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La guerra del Vespro Siciliano vol. 2

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CAPITOLO XVIII

Forze di Federigo e de’ nemici, e pratiche di Bonifazio. Trattato di Carlo II con Genova. Pratiche di lui in Sicilia. Armamenti navali; battaglia di Ponza; trattamento de’ prigioni siciliani, e morte di Palmiero Abate. Continua con poco frutto la guerra. Naufragio della flotta di Roberto. Congiura contro la vita di Federigo. Blocco di Messina; orribil carestia; e virtù del re. Tregua. Dalla primavera del 1300 a quella del 1302.

Nondimeno queste due vittorie poco fruttarono a Federigo, come nè la sconfitta del capo d’Orlando l’avea spogliato al tutto delle Calabrie. E fu per cagione della difficoltosa espugnazion delle terre, secondo l’arte militare d’allora; e assai più pe’ vizi dell’ordinamento feudale, ai quali, per ben comprendere questi avvenimenti, dobbiamo spesso tornar col pensiero, noi che in questo secolo, in vizi contrari viviamo. A un assalto nemico, lo stato mal connesso tutto si sgomenava; si spicciolavan le armi per ogni terra, pensando ciascuno a guardarsi dassè, più che a rinforzar l’oste regia; e assai lenti sviluppavano tutti i casi della guerra: ondechè, se ne togli alcun subito sforzo, d’altronde nè universale nè durevole, picciola parte delle forze dello stato restava a maneggiarsi dal principe.

E così parrà men temeraria quella ostinazione di Federigo a ricombatter sul mare, con disparità di numero, e Loria a fronte; perchè in mare almen potea adoprare unite e ristrette tutte le forze, e scansava lo scompiglio al di dentro. Che se allo sbarco del principe di Taranto, s’infiammaron tanto gli abitanti di val di Mazzara, che popolarmente seguiano il re a rituffar in mare il nemico, e guadagnavan la battaglia della Falconarìa, tornaronsi a’ consueti esercizi delle industrie, quando non videro altra occasione a far oste, che in tediose e aspre espugnazioni. Indi gli stanziali restavan soli in arme quando si pugnò a Gagliano. Eran gente mescolata; Spagnuoli, Siciliani, e pochi altri Italiani di parte ghibellina; leggendosi tra’ condottieri un Farinata degli Uberti296, e che molti Colonnesi, nello sterminio di lor casa, rifuggironsi a Federigo297. Maggior aiuto gli davan di Genova i Doria, gli Spinola, i Volta, e lor consorti, padroneggianti i consigli della repubblica, e armanti navi agli stipendi di Sicilia298. Donde avea Federigo forti ma poche schiere, alimentate da scarsi danari, per trovarsi la nazione esausta da diciott’anni di guerre, menomata dall’occupazione straniera, e ordinata con leggi assai gelose sopra i sussidi alla corona, i quali anco s’erano assottigliati per le franchige concedute alle più grosse città ed ai militi, in merito di segnalati servigi nella guerra. Ma la ferma volontà de’ popoli al mantener libertà e independenza, suppliva a tutto, e tenea la bilancia, che incredibil sembra, contro la smisurata potenza de’ nemici.

Aveano i nemici quanto danaro si potea trarre dal reame di Napoli, quanto ne sapea fornire la corte di Roma e la fazion guelfa dell’Italia di mezzo. Avean gente dalle or dette province, dalla Spagna, e dalla Francia soprattutto, alla cui materna carità la schiatta angioina di Napoli si volse e prima e poi in ogni suo pericolo. Ond’ecco appena saputa la sconfitta della Falconarìa, Carlo II scrivere a Filippo il Bello a dì otto dicembre, attestando che a lui ricorrea, come a capo e sostegno del suo legnaggio, e prima speranza dopo Dio, e ripregandolo con le più calde parole che gli fornisse gli aiuti di gente, chiesti già prima; che se il re di Francia avea altre guerre più vicine, nondimeno «le sue mani eran sì gagliarde e sì lunghe da poterle, volendo, stendere a’ suoi, e mandare speditamente un soccorso qual che si fosse, perchè in oggi il picciolo varrebbe quanto altra volta il grande; ma tardandosi, ne scenderebber così basso le sorti del re, che veruno sforzo non basterebbe poi a rialzarle299.» Un’altra copia di questa lettera mandò il tre gennaio milletrecento con due ambasciadori, frate Volfranc de’ predicatori, e Pietro Pilet300. Nè la Francia ricusava quegli aiuti, co’ quali si tentò l’ultima volta il racquisto della Sicilia. Ma Bonifazio era il più potente aiuto, anzi il principe dell’impresa, con quel comando pontificale, quel grande ingegno, e veemente e alto animo. Intende costui nei primi dell’anno trecento, come re Carlo, per pietà del figliuol prigione, o tedio e spossamento, abbia dato ascolto ad oratori di Federigo; e prorompe a scrivergli atroci rampogne; conoscerlo già da lunghi anni, per la vil tregua di Gaeta, la disennata pace con Giacomo nel novantacinque, la stolta fazione del principe di Taranto; e così dalla sua pochezza tornasse danno a lui solo, non alla romana Chiesa o a cristianità tutta! Che saviezza, che riverenza al sommo pontefice, che gratitudine ei mostrava, a trattar di soppiatto la pace con Federigo! Perciò, il pontefice era necessitato ad ingiungere ad uomo sì incapace, non osasse continuar la pratica, senza comandamento scritto di lui: se disubbidisse, sentirebbe il peso di scomuniche e processi; e il papa, ch’aveaci speso tanta fatica e danari, saprebbe allo estremo far pace egli con Federigo, a danno della sola corte di Napoli, perchè non si ritardasse il racquisto di Terrasanta. Queste acerbe lettere scrisse il nove gennaio, replicò poco appresso: e ben mostrano chi fosse in quel tempo il sovrano di Napoli, se Carlo II o Bonifazio301.

Carlo allor venne a lui tutto supplichevole, insieme con l’ammiraglio: l’uno per discolparsi, entrambi per chieder soccorsi, da ristorar la fortuna precipitata alla Falconarìa. E il papa, che non sapea perdonar questo rovescio, forte rampognò, ma forte insieme aiutò. Chiama a sè i cavalieri del Tempio e dell’Ospedale di san Giovanni di Gerusalemme, che rechino in aiuto di Carlo tutte lor armi stanziate di qua dal mare; ne richiede anco le città guelfe d’Italia. Esorta con frequenti lettere Roberto a incalzar la guerra; il cardinal Gherardo a sopravvegliare e governare ogni cosa; ai Siciliani gittatisi a parte angioina, scrivea carezzando e piaggiando. Il breve indirizzato a Gherardo, dato di Laterano il primo febbraio, spiega la gran tela che Bonifazio ordiva per volger mezza l’Europa contro quest’indomito siciliano scoglio; e chiudesi con accennare più altre pratiche, che pareagli bene di passar sotto silenzio, e son indi da giudicarsi men lodevoli assai delle dette dinanzi302. Ben egli è vero che il giubbileo, bandito appunto in questo tempo, molto aiutava gli sforzi della romana corte contro Sicilia. Bonifazio l’istituì primo, o confermò con papal decreto la consuetudine antica di festeggiar con istraordinarie pratiche di religione il cominciamento del nuovo secolo303. Chiuse allora a’ suoi nemici politici i tesori d’indulgenza, largheggiati a tutto il popol di Cristo; privonne segnatamente cui desser favore agl’infedeli, o a Federigo, o ricettassero gli usciti Colonnesi304. E attirò in Roma, in poco spazio di tempo, da due milioni di stranieri, che veniano alle perdonanze, e con loro spese arricchian la città e ’l contado; e più la camera apostolica con le limosine, sì larghe, che nella cappella di san Paolo, due chierici senza mai cessare raccoglievano con rastrelli la moneta gittata dai fedeli ai piè dell’altare305.

 

Grandi somme ne fornì dunque il papa a re Carlo, or in sussidio, or in nome di prestito, che tornava allo stesso, per la difficoltà di riaversi306; e ne dieron anco Firenze e Lucca e altre cittadi, oltre i soliti accatti di Carlo da mercatanti stranieri307, e da’ sudditi fin delle città occupate in Sicilia308, e oltre le sovvenzioni che impetrava da’ suoi fuor da’ termini soliti; come fece co’ prelati e feudatari di Provenza, che intendendo la presura del figliuolo, gli si proffersero, ed ei lor chiese danari, armature, navi309. In tal modo sopperiva alle spese della guerra, divenute più esorbitanti per cagion de’ continui soccorsi di vittuaglie e moneta all’esercito in Sicilia, ov’era carestia, e ostinato animo de’ popoli, da non lasciar all’occupatore altro terreno, che quello sul quale posava il piede310.

Molta anco fu la cura a ingrossare l’esercito, che struggeasi, ora per battaglia, or nei casi della guerra guerriata; e spesso anco vedeansi i mercenari lasciar le bandiere, o neghittosi e disobbedienti seguirle a ritroso, e voltar faccia al primo scontro; talchè fu necessitato re Carlo a dar illimitata balìa a Ruggier Loria, di punirli nella persona e nei beni311. Condottieri inoltre ricercava per ogni luogo, con grandi promesse, larghi stipendi: richiese Carlo di Valois e Roberto conte di Artois312; ebbe gente di Spagna, con l’opera di Loria, che non solamente scrivea i soldati, ma obbligatasi al pagamento se il re fallisse313. Firenze mandavagli dugento cavalli314; e tra’ capitani suoi leggonsi Tommaso di Procida, il conte di Fiandra, il delfino di Vienna, Ranieri Grimaldi uscito di Genova315, e altri condottier venduti di gente a lor vendute, pestilenza che per molti secoli poi invilì e distrusse l’Italia. Nelle Calabrie re Carlo armava contro i nostri acquisti le milizie feudali316, e masnade leggiere raccolte a mo’ degli almugaveri, senz’altra legge nè soldo che ’l bottino317. Ma que’ disciplinati mercenari fea traghettare in Sicilia318, misurando le speranze dagli stipendi; e falliangli ancora, come tutt’armi venderecce. De’ cavalli toscani porta l’istoria che fur quattrocento, capitanati da Ranieri Buondelmonte, e congiurati tra loro contro quel Blasco Alagona, ch’avea tanto rinomo tra i capitani di Federigo. Ruggier Loria con l’armata li pose a terra in vai Demone; indi passarono in Catania, ove chiudeasi l’angioino esercito; e braveggianti ivan per vie e piazze domandando ove trovar potessero Blasco. Ma quando sepper da vicino chi egli era, e quali i suoi, scrive Speciale, cessaron l’inchiesta, come pronti alle parole non a’ fatti; talchè scherniti da’ lor consorti e da’ nemici, in breve ora si sciolsero319.

 

Al medesimo effetto di far gente per l’esercito, e più per la flotta, e per toglier anco gli aiuti che occulti ne veniano a Federigo, la casa d’Angiò ripigliava gli sforzi per tirarsi Giacomo e i popoli suoi. E prima Carlo concedette a’ Catalani, Aragonesi e altri sudditi di Giacomo, ch’avessero per lui militato in Sicilia sulla flotta, la terra d’Agosta, e la città di Patti, abbandonate dagli abitatori negli atroci casi di queste guerre; dando lor anco quei contadi, co’ privilegi medesimi de’ Provenzali coloni nel reame, e altre immunità, come paresse allo ammiraglio320. Oltre questo allettamento, fortissimo ad uomini di mare, per la bellezza de’ porti e importanza delle colonie, non fu avaro di concessioni feudali a’ capitani spagnuoli più segnalati321. Il papa ritentava Giacomo per mezzo del cardinal Gherardo d’illibato nome, e per altri messaggi322; e alfine scrìssegli, affettando stil tra amorevole e severo, con che toccava quella biasimevole partita dopo la battaglia del capo d’Orlando, lo scandalo, i sospetti indi nati: purgasseli con richiamar sotto pene rigorosissime i suoi sudditi dalle bandiere di Federigo; vietar che altri vi corresse; e, al contrario, procacciar armamento di uomini e navi al servigio della Chiesa323. Dettegli Bonifazio, per miglior argomento, due anni più di decime ecclesiastiche324: e nello stesso tempo re Carlo facea assai viva dimostrazione a soddisfargli i crediti della passata impresa, con investir su entrate certe e spedite delle contee di Provenza e Forcalquier once duemila annuali, già promessegli sugli acquisti che si speravano in Sicilia325. Ma sia per fuggir novella vergogna, sia per conoscere il peso di tai promesse, o per altra cagione che taccian le memorie del tempo, Giacomo non si lanciò. Rispose al papa aver già fatto abbastanza: e sol rinnovò le inibizioni a’ condottier catalani di Federigo; e lasciò armar ne’ suoi porti per casa d’Angiò, che poi, con questi aiuti, guadagnava la battaglia di Ponza326.

È detto innanzi quali interessi politici avvicinassero Genova alla Sicilia in tutto il corso della guerra del vespro, e come Federigo ne traesse aiuto. Favorivanlo i Ghibellini o Rampini, com’anco diceansi, che in quel tempo tenner lo stato in Genova. I Mascarati o Guelfi, tra’ quali qran primi i Fiaschi e’ Grimaldi d’antica nobiltà, ritentarono invano nel novantadue portar la repubblica a collegarsi con casa d’Angiò; e peggior prova fecero con le armi, tra ’l fine del novantacinque e il cominciamento dell’anno appresso. Contaminaron di sangue e arsioni la misera patria; e soverchiati e scacciati fuggendo, affortificaronsi nella città di Monaco; donde armaron poi a tentar disperati colpi su Genova, o ad aiutare di qualche naval forza re Carlo, che favoreggiavali dalle sue terre di Piemonte e di Provenza, ma non osava altro contro la repubblica, ancorchè desioso di voltarla a parte guelfa, e dispettoso degli aiuti a Sicilia327. Ma papa Bonifazio, men rispettivo assai, l’anno trecento, tra le altre pratiche dette, si volse a questa assai vivamente; pria sollecitando Giacomo di Aragona che distogliesse Genova da quella amistà; poi sforzandosi a parlar benignamente ai legati di Genova e ad abbacinarli con molte promesse, e anco richiedendo Filippo il Bello, che insistesse e minacciasse di chiudere ai Genovesi ogni commercio in Francia328. Alfine il dì della cena del Signore, che fu quest’anno il sette aprile, innanzi l’innumera moltitudine di fedeli accorrenti in Roma al giubbileo, promulgava la scomunica contro Oberto e Corrado Doria, Corrado Spinola e lor case e amistà, e con essi tutta Genova e ’l contado; sotto la solita sanzione, che se infino all’Ascensione non si spiccassero dagli aiuti della ribelle Sicilia, alle pene spirituali s’aggiugnerebbe lo spogliamento de’ beni tenuti dalla Chiesa, e ogni roba loro sarebbe del primo occupante, chiunque potrebbe prendere le persone, sol che non le mutilasse o spegnesse329. A questo bando dalla cristianità, Genova tentennò; mandò oratori al papa; e appiccossi una pratica con re Carlo, Bonifazio l’incalzava per mezzo del re d’Aragona, del re di Francia, e d’epistole a’ Genovesi; minacciando l’ira del Cielo, con seguito di mali terreni; promettendo benedizioni e prosperità se ubbidissero. Al medesimo fine ingaggiò Porchetto Spinola, arcivescovo di Genova, uomo di gran riputazione per pietà e dottrina330 pur da lui offeso l’anno innanzi, all’entrar di quaresima, allorchè dando le ceneri a’ prelati, in luogo delle usate parole, disse allo Spinola il papa: «Rammenta che se’ ghibellino, e co’ Ghibellini in polvere tornerai!» e gliene buttò in sugli occhi331. Ma la debole umana razza, il più delle volte, a questi impeti trema e obbedisce.

Per tal violenza di Bonifazio, di mezz’aprile del trecento, cominciarono a trattare Genova e Carlo; prima in parole tra amici, poi per due legati del re; e la somma fu questa: ch’ei procaccerebbe la dedizione di Monaco, togliendole tutt’aiuto di Nizza e Provenza, e intanto darebbe in sicurtà le castella di Torbia e Sant’Agnese, da riaverle quando Monaco s’arrendesse; e che Genova richiamerebbe di Sicilia, facendone caso di stato, Corrado Doria e tutt’altri Genovesi militanti con re Federigo, nè permetterebbe nuovi armamenti per esso, ma sì per lo re Carlo. Ma, appiccata la pratica, Genova si mettea in sul tirato: desse il re, in luogo di Sant’Agnese, Esa, fortissima sopra una rupe in mare; aggiognesse in ogni modo la torre d’Albegio; fossero benvisti a’ Genovesi il vicario del re in Nizza e ’l siniscalco di Provenza: e poco appresso, che Genova non darebbe statichi per la restituzione delle castella, ma solo la fede di Niccolò e Albertazzo Spinola, Niccoloso e Federigo Doria; nè dalla parte della repubblica si facea altra nuova concessione che rimettere gli usciti ne’ lor beni e anco nella città, da’ Grimaldi e pochi altri all’infuori. E Carlo, perch’avea maggior bisogno, non ostante la mediazione del papa, calavasi a questi patti; nè pur ultimava la negoziazione, saltando i Genovesi, or alla resa di Monaco senza accettar sicurtà d’altre castella, or ad altri ripieghi. Ond’è manifesto; che que’ capi di parte ghibellina, mal combattuti da’ fautori del papa e di re Carlo, volean temporeggiando scansar gli effetti materiali delle scomuniche; ma più amavano tardar l’acquisto di Monaco, che rimettere in patria i Grimaldi, e strignersi tanto con re Carlo, da rinnalzar parte guelfa nella repubblica. Anzi non si restavan essi d’armare per Federigo. I Grimaldi, non meno ostinati, ricusavano lasciar Monaco, per quanto Carlo e la corte di Roma li esortassero e minacciassero, con chiuder loro tutti soccorsi di Provenza, e farvi apparecchiar forze a lor danno. Invano dunque il papa v’intromettea suoi fidati; invano Carlo ad ogni intoppo accrescea il numero degli oratori332, come se per questo mancasse, e non perch’era Genova più forte e più destra. Aifin Bonifazio, sdegnato, di novembre scagliò l’interdetto; l’anno appresso fe’ romoreggiare le armi del Valois; nè pur asseguì l’intento ad altro partito che la resa di Monaco333, e, ciò che vinse ogni ostacolo in popolo mercatante, larghi favori al commercio de’ grani, sì nel regno di terraferma e sì in Sicilia nel caso del racquisto. Cattivato così il pubblico, fu facil cosa al papa toglier al tutto i soccorsi de’ privati a Federigo; chiedendone giuramento da’ magistrati di Genova, e domando con insinuazioni e scomuniche i parmigiani più ostinati334.

Mentre in tal modo praticava casa d’Angiò a scemare il nemico e ingrassar sè d’aiuti di fuori, non meno studiavasi a far parte in Sicilia, continuando le lusinghe all’universale, tentate con poco frutto l’anno innanzi, e rincalzandole, che son le più efficaci, con le pratiche particolari di perdonare, promettere, dar largamente ad uomini e a cittadi. Raffermò a’ Catanesi le immunità lor concedute poc’anzi da Roberto vicario335; alla terra di San Marco, che si tenesse in demanio diretto dalla corona, gran favore in que’ tempi336; questo promesse a Camerata, disposta a tornar in fede, come dicea la cancelleria angioina337; a’ cittadini di Naso, pronti a fare il medesimo, profferse cinque anni di franchigia dalle collette338; diella, pria per anni dieci, poi infino a quindici, a que’ di Lipari per tutti pesi fiscali339: e in Calabria adoperava le medesime arti con le terre di parte siciliana; promesso a Geraci il perdono340; ad Amantea quantunque con essa fermerebbe Goffredo Sclavello, devoto del re341; a Tropea, come più importante, maggiori grazie, franchigia di alcune gravezze per sei anni, e licenza larghissima a misfare su le persone e robe de’ soldati nostri posti al presidio342, a’ quali in van s’era profferto, in prezzo di tradimento, ritenerli agli stipendi angioini343. Sparsersi pei novelli convertiti simili allettamenti; a’ baroni, confermar loro i feudi344; agli uomini mezzani, rimetter colpe, assicurar l’avere, redintegrarli nelle dignità, e (dicono i diplomi) anche nell’onore345. Assai più liberale usò Carlo con chi era stato tra i primi alla tradigione di Catania, o d’altro luogo importante, ratificando tutte le concessioni feudali di Roberto, e altre nuove aggiugnendone, con ufici e dignità: a Gualtier di Pantaleone da Catania, data Biscari, e armato cavaliere; e a pro di Virgilio Scordia non finivano le regie larghezze; creato inoltre capitan della città di Catania, e comandante del castello346. Donde si vede qual dura impresa si trovò alla prova il racquisto della Sicilia; non fidandosi i nimici in sì grande soperchio di forza; e gittandosi a comperar traditori, sì ardentemente, che non bastava la terra a’ molti guiderdoni d’opere o buone o ree, e fu necessità dar l’aspettativa, or concedendo il valor d’un tanto all’anno da investirsi in beni feudali a misura che ne ricadessero alla corona347, or dando, in nome, ad alcun barone i poderi de’ baroni di Federigo348. Queste ampolle di corruzione, lasciaronsi a ministrare in Sicilia stessa a Roberto e all’ammiraglio; il quale ebbe facultà, onori, comando, poco men che di principe. Alle continue concessioni feudali a pro di lui, s’aggiunse in questo tempo Malta e ’l Gozzo, con titol di conte349: chiamavalo poscia re Carlo, «fidatissimo quasi parte del suo corpo medesimo»; e tra tante virtù ch’egli ebbe, gli dicea, che par dileggio, purissimo nella fede; e armandolo d’autorità non minore dello stesso vicario Roberto, diegli che, osteggiando con l’armata, potesse rimetter colpe, debiti, pene qualunque a comuni, a privati350; che per richiamarli alla fede profferisse tutto che paressegli, e ratificherebbe sempre il re351. Così quella smisurata potenza, che Loria avea agognato invano nella siciliana corte, l’ebbe a corte di Napoli; e fallì le speranze dell’una e dell’altra; con noi talvolta per non volere; co’ nemici, volendo sempre, spesso non bastò.

Facendone or indietro a ripigliare i casi della guerra, vedremo come infino alla uscita di primavera del trecento, nissun’altra notevole fazione seguì in Sicilia: e in Calabria i combattenti giunsero a far tregua tra loro, non volente il governo angioino352; il quale, se riebbe qualche terra, la comperò dal presidio per moneta, o da’ cittadini per pratiche353. Intanto con gli aiuti detti, rinforzava l’esercito in Sicilia, allestiva l’armata; e i nostri nell’armata sola affidavansi, lasciando in mal punto, così li biasima Speciale, la guerra di lor casa per cercarne altra fuori. Confortovveli l’ardire di Peregrin da Patti, quell’eroe del ponte di Brindisi, il quale, forniti di macchine pochi legni, abbattendosi con dodici galee pugliesi, le avea investito, messo in fuga, rincacciato fin sotto le mura di Catania, veggente Roberto; nè si stette dall’insultar co’ tiri la stessa città354.

Armate dunque ne’ nostri porti venzette galee, con cinque più de’ Ghibellini di Genova, vi montavano Giovanni Chiaramonte, Palmiero Abate, Arrigo d’Incisa, Peregrino da Patti, Benincasa d’Eustasio, Ruggier di Martino e altri molti, fior della nobiltà siciliana; il supremo comando tenea Corrado Doria, genovese. Navigaron depredando e guastando la riviera infino a Napoli, ove Ruggier Loria mettea in punto da quaranta galee del regno e spagnuole. Mandarono un legno a portargli la sfida: ed ei, ch’aspettava le dodici galee testè rifuggite in Catania, freddo rispondea, non esser pronto per anco a battaglia. Indi la nostra flotta, per vanto di chiudere in porto un tal ammiraglio, soprastette tra le isole del golfo; bravando, senza assalire, nè strignere il nemico, che rinforzavasi. Scorsero i Siciliani una scura notte infino a Ponza; e le dodici galee di Catania a vele gonfie presero il golfo: giunsevi nel medesimo tempo inatteso aiuto di sette galee genovesi de’ Grimaldi, anelanti di bagnarsi nel sangue de’ Doria. Con cinquantotto galee allora uscì Ruggier Loria, contro la nostra flotta di trentadue.

A tal disparità di numero, i baroni dell’armata siciliana, consultavano in fretta sulla nave dell’ammiraglio, per onestare, non la brama di ritrarsi, ma la temerità che accendeali a combattere. Perciò fu vana la saviezza di Palmiero Abate, uomo di gran cuore e nome, invecchiato nelle guerre del vespro355, il quale scongiuravali: che di soverchio non tentassero la fortuna; non mettessero a certissima perdita quest’armata, e con essa le speranze tutte della patria; niun rossore, diceva, al ritrarsi con forze sì disuguali; si specchiassero nel gran Loria, che testè n’avea maggiori, e pur non tenne l’invito, ma combatter volle a suo comodo. Questa sentenza di Palmiero tutti approvavano in sè medesimi, con le parole il contrario, per parere più bravi. Ma Benincasa d’Eustasio, disensato oltre tutti, proruppe: non per isguizzar come delfini innanti il navilio nemico, averli mandato la patria e il re: il mare che solcavano vide già due splendide vittorie de’ Siciliani, sopra numero di nemici doppio del loro; ed or da questi mezzi uomini356 fuggirebbero? «No, si combatta, finì, e i tralignanti Siciliani che tremano, fuggan pur ora; non ci rovinino con l’esempio, ingaggiata che sarà la battaglia!» E Palmiero con ferocissimo sguardo: «A me, gli disse, a me, Benincasa, accenni! Or tempo non è di parole, perchè incalzano i fatti, e mostreranno tra noi chi fugga e chi stia. Ma poichè voglion questo i Cieli, o compagni, d’altro omai non si parli; alla battaglia apprestiamci con l’usato coraggio.» Saltò sul palischermo, picciolo e lesto; e montata la sua galea, armossi da capo a piè. Alacremente tutti correano alla prova disperata. Corrado Doria, ammiraglio, che non ebbe principal parte nel consultare, la cercò bene al combattere, drizzandosi risolutamente a ferir di costa, al primo scontro, la capitana nemica.

Fu combattuta il quattordici giugno del trecento questa infelice battaglia, in cui le cinque galee genovesi ch’eran per noi, si trasser da canto, e venzette sole siciliane affrontarono tutta la flotta nemica, con molta strage scambievole; finchè accerchiate, soverchiate e peste s’accorser tardi di loro temerità. Benincasa d’Eustasio, ch’alla prima avea preso una galea nemica, ne tolse bottino quanto seppe, e die’ l’esempio della fuga. Sei galee il seguirono; le altre, dopo ferocissima lotta, furono prese co’ baroni, i guerrieri, i marinai, tutti carichi di ferite. E Doria solo pur non calava stendardo, ancorchè trovatosi nel più fitto de’ nemici dal principio della battaglia, quando il nocchier di Loria destro cansò l’urto del genovese; e tutti allor gli furono intorno, gli squarciavan co’ rostri i fianchi della galea, salivano all’abbordo, ed erano rincacciati in mare, inchiodati da’ valentissimi balestrieri genovesi. Loria alla fine, tirate indietro tutte le galee, gli spiccò addosso un brulotto. Così avuto prigione Corrado, onorò questa bella virtù con aggravar lui di catene; e a’ balestrieri die’ peggio cento volte che morte, fatto lor cavare gli occhi e mozzar le mani.

Fu a corte di Napoli e per la città e per tutto il reame, grande allegrezza di questa vittoria, di cui festeggiossi nelle città guelfe d’Italia, parendo l’ultima pinta alla rovina di Federigo357. Sopra ogni altra cosa, ne sperava re Carlo aver di queto le terre di quei baroni in Sicilia. Fattili venire quindi a Napoli, sbrancare in diverse carceri, e ad uno ad uno addur dinanzi a sè, li tastava or a trattamenti miti, carezze, promesse, or a minacce e stretture; nè mai potè spuntarne alcuno che gli facesse omaggio. Allora, con nuovo argomento, serbandone altri a Napoli in catene358, altri mandava in catene in Sicilia, a fin di tentare i prigioni con la vista della patria, le cittadi con la carità di questi lor valenti; e affidolli a Loria, vegnente a girar l’isola con la flotta, col terror della recente battaglia, co’ pien poteri, che innanzi dicemmo, de’ quali fu armato appunto in questo tempo, per usarsi con sommo sforzo d’arti e d’armi la vittoria di Ponza. In tal viaggio morì Palmiero Abate. Fu preso a Ponza combattendo, tutto lacero e sanguinoso; il gittaron prima in un carcere, poi in un fondo di galea; ove ammalignatesi le ferite per disagio e niuna cura, struggendoglisi l’animo dal rammarico di vedersi in tal essere, dinanzi quella patria per cui avea speso la sua vita perigliando venti anni tra le armi e’ maneggi di stato, e ora nel maggior uopo non poteala aiutare, a vista di Catania, col nome di Sicilia sulle labbra, spirò. Fe’ onorare Roberto, con esequie e sepoltura nel duomo di Catania, il cadavere di quel grande359.

Arrigo d’Incisa, cittadin di Sciacca, portato a zimbello del pari, ebbe libertà dal caso, che fe’ sdimenticarlo in un carcere a Catania, quando Loria ripartì con l’armata per iscorrer le costiere di mezzogiorno. Donde l’ammiraglio, volendo mostrarlo a’ concittadini, mandava un legno sottile a torlo, con una grossa somma di danaro pe’ bisogni dell’armata; e il legno avveniasi con un di Sicilia, che il combattè e vinse; sì che Arrigo n’andò sciolto non solamente, ma gittò ancor le mani sulla moneta angioina360. Corrado Doria intanto tra li artigli di Ruggiero, emulo e avaro e però di tanto più crudele, era stretto in catene, abbruciato di sete, nudrito appena di quanto bastasse a tenerlo vivo, minacciato e macerato in mille guise, perchè rendesse a Loria la terra di Francavilla. Ei durò questo martirio gran tempo; poi scrissene a re Federigo, e assentendol questi, risegnò il feudo. Ma Francavilla fu il solo acquisto, che tornò a parte angioina dallo strazio disonesto de’ prigioni di Ponza.

Poche altre terre guadagnò in questo tempo, tutte senz’arme: Asaro, data da due omicidi per fuggir la vendetta delle leggi, e incontrarono in brev’ora quella del popolo, che li vergheggiò a morte, mentre ordiano nuova prodizione361; Racalgiovanni362 per tradigione del signore del luogo; Taba363 d’un vil soldato, che aprì una porta a’ nemici, e nel trambusto fu ucciso, innanzi che imborsasse i danari del tradimento; Delia per maggior viluppo di iniquità di Giobbe e Roberto Martorana. Eran costoro amicissimi del signor della terra, ma presi di rea passione per la moglie e la figliuola del castellano, che il signore posto avea in Delia, nè potendo ottenerle per minore misfatto, il castellano trucidarono, fecero violenza alle donne, e, sperando che così n’andrebbero impuni, detter la rocca a Roberto. Ma innanzi ch’ei mandassevi maggior forza, Berengario degl’Intensi, condottier di Federigo364, riprese Delia, intromesso occultamente da un cittadino; e i due scellerati, tratti a coda di cavallo, spirarono sulle forche. Racalgiovanni, assediata da Federigo, non soccorsa da’ nemici, in pochi dì si arrese365.

L’ammiraglio in questo mentre girava l’isola intorno intorno, recando sulla flotta il cardinal Gherardo, senza fare alcun frutto con le arti; e la fortuna delle armi, che aveagli fatto fuggir di mano Arrigo d’Incisa, non l’aiutò in alcun luogo delle costiere di mezzogiorno e ponente, munite egregiamente da’ nostri; e per poco non perde a Termini lui stesso. Tentò Ruggiero lo sbarco per non vedervi forze; e non sapea che Manfredi Chiaramonte e Ugon degli Empuri v’erano entrati la notte innanzi, e chetamente armata una torma di cavalli, aspettavanlo. Datesi dunque le ciurme a predar la città bassa, i nostri cavalli le caricano; le pestano, taglian la ritirata alle navi, gli sbaragliati fanno in pezzi o recan prigioni. L’ammiraglio, che non fuggì mai rischio, era sbarcato co’ suoi; ma non potendoli rannodare in tal contrattempo, si nascose in un cantuccio d’osteria, finchè, ritiratisi i siciliani cavalli, trovò un palischermo, e tornossi alla flotta, ove il piangean morto. Passò il Faro poi, senza tentar Messina; die’ un assalto a Taormina; nè altro ne riportò che il vanto di aver superato quegli ardui luoghi, e fattovi pochissima preda366.

296Veggasi cap. XXVII, pag. 164.
297Gio. Villani, lib. 8, cap. 23.
298Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 10 e 11. Diploma di Federigo, dato il 1 dicembre 1299, presso l’Anon. chron. sic., cap, 57. Diploma di Carlo II, dato il di 8 maggio tredicesima Ind. (1300). Il re commetteva a Matteo d’Adria e Landolfo Ayossa, legati suoi a Genova, d’attraversare gli aiuti che preparavansi a Federigo; armandosi, com’ei sapea, due galee da Rosso Doria, due da’ Volta, tre dagli Spinola, due da Francesco Squarciafico, una da Giacomo di Cisterna, e anche dodici dal comune, sotto specie di servir all’uopo delle sue guerre, ma in realtà per accompagnare quegli armamenti destinati alla Sicilia. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. Carlo II, 1299–1300, C, fog. 195, a t. 4 Federigo stese anche la mano a prender beni ecclesiastici in sussidio della guerra; ma assai discretamente, per non si concitar contro il clero siciliano, che teneva a lui non ostanti le istigazioni di Roma. Veggasi il trattato di Caltabellotta nel capitolo seguente, e i documenti citati dal di Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia, lib. 4, cap. 5, e annotazione 49 allo stesso capitolo.
299Docum. XXXII.
300Diploma negli archivi del reame di Francia, J. 513, 47.
301Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 15 e 16.
302Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 12, 13, 14. Tra le ultime parole del breve son queste: Nonnulla vero alia pro subsidio negotii acies considerationis nostrae circumspicit, quae presentibus non duximus inserenda. Ibid., §. 21, si vede che Bonifacio scrisse ai Catanesi, rallegrandosi con loro della ribellione di Ragusa, di Noto e d’un’altra terra per parte angioina.
303Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 1 a 4, e nota del Mansi su lo stesso luogo. Bolla di Bonifacio, data 22 marzo, ibid., e nella cronica di Francesco Pipino, lib. 4, cap. 41, in Muratori, R. I. S., tom. IX.
304Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 10, che cita una bolla del 1 marzo 1300 a questo effetto.
305Gio. Villani, lib. 8, cap. 36. Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 8. Cronaca d’Asti, in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 191, 192. L’autore della Cron. d’Asti fu testimone oculare. Ferreto Vicentino, in Muratori, R. I. S., tom. IX, pag. 896.
306Oltre le asserzioni di Bonifazio nel breve del 9 gennaio 1300, citato poco fa, questi sussidi forniti dalla corte di Roma nell’anno trecento, son provati da’ seguenti diplomi del r. archivio di Napoli, reg. seg. Carlo II, 1299–1300, C. Diploma dato di Napoli a dì 8 maggio tredicesima Ind. (1300). È una quetanza de’ danari che Bartolomeo de Capua, protonotaio e logoteta, avea ricevuto per conto del re dalla corte di Roma, e speso ne’ bisogni della guerra e dei reame. Vi si leggon le seguenti somme. Da papa Niccolò V, once d’oro 6,000. Da papa Bonifazio ad Anagni, in due volte, once 4,000, più 3,000, più 5,700. Dal medesimo a Roma, per mezzo di rari mercatanti a fin di pagare galee e uomini d’arme di Catalogna in quest’anno tredicesima Ind. once 4,000. Infine anche in Roma altre once 10,000. Reg. cit., fog. 409 a t. Diploma dato di Anagni a 5 giugno tredicesima Ind. È cautela per once d’oro 8,500, date in prestito a re Carlo da papa Bonifazio. Ibid., fog. 412 a t. Diploma monco e senza data nel medesimo registro, fog. 374 a t, Si legge tra vari altri di settembre 1300. Slmilmente è cautela di danaro dato a re Carlo dal papa, cogitans quod ad promocionem et prosecucionem negocii recuperacionis insule nostre Sicilie contra Fridericum de Aragonia, hostem ejusdem Romane Matris Ecclesie atque nostrum Siculosque rebelles, pecuniali subsidio egebamus, etc., e segue con parole di gratitudine grandissima verso il papa, che gli avea dato in prestito fiorini 23,000 in fiorini d’oro e tornesi grossi d’argento; e once d’oro 1,000, in once d’oro. Il re ipotecava alla restituzione, tutti i suoi regni e beni. Avea ricevuto una parte di questo danaro per mezzo degli Spini di Firenze, mercatanti, o, come oggi si direbbe, banchieri del papa.
307Diploma dato di Napoli a 18 maggio tredicesima Ind. (1300). Nobilibus et discretis viris Potestati, Capitaneo, Principibus Artium, Vexilliferis Justitie, communi et populo civitatis Florentie. Li avea ringraziato re Carlo di fiorin d’oro 5,000, donatigli in quest’anno; e di 200 cavalli ausiliari, mandatigli il 20 aprile. Or nuove grazie rendea per altri 3,000 fiorini; e pregavali di richieder altri sussidi di danaro, da altre città di quelle regioni. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 235. Diploma dato di Napoli a 12 luglio tredicesima Ind. (1300). Re Carlo elegge Guglielmo Recuperanza da Pisa, procuratore a riscuoter da quantunque persone e comuni di Toscana, il danaro promesso o da promettersi, in sussidio della siciliana guerra. Gli commette in particolare di riscuoter 4,000 fiorini dalla città di Lucca, e mandarli per la compagnia dei Bardi di Firenze. Ibid., fog. 164. Diploma dato di Napoli a 10 agosto seguente, perchè la compagnia de’ Bardi s’abbia questi 4,000 fiorini di Lucca, in isconto de’ suoi crediti contro il re. Ibid., 287. Diploma dato di Napoli a 19 aprile tredicesima Ind. (1300). Guglielmo de Recuperanza è eletto, con piena guarentigia, procurator dal re a torre danaro in prestito col favor degli amici e devoti del re in Toscana, da comuni, compagnie e privati, pei bisogni dell’impresa che s’apparecchiava contro la Sicilia. R. archivio di Napoli; reg. 1299–1300, C, fog. 144 a t. Diploma dato di Napoli a 4 maggio tredicesima Ind. Arrigo d’Aprano da Napoli, cavaliere, è mandato a corte di Roma, per accattar, con ordine del papa o senza, 4,000 once da alcune compagnie di mercatanti, obbligando i regni e beni di Carlo, e le decime ecclesiastiche a lui concedute da Martino IV, Niccolò IV, e Bonifazio. Ibid., fog. 150. Diploma del 18 aprile tredicesima Ind. (1300) dato di Napoli, per imprestiti da mercatanti fiorentini, da soddisfarsi su la tratta de’ grani. Ibid., fog. 302. Diploma dato di Napoli 20 maggio tredicesima Ind. La compagnia de’ Bardi di Firenze avea prestato al re once d’oro 1,200, per le spese di mandare in Ungheria Carlo suo nipote. Provvedimento di soddisfarle in parte con once 500, che gli uomini di Civita restavano a dare, per le once 1,000, promesse al re s’ei li ritenesse in demanio. Ibid., fog. 244.
308Diploma dato di Napoli a 19 giugno tredicesima Ind. (1300). Perchè si pagasse sulla tratta delle vittuaglie, il rimanente delle once 580, date in prestito a Roberto duca di Calabria da Gualtier de Ala e Marino Riccioli da Catania. R. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 260 a t.
309Diploma al siniscalco di Provenza, dato di Napoli a 11 febbraio tredicesima Ind. (1300). R. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 353.
310Diploma dato di Napoli a 13 giugno tredicesima Ind. (1300). Promettesi largo nolo e ristorazion dei danni che potessero recare i nemici, a chiunque portasse in Sicilia con le proprie navi, grano, orzo, vino, panni, ferro, ec. R. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 241 a.t. Diploma del 20 giugno, ibid., fog. 269; 8 settembre decimaquarta Ind. (1300), ibid., fog. 176; 18 ottobre seguente, ibid., fog. 100 a t.; 22 detto, ibid., fog. 102; 28 detto, ibid., fog. 106 a t.; detto, ibid., fog. 115, per grani ed altre derrate mandate a Roberto in Catania. La corte di Napoli porgeva anche del danaro a Roberto. Diploma dato di Napoli a 2 agosto tredicesima Ind. (1300), per once 7,940 in fiorini e carlini d’oro e d’argento, mandate a Catania per gli stipendi. Ibid., fog. 90. Diploma dato di Napoli a 15 settembre decimaquarta Ind. (1300), per once 2,500 da mandarsi subito in Sicilia all’ammiraglio. Ibid., f. 160.
311Diploma dato di Napoli a 2 maggio tredicesima Ind. (1300), nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1299–1300, C, fog. 148 a t. Tratta de’ soldati, qui vel bolla nostra contra dictos hostes et rebelles nostros in actu vel congressu relinquerint, vel negligentes in illis aut inobedientes tibi (Rogerio de Lauria) fortassis extiterint, etc.
312Diploma dato di Napoli l’8 settembre 1299 duodecima Ind., r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 374. È mandato in Francia da re Carlo a que’ due principi del sangue, maestro Lodovico de Verdun, rogaturum eos et procuraturum cum illis ex parte nostra quod ipsi ad nos in regnum nostrum predictum… nobis certa guerre nostre prosecutione accedant. Gli è data autorità di pagare a ciascun di loro infino a ventimila lire tornesi picciole, per le spese del viaggio, togliendole in presto, sotto la ipoteca di tutti i beni del re.
313Diploma dato di Napoli 4 maggio tredicesima Ind. (1300). Ruggier Loria avea arruolato 60 cavalli in Catalogna, Valenza e altri domini di Giacomo pel soldo, che sarebbe stabilito da un vescovo e un frate legati di Carlo II. Loria obbligò per lo pagamento tutti i suoi beni in Ispagna. E Carlo dichiaravasi tenuto a ristorare perciò di quantunque spesa lui o i suoi eredi. R. archivio di Napoli, reg. seg. 1299–1300, C, fog. 150.
314Diploma dato di Napoli 18 maggio tredicesima Ind. Ibid., fog. 321. Diploma del 18 maggio, al comune di Firenze, citato di sopra, pag. 180, nota 1.
315Diplomi del 23 giugno tredicesima Ind. R. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 368 a t., e 27 giugno, ibid., fog. 268, pel Grimaldi; e del 21 ottobre decimaquarta Ind. (1300), ch’è il conto del credito di Tommaso di Procida per sè e la sua compagnia. A lui 5 once al mese, a’ suoi uomini d’arme 4 per ciascuno, 15 once per prezzo d’un caval baio perduto in servigio, 7 once per un altra, 15 e 10 once per riscatto di ciascuno di vari uomini d’arme, ed once 8 per uno scudiero, fatti prigioni da’ nemici. Una parte gli fu pagata in danaro, il rimagnente in frumento. Ibid., fog. 101 a t. Altro diploma, ibid., fog. 107, pel conte Filippo di Fiandra. Altro del 25 ottobre decimaquarta Ind., per Umberto (primo di questo nome) delfino di Vienna, condottiero di 100 cavalli, ibid., fog. 112 a t. Altro del 31 ottobre per altri 300 cavalli, ec.
316Sette diplomi dati di Napoli a 20 maggio tredicesima Ind. a diversi baroni. Perchè si recassero al servigio feudale in Matera, sotto il conte Pietro Ruffo, capitan generale di guerra in quelle province, sì che si facesse un ultimo sforzo contro il nemico, già prostrato e confuso. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 237 a t. e 238 a t.
317Diploma dato di Napoli a 13 maggio tredicesima Ind. È dato a Riccardo di Grimaldo, abitator di Cosenza, e a’ malandrini della sua compagnia, stati valentissimi contro i nimici, di appropriarsi quantunque prendesser su loro, persone e robe, fuorchè le persone il cui riscatto passasse le 100 once o potesse portare al re il racquisto di qualche terra, nel qual caso si darebbero 100 once alla compagnia. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 222 a t.
318Diplomi dati di Napoli a 9 maggio 1300, tredicesima Ind. nel reg. citato 1299–1300, C, fog. 197 a t. Bertrando Vicecomite è eletto capitano con mero e misto impero, finchè giunga a Catania, a consegnare a Roberto gli stuoli di fanti e cavalli che mandavagli il re. Questa straordinaria autorità per lo solo viaggio, mostra che trista gente fossero questi rinforzi assoldati dal re di Napoli.
319Nic. Speciale, lib. 5, cap. 13. Ei dice espressamente 400 cavalli toscani. I diplomi testè citati, parlan di 200 cavalli di Firenze, ed è naturale che gli altri fossero di altre città di Toscana, al medesimo effetto richieste da Carlo e dal papa, come innanzi si disse.
320Diplomi dati di Napoli a 3 gennaio 1300, tredicesima Ind., registro citato 1299–1300, C, fog. 50 a t. Sono in favore de’ comites nauclerii, proderii, balistarii et marinarii seu homines maris, etc. La terra d’Agosta nell’uno, e la città di Patti nell’altro di questi diplomi, è detta: Nunc exhabitatam et propriis incolis derelictam, etc.
321Diploma dato di Napoli, 28 dicembre 1300, tredicesima Ind. (cioè a dire, secondo il nostro computo, dicembre 1299, perchè la cancelleria di Napoli cominciava il nuov’anno a 25 dicembre), nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 41 a t. È conceduto in feudo il castel di Palagonia in val di Noto in Sicilia, a Rimbaldo de Ofar, uno de’ guerrieri spagnuoli lasciati da Giacomo in Sicilia, e assai segnalatosi. Altro diploma della stessa data, ibid., fog. 42. Concessioni di Caccamo e Racalmuto a Pietro di Monteagudo; di Giarratana e Palazzolo a Gilberto de Sentillis, e altri, forse la più parte spagnuoli.
322Breve del 1 febbraio citato di sopra, in Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 12, e altri citati nello stesso paragrafo.
323Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 17, 18, 19, breve dato il 15 gennaio 1300.
324Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 19.
325Diploma nel citato registro 1299–1300, C, fog. 363. È dato di Napoli il 7 maggio tredicesima Ind. (1300), e indirizzato al siniscalco di Provenza. Dice aver provveduto che sulle entrate delle dette contee, ubi melius, commodius, habilius et liberius percipi valeat et haberi, assignetur et stabiliatur Inclito principi domino Jacobo, Illustri Regi Aragonum, filio nostro carissimo, perceptio annui redditus unciarum auri duo millia computandis in summa pecunie ad quam tenemus eidem juxta quod… in patentibus licteris nostris hactenus exinde factis, etc.
326Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 19. Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 42. Gli ordini di Giacomo furon replicati il 21 marzo, a’ suoi sudditi dimoranti in Sicilia, Ugone de Empuriis, Blasco Alagona, Martino d’Otiet, Bernardo Ramondo de Ribellas, Guglielmo Calcerando, Ponzio de Queralto, Guerao de Pons, Pietro di Puchuert e Bernardo Queralto.
327Veggansi Ann. genovesi, in Muratori, R. I. S., tom. VI. Iacopo de Varagine, parte 12, cap. 9, in Muratori, R. I. S., tom. IX. Giorgio Stella, ibid., tom. XVII, pag. 1015 e 1019.
328Raynald, Ann. ecc., 1300, §§. 12, 18. Egli cita questi brevi del papa senza pubblicarli. Uno se ne trova negli archivi del reame di Francia, J. 715, 25, dato di Laterano il 1 febbraio 1300, il quale fu recato da Isarno priore di Benevento. Bonifazio in questo breve, tra le altre cose, si applaudisce d’avere accolto i legati di Genova allocutione placida et affabili, servata gravitate, ut in talibus quam hujus rei qualitas exigebat, cum oblalionibus grandium et honorabilium gratiarum.
329Raynald, Ann. ecc., 1300, §. 10.
330Ibid., §. 11.
331Giorgio Stella, Annali di Genova, in Muratori, R. I. S., tom. XVII, pag. 1019.
332Queste pratiche con Genova, accennate appena da Raynald, Ann. ecc., e da Giorgio Stella, Ann. di Genova, ne’ luoghi citati, si ritraggono largamente da’ diplomi del r. archivio di Napoli, reg. di Carlo II, segnato 1299–1300, C. Noi ne pubblichiamo i più importami, cioè il primo e un altro che contiene i capitoli dell’accordo; degli altri, che son molti, diamo un elenco, perchè a trascriverli per tenore sarebbe ingrossar oltre modo il volume, e apparterrebbe a una collezion diplomatica, piuttosto che al presente lavoro. È da avvertire, che i nomi propri de’ castelli saranno scrìtti come trovansi in ciascun diploma; storpiati in uno ad un modo, in uno ad mi altro. Que’ di Esa o Eza e Torbia facilmente si riconoscono. Non così l’altro di Santaneta o Santonetta; ma dalla somiglianza del suono, e più dalla posizione topografica, sembra l’attuale terra di Sant’Agnese, su i confini degli stati piemontesi col principato di Monaco. Non ho saputo raffigurare in alcuna delle terre di quei dintorni il nome di Albegio, Labegio, o Abegio, che per altro era una semplice torre senza villaggio, ondechè, distrutta la fortezza, si potè perdere al tutto il nome, ma a molte terre del Piemonte si vede aggiunto, oltre al nome proprio, quello di Albie, e con questa traccia si potrebbe entrare in una ricerca ch’io non ho alcuna ragione da intraprendere. Torbia era castello fortissimo, come il dice Benvenuto da Imola nel comento a’ versi del Dante: Tra Lerici e Turbia, la più deserta, La più romita via è una scala, ec. Purgat., c. 3. Ecco l’Elenco dei diplomi: Diploma del 16 aprile 1300, docum. XXXIII. Lo stesso di 16 aprile 1300. Lettere patenti ai due legati. Reg. cit., fog. 257. Lo stesso dì. Scritto al siniscalco di Provenza che venga a Nizza; consegni, a richiesta dei due legati, Latorbia e Santaneta; ma se Genova, in luogo d’ultimar questo trattato, movesse le forze navali contro i domini del re, il siniscalco si faccia ad offender la repubblica per mare e per terra, fog. 355. A 17 aprile. Perchè si consegni a richiesta dei due legati il castel di Latorbia, fog. 145. Lo stesso dì. Il medesimo per lo castel di Santaneta, ibid. A 18 aprile. Credenziali a’ due legati, fog. 256 a t. A 20 aprile. Al siniscalco di Provenza. A richiesta de’ legati, inibisca di mandar soccorsi alla terra di Monaco dai luoghi vicini, fog. 355. A 21 aprile. Si fa cenno della missione dei legati, Verum, attento et cognito quod in hiis et ceteris factis nostris prima post Deum sanctissimi in Christo patris clementissimi et domini nostri domini Bonifacii, summi pontificis, spes nos regit, etc., è ordinato che i legati vadan prima a corte del papa, ed espostogli il negozio, mutino, aggiungano o tolgano secondo che a lui parrà, fog. 145. A 21 aprile. Lettere patenti, con autorità ai legati di dare e ricevere a nome di re Carlo le obbligazioni risultanti dal trattato, fog. 137. A 6 maggio. Al castellano di La Torbia, che rassegni la fortezza a richiesta dei legati, fog. 200 a t. Lo stesso dì. Due diplomi somiglianti ai castellani di Esa e Torre d’Abegio, fog. 225. Lo stesso dì. Al siniscalco di Provenza, al medesimo oggetto della consegna di Esa, Latorbia e torre d’Abegio, fog. 362. A dì 6 maggio. Documento. XXXIV. A 7 maggio. Lettere di raccomandazione pei due legati di re Carlo, fog. 200. Il dì stesso. Al siniscalco di Provenza. Tolga tutti aiuti a Monaco; e a questo effetto mandi un vicario a Nizza, fog. 862. A dì 8 maggio. A Matteo d’Adria e Landolfo Ayossa legati in Genova. Si parla del recente trattato (certamente quello trascritto nel diploma del 6 maggio) come in romana curia noviter habiti de conscientia domini nostri summi Pontificis. Esaminato l’altro, il re mandava ai legati nuova procura per compiere il trattato. Insieme li forniva di lettere ai castellani delle fortezze da consegnarsi, al siniscalco di Provenza, e agli usciti genovesi in Monaco, per dar la terra, contentandosi a’ patti fermati in lor favore; e se costoro non si pieghino, i legati ne scrivano al cardinal Matteo di santa Maria in Portico. Per la restituzione delle castella staggite presso i Genovesi, facciasi il piacer del papa; cioè non si richieggano statichi, ma solo la fede di Niccolò Spinola, Niccoloso Doria, Albertazzo Spinola e Federigo Doria. I legati assicurino i Genovesi, che se i Grimaldi armeranno in Monaco, non sarà in lor offesa, ma de’ Genovesi militanti per Federigo d’Aragona. Intanto il re sapea che in Genova s’armavano per Federigo due galee da Rosso Doria, due da’ Volta, tre dagli Spinola, due da Francesco Squarciafico, una da Giacomo di Cisterna, e anche dodici dal comune, ma queste sotto specie di servire ad altro. Perciò impedissero questi aiuti, o, nol potendo, non fermassero l’accordo, fog, 195 a t. Lo stesso dì 8 maggio. Nuove credenziali a’ legati, fog. 196. Lo stesso dì. Lettere agli usciti genovesi di Monaco, perchè ubbidissero, fog. 200. Diploma del 22 maggio tredicesima Ind. 1330. Sono i capitoli della pace con Genova, negli stessi termini di que’ del 6 maggio. Ma non vi si legge l’obbligo de’ Genovesi a richiamare gli armati di Sicilia, facendone caso di stato; nè di Carlo a tener siniscalco in Provenza non sospetto a Genova. In vece è detto, che la repubblica non darebbe, nè permetterebbe aiuti a Federigo; e Carlo non vieterebbe l’assedio di Monaco, nè la costruzione di bastioni a questo effetto. Si legge di più, che i Grimaldi e altri usciti possan avere asilo ne’ domini di Carlo, oltre certa distanza da Monaco. I legati sono i due soli primi; e i presenti capitoli si dicono testè mandati dal papa, fog. 410. A 15 giugno. Nuova procura. Si parla del trattato, maneggiato in Genova per Adria ed Ayossa. Or sono elettr maestro Guglielmo Agrario procuratore a corte di Roma, i detti due primi legati, e Giovanni de Porta da Salerno, perchè ricevan Monaco dalle mani degli usciti genovesi, o insistan presso il sinscalco di Provenza per farsi a costoro viva guerra, e intanto congegnarsi la fortezza di Labegio, fog. 267 a t. A 17 giugno. Al castellano della torre d’Albegio, per consegnarla a richiesta dei legati, fog. 242. Lo stesso dì. Al siniscalco in Provenza e Forcalquier. Si dice che il papa avea mandato a re Carlo, Guglielmo Agrario per fargli intender la sua mente sullo affare di Monaco, indi il re aggiunse ai due primi legati, questo Agrario e Giovanni de Porta. E comanda al siniscalco di procacciare la resa di Monaco, con ogni modo di potenza o pazienza, fog. 365. Lo stesso dì. Al medesimo siniscalco. Contiene sino a un certo punto gli stessi ordini. Aggiugnesi che, data Monaco dagli usciti, sian questi raccolti a Tolone, o in altri luoghi di Provenza, ove il trattato nol vieti, fog. 355. Lo stesso dì. Al medesimo, perchè consegni la fortezza di Labegio a richiesta de’ legati, fog. 365 a t. A 19 giugno. Al medesimo, se Monaco si trarrà di mano ai Grimaldi, sia data a persona fidatissima, talchè nullus alius nisi nos ibi posse habeat, e non accada alcuno sconcio quando sarà in potestà nostra, fog. 365 a t. A 21 luglio. Al medesimo siniscalco. Dopo gli sforzi all’accordo tra il re e Genova, tra questa e i Grimaldi, non si conchiudea nulla, perchè degli usciti genovesi in Monaco chi assentiva, e chi no. Togliesse dunque le vittuaglie e tutt’altro aiuto a quel castello; e andasse a espugnarlo, per metterlo in man de’ Genovesi, fog. 367. A 22 luglio. Al medesimo. Gli si trascrive una epistola del re al comune di Genova, tendente a manifestare questo provvedimento. Si raccomanda al siniscalco di metterlo ad effetto, fog. 367 a t. A 23 luglio. Al medesimo. Gli è trascritta la lettera del dì innanzi, con altre più efficaci parole per la esecuzione; al qual fine gli si mandano Roberto de Aldermaro da Nocera e Iacopo d’Itra, giurisperito, fog. 357 a t. Lo stesso dì. Nobilibus et discretis viris capitaneo, potestati, consilio et communi civitatis Janue. Si dà ragguaglio ad essi della pertinacia degli usciti di Monaco, e de’ provvedimenti dati testè al siniscalco in Provenza. I due nuovi legati del re al siniscalco, accordinsi co’ governanti di Genova sul modo da tenere per la riduzione di Monaco, fog. 281 a t. A 4 agosto tredicesima Ind. 1300. Aggiunti, per lo compimento del trattato con Genova, ai quattro legati primi, frate Taddeo, abate del monastero di san Giovanni degli Eremiti in Palermo, e Giovanni Vernallo da Napoli. Possan tutti i legati consegnar la torre d’Albesio; e per la più facile espugnazione di Monaco, uno o due de’ castelli di Latorbia, Esa e Santa Neta, da restituirsi dopo la presa di Monaco, fog. 264 a t. Da un altro diploma, ibid,, fog. 139 a t., si vede che questo fra Taddeo, citato in quello del 4 agosto 1300, era spesso adoperato da Carlo II. Gli fu dato un passaporto per andare in Schiavonia per faccende del re.
333Gio. Villani, lib. 8, cap. 47.
334Brevi di Bonifazio, dati l’un di Laterano a 1 giugno 1301, l’altro di Laterano a 26 agosto del medesimo anno, portati da Raynald, Ann. ecc., 1301, §§. 15, 16, 17.
335Diploma del 28 dicembre 1399 (è segnato 1300 contandosi gli anni secondo la cancelleria angioina di Napoli dal 25 dicembre; ma toglie ogni dubbio l’indizione, ch’è segnata tredicesima, e l’anno del regno di Carlo II, scritto 15, poichè il 16 incominciava in gennaio 1300). Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 50. Non son particolareggiate in questo diploma le immunità che il re confermava.
336Diploma del 5 febbraio tredicesima Ind. (1300). Ibid., fog. 53 a t. È silmilmente confermazione del privilegio di Roberto vicario.
337Diploma del 14 giugno tredicesima Ind., ibid., fog. 389 a t.
338Diploma del 15 febbraio tredicesima Ind., ibid., fog. 54, parla di reversione proxima in spiritu sinceritatis, degli uomini di Naso.
339Diplomi del 15 aprile tredicesima Ind., ibid., fog. 135; e 11 maggio seguente, ibid., fog. 12 e duplicato a 57 a t.
340Diploma del 20 luglio tredicesima Ind., fog. 71, e duplicato a fog. 82, del quale trascriviamo un brano nell’appendice.
341Diploma del 4 maggio tredicesima Ind. 1300, anno 16 del regno di Carlo II. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C, fog. 198.
342Diplomi del 24 giugno e 30 agosto tredicesima Ind. Ibid., fog. 270 a t. e 91. Nel secondo son promessi a que’ di Tropea, se tornassero in fede innanzi il 1 ottobre, la franchigia de’ dritti di marineria e legnami per sei anni, e le persone e i beni degli almugaveri e altri nemici dimoranti in quella terra, per riscatto degli statichi di Trop a trattenuti in Messina.
343Diploma del 22 giugno tredicesima Ind. Ibid., fog. 249 a t.
344Due diplomi del 28 giugno 1300, pel conte Arrigo Ventimiglia, signor d’Ischia maggiore, della contea di Geraci, di Petralia soprana e disottana, Caronia e Gratterì. Ibid., fog. 79 a t. ed 80, e duplicati a fog. 47 a t. e 48.
345Diplomi dell’8 marzo tredicesima Ind. per Garzia Ximeno castellan di Geraci, ibid., fog. 31; del 21 aprile per Bartolomeo Cristoforo di Bucciano pedagogo; del 20 luglio per Pietro de Simenis castellano di Geraci (sembra lo stesso nome del Ximeno), ibid., fog. 70; el 20 luglio per Giordano Balderi, ibid., fog. 70; del 20 luglio per Giorgio Zaccaria milite, ibid., fog. 76; del 20 luglio, per Riccardo Guarna, ibid.; del 20 luglio altro per Giorgio Zaccaria, ibid., fog. 89; del 1 agosto per Niccolò di Cosenza abitatore di Lipari, ibid., fog. 277; del 6 settembre per Giovanni Misuraca, ibid., fog. 160 a t.
346Veggansi i vari diplomi citati nel cap. XVII, che son confermazioni di concessioni di Roberto.
347Son frequentissime nel detto registro di Carlo II, 1299–1800, C, le concessioni di questa natura. Tra gli altri notasi a fog. 369 a t. un diploma di Carlo a Roberto dato a 20 luglio tredicesima Ind. Dice aver conceduto già in feudo a Giovanni de Anich once 50 annuali. Comanda che gli si dia locum quod dicitur Gratterium che rende tale somma; e se questo sia conceduto di già, ne abbia altro dal medesimo valore, dei beni de mero demanio non existentibus, cioè ricaduti al re per confiscazione, non soliti a tenersi in demanio. Simile diploma, dato a di 11 febbraio tredicesima Ind,, ibid., fog. 358, per la concessione delle castella di Odogrillo e Mohac in Sicilia, a Bernardo Artus, per lo valore di 60 once all’anno, già promessogli.
348Diploma dato di Catania da Roberto a 14 marzo 1300, confermato da re Carlo a 29 luglio, pel quale sono conceduti a Paolo de Mileto i beni di Matteo e Tommaso di Termini traditori, cioè partigiani di Federigo. Reg. cit., fog. 34, e duplicato a 75.
349Diploma del… maggio 1300. Ibid., fog. 56, e duplicato al fog. 19.
350Diploma pubblicato dal Testa, Vita di Federigo II, docum. 20, Quivi la data è del 20 luglio; ma riscontrandolo sull’originale nel registro 1299–1300, C, fog. 24 a t., citato erroneamente nel documento del Testa, reg. 1299, C, ho veduto che la vera data sia 20 giugno.
351Diploma del 20 giugno 1300, docum, XXXV.
352Diploma del 19 maggio tredicesima Ind. (1300), nel citato reg. di Carlo II, 1299–1300, C, fog. 250.
353Diploma del 31 luglio tredicesima Ind., dal quale si ritrae esser tornata in fede Cetraro, ibid., fog. 283; e gli altri citati nelle pag. 193, 194. Sembra compiuta in quest’anno la dedizione, o vendita e tradigione, del castel di San Giorgio, trattata da Giacomo nella state del 99; trovandosi un diploma del 7 settembre tredicesima Ind. 1300 per pagarsi danaro, secondo i patti, ad Albagno d’Aragona, che dava al re il castel di San Giorgio in Calabria. Nel r. archivio di Napoli; reg. 1299–1300, C, fog. 372 segnato per errore 332.
354Nic. Speciale, lib. 5, cap. 14.
355Speciale in questo luogo, dice Palmiero Abate, quasi evo prestantior tra gli altri capitani, e cel mostra concutiens caput jam vergens ad senium. Questo attestato parrebbe in contraddizione alle parole di Montaner, cap. 134, che il dà a vedere giovane, che si battesse la prima volta, nell’affronto di re Pietro co’ Francesi, tra Tudela e Besalu, l’anno 1285, come notammo, tom. I, pag. 331. Ma supponendo che fosse allora poc’oltre i 30 anni, e però nella battaglia di Ponza avesse varcato i 50, si posson trovare esatte a un tempo le due testimonianze dello Speciale e del Montaner; nè le contrasta il diploma del 1272, citato da noi, tom. I, pag. 223, che porta Palmiero in quell’anno castellano del castel di Favignana.
356Semiviri, Speciale.
357Nic. Speciale, lib. 5, cap. 14. Anon. chron. sic., cap. 69. Cronica di Bologna, in Muratori, R. I. S., tom. XVIII, pag. 304. Da questa si sa il giorno della battaglia, e la festa che ne fu in Bologna, e confermasi il numero delle navi nostre e nemiche. Tolomeo da Lacca, Ann. in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1303, dice perdute da’ nostri 28 galee, e preso con Corrado Doria il figlio anco e il fratello. Dà traccia altresì di questa battaglia un diploma del r. archivio di Napoli, registro citato 1299–1300, C, fog. 271, dato il 2 luglio tredicesima Ind. (1300), salvocondotto e raccomandazione per un Ramondo de Sulteri da Tolone, che: dimicans cum hostibus in marino conflictu cum eis novissime inito percussus et vulneratus est adeo, etc.
358Così lo Speciale. Confermasi tal testimonianza di lui per un diploma del 16 luglio tredicesima Ind. (1300), reg. cit., fog. 280 a t. È una scritta per le catene di ferro de’ prigioni siciliani, tunc morantibus in criptis predicte civitatis (Neapolis).
359Nic. Speciale, lib. 5, cap. 15.
360Nic. Speciale, lib, 5, cap. 18.
361Nic. Speciale, lib. 5, cap. 16.
362Racalgiovanni era castello sul giogo de’ monti che corrono ad occidente, tra i fiumi Salso e Morello, dal monte Artesino presso Asaro e Castrogiovanni.
363Castello or distrutto. Sorgea sotto il monte Tavi, rimpetto Leonforte, alla scaturigine del Dittaino.
364Così Speciale. Forse era altr’uomo, dello stesso nome di colui che vendè Otranto ai nemici, o quel desso, tornato a parte siciliana, con la indifferenza de’ condottieri mercenari. Di ciò darebbe argomento la dubbia fede in ch’era tenuto presso i nemici. Veg. cap. XVI.
365Nic. Speciale, lib. 5, cap. 16 e 17.
366Nic. Speciale, lib. 5, cap. 18.