 6462 (1 sett. 953 a 31 agosto 954).
551Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, anno 344, MS. B, p. 286; Abulfeda, Annales Moslemici, stesso anno, tomo II, p. 462; Ibn-Khaldûn, Storia dei Fatemiti, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quater, tomo IV, fog. 20 verso; Conde, Dominacion de los Arabes etc., parte II, cap. 85; Quatremère, Vie de Moezz nel Journal Asiatique, novembre 1836, serie III, tomo II, p. 404, dove è citato un altro luogo di Ibn-Khaldûn. L'armata che assalì la Spagna è detta siciliana da Ibn-Khaldûn nel primo dei passi citati. Conde scrive che vi fossero navi d'Affrica e di Sicilia, e dà altri particolari, cavati forse da autori spagnuoli; ma non ci possiam fidare alla sua critica nè alle sue versioni.
552Cronica di Cambridge, anno 6462 (953-54) presso Di Gregorio, op. cit., p. 50. Il nome è Asur b l s con la prima s del suono della ç francese. Sembra composto da Ασσύριος e ποῦλος che in greco moderno è desinenza patronimica; e però la voce intera sarebbe nome di persona o famiglia discendente da quella che i Bizantini s'ostinavamo a chiamare classicamente Assiria.
553La data del 955, che va corretta 956, si trova in Lupo Protospatario. Veggasi Muratori, Annali d'Italia.
554Confrontinsi: Theophanes continuatus, ediz. di Bonn, p. 453, 454; e Cedreno,. tomo II, p. 359; delle quali la prima, è cronica di corte e contemporanea; la seconda, compilazione del XII secolo e differente dalla cronica in molti particolari, non si sa dove attinti. Nè l'una nè l'altra metton date o riscontri cronologici. Quanto alla guerra coi Musulmani di Sicilia, gli annali arabi tacciono; nè abbiamo altra guida sicura che qualche cenno della Cronica di Cambridge, con che potremo interpretare la vaga rettorica e spesso bugiarda, de' due bizantini.
555Cronica di Cambridge, anno 6464 (956-7), op. cit., p. 50; Ibn-el-Athîr, anno 345 (14 aprile 956 a 2 aprile 957), MS. B, p. 289, scrive: “Quest'anno Hasan-ibn-Ali, sâheb di Sicilia, usci con grosso navillio contro il paese dei Rûm.”
556Ibid. Suppongo dai fatti seguenti la dimora di Ammâr in Calabria e la ritirata di Basilio dall'isola.
557Confrontinsi: Theophanes continuatus, ediz. di Bonn, p. 454, 455, e Cedreno, stessa edizione, tomo II, p. 359, 360; Cronica di Cambridge, l. c., anni 6466, 6467 (1 settembre 957 a 31 agosto 959). La Continuazione di Teofane dà evidentemente il rapporto oficiale del patrizio, con reticenze e confusione di tempi. Cedreno ci ha conservato l'altra tradizione, che non si trova nei cronisti contemporanei conosciuti da noi.
558Cronica di Cambridge, l. c.
559De Meo, Annali del Regno di Napoli, tomo V, p. 358, anno 958. Il solo mallevadore è l'autore anonimo degli Atti di Sant'Agrippino. Se il fatto si può ammettere, parmi abbia ragione il De Meo a porlo il 958 piuttosto che il 961, com'altri avea pensato.
560Cronica di Cambridge, l. c, anni 6468 e 6469 (i settembre 959 a 31 agosto 961). Il nome che trascrivo Afrina coi primi editori, è scritto senza punti: onde può esser composto delle lettere seguenti: 1. a o i; 2. f, k; 3. b, t, th, n, i; 4. idem; 5. a ovvero h aspirata.
561Cedrone, l. c.