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Fra Tommaso Campanella, Vol. 2

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CAP. VI

ESITI DE' DUE PROCESSI, FINE DELLA PAZZIA E CONCHIUSIONE
(dal settembre 1602 al novembre 1604 e seg.ti)

I. Nel settembre 1602, ritornando a Napoli, il Vescovo di Caserta giusta gli ordini avuti dovè riunirsi col Nunzio e col Vicario Palumbo, procedere con loro a' voti su ciascuno de' frati, e poi partecipare questi voti a Roma. Egli avea fatto redigere un completo «Sommario del processo», sulla base di quello formato in Roma dal Monterenzio con l'aggiunta delle cose raccolte posteriormente, ed anche un «Riassunto degl'indizii» per ciascuno degl'inquisiti, in fine del quale si registrò di poi il voto di ciascun Giudice. Queste scritture, composte quasi tutte dal Segretario del Vescovo D. Manno Brundusio, insieme con le bozze e con le copie de' Riassunti fornite di numerose postille di carattere del Vescovo, sono pervenute in mano nostra: esse non fanno parte del processo propriamente detto, ma ne compiono molto bene la conoscenza362. Il Vescovo medesimo scrisse di suo pugno un elenco de' giudicabili in testa delle Copie de' Riassunti, e segnò queste con un numero progressivo in corrispondenza dell'elenco suddetto: naturalmente dobbiamo credere che nell'ordine medesimo si procedè alle votazioni; e siccome troviamo in primo luogo fra Pietro Ponzio, sul quale certamente nella 2a metà di agosto non si era votato ancora (ved. pag. 282), possiamo desumere che le votazioni cominciarono al più presto in settembre, verosimilmente nella 2a metà di settembre.

Si votò dunque dapprima su fra Pietro Ponzio. Il Riassunto contro costui recava: non essere stato nominato nel processo di Calabria ma carcerato d'ordine del Visitatore e per detto di D. Carlo Ruffo come germano di fra Dionisio: essere stato più volte accusato dal Pizzoni di minacce fatte nelle carceri da parte del Campanella, perchè esso Pizzoni si ritrattasse, ma avere ciò negato fra Paolo citato per conteste; essere stato sorpreso in colloquio notturno col Campanella che fingevasi pazzo, dal quale colloquio risultava «non lieve sospetto di familiarità lasciva e disonestissima tra di loro, sebbene fra Pietro fosse innanzi negli anni, rilevandosi dalla sua deposizione, e dall'aspetto, di maggiore età, di anni trenta»; infine non essere stato nè reputato nè esaminato come reo dal Vescovo di Termoli e da' colleghi (si sarebbe dunque potuto e dovuto lasciarlo in pace da molto tempo). Il Nunzio, il Vescovo medesimo ed il Vicario Palumbo, a voti uniformi giudicarono dover essere rilasciato per ciò che spettava al S.to Officio, ma con fideiussione, potendo forse risultare qualche cosa contro di lui nel progresso delle cause del Campanella e fra Dionisio. – Da questo primo Riassunto può già rilevarsi l'animo e l'andamento del Vescovo di Caserta; preciso nella esposizione de' fatti, come del rimanente ci consta per tutti i Giudici di S.to Officio la cui opera abbiamo potuto studiare, ma feroce e senz'ombra di carità nella valutazione ed interpetrazione de' fatti esposti, ad un grado che ben raramente ci è accaduto d'incontrare. I lettori conoscono il colloquio notturno del Campanella e fra Pietro che il Vescovo citava (ved. pag. 88); come mai costui potè dargli quella brutale interpetrazione? È la cosa che più ci offende da parte di questo Vescovo, e che mostrerebbe veramente in lui un'anima abietta al maggior segno: si può solo perdonargli, conoscendo come fra tutte le grandi soddisfazioni, che altrettali soggetti possono godere, è del tutto negata loro quella di una tenera e sentita amicizia, onde debbono finire col perderne assolutamente ogni senso.

Si venne poi a fra Paolo della Grotteria. Recavasi contro di lui essergli stato trovato un libercolo di segreti e sortilegi, scritto non di sua mano, pel quale avea prodotto scuse varie e non mai accertate; essere stato nominato tra' complici del Campanella dal Pizzoni, dal Soldaniero, dal Petrolo, ma da una parte averlo poi fra Dionisio negato, e d'altra parte avere il Pizzoni chiarito che non dovea dirsi complice ma familiare, ed anche avere il Petrolo chiarito che lo conosceva amico del Campanella solo per detto altrui. Considerando che il libercolo, per relazione del P.e Cherubino, conteneva semplici superstizioni soltanto, e per diretta ispezione, appena due volte mostrava abuso di parole sacre, tutti e tre i Giudici, a voti uniformi, decisero doversi fra Paolo rilasciare con fideiussione, pel medesimo motivo detto innanzi, valutando qual pena il carcere sofferto. – Così verso questo frate de' più fangosi, e già galeotto, il tribunale fu piuttosto benigno, tanto che vedremo la Sacra Congregazione di Roma giudicare necessaria per lui qualche pena spirituale.

E si passò al Bitonto. Ricordavasi per costui la sua amicizia intrinseca col Campanella e fra Dionisio attestata da diversi, la visita da lui fatta al Campanella, la dichiarazione del Pizzoni di essere complice del Campanella; inoltre l'essere stato preso in abito secolare, l'avere conversato con secolari di pessima vita, tra gli altri con Cesare Pisano; principalmente poi venivano messe in mostra le ripetute deposizioni del Pisano, il viaggio fatto con lui a Messina e le molte eresie formali dette in tale occasione, rilevate anche nell'altro foro innanzi allo Sciarava, senza sapersi con quale autorità raccolte da costui, confermate poi in punto di morte, ratificate col tormento, e non invalidate da una deposizione di Giuseppe Grillo. I Giudici, del pari a voti uniformi, decisero doversi al Bitonto amministrare la tortura per un'ora, e non risultando altro doversi rilasciare con fideiussione. – Venne poi notato, dopo la discussione sul Bitonto, che gl'indizii medesimi constavano tutti anche per fra Giuseppe di Jatrinoli, contro cui non erasi mai proceduto ad Atto alcuno, forse perchè non si trovava preso, ignorandosi anche se ne fosse stata mai ordinata la cattura o la citazione; e però i Giudici emisero il voto che fosse carcerato e si procedesse contro di lui.

Contro fra Pietro di Stilo rammentavasi la sua familiarità ed amicizia intrinseca col Campanella fin dalla puerizia; la testimonianza del Lauriana, che il Campanella ne faceva gran capitale e parlava con lui delle eresie; la testimonianza del Soldaniero che fra Pietro era venuto presso di lui a sollecitarlo perchè andasse a visitare il Campanella; l'aver lui portata una lettera al detto Soldaniero, ciò che lo dimostrava consapevole de' segreti del Campanella. Inoltre il non aver denunziato il Campanella, mentre ne conosceva alcune eresie, e come religioso e come Vicario del convento era strettamente obbligato a denunciarlo e a fuggirlo; averlo invece continuato a commendare per uomo dotto e sapiente, ed essersi poi negato a deporre, nel 1o processo, ciò che egli ne conosceva. E qui, accennate le divergenti opinioni de' dottori intorno al doversi o no ritenere veementemente sospetto di eresia lo sciente e non rivelante, concludevasi per l'affermativa, aggiungendo che tale veemente sospetto di eresia veniva comprovato dall'avere fra Pietro più volte dichiarato di volere ammogliarsi, benchè si fosse poi scusato allegando di averlo detto in via di scherzo. E però il Vescovo di Caserta emetteva il voto che gli si dovesse amministrare la tortura per purgare gl'indizii: ma il Vicario Palumbo opinò che dovesse prima sottostare ad un nuovo interrogatorio più diligente e poi darglisi una lieve tortura, e non risultando nulla, dovesse abiurare come lievemente sospetto di eresia ed essere rilasciato, ma col bando dalla Calabria; il Nunzio, da parte sua, si uniformò al voto del Palumbo. – Così questa volta la maggioranza del tribunale non seguì la foga del Vescovo di Caserta, il quale evidentemente potea riuscire tollerabile come accusatore ma non come Giudice. Egli confondeva nel più basso modo curialesco i fatti concernenti la ribellione con quelli concernenti l'eresia, non teneva conto dell'essere stato il Lauriana dimostrato falso testimone, non teneva conto dell'essere stato il Soldaniero dimostrato di pessime qualità e forzato da fra Cornelio a dire quel che disse, non teneva conto degli esecrabili procedimenti di fra Cornelio, onde fra Pietro non avea creduto di dover rispondere nell'esame al quale costui l'avea chiamato. I Sommarii de' processi offrivano capitoli speciali contro il Lauriana, contro il Soldaniero, contro fra Cornelio e lo stesso Visitatore, ma questi capitoli pel Vescovo di Caserta rimanevano inavvertiti. Eseguita poi la votazione, il Vescovo aggiungeva che le lettere di fra Pietro ultimamente scoverte (le lettere alle Sig.re Prestinaci etc.) aumentavano i sospetti contro di lui (quasi che quelle lettere alludessero ad eresie)! Poteva e doveva fra Pietro ritenersi colpevole, ma molti degli argomenti addotti dal Vescovo potevano e dovevano tralasciarsi.

Contro il Petrolo allegavasi l'amicizia, conversazione intrinseca e confidenza col Campanella, di cui era discepolo; la fuga insieme presa in abito secolare; la comunicazione fattagli dal Campanella di più e diverse eresie oltrechè del segreto della ribellione, come esso Petrolo avea confessato, senza mai allontanarsene e senza denunziarlo, avendo appena deposto tali cose sotto le minacce e i terrori da parte del Visitatore. Inoltre la confessione ultima di Cesare Pisano ratificata in tortura, che rivelava molte eresie dette da fra Dionisio essere state confermate dal Petrolo; la testimonianza del Lauriana che egli fosse complice nella ribellione; la sua stessa condotta variabile tenuta nell'affermare, nel ritrattarsi, nel dichiarare falsa la sua ritrattazione. Laonde il Vescovo di Caserta opinava che gli si dovesse amministrare due volte la tortura, e non risultando altro, si dovesse farlo abiurare come veementemente sospetto di eresia e bandirlo dalla Calabria rilasciandolo sotto fideiussione; il Nunzio si uniformò a questo voto, ma il Vicario Palumbo votò per una tortura sola bensì gagliarda, accettando tutto il resto. – Come si vede, erano sempre messe in fascio la ribellione e l'eresia; e quantunque ciò accadesse ora in un campo più generale e più comportabile, non si può non riconoscere che il tribunale sconfinava, ed ammetteva un fatto, il quale non gli constava direttamente, e non era nemmeno passato ancora in cosa giudicata nelle persone de' frati. D'altronde pel Petrolo bastavano le proprie confessioni, rivedute e corrette con quelle del Pisano, ma il Vescovo di Caserta si credeva in obbligo di raccogliere tutto il peggio possibile, senza curarsi troppo di farne la scelta.

 

Contro il Lauriana ponderavasi la sua qualità di discepolo e confidente del Pizzoni «indiziato e quasi convinto delle eresie e degli altri delitti del Campanella»; la testimonianza del Soldaniero, che fosse uno degli eletti a predicare; l'avere udite eresie dal Campanella e dallo stesso Pizzoni senza averle rivelate; l'aver suonato la campana all'armi quando si andò a carcerarlo, con che mostrava «aver avuto coscienza e partecipazione de' delitti del Campanella». Inoltre il non aver deposto in giudizio se non dopo di essergli state comminate pene più gravi; e poi l'aver variato nelle deposizioni, l'aver cercato per lettere intorno ad esse consigli al Pizzoni e scuse a Ferrante Ponzio, negando in sèguito questi fatti e rimanendo convinto di mendacio; l'aver menato vita criminosa con costumi riprensibili etc. E però il Vescovo di Caserta espresse anche per lui il voto che gli si dovesse dare due volte la tortura, e non risultando nulla, dovesse abiurare come veementemente sospetto di eresia ed essere rilasciato con fideiussione: il Nunzio acconsentì a questo voto, ma il Vicario Palumbo votò per una tortura sola e per l'abiura come lievemente sospetto. – Senza dubbio contro questo abietto frate si sarebbe stato assai più nel vero procedendo per falsa testimonianza; ma non si usava, senza evidentissime ragioni, passar sopra alla quistione dell'eresia.

Con la votazione sul Lauriana chiudevasi la discussione sui frati i quali aveano rinunziato alle difese, e per tutti costoro i Giudici concordemente emisero pure il voto, che dovessero essere esiliati da entrambe le provincie di Calabria, e tenuti in monasteri ne' quali i loro Superiori potessero osservarne la vita e i procedimenti. Notiamo qui che non ci è pervenuta alcuna notizia di votazione fatta intorno al Campanella, e che verosimilmente non ce ne fu, a motivo della sua pazzia legalmente accertata, la quale facea sospendere ogni Atto ulteriore contro di lui. Ma non deve sfuggire che ne' Riassunti degl'indizii sopra riferiti, e basta guardare quello del Lauriana, trovasi espresso in termini non equivoci il giudizio di colpabilità sul Campanella, e così pure sul Pizzoni defunto. Notiamo ancora che in tutte le votazioni fatte il Nunzio non mostrò mai un'opinione propria, mentre pure egli che sedeva al tempo stesso nel tribunale della congiura, e conosceva intimamente molte e molte cose estragiudiziali, avrebbe potuto e dovuto tenerla; ma indubitatamente egli non avea studiato nè seguito con premura lo svolgimento del processo, fu quindi obbligato a rimettersene a' colleghi, e pur troppo preferì quasi sempre uniformarsi al voto del collega peggiore. Invece il Vicario Palumbo mostrò sovente un'opinione propria: i motivi da lui addotti per sostenerla non furono registrati, ma possono intendersi agevolmente da quanto sappiamo intorno al processo, e bisogna dire che questa opinione riuscì molto più giusta; vedremo che la Sacra Congregazione di Roma la preferì costantemente.

Non rimaneva che procedere alla discussione e votazione su fra Dionisio. Il 20 settembre i Giudici emisero l'ordine di citarne l'Avvocato D. Attilio Cracco, perchè l'indomani comparisse nelle case loro a dire ed allegare quanto volesse, a voce ed in iscritto, avvertendolo che avrebbero spedita la causa anche senza la sua comparsa. E subito dopo doverono imprendere la discussione de' meriti della causa, poichè nel Riassunto degl'indizii troviamo affermato essersi i Giudici più volte riuniti a tale oggetto, e nel processo troviamo registrata la loro decisione in data del 24 settembre363.

Ben lungo e circostanziato fu il Riassunto degl'indizii, scritto interamente dal Vescovo di Caserta, contro fra Dionisio: e poichè esso da tanti lati riguarda anche la persona del Campanella, contro cui non abbiamo un'analoga scrittura, lo riporteremo per quanto è possibile minutamente, accompagnandolo pure con qualche appunto; del resto raccomandiamo di consultare il documento originale364. Rammentavasi contro fra Dionisio la 1a deposizione del Pizzoni in Calabria ed anche la ripetizione del medesimo in Napoli; la deposizione del Lauriana, e quelle del Soldaniero, del Pisano, del Conia; la sua fuga dal convento di Pizzoni mentre procedevasi all'arresto del Pizzoni, e la sua cattura avvenuta in Monopoli mentre cercava mettersi in salvo con Maurizio; la sua amicizia strettissima e piena confidenza col Campanella, durata anche dopo che lo zio P.e Pietro Ponzio glie l'aveva inibita sotto pena di maledizione; la sua lettera al P.e Vincenzo Rodino, in cui parlava di molti segreti che non conveniva affidare alla penna, la sua qualità e i suoi costumi di poco buono odore, le vanterie di brutti peccati commessi, l'irrequietezza e il continuo vagare per la provincia anche «in compagnia de' giovanetti Cesare Pisano e Alfonso Grillo» (evidentemente il Vescovo aveva una speciale tendenza a vedere certi vizii da per tutto); infine l'ultima rivelazione di Maurizio, che non avendo mai confessato nulla con 70 ore di tortura, volle poi sgravare la sua coscienza, e «comportandosi abbastanza sobriamente, disse soltanto ciò che avea saputo dal suo cognato Gio. Battista Vitale» (era proprio certo che dovesse saperne di più). Allegavasi poi e combattevasi ciò che fra Dionisio si era sforzato di dimostrare nelle sue difese contro le persone e i detti de' testimoni a suo carico. E circa il Pizzoni, notavasi che gli era stato nemico e gli avea rubati alcuni scritti, ma osservavasi che già si erano riconciliati tra loro onde conversavano sempre insieme e si trovarono riuniti anche nel momento dell'arresto del Pizzoni; notavasi che il Pizzoni avea pessimi costumi, ma con una classica frase osservavasi che in ciò «nulla avea da dire Catilina a Cetego»; notavasi che era stato vario in certi fatti ed avea osservato molte cose essere state inserte falsamente negli esami da fra Cornelio, ma osservavasi che si erano avute «correzioni piuttosto che varianti», e si dovea credere a quel testimone tanto più, perchè in fondo avea sempre persistito nella prima deposizione malgrado i tanti esami fatti e rifatti dal Vescovo di Termoli (e qui un calcio d'asino al suo predecessore); nè doveasi prestar fede all'ultima assertiva di ritrattazione scritta dal Pizzoni in punto di morte e consegnata al suo confessore, poichè questa non s'era trovata e il confessore P.e Pietro Peres (forse Gonzales) non era di buoni costumi ed avea confessato di nascosto, senza il permesso de' Commissarii e del Curato, e poi per comune sentenza de' dottori non si dovea tener conto delle dichiarazioni de' morenti, estorte da confessori e confortatori, non essendo neanche ogni morente un S. Giovanni Battista (ma in tutti i modi, lasciando in pace S. Giovanni Battista, bisognava cercarla quella confessione e non essere verso i costumi del confessore più severo che verso quelli del Pizzoni, del Lauriana e del Soldaniero). Circa il Lauriana notavasi esserne stata messa in mostra l'intima amicizia col Pizzoni, la mala vita, l'opinione acquistata di testimone falso; ma osservavasi che queste ragioni erano frivole, e bisognava tener conto della diffamazione procuratagli da' Ponzii medesimi e dagli altri frati; che anzi le sue deposizioni erano assai verosimili, mentre già da un pezzo prima, quando non vi era sospetto d'inquisizione, per iscrupolo egli aveva attestato qualche cosa contro fra Dionisio, e poi non risparmiò neanche il suo maestro Pizzoni, e catturato con lui all'improvviso, senza precedente concerto, si trovò d'accordo con lui, nè cedè alle minacce de' Ponzii, «i più furbi ed astuti tra' calabresi» (e le suggestioni di fra Cornelio provate per tante vie? e le incertezze posteriori e i mendaci provati dallo stesso Pizzoni?). Circa il Soldaniero notavasi essere stata allegata la seduzione per parte de' Polistina, sotto promessa dell'indulto che poi gli fu concesso dallo Spinelli, le sue molte varianti con sè medesimo e con Valerio Bruno suo domestico, il mendacio provato con le deposizioni del priore e lettore di Soriano sulla circostanza dell'aver fatto cacciare fra Dionisio e il Pizzoni dal convento: ma osservavasi che nulla constava della pretesa seduzione (pertanto il nome di fra Cornelio figurava nell'indulto), e il Soldaniero era stato dichiarato dal Pizzoni già anteriormente consapevole di tutto, per comunicazione fattagli dal Campanella mediante fra Dionisio, ciò che era del pari provato dal priore e lettore di Soriano, e poi il Campanella medesimo gli avea mandato per fra Pietro di Stilo una lettera, come era confessato da fra Pietro ed attestato dal priore e dal lettore che la videro (ma la lettera non parlava di eresia, e si trovano qui sempre studiatamente confuse l'eresia e la congiura); nè le differenze tra lui e Valerio Bruno erano sostanziali, e Valerio, scorso un anno, avea potuto dimenticare qualche cosa ed anche mentirla, sussistendo non di meno una conformità tra il Soldaniero ed altri testimoni non sospetti. Circa il Pisano, si era allegata un'antica inimicizia per la parte da lui presa nella causa di fra Dionisio contro i Polistina, e la deposizione del Bitonto e del Petrolo, come pure di Giuseppe Grillo, attestanti non essersi fatti discorsi di eresia nella casa del Grillo: ma l'inimicizia era senza dubbio estinta, mentre fra Dionisio era andato col Pisano fino a Messina, e più tardi, insieme col Campanella, era andato a visitarlo nelle carceri di Castelvetere, per procurarne la liberazione, come aveva anche scritto al P.e Rodino; nè poteva tenersi conto delle deposizioni negative del Bitonto e del Petrolo, essendo costoro complici e socii nel delitto, nè di quella del Grillo, essendo inverosimile che i frati avrebbero parlato di cose tanto gravi in presenza di persone non sicure, e d'altronde la deposizione del Pisano era stata convalidata pure in punto di morte e ratificata in tortura. Circa il ì, si era allegata una fede del Cappellano della galera su cui fu confortato a ben morire, attestante aver dichiarato false le cose da lui deposte contro monaci, in materia di ribellione e di eresia, essendogli state estorte con le torture dategli dallo Sciarava: ma questa fede non aveva alcun valore, perchè non rappresentava una deposizione giurata, perchè citava come contesti i P.i Ministri degl'infermi ed uno di essi nella sua fede parlò del Vitale e non del Caccìa, perchè riguardava le deposizioni fatte innanzi allo Sciarava e non quelle fatte spontaneamente innanzi al Vescovo di Gerace etc. Aggiungevasi che erano state pure prodotte fedi di alcune università che attestavano avervi fra Dionisio predicato con edificazione dottrine cattoliche, ma, naturalmente, ciò non bastava. E ricordata una quistione trattata dal Pegna nelle sue aggiunte all'Eimerico, che cioè essendo i testimoni legittimi e degni di fede, ma diversi per luogo e per tempo, non si aveva una convinzione piena e tale da fare assegnare la pena ordinaria per l'eretico negativo ed impenitente (vale a dire la degradazione e la morte), ricordata d'altro lato la gravità degl'indizii, presunzioni e congetture, segnatamente la circostanza del trovarsi «pienamente convinto nella connessa causa della ribellione», si veniva a' voti. Ed uniformemente tutti e tre i Giudici votarono la doppia tortura, seguita dall'abiura per veemente sospetto di eresia, aggiungendovi la relegazione, dopo scontata la pena per la causa della ribellione che doveva ancora essere spedita, in un convento fuori la provincia, a scelta de' Sig.ri Cardinali supremi inquisitori, con l'obbligo di alcune penitenze salutari vita durante.

 

Gli appunti sparsamente fatti nell'esporre questo Riassunto ci dispensano da ogni ulteriore commento sopra di esso. Principalmente fra Dionisio era più che colpevole in eresia, ma il Vescovo di Caserta spiegava contro di lui insinuazioni su tutto e su tutti, equivoci volontarii, interpetrazioni doppie, giudizii benignissimi sui testimoni a carico e severissimi su' testimoni a discarico, premura nel trovare la colpa più che la verità, indifferenza per gli odii ferocissimi delle fazioni fratesche e per la nequizia de' primi inquisitori, che avevano tanto influito nella formazione del processo: insomma, l'abbiamo detto altra volta, i frati erano colpevoli, ma meritavano migliori Giudici; un solo ne ebbero veramente buono, il Vescovo di Termoli, e fu tolto loro dalla morte, e il Vescovo di Caserta non risparmiò le insinuazioni nemmeno verso di lui. Giova conoscere testualmente ciò che egli ne disse: «ognuno che si faccia a guardare rettamente il modo tenuto dal predetto Vescovo nel ripetere tante volte i testimoni del processo offensivo, benchè debba piamente credere che il Vescovo l'abbia usato per investigare e ricercare la verità, pure vi trova non saprebbe dirsi quale umano desiderio di voler cogliere in falso i testimoni del fisco e distruggere il processo di Calabria». Non era umano ma divino desiderio quello di legger chiaro in un processo nato sotto tanti maligni influssi e brutto per tante irregolarità; il Vescovo di Caserta, scrivendo a quel modo, mostrava bene che il senso della giustizia non era in lui molto sviluppato. Il Campanella, nella sua Narrazione, come deplorò la morte del Vescovo di Termoli così giudicò il Vescovo di Caserta, e disse che costui «con dar tormenti et esser troppo fiscale non provò altro»: la qualità di «troppo fiscale» era il meno che potesse dire, e bisogna tener presente che nelle sue condizioni il Campanella dovea mostrare i più grandi riguardi alle persone e alle cose di S.ta Chiesa.

Esaurite le discussioni e le votazioni, doverono mandarsi a Roma i Riassunti degl'indizii co' voti de' Giudici, ed una copia, con le relative bozze, ne rimase presso il Vescovo, ed è quella a noi pervenuta: ma dobbiamo notare che il Riassunto contro fra Dionisio vi si trova solamente in bozza, non ricopiato, donde si desumerebbe che tutto questo lavoro durò fin oltre il 16 ottobre, e che il Riassunto contro fra Dionisio forse non fu mandato, come non dovè essere mandato nemmeno quello contro il Bitonto, poichè costoro a quella data riuscirono a mettersi in salvo. – Intanto deve notarsi che nel processo fu registrata la decisione presa su fra Dionisio con la data de' 24 settembre: questo fatto riesce singolare, poichè i voti de' Giudici servivano solamente per proposte da sottomettersi alla Sacra Congregazione Romana de' Cardinali Inquisitori, dalla quale poi veniva presa la risoluzione che doveva essere seguita da' Giudici nella spedizione della causa. Noi crediamo assai verosimile che la decisione su fra Dionisio sia stata inserta nel processo molto più tardi, quando tutto fu esaurito, per far trovare un ricordo e non lasciare addirittura senza conclusione la causa di un soggetto principalissimo, su cui si aggirava la più gran parte del voluminoso processo.

Come dicevamo, fra Dionisio ed il Bitonto riuscirono a mettersi in salvo il 16 ottobre; essi fuggirono dal Castello insieme col carceriere, e senza dubbio tale fuga dovè essere preceduta da lunghi concerti, pe' quali probabilmente occorsero tutte quelle tergiversazioni, tutti quegl'incidenti fatti nascere da fra Dionisio negli ultimi tempi, non esclusa forse la rissa medesima con tutte le sue conseguenze prevedute e calcolate. Il Nunzio, il Vescovo di Caserta, e parimente il Card.l Gesualdo Arcivescovo di Napoli, tutti mandarono a Roma la notizia della fuga, che appunto dal Carteggio del Nunzio si rileva nella sua data e qualità precisa. In Roma se n'ebbe dispiacere, come si rileva da una lettera del Card.l Borghese in risposta a quella del Nunzio, al quale fu raccomandato caldamente di adoperarsi per riavere nelle mani i frati fuggiaschi365. In Napoli se n'ebbe «universale meraviglia», come si rileva da una lettera del Residente Veneto Anton Maria Vincenti366; e sicuramente il Vicerè dovè ordinare un'apposita inchiesta, ma di tale ordine non c'è riuscito trovare alcuna traccia. Abbiamo bensì trovato ordini vigorosi in questo senso, venuti da Madrid non appena vi giunse la notizia della fuga, e con essi menzionata una carta di avvertenze da doversi tener presenti, la quale carta per altro non fu trasmessa all'Archivio di Stato: con ogni probabilità le avvertenze principali riflettevano la convenienza e la maniera di conoscere se Roma avesse tenuto mano in tale faccenda. Abbiamo trovato inoltre che lo Xarava, recatosi a Madrid per sollecitare la sua nomina a Consigliere, profittò dell'avvenimento per offrirsi ad «impinguare», come allora si diceva, l'inchiesta, e finqui la cosa riesce naturale: ma ciò che riesce strano si è l'essersi offerto pure nientemeno che a procedere nella causa di eresia tanto di fra Dionisio quanto del Campanella, siccome bene informato di tutti i loro disegni, e l'essersi da Madrid ordinato al Vicerè di vedere cosa convenisse fare circa l'intervento dello Xarava; decisamente la fuga di fra Dionisio avea fatto volgere la più viva attenzione verso Roma. Questo si può argomentare da due Lettere Regie esistenti nell'Archivio di Stato367; ma anche senza di esse, si comprende che, dopo le lungaggini verificatesi nello svolgimento della causa, il Governo Vicereale dovè rimanerne tanto più diffidente e sospettoso. Nulla poi conosciamo intorno a' particolari della fuga, la quale del resto non era un fatto assolutamente straordinario; basta ricordare che ne abbiamo già citato un altro esempio in persona del cav.re gerosolomitano fra Antonio Capece. Non potremmo nemmeno dire con certezza chi fosse stato il carceriere che se ne andò co' fuggiaschi. Senza dubbio non fu il Martines, che avea già da un pezzo perduto l'ufficio; ma tutto induce a credere che sia stato Antonio de Torres detto «sotto-carceriero» nella denunzia e ricorso di Camillo Adimari contro fra Pietro Ponzio, e successo interinalmente al Martines, perchè ne' libri parrocchiali della Chiesa del Castel nuovo, dopo di aver figurato più volte a motivo di paternità dal 7 8bre 1587 al 4 7bre 1601, egli scomparisce affatto senza lasciare alcuna traccia di sè, e d'altra parte Onofrio Martorel, che dovrebb'essere l'Onofrio sotto-carceriere citato nel processo e nella Narrazione del Campanella, dopo di avervi figurato del pari assai sovente fin dal 1583, è registrato nell'elenco de' morti in data del 14 gennaio 1605; aggiungiamo poi che nel processo, fin da' primi giorni del 1603, poco dopo la data di cui qui si tratta, incontrasi il nome di un nuovo carceriere, Martino Sances. Conosciamo per altro che fra Dionisio se ne andò a Costantinopoli e quivi abbracciò la fede Maomettana: ma le ricerche da noi istituite nell'Archivio Veneto, rovistando il grandioso Carteggio de' Baili, ci han fatto sapere che egli giunse a Costantinopoli nel maggio dell'anno seguente, essendosi trattenuto segretamente sulle galere di Malta, ed avendole lasciate nel trambusto di una fazione vittoriosa di quelle galere contro il castello di Lepanto. Avremo campo di parlarne più in là: per ora notiamo che questo incidente faceva peggiorare moltissimo la causa del Campanella.

Apparve allora un ordine di cattura «a' cursori, aguzzini ed inservienti di qualsivoglia Curia, tanto ecclesiastica quanto secolare, in qualsivoglia luogo, ecclesiastico, secolare, regolare ed anche di Monache comunque dotato di esenzione, non ostante qualunque privilegio», venendo dal tribunale accordate le veci e le voci proprie, ed inculcato a tutti e singoli, ecclesiastici e secolari, di dare aiuto, consiglio e favore necessario ed opportuno all'effetto predetto368. Quest'ordine si trova in processo senza data, ma non è dubbio che dovè essere emanato propriamente il 17 ottobre; poichè vi si rileva questa circostanza, che al momento in cui fu scritto, vi si parlò solamente della cattura di fra Dionisio fuggito, e poi, con una postilla in margine, vi si aggiunse anche il Bitonto; e non ci manca nemmeno un documento fuori il processo, che attesta essere dapprima venuta al Vescovo di Caserta la notizia della fuga del solo fra Dionisio369. Un'altra circostanza dobbiamo notare nell'ordine suddetto. Esso fu emanato a nome del Nunzio, del Vescovo di Caserta e del Vicario Alessandro Graziano: era costui il nuovo Vicario generale successo al Vaccari, e da questo momento in poi trovasi in quasi tutti gli Atti co' quali ebbe termine il processo principale.

362Ved. Doc. 395, pag. 457.
363Ved. Doc. 425, pag. 531.
364Ved. Doc. 395, alla pag. 464.
365Ved. Doc. 131, pag. 75.
366Ved. Doc. 193, pag. 97.
367Ved. Doc. 234 e 236, pag. 122 e 124.
368Ved. Doc. 426, pag. 531-32.
369Questo documento è rappresentato da un foglietto di pergamena, su cui a grossi caratteri si trovano segnati i nomi di tutti coloro le cui cause doveano spedirsi, frati ed anche secolari; ed è notevole che solamente a lato del nome di fra Dionisio si legge «aufugit», mentre a lato del nome del Bitonto non si legge nulla di simile. Tale foglietto stava insieme con le bozze e copie de' Riassunti degl'indizii presso il Vescovo di Caserta, e lo si dovè scrivere subito dopo la notizia della fuga di fra Dionisio, contemporaneamente all'ordine di cui si parla nel testo, forse nel determinarsi a rompere ogni altro indugio, fare le copie de' Riassunti ed inviarle sollecitamente a Roma; sicchè fino ad un certo punto esso confermerebbe il ritardo avvenuto nell'invio delle copie de' Riassunti oltre il 16 ottobre, e la non avvenuta copia del Riassunto contro fra Dionisio.