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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I

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Donde tornato Hassân con una armata e un esercito, ruppe i Berberi, e uccisa la Kâhina nella sconfitta che avea vaticinato, com'è uso dei profeti senza poterla evitare, le tribù dell'Aurès, ormai spicciolate e sbigottite, si sottomessero; pattuirono di dar dodicimila ausiliari contro i Berberi non domi e contro i Greci. Indi movea Hassân per la seconda volta all'assedio di Cartagine; prostrava in parecchi scontri le forze bizantine; rimanea padrone del golfo; e sì stringea la città per mare e per terra, che il presidio finse di domandare l'accordo profferendo il tributo, e in mezzo alle trattative imbarcata ogni cosa di notte su le navi ch'erano in porto, quetamente se ne fuggì. Tentato invano di resistere in altri punti della costiera, il patrizio Giovanni con l'armata si allontanò per sempre dall'Affrica (698): Hassân, entrato in Cartagine, compiè l'opera della distruzione col ferro e col fuoco, lasciando picciol presidio, come per vedetta, e fabbricovvi, scrivon gli Arabi, una moschea, che è a dire serbò ed acconciò a quest'uso qualche antico edifizio. Infine, tornato a Kairewân, si volse ad ordinar la provincia; posevi gli uficii d'azienda, e assoggettò al tributo fondiario gli abitatori di schiatte europee, e dei Berberi tutti quelli che non avean fatto la professione dell'islamismo;199 ma ai Berberi convertiti diè la parte dei tributi e delle terre che lor toccava come a guerrieri musulmani. Così gli Arabi fermarono per la prima volta il dominio su quella parte dell'Affrica settentrionale che oggi è compresa nelle reggenze di Tripoli, Tunis, e provincia di Costantina, senza estendersi per anco più a ponente. Dal nome d'Affrica propria che davano i Romani alla parte più importante di questa regione, gli Arabi la dissero tutta Ifrikia; e secondo lor geografi si stende dalla grande Acaba che sorge tra Barca e Alessandria, infino a Bugia. Di lì all'Atlantico chiamarono Maghreb che suona appo noi occidente, e diviserlo in Maghreb del mezzo tra Bugia ed Orano, ed estremo Maghreb, da Orano in poi. E coteste loro denominazioni geografiche noi adopreremo per lo innanzi; se non che scriveremo a modo nostrale Affrica in luogo di Ifrikia.

Con breve intervallo succedeva ad Hâssan un grande che rappattumò le due schiatte per qualche spazio di tempo, e legolle di tal vincolo che non si spezzò più mai, non ostante che si ricominciasse la lotta. Fu costui un vecchio settuagenario, Musa-ibn-Noseir, uom di origine straniera, liberto di casa Omeiade;200 famosissimo per lo conquisto di Spagna, e degno di maggiore gloria per l'arte di stato e di guerra con che avea prima compiuto quel d'Affrica e del Maghreb. Esordì nel governo della provincia, come un sommo capitano del nostro secolo, con arringare l'esercito, accusando d'incapacità i predecessori, e dando certe le vittorie ch'ei vedea sì chiare nella sua mente. E pagò il debito con usura. Arrivò da Kairewân all'Oceano, domandò per ogni luogo le nazioni berbere, stringendosele in confederazione dopo la vittoria, pigliandosi ostaggi per guarentigia del patto; e, in vece di spingere il cavallo in mare come O'kba, fondò la città o campo di Tanger; posevi diciassettemila Arabi e dodicimila Berberi; e provvide a far apprendere il Corano ai Berberi, che lo ripetessero alle più rimote e salvatiche popolazioni di lor linguaggio. Così in breve tempo, dice l'autore del Baiân, si vide un mutar di chiese in moschee per tutta l'Affrica occidentale. La profession di fede era facile a fare; la partecipazione nel bottino si comprendea bene da' nuovi convertiti; le armi si tenean pronte a punire gli apostati. Musa le seppe rendere più possenti, ordinando un corpo di giannizzeri, come li diremmo dal nome che lor dettero i Turchi tanti secoli appresso; giovani robusti, e in gran parte di nobil sangue, ch'ei comperava da' suoi soldati, ai quali eran toccati nel partaggio del bottino; e li educava alle armi, alla religione, a cieca ubbidienza, per farne terribile strumento di dispotismo, e, se occorresse, d'usurpazione.

Nel vasto suo disegno Musa non tralasciò di usare lo ingegno e le arti delle popolazioni cristiane dell'Affrica propria. La mercè di quelle, rifabbricava di pietre e di marmi il Kairewân, che trovò di canne e d'argilla; e intendendo, dice un cronista, da' vecchi del paese le grandi imprese marittime di Cartagine, faceva costruire a Tunis cento navi e pria scavare il canale dell'arsenale, con intendimento manifesto di tenervi sicuri i legni musulmani dagli assalti dell'armata bizantina, e da' tradimenti degli abitatori cristiani, che eran tornati certamente a Cartagine e negli altri antichi porti. Quando il navilio fu in punto, vi unì gli avanzi d'un'armata d'Egitto che avea fatto naufragio su le costiere d'Affrica; bandì la guerra sacra in sul mare; chiamovvi i più nobili guerrieri arabi, dando voce di volerla capitanare in persona; e poi affidolla al proprio figliuolo Abdallah (704). Per tal modo cominciò l'infestagione del Mediterraneo occidentale: furon corse, oltre le isole Baleari, la Sicilia e la Sardegna, come si dirà a suo luogo. Abbiamo da buone autorità che in coteste imprese del Mediterraneo e del continente d'Affrica fosser fatti trecentomila prigioni; incredibile cosa appo noi, e tal anco parve a corte del califo; ove capitata una lettera di Musa che dicea montare il quinto a trentamila, fu ridomandato se fossevi errore: “ed errore v'ha,” replicò Musa, “ma è che il segretario ha scritto trenta in luogo di sessanta migliaia.” Del rimanente la maraviglia cesserà ove si pensi che gli uomini eran forse il più lucroso bottino: gregge facile a prendere in tutti i tempi; se non che allora nol teneano in pastura, ma subito ne facean danaro rivendendolo, o co' riscatti.201

Musa poi sguinzagliò i suoi Arabi e Berberi su la Spagna (711); vi sopraccorse ei medesimo, non ostante il peso degli anni, a rivaleggiare col proprio liberto Tarik: ed avea forse valicato i Pirenei, i suoi aveano al certo infestato la Linguadoca, ed egli parlando de' suoi smisurati disegni correva a compierli, quando lo raggiunse un messaggio del califo, afferrò il freno della mula ch'ei montava, e intimògli di voltar cammino e andare a scolparsi a Damasco. Lo accusavano di peculato. Solimano, ch'ei trovò sul trono quando giunse alla capitale, non fe' gran caso dei discorsi del conquistatore, che si vantava non essersi giammai, nel lungo corso di sua milizia, chiuso in castella, nè trinceato in campo; e parlando del valor dei soldati esaltava, sopra tutti gli Arabi, que' del Iemen; dicea i Bizantini lioni ne' lor castelli, aquile a cavallo e donne nelle navi; sagaci a spiar le occasioni in guerra, vilissimi dopo la rotta; i Berberi somiglianti molto agli Arabi per forza del corpo, impeto e ordine nel combattere, ma traditori sopra ogni altro popolo. Nè ottenne maggior grazia mostrando al califo le primizie dei trionfi: gli ottimati fatti prigioni in Majorca, Minorca, Sicilia e Sardegna, vestiti de' lor più solenni addobbamenti; e donzelle spagnuole a migliaia; e gemme preziosissime, tra le quali aveano scoperto non so che tavola di Salomone. Il califo, picciolo d'animo, sospettoso, avaro, governato da invidi cortigiani, non perdonò la gloria a Musa. Dopo prigionia e brutali maltratti, condannollo in quattro milioni di dinar che quegli non ebbe poter di pagare; fece ammazzare a tradimento il figliuolo, lasciato da lui a regger la Spagna; e affrettò la morte del misero vecchio asmatico (716) con mostrargli la testa del figliuolo imbalsamata di canfora, e domandargli se la conoscesse.202

 

Mancato un tant'uomo, le cose d'Affrica andavan per pochi anni com'ei da principio le avviò; e quasi tutte le nazioni berbere aveano accettato l'islam, quando si raccese la lite loro con gli Arabi. Al che dette occasione la rapacità fiscale, sofisticando e facendo opera di assoggettare ai tributi come Infedeli i Berberi fatti Musulmani. Ucciser essi il prefetto ch'era venuto d'Oriente con tal vezzo (720), e il califo lor diè ragione; ma dopo alquanto tempo, ritentata la prova da altri oficiali, nè potendosi sempre spegner questi senza ribellione, i Berberi vi corsero audacemente. E forza fu di dare un altro passo a che portava la rivoluzione contro un re pontefice. I padri loro, seguaci di Koseila e della Kâhina, avean gittato il Corano in faccia ai dominatori stranieri. La generazione presente cresciuta in quegli ordini che si poteano dir civili rispetto all'antica barbarie, non sapea vivere ormai senza i conforti reali ed immaginarii dell'islamismo. Avvezza a riconoscere da Allah, giorno per giorno, un beneficio ovvero una staffilata, la pioggia, i frutti del suolo e degli armenti, la vittoria e la preda, ovvero la carestia, le morie, le sconfitte; avvezza a far tante genuflessioni ogni dì ripetendo qualche parola del Corano, o almeno il nome di Maometto, pensò di mantenersi a un tempo gli aiuti del Cielo e sciogliersi da chi tiranneggiava la terra in nome di quello: corse, in vece dell'apostasia, all'eresia.

Trovò bella e fatta la riforma presso i dominatori stessi. Fin dalle guerre civili di Alî e Mo'âwia, erano seguiti in Oriente i primi urti della ragione con l'autorità; e la ragione, come suol fare, camminando lenta e incerta, avea dato origine alle sètte che si dissero dei Kharegi, ossiano uscenti; i quali negavano l'autorità assoluta dei califi in punto di civil governo e impugnavano anco alcuni dommi di religione, non potendosi far l'uno senza l'altro. Tra quelle sètte se ne notavan due, dette, dai nomi de' fondatori, gli Ibaditi e i Sifriti; concordi tra loro nel tener necessarie qualità del Musulmano la fede e le opere, e però non noverare più tra i Musulmani i colpevoli di gravi peccati, fosser anco i compagni di Maometto e i califi stessi. A così fatti principii aggiugneano entrambe una feroce intolleranza; e nei gradi di quella si distingueano gli Ibaditi dai Sifriti, risguardando i primi come Infedeli, e però rei di morte, tutti i Musulmani che non militassero nella guerra sacra, e le loro famiglie passibili di schiavitù, e rompersi anco i legami del sangue per cagione d'infedeltà. Così fatte opinioni passarono con gli eserciti arabi in Occidente, ove s'appreser tosto ai Berberi selvatici e malcontenti. I Sifriti, côlta l'occasione che il fior della milizia araba fosse andato ad osteggiar la Sicilia (740), levaronsi nel Maghreb, condotti da un Maisar che avea fatto l'acquaiolo a Kairewân; presero Tanger; gridaron califo l'acquaiolo; e accolte senza scrupolo sotto lor bandiere alcune tribù che non professavano l'islamismo, combatterono insieme la causa nazionale contro gli Arabi. Dettero a costoro due sanguinosissime sconfitte, la seconda delle quali fu chiamata dagli Arabi la giornata dei Nobili, dal grande numero che ne rimasero morti sul campo di battaglia. Tutta la provincia si scompigliò. I Berberi presero le armi per ogni luogo da ponente a levante, infino a Cabès. Gli Arabi si ridussero in due sole città, Kairewân e Telemsen. E il precipizio si sentì anco in Spagna, e vi produsse altre rivoluzioni.

A questi avvisi il califo Hesciâm, avvampando contro Berberi ed Arabi d'Occidente, chè i secondi con loro divisioni aveano accresciuto la calamità pubblica, minacciava farebbe sentir loro la collera d'un Arabo di buona schiatta; porrebbe sotto ogni castello berbero un campo di guerrieri delle tribù modharite di Kais o di Temîm; manderebbe un esercito da toccare con la vanguardia il Maghreb, mentre il retroguardo stesse ancora in Siria. Accozzò in tutto trentamila uomini: gente sì faziosa e discorde, che si abbottinò prima di venire alle mani coi Berberi, e che, messa insieme con l'esercito d'Affrica, n'accrebbe le discordie; onde venuti gli Arabi alla battaglia presso Tanger (741), qual fuggì, qual fu tagliato a pezzi dal nemico. Ma un novello capitano per nome Hanzala-ibn-Sefwân, ebbe tanta riputazione da unire gli Arabi; tanta fortuna o arte da guerreggiare nell'Affrica propria presso le colonie di sua schiatta, piuttosto che nel Maghreb. Dispersa parte delle forze nemiche in una prima battaglia e circondato dalle altre in Kairewân, armò i cittadini, accese in tutti il fervore religioso; passò una notte a pregare, e la dimane, spezzato il fodero della spada con migliori auspicii che O'kba-ibn-Nafi', uscì contro le miriadi dei Berberi. Li vinse ad Asnam, tre miglia discosto dalla città: la quale battaglia ricordossi tra le più strepitose dell'islamismo, e vi perirono, al dir dei cronisti, centottantamila Berberi; al certo uno spaventevole numero tra que' che caddero sul campo e gli uccisi di sangue freddo, com'eretici e barbari che vincendo non soleano dar quartiere (742).

Con tal supremo sforzo la schiatta arabica ripigliò il dominio della provincia. Fu in punto di riperderlo in due altre vaste sollevazioni (757-771), senza, contar le minori; e lo mantenne col pondo di due novelli eserciti, l'un di quarantamila, l'altro di sessanta o secondo alcuni scrittori di novantamila uomini, che era il settimo venuto in Affrica nello spazio di novant'anni, contando per primo quello che perì con O'kba.203 Alfine la popolazione de' Musulmani orientali passata in Affrica tra cotesti travagli, le forti colonie poste in luoghi opportuni, e gli altri ordinamenti dei vincitori, prevennero i moti generali de' Berberi infino ai principii del decimo secolo; se non che alcune tribù berbere fondarono tre stati indipendenti, cioè: Fez nell'estremo occidente; sotto la dinastia araba degli Edrisiti (788); Segelmessa a mezzodì dell'Atlante, sotto i Midrariti, gente berbera (783); e Taiort (che scrivon anco Tahert e Tuggurt e oggi va nel Sahra dell'Algeria), sotto i Rostemidi, famiglia, come sembra, di origine persiana204 (754). Le altre tribù sfogarono parteggiando nelle guerre civili degli Arabi; finchè, affievolita la costoro schiatta, gli indigeni rialzaron la testa e mutaron di nuovo lo stato politico dell'Affrica e del Maghreb, sì come ci occorrerà di dire nei libri seguenti.

CAPITOLO VI

Dalla lotta de' conquistatori contro gli indigeni volgendoci alle condizioni in cui vivessero i primi mentre occupavano a mano a mano il paese, ci si presenta una considerazione preliminare. I popoli che s'impadroniscono di territorii stranieri tengono necessariamente uno di questi tre modi: trasferimento popolare dei conquistatori, come quel de' Franchi, dei Longobardi e altri barbari che non lasciavano patria dietro le spalle; colonie, come quelle dei Greci nell'antichità e degli Inglesi in America, intraprese private che suppongono un popolo incivilito e avvezzo alla libertà; o finalmente occupazione militare a nome dello Stato, ch'è propria dei governi forti in su le armi. Di cotesti modi i due ultimi si veggono talvolta congiunti, ovvero adoperati alternativamente, da alcune nazioni che hanno in sè istituzioni miste, come i Romani che mandavano anche lor colonie in paesi occupati militarmente, e gli Inglesi ai quali veggiam tenere l'Indie con la violenza delle armi e altre provincie con le colonie.

Ma gli Arabi, vivendo in una società ove coesisteano la barbarie, la libertà e l'autocrazia, stanziarono nei paesi vinti in un modo composto; che cominciò con la occupazione militare a nome dello Stato; divenne trasferimento di intere tribù; e portò a un largo governo coloniale e indi alla emancipazione dalla madre patria. La emigrazione si fe' tanto più agevolmente, quanto que' popoli non usi a soggiorno durevole nè incatenati dalla proprietà territoriale, passavano da reame a reame con la stessa nomade alacrità con che ne' lor deserti avean mutato le tende da un pascolo all'altro. I loro accampamenti alla romana, dei quali dicemmo nel capitolo precedente, si fecero grosse città entro pochi anni; traendovi le famiglie dei guerrieri, famiglie naturali e fittizie ancora: di schiavi, liberti, affidati; e oltre i guerrieri venivano a fruir della vittoria officiali pubblici, giuristi, mercatanti, artigiani: gente arabica o nativa di regioni occupate anteriormente ed arabizzata per conversioni e clientele. Così con maravigliosa rapidità si accrebbe la schiatta loro in Affrica dopo le ultime vittorie di Hassân-ibn-No'mân e sotto il governo di Musa. Oltre le colonie di Barca, Tripoli e altre sul golfo di Cabès, ed oltre Kairewân, che fu maggiore di tutte, si vide sorger quella di Tunis ove si cominciò a scavare il porto; poi la popolazione arabica si estese verso ponente a Tanger, Telemsen e fors'anco Ceuta: e, domi tanto o quanto i Berberi, il progredimento ricominciò; il centro principale della provincia, il quale era l'odierno reame di Tunis, si circondò di piazze di frontiera a Belezma, Tobna e altre, che guardavano i nodi più formidabili di popolazione berbera; e la schiatta arabica saldamente si afforzò verso la fine dell'ottavo secolo.

Vi comparve fin dai primi principii la ovvia distinzione di militari e cittadini. I primi chiamavansi collettivamente, come in ogni altra parte dell'impero, il giund; e talvolta questo nome si dava a ciascuna legione, divisione o brigata, come noi diremmo, talchè si trova adoperato in plurale presso gli scrittori arabi.205 Erano i guerrieri scritti nei ruoli; i quali, oltre la parte che loro tornava dal bottino, aveano uno stipendio che si togliea dai tributi posti su i popoli vinti e sopra una classe di terre dei Musulmani, e che pagavasi per lo più assegnando al tal giund le entrate di tal provincia o distretto; la qual maniera di concessione gli Arabi chiamarono Iktâ', ossia scompartimento. Ordinati tuttavia secondo le proprie parentele, come già dicemmo,206 e capitanati da un condottiero con titolo di Kâid,207 eran mezzo soldati stanziali e mezzo milizie feudali: gente agguerrita quanto i primi, e, come le seconde, devota al proprio capo più che al principe; l'indole della quale avea bene spiegato un savio, quando disse al califo Abd-el-Melik, parlando di alcun rinomato capo di tribù in Oriente: “S'egli s'adira, centomila spade s'adiran seco, senza domandargli il perchè.”208 Nel giund rimanea dunque l'aristocrazia patriarcale dei tempi anteriori all'islam.

 

Nelle città appariva al contrario un avanzo della primitiva democrazia musulmana; come sempre avvien che si sviluppi nelle colonie qualche principio che sia stato soffocato nella madre patria. Senza istituzioni scritte, senza magistrati riconosciuti dalla legge, surse a Kairewân, e in altre città principali dell'Affrica, una vera possanza municipale figlia di quel genio democratico e dell'industria. Non le mancò il primo elemento di forza, che è il numero de' cittadini; perocchè, giugnea a tale in Kairewân al tempo della seconda sollevazione dei Berberi, che fornironsi in un estremo pericolo diecimila scelti combattenti, i quali usciti insieme con le reliquie dello esercito riportarono (741) la vittoria di Asnam.209 Non le mancò l'uso alle armi, poichè la popolazione delle città, obbligata a combattere da un precetto religioso che andava in disuso nelle parti centrali e tranquille dell'impero, lo osservava per necessità nelle provincie di frontiera, ove spesso s'avea a respingere il nemico. V'erano inoltre in così fatte provincie i ribat, di cui già parlammo; i quali mutarono natura quando la più parte della popolazione fu musulmana, e divennero ritrovo di birboni e oziosi, che viveano di pie oblazioni sotto specie di star pronti alla guerra contro gli Infedeli, e prontissimi erano alle sollevazioni. Non mancò infine l'ordinamento delle classi e la potenza di quelle superiori per le facoltà e l'educazione, le quali classi dan sempre la pinta ai moti delle città. Da una mano troviamo, in fatti, corporazioni d'arti;210 da un'altra cittadini proprietarii di terre, e veggiamo la efficace influenza degli sceikhi, ossiano capi delle famiglie principali. Uscian anco da queste gli uomini che professavan sapere e pietà, legittimi successori dell'aristocrazia di Omar; i quali col Corano e la tradizione del Profeta alle mani, sosteneano le larghe franchigie dei Musulmani, poste in oblio dai moderni principi: e il popolo naturalmente li seguiva e agitavasi alla lor voce.211

Tali essendo gli ordinamenti delle milizie e dei cittadini, fondati su i costumi, non su le leggi, e di tanto più forti, il governo della provincia poco teneva a quel dell'impero. In apparenza non differiva dal reggimento d'un paese occupato militarmente; il califo di Damasco nominava il governatore dell'esercito e del popolo musulmano; i quali riconosceano un solo re e pontefice e una sola legge a Kairewân come a Damasco o a Medina. Ma in sostanza la colonia era libera. Stava la forza in mano di corpi independenti; il califo, non che trar danaro dalla provincia, ve ne rimettea, e se voleva almeno farsi ubbidire dovea affidare il governo a potenti capi di tribù, dovea piegarsi alle passioni di quelli e agli umori del popolo. Dal che nasceva un bene e un male: il bene, la forza di vita ch'è propria delle colonie libere e che non si infonde mai negli automi costruiti dai governi matematici; il male era la rabbia delle fazioni, che gli Arabi aveano nel sangue, e che l'islamismo accrescea con la frettolosa assimilazione d'ogni gente straniera. Il male si sviluppava a misura che gli Arabi metteano radice nei paesi di ponente; e mostravasi nel giund più che nelle popolazioni cittadine. Trovandosi nel medesimo esercito le schiatte rivali di Kahtân e di Adnân, appena si prendeano a scompartire i premii della vittoria, cominciavano i torti, scoppiavano le ire; il governatore favoreggiava la sua tribù e le affini a scapito delle altre; e queste, se le mene di corte o il caso faceano succedere nel governo della provincia un di lor gente, rendeano la pariglia; e, se no, prendeano a farsi giustizia dassè.

Arrivò a tale l'antagonismo, che nol potè curare nè anco la spada dei Berberi. Dopo la infelice battaglia dei Nobili (740) il califo Hesciâm, come abbiam detto, mostrò forse minore rabbia contro i nemici Berberi che contro la schiatta himiarita la quale prevaleva in Affrica a quel tempo.212 Gli Himiariti risposero per le rime. Come il califo prepose al nuovo esercito un Kolthûm, modharita o vogliam dire della schiatta di Adnân, e com'ei, tra gli altri rinforzi, mandò un corpo di diecimila uomini della propria casa omeiade, ottomille cioè Arabi e duemille liberti, stanziati in Siria, così ambo gli elementi sociali della colonia si volser contro il novello esercito. La cittadinanza di Kairewân, vergognando o temendo di sì fatti ausiliari, chiuse loro le porte in faccia. Il rimanente delle milizie patteggiò anche contro di essi, tanto quelle antiche d'Africa, quanto ventimila uomini delle nuove, ch'erano stati presi qua e là, come scrive Ibn-Kutîa, da varie nobili schiatte arabiche. Perlochè movendo tutte le genti ad incontrare i Berberi, i condottieri non fecero che altercare con Kolthûm; i soldati erano per venire alle mani coi diecimila Omeîadi; e finì che costoro sul campo di battaglia voltaron le spalle, e gli altri furono orribilmente mietuti dal nemico. I pretoriani disertori poi, non potendo rimanere tra l'abborrimento universale, passarono in Spagna ove accesero aspre guerre civili: e l'Affrica si perdea, se Hesciâm, rimettendo del regio orgoglio, non ne affidava il comando ad Hanzala-ibn-Sefwân di chiarissimo sangue himiarita; il quale senza nuove soldatesche d'Oriente valse a debellare i Berberi (742), come sopra dicemmo.213

Ma passeggiera era la concordia; le divisioni durevoli, diverse, intralciate in confusione inestricabile: e un altro subito mutamento che seguì si dee riferire agli umori avversi al governo in tutta la provincia, e, più che altrove, nella capitale. Perchè Abd-er-Rahman-ibn-Habîb di tribù koreiscita, uomo illustre per la gloria del bisavolo O'kba-ibn-Nafi' e per una strepitosa fazione che avea combattuto pochi anni innanzi sopra la Sicilia, andato poi in Spagna ad accattar brighe e stato, e vedendosene tronca la via dalla prudenza di un luogotenente di Hanzala, gittatosi a un partito disperato, ripassava il mare; sbarcava a Tunis; trovava partigiani e osava assalire in Kairewân stessa il capitano liberatore dell'Affrica. Il quale accorgendosi delle disposizioni dei cittadini, gli rifuggì il generoso animo dalla guerra civile: chiamò il cadì e i notabili della capitale; lor consegnò il tesoro pubblico, presone le sole spese del viaggio per tornarsene in Oriente; e quetamente partissi dalla colonia (744-5). Tutta l'Affrica allor si diè all'usurpatore, quantunque ei fosse della schiatta di Adnân; ma lo perdonavano forse al sangue koreiscita, al casato di O'kba, fondatore della colonia, all'audacia del misfatto, sempre ammirata dal volgo, e al merito di aver offeso la corte di Damasco. Abd-er-Rahman usò sagacemente il comodo che gli davano in questo tempo le rivoluzioni d'Oriente: stracciò in pubblica adunanza il mantello d'investitura mandatogli dal califo; scosse lungi da sè le pianelle che avea ai piedi, con dir che così anco rigettava l'autorità del califo; e governò con animo e fortuna da principe indipendente. Dopo dieci anni, il proprio fratel suo, abbracciandolo, gli passò un pugnale dalle spalle al petto; godè per poco il premio del fratricidio; e la nascente dinastia presto fu spenta (757). La colonia, straziata dalle proprie fazioni e dai Berberi, riconobbe di nuovo il potere del califato, che era passato in questo mezzo dalla casa d'Omeia a quella di Abbâs.214

Tal mutamento di dinastia mostrò come la schiatta arabica troppo presto cominciasse a cedere il luogo ai vinti, coi quali stringeasi nella fratellanza dell'islamismo. L'assimilazione, turbata in Affrica dalla impazienza dei Berberi, ritardata in Egitto e in Siria dalla desidia de' popoli, dal Cristianesimo e dalla tolleranza de' Musulmani inverso di quello, s'era compiuta largamente nelle regioni soggette una volta all'impero persiano. Lasciando quelle poste tra l'Eufrate e il Tigri, nelle quali predominava il sangue arabico, troviamo di là dal Tigri i figliuoli dei Persiani propriamente detti e dei Parti: valorose schiatte, fattesi tanto innanzi nella civiltà ch'eran sorti tra loro i due riformatori religiosi insieme e politici, Mani e Mazdak. Coteste schiatte volentieri abbracciarono l'islamismo che loro offriva una credenza meno assurda, e una forma sociale meno ingiusta. Mentre gli emiri arabi perseguitavano agevolmente, o tolleravan senza pericolo gli uomini più tenaci nella credenza di Zoroastro, la parte maggiore della popolazione alacremente si accomunò coi conquistatori. I liberi acquistavano issofatto la cittadinanza musulmana con profferire: “Non v'ha Dio, che il Dio e Maometto il suo profeta;” gli schiavi professando l'islamismo agevolmente conseguivano la emancipazione, e diveniano cittadini come ogni altro: e ciò che tuttavia mancava dopo la cittadinanza legale, cioè il patrocinio d'una famiglia potente, i liberi l'otteneano per clientela volontaria, i liberti per clientela necessaria. Cotesti uomini nuovi fecero aprir gli occhi ai governanti con la pratica ch'essi aveano in azienda pubblica; aiutarono con la loro dottrina alla compilazione della giurisprudenza musulmana; accesero nei popoli arabici a poco a poco il sacro fuoco delle scienze; e prima quello della libertà civile e religiosa, al modo che poteasi comprendere in quelle parti. I popoli dell'impero sassanida furono invero i maestri degli Arabi, come i Greci erano stati dei Romani; se non che il diverso genio dei popoli, e soprattutto delle istituzioni religiose e civili, portò che i maestri persiani predominassero nello Stato, al che i maestri greci mai non giunsero.

Un secolo bastò a produrre i primi effetti, che apparvero nel Khorassân, estrema provincia orientale, nella quale stanziava, come per ogni altra parte dell'impero, un pugno d'ottimati arabi. Quivi la lontananza di Damasco rendea il governo provinciale più insolente a un tempo e più debole; e spingea a desiderio di novità i Musulmani della provincia, la più parte indigeni. Vedean essi la casa d'Omeia aggravare sempre più i torti della usurpazione con un reggimento contrario ai principii repubblicani dell'islamismo; con una istancabile crudeltà contro i discendenti di Alî; con la rapacità, insolenza e discordie delle sue centinaia di principi reali, degna progenie, potean dire i Musulmani, di quegli ostinati idolatri che aveano combattuto il Profeta finchè il poterono, e adesso molestavano e scannavano la sua parentela. Perchè oltre la prole d'Alî v'era quella di Abbâs zio paterno di Maometto, capo della casa dopo la morte di lui, e primo tra gli ottimati d'Omar, come s'è detto. I figli di Abbâs avean séguito nella nazione, e particolarmente, com'ei sembra, tra le case nobili stanziate nel Khorassân; ed erano stati rispettati dagli Omeiadi; ma alfine la gelosia della casa regnante e l'orgoglio degli Abbassidi proruppero in scambievoli offese. Narrasi ancora, nè è inverosimile, che sia avvenuto tra i partigiani degli Alidi e degli Abbassidi un di quegli accordi effimeri e bugiardi, che due ambiziosi stipulano a danno d'un terzo; salvo ad accoltellarsi tra loro dopo la vittoria. L'associazione di famiglia, che rimaneva in piè secondo l'uso antichissimo degli Arabi, fu ottimo espediente a promuovere e nascondere la cospirazione degli Abbassidi; molti destri missionarii (dâi' li dicon gli Arabi e appo noi suonerebbe chiamatori), ordinati con gerarchia e artifizio di setta, si misero a far parte nel Khorassân, a raccorre contribuzioni dai partigiani: e reggea con man maestra tutta la macchina Abu-Moslim che un buon uomo di casa abbassida avea preso ad allevare per carità, trovatolo in fasce esposto su la via pubblica. Quando la congiura, allargandosi, fu scoperta, piombò la prima ira del califo sopra Ibrahim capo della casa di Abbâs, che morì in prigione ad Harran: ma tantosto Abu-Moslim si levò in arme nel Khorassân; ruppe gli eserciti omeiadi; mosse verso la Mesopotamia; e il popol di Cufa, senz'aspettarlo, gridò califo Abd-Allah fratello del morto Ibrahim, e noto nella storia con l'atroce soprannome di El-Saffâh o diremmo noi Il Sanguinario. E in vero si versò il sangue a fiumi tra per comando suo e di Abu-Moslim, che il pose in trono, e che fu immolato dal successore di Abd-Allah per saldare i conti della dinastia. Campato sol dalla proscrizione un rampollo degli Omeiadi, rifuggivasi in Spagna; trovava partigiani; faceasi un reame di quella provincia, e lasciavalo ai suoi discendenti che presero il nome di califi.

199Si confrontino: Riadh-en-nofûs, MS., fog. 5 recto a 6 verso; Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, p. 18 recto, anno 74; Nowairi, presso De Slane, op. cit., p. 338, seg.; Baiân, p. 18 a 23, sotto l'anno 78; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 24 a 28, che non porta data della prima impresa e assegna alla seconda il 74; Ibn-Khaldûn stesso, Histoire des Berbères, tom. I, p. 198, 208, 213, 214; Tigiani, Journal Asiatique, août-septembre 1852, p. 120, 121; Leone Africano presso Ramusio, Navigatione et viaggi. Ho seguito piuttosto il Riadh che le altre autorità nel racconto delle due espugnazioni di Cartagine. Trovo nel solo Riadh la divisione del Fei e delle terre ai Berberi musulmani. Veggansi anche Theophanes, Chronographia, tom. I, p. 566, 567, (an. 690); Nicephori Breviarium Historicum, p. 44, 45, (anno 696); Pagi, note al Baronio, Ann. Eccl., anno 691 e 696, che segue Nowairi; Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXII, § 19, seg.; e Gibbon, Decline and fall, cap. LI, note 157, 158, 159. Gli Arabi discordano tra loro nella cronologia, come s'è visto, e dai Cristiani intorno gli avvenimenti principali. Io ho preso da Ibn-el-Athîr la data della prima impresa di Hassân, e dai Bizantini quella della seconda, che mi pare determinata con sicurezza dalla rivolta dei soldati d'armata tornati di Cartagine, i quali giunti in Cipro, gridarono imperatore Tiberio II. Così i Bizantini sarebbero rimasi padroni di Cartagine, non un anno come dicono gli scrittori loro, ma tutto il tempo che Hassân soggiornò a Barca dopo la sconfitta del fiume Nini. Credo abbia errato il Gibbon supponendo un rinforzo di Visigoti a Cartagine, su la sola testimonianza di Leone Africano, il quale (fog. 72 recto) dice che vi si ridussero “i nobili Romani e i Gotti.” Il testo Arabo di Ibn-Khaldûn ci mostra con certezza che Leone tradusse Goti la voce Farangia; e come lo stesso testo porta che i Farangia insieme coi Rûm furono sottoposti al tributo fondiario quando Hassân ordinò l'azienda pubblica in Affrica, così egli è evidente che non si tratti di soldati stranieri, ma della popolazione germanica rimasta nel paese, cioè dei Vandali.
200Iftitâh-el-Andalus, MS. di Parigi (in appendice a Ibn-Kutîâ), fog. 51 recto. Questo libro, di antico autore anonimo, dice che Musa liberto degli Omeiadi discendea da una famiglia barbara fatta schiava da Khaled-ibn-Walîd. Perciò era oriundo di Siria o Mesopotamia.
201Si confrontino: Ibn-Koteiba, presso Gayangos, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain by Al-Makkari, tom. I, pag. LIV a LXVI, in appendice; Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 42 verso, anno 89; Baiân, p. 24 a 28; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 29, 30; Nowairi, presso De Slane, Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, tom. I, p. 343, seg., in appendice; Ibn-Scebbât, MS. p. 38, 39; Ibn-abi-Dinar, MS., fog. 6 recto e 14 verso, e trad. p. 14, 57, il quale riferisce con molta diligenza le varie tradizioni su la costruzione dell'arsenale di Tunis. Al dire di Ibn-el-Athîr e di Nowairi, Musa prese il governo d'Affrica l'89 (707-8); ma è più esatta certamente la data del 79 (698-9) che si trova presso Ibn-Koteiba.
202Ibn-Koteiba, presso Gayangos, The history of the Mohammedan Dynasties in Spain by Al-Makkari, tom. I, p. LXX a LXXXVIII; Nowairi, presso De Slane, op. cit., p. 353 seg.; Reinaud, Invasions des Sarrazins en France, p. 4 a 12; Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte I, cap. 6 a 19.
203Baiân, p. 35 a 46; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 31 a 43; Nowairi, presso De Slane, op. cit., p. 356, seg. Ho cavato alcuni particolari su la rivolta di Tanger da Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 82 recto e verso, anno 117, e altri da Ibn-Kutîa, MS. di Parigi, fog. 6 recto e 7 verso.
204Veggasi su questa origine dei Rostemidi Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, trad. di M. De Slane, tom. I, p. 242, con le note del dotto traduttore.
205Il plurale è gionûd; ma adottando la voce giund, come ci occorrerà di farlo, useremo sempre il singolare, dicendo al plurale i giund.
206Cap. III, pag. 68.
207Kâid suona etimologicamente dux e condottiero. Poi in Spagna divenne titolo di magistrato civile, e in Sicilia di uficio di corte e di nobiltà.
208Ibn-Abd-Rabbih, MS., tom. I, p. 73.
209Nowairi, presso De Slane, op. cit., pag. 363, 364; e ancora in nota a Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 39, seg.
210Il Baiân, p. 68, dice che Iezîd-ibn-Hâtem (771) ordinò i mercati del Kairewân, dando un luogo separato ad ogni arte. Sappiamo d'altronde che ciascun'arte presso i Musulmani facea corporazione, avea moschea propria e componea società di assicurazione per le pene pecuniarie.
211Questi fatti ricorrono a ogni momento nelle cronache dell'Affrica dal 740 in poi, presso Ibn-Khaldûn, Nowairi, nel Baiân, ec.
212Biscir-Ibn-Sefwân della tribù di Kelb, e però di schiatta himiarita, preposto all'Affrica e alla Spagna l'anno 721, avea pieno quei governi di uomini suoi, che furono aspramente perseguitati dal successore O'beida della tribù medharita di Soleim. Un dei perseguitati mandò allora certi versi al califo, rimproverandolo d'ingratitudine contro una gente che avea sparso il sangue per portare al trono i maggiori di lui; e il califo depose subito il governatore. Nowairi, presso De Slane, op. cit., p. 358; Conde, Dominacion de los Arabes en España, parte I, cap. 22.
213Ibn-Kutîa, MS. di Parigi, fog. 6 verso, 7 recto. Questo antico scrittore è quegli che dice come il corpo di soldati omeiadi si componesse d'Arabi e di liberti. Vedi anche Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. IV, fog. 82 recto, seg., anno 117; Baiân, p. 41, seg.; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 34, seg.; Nowairi, presso De Slane, op. cit., tom. I, p. 359, seg.
214Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 42, seg.; Baiân, p. 47, seg.