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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I

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CAPITOLO VII

Basta a gittare uno sguardo su la carta geografica per comprendere come, occupata l'Affrica propria dai Musulmani, la Sicilia fu involta in continua guerra. Dapprima servì di scala alle spedizioni con che il governo bizantino provossi a difendere l'Affrica: in fatto s'adunavano in Sicilia le armate che ripigliarono Barca del seicento ottantotto, e Cartagine del seicento novantasette, come abbiamo narrato. Ma stanco l'Impero a sì pochi sforzi, e sconfitta da Hassân-ibn-No'mân la terribile reina dei Berberi, i Musulmani incontanente ripigliarono l'assalto, con infestar le isole italiane. Principiarono da Cossira, ch'oggi s'addimanda Pantellaria; isoletta ferace, spaziosa, comoda di porti, e situata, come pila d'un ponte che dovesse congiungere la Sicilia e l'Affrica, a sessanta miglia dalla prima e quaranta dalla seconda. Però Cossira fu, di tutti i tempi, luogo rinomato nelle guerre che si travagliarono tra i due paesi. Molti Cristiani d'Affrica vi s'erano rifuggiti, già il dicemmo, dalle armi musulmane, e, afforzatisi nell'isola, vissero sicuri finchè gli Arabi di quelle parti non ebber agio di pensare alle cose del mare. Ma verso il settecento dell'era volgare, Abd-el-Melik-ibn-Katân, venendo forse d'Egitto, andò a gastigare que' sudditi contumaci, come al certo li chiamavano i Musulmani; s'insignorì dell'isola, e ne spianò le fortezze. Mandavalo, al dire di Bekri, il califo Abd-el-Melik-ibn-Merwân:240 ed è evidente che questa fazione fosse il principio d'un gran disegno, attribuito da alcuni scrittori a Musa-ibn-Noseir.

Ed era di rinnalzare la potenza che la schiatta semitica avea fondato in quelle medesime regioni quindici secoli innanzi, la quale non avea ceduto che alla virtù di Roma. Narra un de' primi cronisti arabi che Musa, venuto a Cartagine, sentendo dir dai paesani berberi delle antiche imprese navali di quel popolo, si deliberasse a ritentare tal via;241 sì come poi occupata la Spagna gli lampeggiò alla mente di tornare in Oriente a traverso la terraferma di Europa; imitando e avanzando Annibale. Altri vuole che Hassân-ibn-No'mân, predecessore di Musa, avesse pensato già prima alla guerra navale; sì che per comando o assentimento del califo s'era cominciato a sgomberare il canale tra il mare e la laguna di Tunis, per acconciar questa a porto da guerra e farvi un arsenale:242 e avean messo mano a tai lavori, o alla costruzione delle navi, artigiani copti chiamati a posta d'Egitto,243 indifferenti o forse lieti di lavorare ai danni de' lor antichi signori bizantini. Qual che si fosse l'autore del disegno, il tempo in cui vi si diè principio si può circoscrivere a quattro o cinque anni tra il seicento novantotto e 'l settecentotrè; e la opportunità della scelta è evidente, poichè quella laguna sì difendevole assicurava l'armata musulmana dalle superiori forze navali dei Greci; oltrechè a Tunis non v'era sospetto, come a Cartagine, d'una popolazione cristiana che desse aiuto o almeno avvisi al nemico. Musa, se non cominciò, affrettò l'opera al certo; comandò di fabbricar cento navi;244 e non aspettò che fossero fornite,245 per muovere un assalto contro la Sicilia; istigandolo invidia e cupidigia, che poteano pur troppo sul grande animo suo.

Perchè un'armata egiziana era testè venuta, quasi sotto gli occhi del capitano d'Affrica, a far preda su le terre dei Cristiani. 'Atâ-ibn-Rafi', della tribù di Hudseil, condottiero dell'armata, proponendosi d'assalire la Sardegna, era entrato nel porto di Susa a far vettovaglie; quando ebbe lettere di Musa, che l'ammonivano ad aspettar la primavera e non affrontar le tempeste di quella stagione; ch'era, credo io, l'autunno del settecentotrè. Odorandovi l'invidia, 'Atâ non dette ascolto al consiglio, e salpò, e giunse ad un'isola di Silsila, come leggiamo nel MS. unico d'Ibn-Koteiba: sia che gli Arabi d'allora abbian dato tal nome a Lampedusa o altra isoletta vicina; sia, come parmi più probabile, che si tratti della Sicilia e i copisti n'abbian guasto il nome. Gli Arabi d'Egitto fecervi grosso bottino d'oro, argento e gemme; ma al ritorno, un turbine di vento li colse presso le costiere d'Affrica: onde molte navi perirono, tra le quali quella di 'Atâ; altre qua e là arenarono. E Musa, risaputolo, mandava incontanente una man di cavalli a percorrere le spiagge; prendere i legni e i marinai campati al naufragio; e condurre gli uni e gli altri nell'arsenale di Tunis246. Entrato poi l'anno ottantacinque dell'egira (13 gennaio a 31 dicembre 704) Musa bandisce la guerra sacra sul mare; dà voce ch'ei vi andrà in persona; trasceglie i più arrisicati e forti uomini dell'esercito e il fior della nobiltà araba, e li fa montare su l'armata; che niuno ne rimase in terra, al dir dei cronisti. Quando le navi erano in punto di salpare, Musa si fe' recare l'insegna del comando, e inaspettatamente l'annodò alla lancia che tenea in mano Abd-Allah suo figliuolo; affidando alla fortuna del giovane questa che fu la prima impresa navale dei Musulmani d'Affrica, e che addimandossi la spedizione degli illustri, per la chiara fama de' guerrieri che v'andarono. Sbarcarono del settecentoquattro in Sicilia, ove presero una città della quale non sappiamo il nome; ma solo che, scompartito il bottino, toccassero cento dinâr d'oro a ciascuno, che vi si contavano tra novecento o mille uomini;247 onde la somma, aggiuntavi la quinta del principe, torna quasi ad un milione e settecento mila lire.248 Non andò guari che Musa fe' uscir di nuovo l'armata d'Affrica sotto A'iiâsci-ibn-Akhial, il quale irruppe in Siracusa (705), dicono i cronisti arabi, forse nella parte della città che rimaneva in terraferma, ovvero in qualche sobborgo, e tornossene sano e salvo e con gran preda.249

 

L'anno poi che principiò la guerra di Spagna (710), Musa mandò le navi in Sardegna; all'arrivo delle quali gli abitatori della città capitale non trovaron altro riparo che di gittare in fondo al porto tutto il vasellame d'oro e d'argento, e nascondere il danaro e le minutaglie più preziose nella cattedrale, tra le tegole e il soffitto. Ma, occupata la città, un Musulmano, bagnandosi in mare, inciampava in un piatto d'argento; un altro, saettando una colomba che svolazzava nella chiesa, colse un'asse del soffitto, onde caddero alquante monete d'oro: così, al dir dei cronisti musulmani, si scopersero i tesori occultati. Stendonsi poi nel narrare le magagne dei soldati che saccheggiando frodavano la parte del califo, del capitano e dei compagni; onde, per timore d'esser frugati nei panni, chi spezzò la lama della scimitarra per nasconder l'oro nel fodero, rimettendo l'elsa al suo luogo; chi sparò la carogna d'un gatto e ripiena di danaro la gittò dalle finestre d'un palagio, per ripigliarla all'uscita. A tal corruzione generale mescolavansi i terrori religiosi, e non la frenavano. Rimontati in mare i predoni, dice Ibn-el-Athîr, udissi una spaventosa voce: “Sommergili, o Dio!” e incontanente il mare tranghiottiva que' ribaldi; e, come ad accusarli, rigettava su la spiaggia i cadaveri con le cinture zeppe di moneta.250

Per dieci anni l'ardente cupidigia dei soldati e dei capitani si sfogò in Spagna; indi si volse di nuovo ai nostri paesi; poichè sappiamo che Mohammed-ibn-Aus, oriundo di Medina,251 avea fatto preda e prigioni in Sicilia l'anno settecentoventi, quando, tornato in Affrica, fu preposto al governo in luogo di Iezîd, ucciso dai Berberi, come sopra accennammo. Il movimento poi di questi popoli ammorzò l'impeto degli Arabi contro la Sicilia. L'isola fu assalita il settecentoventisette da Biscir-ibn-Sefwân della tribù di Kelb, capitano d'Affrica, il quale tornò con gran copia di prigioni;252 ma par trattasse col governatore bizantino un accordo che poi non si fermò, o non si osservò.253 Venuto a morte Biscir, e succedutogli 'Obeida-ibn-Abd-er-Rahmân della tribù di Soleim, tentava la Sicilia con parecchie spedizioni. L'anno medesimo ch'ei capitò in Affrica, che fu il centodieci dell'egira (15 aprile 728 a 3 aprile 729), mandò in corso con l'armata un Othman-ibn-abi-Obeida; il quale sbarcato in Sicilia spiccava una schiera di settecento uomini, condotta dal proprio fratello Habîb; e questi, scontratosi col patrizio bizantino, lo ruppe e messe in fuga. Onde 'Obeida, con maggior disegno, l'anno appresso (4 aprile 729 a 24 marzo 730), allestiva centottanta barche, e inviavale a dirittura in Sicilia con Mostanîr-ibn-Habhâb; il quale per incapacità o sventura frustrò le speranze del capitano d'Affrica. Posto l'assedio ad alcuna città, tanto aspettò che sopravvenne l'inverno; e allora, partitosi con prosperi venti, ma assalito da una tempesta nel tragitto, perdè per naufragio tutta l'armata, da diciassette barche all'infuori; in una delle quali egli stesso approdava a Tripoli. Il che risapendo 'Obeida, volle dare, dice il suo biografo, un gastigo a Mostanîr e uno esempio agli altri. Commise a Iezîd-ibn-Moslim, governatore di Tripoli, di mandargli incatenato sotto buona scorta il condottiero che avea fatto perire per oscitanza i Musulmani; e avutolo in Kairewân, lo fece frustare sopra un'asina per la città; poi per lungo tempo vergheggiarlo ogni settimana; e sì il tenne in prigione finch'ei resse la provincia.254 Thâbit-ibn-Hathîm di Ordûnn in Siria nel centododici (25 marzo 730 a 13 marzo 731), e Abd-el-Melik-ibn-Katan nel quattordici (2 marzo 732 a 19 febbraio 733), vennero anco a far bottino e prigioni in Sicilia, e salvi se ne tornarono in Affrica; al par che Abd-Allah-ibn-Ziâd, che infestò il quattordici stesso la Sardegna. Ma l'anno appresso (20 febbraio 733 a 8 febbraio 734), Abu-Bekr-ibn-Soweid, mandato da 'Obeida in Sicilia, perdeva alquante navi, distrutte dal fuoco che lanciaronvi i Bizantini.255 Infelice al paro un'altra impresa, ordinata il cento sedici (9 febbraio 734 a 29 gennaio 735) da 'Obeid-Allah-ibn-Habhâb, il quale passò allora dal governo d'Egitto in Affrica, in luogo di 'Obeida che gli avea sì crudelmente svergognato il fratello. Le genti di 'Obeid-Allah che venivano sopra la Sicilia, imbattutesi nell'armata greca, ebbero dura battaglia e d'esito incerto; poichè i Greci sconfitti recaron seco loro molti prigioni musulmani; e tra gli altri un Abd-er-Rahmân-ibn-Ziâd, il quale non fu liberato innanzi il centoventuno (739). Del centodiciassette (735), 'Obeid-Allah facea depredar di nuovo la Sardegna da un nipote del famoso 'Okba-ibn-Nafi' per nome Habîb-ibn-'Obeida, chiaro anch'egli per vittorie su le remote rive dell'Atlantico e in cuor del continente affricano, nel Sudân.256 Intanto, ingrandito l'arsenale di Tunis e apparecchiate assai maggiori forze che per l'addietro, e fattene venire anco di Spagna, 'Obeid-Allah le affidava ad Habîb, e scagliavale un'altra fiata su la Sicilia, con evidente disegno di conquisto. Sendo l'Affrica aspramente turbata a quel tempo, pare che il governatore musulmano si fosse deliberato alla impresa allettato da pratiche che avesse in Sicilia, ove Leone Isaurico tormentava troppo le coscienze e le borse dei popoli.

Sbarcato Habîb del centoventidue (740), e afforzatosi com'ei pare in un campo, come soleano fare i Musulmani quando prendeano ad occupare alcun paese, mandava intorno i cavalli col proprio figliuolo Abd-er-Rahmân; il quale ruppe quanti gli veniano allo scontro, e corse vittorioso in Sicilia, dicono i cronisti musulmani, più largamente che niun altro condottiero. Appresentatosi sotto le mura di Siracusa, Abd-er-Rahmân sconfisse le genti uscite a combatterlo; strinse d'assedio la città, e spirovvi tanto terrore, che un dì potè cavalcare egli stesso fino ad una porta, e percossala con la spada in atto di minaccia, lasciovvi il segno. Calaronsi infine i cittadini a pagar una taglia. Doma la capitale, Habîb volgeasi a soggiogare il rimanente dell'isola; quando fu premurosamente richiamato in Affrica, ove i Berberi s'erano sollevati di nuovo, cogliendo appunto il destro di questa impresa di Sicilia.257 L'isola dunque fu salva mercè quella ribellione.

 

In mezzo alle fiere vicende che poscia intervennero in Affrica, Abd-er-Rahmân, occupata questa provincia, come altrove s'è detto, ripensò alla Sicilia. L'anno centotrentacinque (17 lug. 752 a 5 lug. 753), allestita un'armata e gastigati i Berberi di Telemsên, andò in persona, o, com'altri vuole, mandò il proprio fratello Abd-Allah all'impresa di Sicilia e poi di Sardegna; nelle quali fu fatto molto guasto e stragi e preda e prigioni: durevoli acquisti no; non concedendolo le deboli fondamenta della dominazione d'Abd-er-Rahmân in Affrica. Il governo bizantino potè quindi, avvertito da tal nuova minaccia, afforzare validamente le due isole, e massime la Sicilia che più gli premea; rizzare un castello, così scrivono i Musulmani, sopra ogni roccia atta a difesa; e ordinare un'armata che guardava que' mari, e quando il potea, corseggiava sopra i mercatanti musulmani.258 Tra così fatti provvedimenti e le turbolenze che non cessavano in Affrica, la Sicilia ebbe respitto dai Musulmani più di mezzo secolo.

Le ultime incursioni erano state aggravate da una crudele pestilenza. Già fino dal settecentodiciotto avea menato strage nell'armata del califo che assediava Costantinopoli.259 Proruppe indi in Affrica dal settecentoquarantaquattro al settecentocinquanta,260 e verso il medesimo tempo in Sicilia e Calabria, donde si credè che si appigliasse alla Grecia; e del settecentoquarantotto spopolò Costantinopoli e il Peloponneso,261 mentre non men fiera ardea tra il Tigri e l'Eufrate.262 Nei paesi cristiani commossi allora dalla lite delle immagini, non si potea far che cotesta calamità non le fosse apposta. E perchè gli Iconoclasti, distruggendo ogni altro obietto di culto, serbavan la sola croce, il volgo ortodosso la prese in uggia: vide apparire, su le vestimenta, le case e i tempii, crocette negre a migliaia, non più simbolo di riscatto, ma segno di pestilenza e marchio dell'ira divina.263

Si rannoda infine alle scorrerie de' Musulmani nel bacino centrale del Mediterraneo un episodio di storia letteraria, di assai momento nella penuria di quella età. Narra una leggenda che tratta a Damasco una torma di prigioni cristiani delle isole, mentre altri era venduto, altri, non sappiamo perchè, serbato al patibolo, notavasi tra loro un bel giovane italiano per nome Cosimo, al quale i miseri compagni si gettavano ai piè, chiedendo li raccomandasse a Dio. I Barbari, che non comprendeano perchè tanto si onorasse un uomo di sì poca età e povero aspetto, maravigliati lo interrogavano dell'esser suo; ai quali rispondea, sè esser frate e dotto in filosofia cristiana ed antica: e in ciò dire gli si empiean gli occhi di lagrime. “E perchè piangi, tu, che hai ripudiato ogni bene di quaggiù?” domandollo allora un cittadino fattosi innanzi. E Cosimo a lui: “Altro non m'accora,” rispose, “che d'avere studiato indarno. Ho speso la gioventù,” continuava, “ad apprendere rettorica, dialettica, morale, fisica, aritmetica, geometria, musica, astronomia, teologia greca e teologia nostrale: ma a che pro, se or debbo morire oscuro, senza che abbia a chi lasciare tal retaggio?” – “Datti pace, o fratello, che ti troverò io gli eredi” replicò il cittadino, ch'era cristiano, facoltoso, grato al califo, e padre del giovanetto Mansur, notissimo poi sotto il nome di San Giovanni Damasceno. E il buon uomo, comperato immantinente il prigione, lo emancipò, e affidògli il figliuolo e un altro fanciullo che avea adottato; i quali felicemente apparavano le dottrine del maestro, e il primo ne salì a quella fama che ognuno sa. Tanto leggiamo nella vita del Damasceno stesa due secoli appresso, sopra certi ricordi arabici;264 e, stralciando gli ornamenti del compilatore, non v'ha ostacolo ad accettare il fatto. Secondo la ragion dei tempi, torna ai primi anni dell'ottavo secolo; ond'ei pare che il monaco Cosimo fosse caduto in man dei Musulmani in Sicilia, forse nella spedizione degli illustri ricordata di sopra; dopo la quale ei sarebbe stato condotto al califo, tra i sessantamila prigioni che gli mandava Musa conquistatore dell'Occidente. Rinforzano tal supposto le frequenti comunicazioni, e potremmo dire la promiscuità che correa tra i monasteri di Sicilia e que' della terraferma independente dai Longobardi, negli ultimi venticinque anni del settimo secolo.

CAPITOLO VIII

Mentre la potenza musulmana, sviluppandosi in Affrica, costringea gli imperatori d'Oriente a pensare alla difesa della Sicilia, succedeano nella penisola italiana non men gravi mutamenti di Stato. I Longobardi, tra per que' loro sciolti ordini politici e per la pochezza del numero, s'erano rimasi ai primi conquisti, e minacciavano le altre provincie, senza poterle opprimere. Gli imperatori bizantini dal canto loro le reggeano senza poterle difendere; non avendo esercito da mandare in terraferma d'Italia, nè altro che rescritti, governatori, officiali, qualche man di scherani, e ad ora ad ora un po' di forze navali. Pertanto tollerarono, o promossero, l'ordinamento delle milizie cittadine; lasciaron fare i municipii, che guadagnavan indi tutta l'autorità perduta dal principato; e a poco a poco la schiatta italica delle dette regioni ripigliò l'uso delle armi e della vita politica, e aperse la prima era dei nostri comuni. Roma primeggiò tra quelli, perchè era Roma; e perchè da San Gregorio in poi vi s'eran fatti come presidenti del municipio i papi, la cui riputazione crescea sempre più tra la rozza gente germanica, e toccavano quasi al primato su tutte le chiese di Ponente.

Il novello elemento nazionale surto così in Italia, si provò contro il governo bizantino, oppressore senz'armi, e, per giunta, molestissimo con que' suoi ghiribizzi teologici che poco assai si confaceano alla natura italiana. Attizzò il fuoco la Chiesa di Roma, rivale antica di quella di Costantinopoli, e osante ormai disputare agli imperatori l'uficio di pontefice massimo. Per tal modo lo antagonismo nazionale tra Italiani e Greci, prese forza e sembianza d'antagonismo religioso, ch'è tra tutti violentissimo. Ma al Sacerdozio solo profittò; nocque all'Italia, ch'era scissa tuttavia tra due genti: latina e longobarda; e i Latini, per loro malanno e nostro, non vedean altra stella polare che il papa.

La resistenza cominciò da Roma, ove il popolo non avea perduto nè la vigoría nè l'orgoglio; ma scarso, ozioso e povero, appena gli parea vero che un magistrato eletto da lui fosse riverito ancora in tanta parte del mondo, e ne cavasse un tributo, il frutto cioè dei patrimonii, con che il papa nutriva gli indigenti della città, manteneva una torma di officiali sacri e profani, ed accrescea lo splendore dei tempii che attiravano tanti stranieri. Per la gratitudine e interesse dei Romani, Costante avea durato fatica a compiere l'attentato sopra papa Martino. Parecchi anni appresso, il mero sospetto che un esarco venuto di Sicilia a Roma volesse offendere il papa, bastò per far levare a romore le milizie della città, e accorrere in arme quelle della Pentapoli e di Ravenna, che ai conforti del papa poi si ritrassero (702). Ma, sguainate le spade là dov'eran tante ire, non tardò a scorrere il sangue. Il patrizio Teodoro, passato anche di Sicilia con l'armata a Ravenna, fece a tradimento una efferata vendetta sopra que' cittadini; dond'essi confederaronsi coi Romani e con le città dell'esarcato (711); e côlto il destro che l'imperatore Filippico tentasse di ridestare la eresia monotelita, il senato e popol romano, con sembianze dell'antica magnanimità, decretavano disdirgli l'obbedienza, metter giù le effigie dello imperatore, e ricusar la moneta battuta a suo nome (712). Nondimeno, deposto Filippico, il movimento italiano sostò per la prudenza o debolezza degli altri imperatori, e per la dubbiezza dei papi che ripugnavano, come per istinto, a fondarsi in sul popolo.

Ma salito all'impero Leone Isaurico, mosso non da persuasione teologica, nè dai consigli degli Ebrei e de' Musulmani come scioccamente si è ripetuto, ma da saviezza d'uomo di Stato, ei si provò a una grande riforma. Vedendo consumare l'attività dei popoli tra le ubbie religiose, dentro i chiostri e fuori, e abbandonare l'industria e la milizia, Leone pensò di stornarne gli animi, togliendo dinanzi agli occhi del volgo le immagini di Santi, le quali lo stimolavano a quelle fissazioni, e aumentavano la riputazione, i guadagni, e però anco il numero dei frati. Così diè principio alla eresia degli Iconoclasti; la quale meglio si direbbe guerra del principato contro la superstizione; raro esempio nel mondo. E il principato questa volta restò di sotto. Perchè nelle provincie orientali, ove il clero più gli obbediva, durò la riforma un secolo e un poco più, finchè la opinione dell'universale non strascinò teologi e principi al suo cammino. Ma in Italia gli umori religiosi trionfarono immediatamente, perchè li rincalzavano le condizioni politiche; e perchè la quistione delle immagini era tale che il volgo benissimo la comprendea, vedendo e toccando con mano i numi tutelari che gli volea rapire un despota greco. Pertanto, promulgato il primo editto di Leone (726), Gregorio Secondo, uomo di alti spiriti quanto lo imperatore, destò un incendio: e i successori di Gregorio non lo lasciarono spegnere. Diersi i papi a sollevare i popoli; a promuovere la lega delle città italiane independenti dai Longobardi; a chiamare in aiuto i re di questa nazione, che volentieri colsero il destro d'ingrandirsi. La guerra si ruppe sotto specie di difendere la religione; e i papi fecer le viste di volersi rimanere a questo, e serbare l'obbedienza agli imperatori.

Ma tal finzione legale svanì dopo le prime vittorie della confederazione italiana. Perchè, assicurati da quelle, i papi presto dimenticarono e lo scopo della guerra, e che il Vangelo non concedesse ai sacerdoti altr'arme che il pastorale, nè altra dote che le limosine dei fedeli. Vollero le spoglie opime dei vinti; vollero, non che rendite e tesori, anco il principato: e il partaggio della preda si onestò col nome di donazione di molte città tolte ai Bizantini, che re Luitprando offerisse ai Santi Pietro e Paolo. Poi, pentitisi i principi longobardi di sì larghe concessioni, i successori degli Apostoli per mantenerle, lanciarono l'Italia in uno abbisso: impotenti con le armi, dettero principio a quella torta politica che da indi in poi non hanno mai più smesso. Chiamarono i Franchi ortodossi contro gli ortodossi Longobardi; li aizzarono tuttavia a spogliare i Bizantini che desisteano dall'eresia; sciorinarono tra le tenebre dell'ottavo secolo la falsa donazione di Costantino, per ottener più liberali le donazioni di Pipino e di Carlomagno; confusero ad arte con la signoria politica il dritto di proprietà di qualche podere; e tristo quel paese ove si contasse San Pietro tra i benestanti; che il papa stendeavi la mano a nome del principe degli apostoli. Così San Pietro divenne re di belle e buone provincie d'Italia; le quali, scorciate di qua, estese di là, disputategli dalle tre possanze che si sono avvicendate poscia in Europa, dai baroni, dai monarchi e dal popolo, lacere, frementi, insanguinate, ei tiene ancora. Nè andò guari che compissi anco a nome di San Pietro il terzo fatto, fatale all'Italia quanto il conquisto dei Franchi e quanto la dominazione temporale del papa; dico la creazione dell'imperatore d'occidente: il qual titolo per tanti secoli bastò a tenerci divisi, attirar di qua dalle Alpi le armi straniere, e dar forza al papato e quando gli imperatori patteggiavano per esso, e quando lo combatteano.

L'Italia uscì da questa rivoluzione dell'ottavo secolo divisa nel seguente modo. Tennero il settentrione i Franchi col nome di Regno d'Italia; il papa lo Stato odierno della Chiesa, aggiugnendovi parte della Toscana e altre città, e togliendone Roma con un po' di territorio infino al mare; la quale serbò forme di repubblica, e fu dominata di fatto dai papi e dagli imperatori d'Occidente.265 Rimasero agli imperatori bizantini la Sicilia, la Calabria, Terra d'Otranto e una signoria nominale su le repubbliche sorte nel movimento nazionale di quel secolo, ma non gittatesi nella ribellione papale; come Venezia coi contorni, Napoli e poche altre città della costiera.266 Sopravvisse alla dominazione longobarda lo Stato di Benevento che prendea il resto dell'odierno reame di Napoli; e riconobbesi vassallo di Carlomagno, ma poi si sciolse dall'obbedienza. La Sardegna e la Corsica abbandonate dai Bizantini, infestate dai Musulmani, sperando uscire di briga, si assoggettarono ai novelli re d'Italia; i quali dettero qualche aiuto, poi, non potendo, le lasciarono a lor sorte: e gli abitatori di quelle isole, poveri e valorosi, per due secoli si salvarono dal giogo degli Arabi, non dalle infestagioni, e rimasero privi dell'incivilimento musulmano non men che di quello che si sviluppò in Italia.267

Nel quadro che qui mi son provato ad abbozzare, v'ha una parte che vuolsi descrivere più particolarmente; ed è l'ambizione dei papi dell'ottavo secolo sopra le parti meridionali d'Italia, e sopra le isole. Cotesto disegno fu iniziato da Adriano Primo; continuato più occultamente da Leone Terzo; lasciato dopo la morte di Carlomagno; ripigliato nello undecimo secolo, è pressochè mandato ad effetto nel decimo terzo: di che resta, ultimo avanzo, ai dì nostri, la dominazione pontificia a Benevento. Il governo bizantino di Sicilia, s'oppose com'e' poteva a quelle usurpazioni. Io lascerò indietro le brighe dei patrizii coi papi, che seguirono nei principii dell'eresia iconoclastica, quando i legati di Roma agli imperatori eran sovente ritenuti in Sicilia (a. 731-732): tiri di polizia, non di politica. Ma venuti in Italia i Franchi, e voltisi però gli imperatori bizantini alla lega coi principi longobardi, antichi nemici loro, il primo partito che si presentò fu di accozzare le forze contro il novello nemico comune. Indi l'accordo trattato (758) per lo assedio d'Otranto, al quale doveano trovarsi le genti di re Desiderio e i dromoni di Sicilia.268 Indi la passata d'un potente navilio di Costantinopoli, che insieme con l'armata di Sicilia (764) si mostrò su le costiere di terraferma,269 a fin di cooperare coi Longobardi; il che poi non si mandò ad effetto. E dopo la prima impresa di Carlomagno e la caduta del reame longobardo (774), fuggitosi Adelchi a Costantinopoli, il patrizio di Sicilia ebbe in mano le fila di quante pratiche ordivansi in terraferma contro la novella dominazione. Perchè Adelchi, con lo irrequieto suo valore e ardenti speranze, dava opera a muovere i feudatarii longobardi soggiogati; ricordava l'onore e gli interessi del comun sangue ad Arigiso duca di Benevento, rimaso indipendente fin allora; e stigava alla guerra la pigra corte bizantina, mostrandosele tutto devoto e pronto a grecizzare egli e tutti i Longobardi, tanto che per arra ei prese il greco nome di Teodoto. Donde gli imperatori, tra la voglia e il sospetto, necessariamente provvidero che il ministro loro in Sicilia aiutasse e vegliasse que' principi cospiratori. Le pratiche si riscaldarono quando Arigiso fu sforzato a dirsi vassallo di Carlomagno, e papa Adriano, gustate le dolcezze dei dominio temporale, pensò ad allargar i confini meridionali del nuovo Stato.

Perchè veggiamo che mentr'ei piativa con Carlomagno per questa e quell'altra città dell'Italia di mezzo, noverata nella donazione e ritenuta pure in man dei Franchi; mentre allegava qua una ragione e là un'altra, e fin le testimonianze di vecchi centenarii, per provare agli oficiali del re che San Pietro avesse tenuto ab antico tale e tal possessione,270 Adriano ebbe ricorso ad argomenti più persuasivi. Con la riputazione di San Pietro, coi titoli di proprietà del principe degli apostoli, e le armi materiali levate nel santo suo nome, aggiuntovi solo la riputazione e un po' di rinforzi di re Carlo, Adriano si promettea di spogliare i nefandissimi Napoletani, i nefandissimi Beneventani e i Greci odiati da Dio, e sgarare il nefandissimo Adalgiso e il nefandissimo patrizio di Sicilia: chè con questi predicati, nè caritatevoli nè decenti, li vien chiamando il vicario di Cristo, scrivendo di loro a Carlomagno.271 In una lettera a chiare note gli dicea voler soggiogare quei paesi “al servigio del Beato Pietro principe degli apostoli, di re Carlo e suo proprio.”272 Indi è manifesto il baratto, forse una novella partizione d'Italia, che venía proponendo quel grande intelletto di Adriano, al grande intelletto di Carlomagno. Adriano volea dal re le altre città pretese nell'Italia di mezzo, e gli aiuti di gente; offriagli in contraccambio l'alta signoria delle provincie meridionali, da occuparsi a nome e per dominio utile della sede di Roma.

E perchè Carlo, involto in tante altre guerre, non potè o non volle, Adriano cominciò a far da sè solo, adoperando quelle armi che seppe accozzare, e le lingue e gli orecchi dei vescovi di Napoli e di Gaeta. Sotto pretesto di ricuperare certi poderi di San Pietro nel territorio di Napoli, confiscati tanti anni addietro dagli imperatori, occupò nel settecento ottantasette Terracina: sì invogliato d'andar oltre, che non volle ascoltare proposizioni di tregua; ch'ei ritenesse cioè Terracina e accettasse quindici statichi napoletani, finchè non si richiedessero i comandi del patrizio di Sicilia su lo affare dei patrimonii. Alla ricusa del papa, i Napoletani erano costretti a respingere la forza con la forza. Sopraccorso a Gaeta il patrizio di Sicilia, le genti di lui, accozzate coi Napoletani, ripigliavano Terracina. E perchè la spada sacerdotale, sguainata così per la prima volta in Cristianità, minacciava da presso il Ducato di Benevento e i dominii bizantini in Italia, i minacciati s'intesero più volentieri fra loro. Adelchi odorando la guerra saltava pronto in que' luoghi. Messaggi andavano e venivano ogni dì tra Arigiso duca di Benevento, il patrizio di Sicilia e i Napoletani; e il papa seppe, o disse di sapere, che armavano a furia per mare e per terra per andarlo a pigliare entro Roma. Spaventato, scrisse dunque a Carlomagno chiedendogli soccorso e forze da continuare il conquisto; lo scongiurò di mandargli immantinenti le milizie di Toscana, di Spoleto e gli stessi nefandissimi Beneventani273 ancorchè tentennassero. Così Adriano fallì il colpo; e pure, stuzzicando i nemici, sforzò Carlomagno alla guerra ch'ei voleva accendere.

240Bekri, nella raccolta Notices et Extraits des MSS., tomo XII, p. 500. Quest'autore non assegna altra data che il califato di Abd-el-Melik-ibn-Merwân; il quale durò venti anni, dal 685 al 705. Ma senza timor di errore ne possiam togliere i primi tredici anni, quando gli Arabi aveano ben altro da fare in Affrica che perseguitare i rifuggiti di Pantellaria. Non trovandosi ricordato in questa fazione il nome di Musa, è probabile che seguisse prima della sua venuta in Affrica, la data della quale per altro è dubbia. Fa cenno di questa impresa, forse su l'autorità di Bekri, il Tigiani, Rehela, nel Journal Asiatique, août-sept. 1852, p. 80; e aggiugne essere state allora occupate le isolette vicine all'Affrica.
241Ibn-Koteiba, Ahâdîth-el-imâma, presso Gayangos, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain, tomo I, Appendice, p. LXVI.
242Le varie opinioni degli eruditi musulmani sono esposte da due diligenti compilatori: Tigiani, Rehela, nel Journal Asiatique, août-sept. 1852, p. 65 a 71; e Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 1, a 20. – Ho detto “sgomberare” e non, come gli scrittori musulmani, “scavare” il canale, poichè noi sappiamo che questo e la laguna esistevano ne' tempi antichi. Veggasi a tal proposito una nota del traduttore del Tigiani, M. Rousseau, op. cit., p. 69, 70.
243Tigiani, op. cit., p. 69, dice che il califo comandò di inviarsi dall'Egitto ad Hassân duemila Copti, tra uomini e donne, perchè si servisse dell'opera loro, e che Hassân distribuì quelle famiglie tra Râdes, presso Tunis, e gli altri porti dell'Affrica. Indi si vede manifestamente che fossero artigiani.
244Tigiani, Rehela; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani); e Ibn-Koteiba, Ahâdîth-el-imâma, ll. cc.
245Lo argomento da ciò, ch'ei mandò in Sicilia mille uomini soltanto, non ostante il cominciato apparecchiamento di sì grande numero di legni, i quali, per piccioli che fossero, doveano portare almeno una cinquantina d'uomini ciascuno, e però una forza totale di 5,000 uomini o più.
246Ibn-Koteiba, Ahâdith-el-imâma, MS. del professor Gayangos, fog. 69 recto e verso, e versione inglese in appendice al Makkari, The history of the Mohammedan dynasties in Spain, tomo I, p. lxvj. L'erudito orientalista di Madrid, mandandomi copia di questo squarcio di testo per lettera dell'11 maggio 1854, ha corretto in alcune parti la detta sua versione. Quanto all'isola assalita, sul nome della quale io gli esposi i miei dubbii, egli crede doversi ritenere la lezione del MS.; perchè pochi righi appresso la voce Sicilia vi è scritta con lettere diverse. Nondimeno io inclino all'opinione contraria, riflettendo che tal variante possa provenire da una delle due sorgenti alle quali par che Ibn-Koteiba abbia attinto questo racconto. In una di quelle il nome di Sicilia potea per avventura essere scritto con la sin in luogo di sad e la Caf (XXII lettera) in luogo di Kaf (XXI lettera); nella qual forma Sikilia, facilmente si può confondere con Silsila. Io ho veduto appunto Silsila chiaramente scritto su la Sicilia in una ottima carta geografica in pergamena, delineata nel 1600 da Mohammed-ibn-Ali-es-Sciarfi, da Sfax, posseduta dalla Biblioteca imperiale di Parigi. Mi conferma nel mio supposto la Cronologia di Hagi-Khalfa, MS. di Parigi, ove leggesi, nell'anno 82, una impresa in Sicilia di 'Attâr-ibn-Râfi'; poichè, non trovandosi questo fatto in Ibn-el-Athîr, è verosimile che Hagi-Kalfa l'abbia tolto da alcun MS. d'Ibn-Koteiba più corretto che quello del professor Gayangos.
247Ibn-Koteiba, fog. 69 verso, MS. del professor Gayangos, il quale, mandandomi cortesemente copia di questo passo, ha corretto la lezione, da cui risultava un errore nella sua versione inglese posta in appendice all'opera di Makkari, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain, p. LXVII, seg.; Ibn-Scebbât, MS., p. 38 e 39, che cita, abbreviandolo in su la fine, il medesimo passo d'Ibn-Koteiba; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 14 e 57, e MS., fog. 6 recto, e 14 verso.
248Ragiono il dinâr secondo il valore del metallo, il cui peso medio dà 14 lire e 50 centesimi.
249Ibn-Koteiba; Ibn-Scebbât; Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), ll. cc.; ed il Baiân, p. 27, citando Ibn-Katân. Ibn-Koteiba porta positivamente la data dell'86, ossia 705 dell'era volgare.
250Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 47 verso, anno 92; Nowairi, MS. di Parigi, Ancien Fonds 702, fog. 10 verso, e traduzione francese del barone De Slane, Journal Asiatique (mai 1841), p. 575, 576. Secondo la versione italiana, del Carli, Hagi Khalfa nella Cronologia porrebbe nel 92 la espugnazione di Calabria per Farich figlio di Said. Riscontrato il testo, mi accorgo che si tratti della notissima impresa di Tarik in Spagna. M. Famin, Histoire des invasions des Sarrazins en Italie, p. 60, ha seguíto così fatto errore, e aggiuntovi del suo il nome di Tharec, e che “ses soldats exercèrent des cruautés inouies;” e si mette francamente a particolareggiarle.
251Nowairi, capitolo della Sicilia, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2, che lo chiama Mohammed-ibn-abi-Edrîs; Baiân, p. 35, secondo il quale correggo il nome e la data. Il Nowairi, capitolo dell'Affrica, presso De Slane, Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo I, p. 357, in appendice; e Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 31, confondendolo con un altro governatore d'Affrica, lo chiamano Mohammed-ibn-Iezîd. Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo II, p. 225, anno 720, citando il Nowairi, aggiugne di capo suo che Mohammed sbarcasse a Marsala, e riportasse in Affrica “alcune centinaia” di prigioni.
252Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 74 verso, anno 109; Baiân, p. 35; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 32; Nowairi, capitolo della Sicilia, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2; e capitolo dell'Affrica, presso De Slane, Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tomo I, p. 357, in appendice. Il Rampoldi, Annali Musulmani, tomo II, p. 229, anno 721, citando Nowairi, aggiugne del proprio che Biscir riportava molti idoli d'argento.
253Si argomenta dalle pratiche d'accordo dell'813, nelle quali il governatore di Sicilia ricordava un primo trattato fatto ottantacinque anni addietro. Veggasi il Capitolo X.
254Makrîzi, Dizionario biografico intitolato il Mokaffa, MS. di Parigi, Ancien Fonds Arabe, 675, fog. 227 recto, Vita di Obeid-Allah. Il caso di Mostanîr è narrato ancora, ma più brevemente, da Ibn-abi-Dinâr (el-Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, traduzione francese, p. 65, e testo manoscritto, fog. 16 verso. Quest'autore, invece del nome patronimico di Ibn-Habhâb, dà a Mostanîr quello di Ibn-Hârith.
255Makrizi, Mokaffa, MS. di Parigi, Ancien Fonds Arabe, 675, fog. 227 recto, Vita di Obeid-Allah.
256Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 81 recto, e 82 recto, anni 116 e 117.
257Confrontinsi Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 82 recto, anno 117; Ibn-Scebbât, citato da Ibn-abi-Dinâr (el Kaïrouani), Histoire de l'Afrique, p. 67 e 68, e MS., fog. 17 recto; Baiân, p. 38-40; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique, trad. di M. Des Vergers, p. 34. – Lo scrittore cristiano contemporaneo, Isidoro De Beja presso Flores, España Sagrada, tom. VIII, p. 305, dice che 'Okba (Ibn-Heggiâg), governatore di Spagna, udita la sollevazione dei Mori in Affrica, vi passò, uccise tutti i ribelli: “Sicque cuncta optime disponendo, et Trinacrios (portus) pervigilando, propriæ sedi clementer se restituit.” Accettando, come par si debba, la lezione di Trinacrios (chè v'ha le varianti Trimacrios, Tinacrios, Patrios), le parole di Isidoro significano che qualche nave spagnuola fosse venuta con Habîb alla impresa di Sicilia. Perchè la rivolta alla quale accenna Isidoro fu al certo qualche movimento anteriore, represso dagli Arabi d'Affrica e di Spagna, non il fatto dell'anno 122, che rese necessaria la ritirata dell'esercito di Sicilia, e che, invece della strage dei ribelli, finì con la sconfitta degli Arabi. Isidoro, del resto, non assegna data a queste fazioni, se non che vanno dopo la destinazione di 'Okba al governo di Spagna, ch'ei pone l'anno 775 dell'era spagnuola, e 18º di Leone Isaurico, cioè il 733 dell'era volgare, ma che Ibn-Khaldûn riferisce al 117 (735), e il cronista seguíto da Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte I, cap. 26, all'anno appresso.
258Confrontisi Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 118 recto, anno 135, e fog. 47 verso, nel capitolo della Storia di Sardegna, sotto l'anno 92; Baiân, p. 49 e 53; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 44; Nowairi presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 2, 3.
259Veggansi le autorità citate da Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIII, § 22.
260Baiân, p. 48. Quivi si dice che corressero in Affrica due specie di moria che chiamansi in arabico webâ e tâ' un. La seconda disegna particolarmente la peste. La prima è presa d'ordinario nello stesso significato, ma si estende alle malattie epidemiche in generale. Veggasi una nota di M. Reinaud nel Recueil des historiens orientaux, tomo I, p. 133.
261Teophanes, Cronographia, tomo I, p. 651; e le altre autorità citate dal Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIV, § 13.
262Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo IV, anno 130, dice che infieriva la peste a Bassora; Ibn-el-Giuzi (Jauzi, secondo l'ortografia inglese) citato da De Slane, Ibn Khallikan's Biographical Dictionary, tomo II, p. 551, fa arrivare la mortalità a 70,000 persone in un dì, che si deve intendere forse di Bassora stessa.
263Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXIV, § 13.
264Bollandisti, Acta Sanctorum, maggio, tomo II, p. 109, seg., 725, seg., testo greco e versione della Vita di San Giovanni Damasceno scritta da un Giovanni patriarca di Gerusalemme; e Ibidem, p. 731, seg., altro squarcio di agiografia attribuito a un Costantino Logoteta.
265Non ho bisogno di ricordare quanto sieno incerti i limiti del territorio, compreso nella donazione di Pipino e di Carlomagno, e come i papi non fossero mai entrati in possesso di molte terre tra quelle che lor erano state donate senza dubbio.
266Costantino Porfirogenito, De administrando imperio, cap. 27, p, 995, dice che i Longobardi aveano occupato tutta l'Italia, fuorchè Otranto, Gallipoli, Rossano, Napoli, Gaeta, Sorrento, Amalfi. Ciò si deve intendere del tempo in cui l'impero bizantino avea perduto lo esarcato e non ripigliato per anco la Puglia; cioè tra la prima metà dell'VIII secolo e la seconda metà del IX.
267Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 47 verso, sotto l'anno 92, raccogliendo in un solo capitolo tutte le imprese dei Musulmani sopra la Sardegna, afferma che quest'isola non fosse stata più molestata dal 135 al 323 dell'egira (752 a 935), e che in questo intervallo avesserla tenuta i Rûm, che qui significa la schiatta indigena italiana. Le cronache cristiane più vicine a quei tempi si accordano in generale con tale narrazione; se non che aggiungono alcune sconfitte toccate dai Musulmani in Sardegna e in Corsica. Quanto a questa isola, è falsa evidentemente la dominazione musulmana supposta da alcuni annalisti dei paese. Veggansi Reinaud, Invasions des Sarrazins en France, pag. 69; e Wenrich, Commentarium, ec., lib. I, cap. III, § 49 in nota.
268Epistola di papa Paolo Primo, a re Pipino, Codex Carolinus, edizione del Gretser, nº XV; edizione del Cenni, nº XVIII.
269Codex Carolinus, edizione del Gretser, nº XXIV; edizione del Cenni, nº XXXVIII.
270Codex Carolinus, edizione dei Gretser, ep. LVI; edizione del Cenni, ep. LXXII.
271Codex Carolinus, edizione del Gretser, ep. LXIV, LXXIII, XC; edizione del Cenni, LXV, XC; LXXXIX.
272La prima di quelle citate nella nota precedente.
273Codex Carolinus, edizione del Gretser, ep. LIX e LXIV; edizione del Cenni, LVII e LXV. La data del 780, che assegna alla seconda di queste lettere il Cenni, è erronea, e le si dee sostituire il 787, come lo avea mostrato prima il Muratori (Annali, anno 787), e vi assente, contro il solito suo, lo Assemani, Italicæ Historiæ Scriptores, tomo I, p. 488-489. Le ragioni che allega il Cenni per rifare il verso al nostro grande Annalista son futilissime, e basta a distruggerle il fatto che nella epistola si parla dei nefandissimi Beneventani come di vassalli di Carlomagno; il che non si potea dire innanzi la pasqua del 787. La epistola LIX del Gretser, ancorchè riferita dal Cenni al 776, mi pare scritta poco appresso l'altra, nello stesso anno 787. – Va errato bensì il Muratori, quand'ei scrive che Adelchi fosse in questo tempo patrizio di Sicilia. Ciò nè si può argomentare dalla detta epistola di papa Adriano, come lascia supporre il Muratori; nè è detto da alcun cronista; nè è punto verosimile. Il Muratori fu ingannato dall'assonanza dei nomi di Teodoto e Teodoro; dei quali il primo fu preso da Adelchi, come abbiam detto, e il secondo era il nome dell'eunuco, patrizio di Sicilia, che sbarcò in Italia con Adelchi il 788. L'Assemani, l. c., non manca di notare questo lieve sbaglio del Muratori.