Za darmo

Fra Tommaso Campanella, Vol. 2

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

III. L'anno 1601 s'iniziava con tristi auspicii pe' poveri frati. Il 1o gennaio il Vescovo di Termoli moriva nel convento di S.ta Caterina a Formello, presso la porta Capuana, convento del suo ordine, in cui si era negli ultimi mesi recato, abbandonando quello di S. Luigi, e il 2 gennaio era sepolto nell'attigua Chiesa di S.ta Caterina. Nessuna memoria speciale ricorda il buon Prelato, ma in una lapide posta non lungi dalla sacristia, rilevata dall'Engenio230 e poi, a quanto pare, dispersa, si leggevano i «Nomi e Cognomi dell'Illmi Cardinali, e Rev.mi Arcivescovi et Vescovi che sono sepolti in questa venerabil Chiesa, come quivi di sotto sono scritti, e la maggior parte sono sepolti con li Padri sacerdoti», e l'ultimo dell'elenco, l'11o, era «il Rev.mo Maestro Alberto di Firenzuola del medem' ordine Vescovo di Termoli, morì à 3 di Gennaio 1601» (sic). Le circostanze della sua morte ci sono interamente ignote finora. Nel Carteggio del Nunzio una lettera del 3 gennaio, dopo notizie di tutt'altro genere, reca anche questa: «hieri si diede sepoltura al Vescovo di Termoli in S.ta Caterina à Formello, dove si era ritirato come frate di quella Religione di S. Domenico»231; nè si trova una parola sola di chiarimento e anche meno di compianto per la perdita del collega Giudice in una causa di tanto rilievo! La Narrazione del Campanella poi, a proposito di questa morte, reca qualche parola che ha tutto l'aspetto di una insinuazione, oltre le solite affermazioni spinto che il Campanella sapeva ben trovare a sua difesa: «Sendo per la causa del S. Officio venuto dal Papa per Commissario il Vescovo di Termoli M. Alberto Tragagliola, e si scoperse la falsità del processo di ribellione per le molte ritrattation che fur fatte dalli testimoni vivi e morendo; e per le contradittioni, e sconvenienze, e manifeste scolpationi dell'heresie trovate per schifar la pena della finta ribellione, el detto Vescovo si fè intendere, che volea liberar tutti, anche che il Vicerè e Fiscali con promesse e minacce lo voleano levar di questo proposito, e venne a morte, Dio sà perchè, e disse morendo «mi dispiace ch'io moro, e non ho liberato questi frati» e lo scrisse al Papa». Adunque la morte del Vescovo sarebbe stata forse procurata nientemeno che dal Vicerè e da' fiscali: ma nulla veramente autorizza ad accogliere un sospetto si grave, nè quel Vescovo avea propriamente scoperta la falsità del processo della congiura, il quale trovavasi fuori la sua ingerenza, nè volea propriamente liberare tutti i frati; e se avesse scritto al Papa in questo senso, i Sommarii de' processi ecclesiastici non avrebbero mancato di riferirlo. Ben potè rincrescergli che morendo rimanevano i frati senza alcuno appoggio; e dal complesso delle affermazioni del Campanella deve anche conchiudersi che il Vescovo effettivamente non faceva un mistero assoluto delle opinioni che su que' negozii si avea formate, e «se ne lasciava intendere», come il Nunzio scrisse più tardi a Roma.

Naturalmente un'interruzione si verificò nel corso del processo, non solo perchè dovè sostituirsi un nuovo Giudice al Vescovo di Termoli, ma anche perchè doverono in Roma studiarsi gli Atti processuali fin allora compiuti per mandare a Napoli istruzioni su quanto rimanesse a farsi ulteriormente. E frattanto il Governo Vicereale raddoppiò le sue insistenze, perchè si terminasse una volta la causa dell'eresia, e si potesse così spedire quella della congiura. Già abbiamo visto che fin dall'8 settembre, nel mandare a Roma la copia del processo offensivo e ripetitivo, il Nunzio avea partecipato le premure fattegli dal Vicerè e da' suoi Ministri; ma dopo di aver mandata la copia anche del processo difensivo, non cessò mai di sollecitare una risoluzione, e di far conoscere le vive istanze dei Ministri Regii e de' «Deputati insieme seco nella causa della ribellione», vale a dire anche di D. Pietro de Vera certamente dietro doglianze del Vicerè. Così nella lettera stessa di annunzio della morte del Vescovo di Termoli, e in molte altre successive, del 19 e 26 gennaio, del 2, 16 e 23 febbraio e del 15 marzo, non si trova altro che una serie di comunicazioni nello stesso senso, leggendosi: sono stato sollecitato «nè solo hora ma infinite altre volte per il passato, si che hò havuto et hò che disputare»…; «vengo di nuovo sollecitato molto per la speditione della causa de' frati»…; «son di continuo molestato da questi Ministri Regii per la speditione della causa della ribellione» etc.232. Queste lettere, non pubblicate dal Palermo, son rimaste ignorate; ma vede ognuno quanta importanza esse abbiano per raddrizzare certi giudizii molto inesatti, che sono stati proferiti sulla condotta del Governo spagnuolo nella faccenda del Campanella.

Il 24 marzo (non maggio come fu letto dal Palermo) il Card.l di S.ta Severina partecipava finalmente al Nunzio la risoluzione di S. S.tà, che Mons.r Vescovo di Caserta intervenisse nella causa del Campanella e complici «nell'istesso modo che faceva Mons.r Vescovo di Termoli»; oltracciò l'ordine dato, dopo aver visti i processi, di far nuove diligenze col ripetere alcuni testimoni ed esaminarne altri, come pure di far «diligenze sopra la simulatione della pazzia di esso Campanella» secondo che scriveva a lungo a Mons.r di Caserta, il quale glie l'avrebbe comunicato233. E nel processo dell'eresia abbiamo appunto la lettera del Card.l di S.ta Severina al Vescovo di Caserta; ma crediamo bene dar prima qualche notizia sulla persona del Giudice, cui doveva oramai deferirsi ogni cosa, come già al suo predecessore. – Vescovo di Caserta era D. Benedetto Mandina, nato in Melfi di nobile famiglia. Aveva già prima esercitato in Napoli l'avvocatura con un certo credito, e poi, illuminato da un grave calcio di cavallo ricevuto ad una gamba mentre cavalcava con gran sèguito di suoi clienti, era entrato nella Congregazione de' Chierici regolari al convento di S. Paolo nel 1583. Successivamente trasferitosi a Roma, perchè pure in S. Paolo era sempre consultato per faccende legali, gli accadde la cosa medesima da parte delle diverse Congregazioni, onde venne in credito tanto maggiore, e da Clemente VIII fu creato Vescovo di Caserta nell'ultimo di gennaio 1594234; poco dopo, nel 1595, fu inviato come Nunzio in Germania, in Boemia, in Polonia, presso Massimiliano, Rodolfo, Sigismondo ed altri Principi, a' quali fece un'orazione nel convegno di Varsavia, determinandoli alla lega contro i turchi e a quella guerra in cui si ebbe la famosa rotta di Agria che abbiamo già avuta occasione di ricordare a proposito del Bassà Cicala. Al suo ritorno, dopo la morte di Mons.r Carlo Baldino Arcivescovo di Sorrento avvenuta nel 1598, gli fu affidata anche la carica di Ministro della S.ta ed Universale Inquisizione Romana nel Regno, e però, naturalmente, avrebbe dovuto a lui esser commessa la causa del Campanella se fin da principio si fosse trovato presente in Napoli. Tutti questi elevati ufficii da lui tenuti, a' quali venne poi ad aggiungersi anche la sopraintendenza della Chiesa Arcivescovile di Napoli dopo la morte del Card.l Gesualdo, fanno intendere l'opportunità della sua vocazione a Chierico Regolare, e fanno anche intendere la profusione di lodi cantategli da' suoi biografi235. Era caritatevolissimo, generosissimo, giustissimo; lo si disse perfino morto in concetto di santità come il P.e Beccaria (solo pel Vescovo di Termoli non ci fu alcuno che sentisse il menomo odore di santità). Erasi fin dal tempo del suo laicato «esercitato in tutte le opere di carità nel sodalizio della SS.ma Trinità de' Pellegrini al quale avea dato il suo nome»; la generosità ed umiltà sua l'aveano ridotto al punto che si rappezzava le vesti da sè medesimo etc. etc. Inoltre «nell'amministrar la giustizia era innocentissimo», ma severo co' delinquenti, ed una volta, in Caserta, gli fu dato il veleno nel vino con cui celebrava la Messa, ed egli se ne avvide, e perdonando chiunque glie l'avesse dato, se ne venne immediatamente a Napoli per curarsi. Da parte nostra non ci saremmo permesso il menomo dubbio su così splendide virtù, se non avessimo trovato fatti assolutamente opposti nella trattazione della causa del Campanella e socii.

 

Ecco ora in breve quanto il Card.l di S.ta Severina scriveva al Vescovo di Caserta nella stessa data 24 marzo; la lettera fu inserta nel processo, iniziando con essa la serie degli atti compresi nel 4o volume236. Per ordine di S. S.tà egli doveva intervenire nella causa del Campanella «con l'istesso modo, et autorità che faceva il Vescovo di Termole», e però gli si mandava una copia del Sommario del processo. Dovevano farsi alcune nuove diligenze «co' testimonii tra' quali può essere contestura, à fine di convincere il detto Campanella, poichè degl'inditii ve ne sono assai», ma ciò nella diocesi di Squillace, dal Vescovo di quella diocesi che allora trovavasi in Roma e presto se ne sarebbe tornato; si erano quindi redatti in Roma alcuni articoli addizionali per la ripetizione de' testimoni, e se ne mandava la copia a Napoli per farli presentare in processo e darne comunicazione legale al procuratore del Campanella, il quale avrebbe redatti gl'interrogatorii da doversi fare sopra i detti articoli e da doversi mandare a Squillace. Trovandosi carcerati in Napoli due di que' testimoni, cioè Giulio Contestabile e Geronimo di Francesco (e ben si vede che il S.ta Severina non conosceva la condanna all'esilio già in corso pel Contestabile), dovevano essere egualmente esaminati, ed anche ripetuti su' medesimi interrogatorii ed articoli laddove avessero deposto cose rilevanti. Infine dovevano pure per ordine di S. S.tà farsi le diligenze necessarie per scoprire la simulazione della pazzia del Campanella a questo modo: «che si faccia visitare da Medici più volte, et poi si habbia il loro parere in scritti, et anco se gli dia il tormento della veglia con quella circonspettione che parerà conveniente per scoprire, et ritrovare questa simulatione di pazzia». Tutte queste cose egli dovea comunicare a' suoi colleghi, al Nunzio ed al Vicario Arcivescovile.

Mandava perciò il Card.l di S.ta Severina l'elenco delle diligenze da doversi fare in Squillace e parzialmente in Napoli, coll'indicazione de' testimoni da doversi esaminare e ripetere su ciascuno de' fatti che si volevano provare; inoltre gli articoli, ne' quali si trovavano espressi i più cospicui tra codesti fatti237. I testimoni erano parecchi. E dapprima fra Simone e fra Dionisio di Placanica, e fra Domenico di Riace; questi erano stati nominati da fra Gio. Battista di Placanica, siccome presenti alle due affermazioni del Campanella, la fornicazione non essere peccato, e la legge dei turchi essere migliore di quella de' cristiani. Dippiù Tiberio e Scipione Marullo, Fulvio Vua, Gio. Gregorio Prestinace, Giulio Contestabile e Geronimo di Francesco, Giulio Presterà, Francesco Bono, Fabrizio e Paolo Campanella, fra Scipione Politi, tutti nominati dal Petrolo come coloro a' quali il Campanella avea comunicate diverse eresie delle quali si dava un ricordo. Dippiù altri ed altri ancora, nominati nel primo processo del Vescovo di Squillace, siccome presenti alle affermazioni del Campanella, del potersi salvare anche senza il battesimo, del non esser valida la Messa celebrata da chi si trovasse in peccato mortale. Infine anche D. Marco Petrolo, nominato da Cesare Pisano come presente al sermone di fra Dionisio nella casa di Gio. Alfonso Grillo; nella quale occasione poteva esaminarsi anche Tiberio Lamberto che avea detto volere il Campanella predicare una nuova legge. – Gli articoli, compilati dal solito Procuratore fiscale Rev.do Giulio Monterenzio bolognese, furono solamente quattro, attestanti avere il Campanella osato affermare «etiam cum pertinacia», che non valeva, e dava solo qualche vantaggio temporale, la Messa celebrata essendo il sacerdote o l'instante in peccato mortale, che poteva esservi salvazione senza battesimo, che non occorrevano tante religioni di frati, le quali cose erano notorie nella diocesi di Squillace e qua e là nella Calabria anche prima della carcerazione del Campanella. Il fatto di maggiore importanza in questi articoli fu la qualificazione della causa del Campanella, che venne detta «di eresia e di relapso»; per la prima volta non si parlò più di ateismo e si cominciò invece a parlare giudizialmente di relapso, ciò che era ben più grave nelle sue conseguenze, come abbiamo già avuta occasione di mostrare altrove238.

Avuta la lettera e gli atti or ora indicati, il Vescovo di Caserta recatosi dal Nunzio, secondochè ci fa sapere una lettera di costui del 30 marzo239, disse che per allora gli occorreva andare alla sua Chiesa, ma sarebbe presto tornato per condurre a termine la causa. Ed intanto si provvide che fin dallo stesso giorno 30 marzo fosse data all'Avvocato assegnato al Campanella la copia degli articoli addizionali, col termine di due soli giorni per produrre gl'interrogatorii; e il 2 aprile, il magnifico Gio. Battista dello Grugno, che questa volta si nominò, produsse 11 interrogatorii, scritti nelle solite maniere, ma meno banali, più conducenti allo scopo, e in diversi punti non senza un certo acume. P. es. a proposito del non essere necessarie tante religioni, egli volle che i testimoni dicessero se ciò era stato affermato nel senso che non fossero necessarie nelle città, ovvero nel senso che non fossero buoni mezzi di salute; a proposito del potersi salvare senza battesimo, egli volle che i testimoni dicessero se ciò era stato affermato parlando del battesimo in re, ovvero del battesimo in voto. Del resto, come Atti riguardanti la persona del Campanella, noi ci siamo creduti in debito di riportarli tra' documenti, e i lettori potranno giudicarli240. – Mettiamo qui, per non intralciare la narrazione, che gli articoli del fisco vennero subito mandati a Squillace, ma in ultima analisi non si potè quivi conchiuder nulla, come ci mostrano due lettere del Card.l di S.ta Severina, l'una al Nunzio scritta il 30 marzo, l'altra al Vescovo di Caserta scritta parecchi mesi dopo241. I testimoni in generale probabilmente aveano fin perduta la memoria di quelle proposizioni; parecchi tra loro e i più importanti, come il Vua e il Prestinace, erano irreperibili, poichè si tenevano nascosti per isfuggire i rigori del Governo; ed oltre a tutto ciò fra non molto tempo, nel giugno di quell'anno, il Vescovo di Squillace se ne morì, onde la Sacra Congregazione di Roma dovè persuadersi che non c'era più nulla a sperare da quella via. Dalla via di Napoli poi nemmeno si potè raccapezzare qualche cosa, e il risultamento più certo dovè esser questo, che il Governo Vicereale rimase tanto più sospettoso ed irritato per quelle lungaggini, le quali doveano parergli tergiversazioni.

Il 7 aprile fu esaminato Geronimo di Francesco, uno de' due testimoni da doversi interrogare in Napoli secondo le ultime prescrizioni di Roma. Il Vescovo di Caserta si era già istallato in Napoli, ciò che mostra in lui molta alacrità nel compiere l'ufficio suo, e conosciamo che prese stanza nelle case di S. Andrea delle monache, propriamente nel palazzo posto all'angolo tra la via di Costantinopoli e quella della Sapienza. Aggiungiamo che il Nunzio medesimo, al contrario di quanto avea fatto durante la vita del Vescovo di Termoli, non mancò mai più alle sedute, o almeno alle sedute riguardanti la trattazione dell'argomento principale. Il di Francesco, interrogato, disse di conoscere molto bene il Petrolo e il Campanella patriotti suoi, di aver trattato poco col Petrolo, ma aver desiderato di far amicizia col Campanella «per la nominata che sentiva di esso, di essere litterato, et nominata di esser dotto»: ma soggiunse che fu colto da una infermità che lo tenne a letto cinque mesi, onde non potè trattare con lui, e poi per un cattivo ufficio fattogli da esso Campanella presso certi suoi parenti, al punto da metterlo in questione con loro, gli divenne nemico. Dietro altre interrogazioni, disse di non aver mai trattato da solo a solo col Campanella, di avergli parlato una volta di cose comuni insieme con fra Pietro di Stilo, di averlo un'altra volta visto «in sua cella dove legeva di filosofia» essendosi lui fermato alla porta senza parlargli, e di avergli forse qualche altra volta parlato in piazza, senza ricordarsi di che, presenti Marcello Dolce, morto, e Gio. Francesco d'Alessandria (che sappiamo nascosto e forgiudicato; sempre testimoni irreperibili). Soggiunse di non ricordarsi che in presenza sua il Campanella avesse mai parlato di cose di fede. Con ciò manifestamente non v'era alcun luogo a ripetizione, e gl'interrogatorii e gli articoli doveano mettersi da banda. – Ci sarebbe stato da esaminare anche Giulio Contestabile; ma non si sapeva nemmeno dove si trovasse, ed è certo che, oltre un mese dopo questo al quale siamo pervenuti, il Nunzio non era riuscito ad averne notizia, come rilevasi da una sua lettera al Vescovo di Squillace242.

Fu quindi sospesa la trattazione della causa, probabilmente con la speranza di trovare la persona del Contestabile, ed anche con la speranza di avere qualche risultamento dalle informazioni commesse a Squillace. Scorsero cosi presso a poco due mesi senza far nulla, e può intendersi con quanta mala soddisfazione del Governo Vicereale: ma si verificarono in questo periodo di tempo diversi avvenimenti, de' quali andiamo a dar conto. E dapprima furono ripigliate le sedute dell'altro tribunale per trattare la causa del clerico Marcantonio Pittella, che le forze Regie aveano catturato nuovamente dopo la sua fuga: ma di questo, che non entra nell'argomento attuale della nostra narrazione, discorreremo altrove. Un avvenimento, da doversi qui ricordare, fu l'invio di un memoriale di fra Pietro Ponzio a S. S.tà, per reclamare un provvedimento intorno alla sua singolare posizione. Non ci è venuto sott'occhio il testo del memoriale, ma ne abbiamo trovato qualche altro consimile inviato più tardi dallo stesso fra Pietro, che non cessò mai dall'inviarne; e in sostanza egli, non vedendosi incriminato in nulla, chiedeva di essere giudicato, e non trattenuto in carcere solamente perchè germano di fra Dionisio. Il Nunzio, cui fu trasmesso il memoriale dal Card.l S. Giorgio, con sua lettera del 6 aprile rispose, esser vero che fra Pietro «fu preso come fratello di fra Dionigi Pontio capo insieme con il Campanella della pretensa ribellione, pretendendolo informato di essa, et non havendo trovato contra di lui cosa di fondamento, si sarebbe liberato con molti altri che si liberarono, se egli stesso con i ragionamenti fatti di notte con il Campanella da certe finestre non si fosse reso sospetto d'esser informato del tutto; et perchè questa causa della ribellione resta sospesa da quella della Inquisitione, per questo non si è passato più avanti contro di lui; quando si tratti di nuovo di questo negotio, che potrà esser presto, per la speditione che si deve dare ad un Clerico (int. il Pittella), che dopo d'essere stato un pezzo latitante è venuto finalmente in mano della Corte, et la sua causa è in speditione, procurerò si tratti anche di spedir quella di questo fra Pietro, che per quanto vado considerando deve essere anche lui di mala razza»243. Vegga ognuno se possa dirsi questo il linguaggio di un Giudice serio e giusto: d'altronde egli non fece nulla di quanto promise; scorso poco più di un mese il Pittella era già fuori carcere come si rileva dalla sua lettera al Vescovo di Squillace, e fra Pietro rimaneva a languire nel Castel nuovo244.

 

Un altro avvenimento d'importanza anche maggiore fu l'invio di un memoriale di fra Dionisio a S. S.tà, per far conoscere che fra Marco di Marcianise avea mandato fra Cornelio in Ispagna, la quale circostanza poteva ben connettersi con le loro gesta in Calabria contro i poveri frati245. S. S.tà, per mezzo del Card.l di S.ta Severina, ingiunse al Nunzio che s'informasse di tale partenza di fra Cornelio per la Spagna, «da chi vi sia mandato, et à che effetto»; ed il Nunzio, con sue lettere del 6 e del 20 aprile, rispondeva in certi termini che meritano di essere testualmente riferiti e ben considerati. «Quanto al particolare che mi domanda di quel fra Cornelio, posso dirle che hò parlato à chi l'hà visto in Genova per la volta di Spagna, et hò ritratto che è andato con partecipatione del Sig.r Vicerè, nè son lontano à credere che sia stato di consiglio et d'ordine di quel fra Marco da Marcianise, il quale sò che era mal sodisfatto del Vescovo di Termoli, che Dio habbia in gloria, per l'opinione che teneva, et se ne lasciava intendere, che le essamine fatte da lui et da fra Cornelio in Calabria fussero state fatte più per sodisfattione de Ministri Regii che per la verità, et Dio voglia che l'opinione in ciò di detto Vescovo non l'habbia fatto più largo di quel che conveniva in dar adito à quei frati di ritrattare le loro confessioni, come mi lasciai un tratto intendere che mi pareva, et ne avvertii, se bene lasciavo guidare à lui il negotio, come pratico et essercitato lungo tempo in cotesto S.to officio dal quale era stato deputato, ma per le molte occupationi non potei sempre trovarmi à quelle lunghe repetitioni et difese che potettero fare, vi mandai bene il mio Auditore quelle volte che non potei esser io. Se sarà vero, come temo, che detto fra Cornelio sia andato alla Corte per scusare tal fatto, ò per far altro officio concernente questo interesse, lo reputerò molto errore et del Marcianese et di lui, perchè se erano mal sodisfatti dovevano pigliare altra strada». Ed in sèguito: «Hò havuto occasione di parlare con il Padre Fra Marco da Marcianise, il quale mi hà detto che egli (fra Cornelio) è andato in Spagna principalmente per un negotio del Sig.r Carlo Spinello, et che sapeva che haveva parlato al Sig.r Vicerè avanti partisse, et che poteva esser che trattasse là del negotio della ribellione et dell'Inquisitone, poi che si era trovato in Calabria à quei Processi, ma che sopra di ciò non gli haveva ordinato cosa alcuna. Come si sia, non voglio dubitar punto che ne parlerà, et questo non sò se potrà piacere; saprà V. S. Ill.ma quello che dovrà farsi»246. Con ogni probabilità il Card.l di S.ta Severina non fece nulla contro que' frati: ma ciò che riesce ancor più interessante per noi è il vedere il Nunzio riscaldarsi tanto, sol perchè poteva essere alla Corte di Spagna riferita sotto mala luce l'opera de' Giudici ecclesiastici di Napoli, e con questa preoccupazione, intento solo a salvare sè medesimo, spingersi fino a censurare l'opera del defunto Vescovo di Termoli. Egli che non aveva forse nemmeno letto il processo di Calabria, egli che certamente non aveva avuto cura de' più sacri dritti degl'inquisiti nel tribunale della congiura e d'altra parte aveva assistito ben poco alle sedute del tribunale dell'eresia, egli osava mettere innanzi i suoi scrupoli, perchè il Vescovo di Termoli era stato largo nel dare agl'inquisiti agio di ritrattarsi, ed aveva professata l'opinione che i processi di Calabria fossero stati fatti piuttosto per dar soddisfazione a' Ministri Regii. Ed era proprio bene scelto il momento per fare queste osservazioni, mentre que' due ribaldi davano la miglior dimostrazione che il Vescovo di Termoli era nel vero, e facevano manifesta la loro scelleraggine, ricorrendo a Spagna d'accordo col Vicerè e con Carlo Spinelli. Ma bisognava dunque schiacciarli ciecamente quegl'inquisiti per non turbare le buone relazioni con la Corte di Spagna, bisognava sacrificarli alla «ragione di Stato», della quale ben si vede che non a torto si dolse continuamente in versi ed in prosa il Campanella. Per verità il Campanella e socii potevano essere molto colpevoli, ed anzi per noi giuridicamente lo erano, ma meritavano senza dubbio Giudici assai migliori di quelli che ebbero.

L'ultimo avvenimento, che si verificò nel periodo di tempo al quale siamo pervenuti, fu la morte dello sciagurato fra Gio. Battista di Pizzoni. Il 14 maggio, dopo tante sofferenze per la spalla slogata e suppurata, dopo un'apoplessia che gli tolse la parola per quattro giorni (circostanza da notarsi), egli spirò nelle carceri del Castello: lo mostra un'informazione, che d'ordine de' Giudici fu presa da Gio. Camillo Prezioso, e sulla data della morte concorda anche la notizia che ne abbiamo trovata ne' libri Parrocchiali della Chiesa del Castel nuovo. Difatti in un elenco di morti posto al sèguito del libro III, col titolo «Memoria de quilli che morino in questo Castello novo dal di 23 de giugno fatta 1597» si legge: «A di 14 de maggio 1601 morse fra gio. batt.a calabrese». Con questa vaga indicazione, impossibile a decifrarsi senza l'aiuto di altri documenti, trovasi registrato l'amico intimo divenuto poi accusatore del Campanella, colui che fornì la base principale a quei processi, onde il povero filosofo ebbe a patire tante miserie, ed egli medesimo fu tratto ad una precoce fine odiato e malmenato da tutti. – L'informazione su questa morte fu presa il 1o giugno, e fu inserta nel 3o volume del processo, al sèguito delle difese che il Pizzoni avea fatte. Vennero esaminati Alonso Martines carceriere, Antonio de Torres carceriere anche lui e socio del Martines, inoltre Marcello Salerno carcerato per la ribellione, che già abbiamo conosciuto in altri Atti precedenti. Il Martines espose la malattia e la morte del Pizzoni a questo modo: «l'infermità sua fù che havea un braccio guasto per la tortura che hebbe quà in questo Castello per ordine delli Officiali Regii per la causa della ribellione (si vede bene che il Nunzio, la tonsura di D. Pietro De Vera, il Breve e Clemente VIII, non bastarono per far credere nemmeno al Prezioso, che raccolse la deposizione, essere sul serio quel tribunale per la ribellione un tribunale ecclesiastico); et per tal causa a lo braccio se li fece una postema, et dalla postema poi… se li fece una piaga, et li sopravenne un discenso grande che li levò la parola, et sequitandoli quella infirmità trà quattro giorni se morì, et morse la notte de li quattordici di detto mese di maggio, alle cinque hore, et io lo viddi morto ad una camera dove stava, e morse in questo regio Castello novo, et non solo lo viddi morto ma anco lo viddi sepellire alla sepoltura dove si soleno sepellire li preti, et di detta morte di frà Gio. Battista de pizzone ne è stata et è publica voce et fama in questo Castello novo trà quelli che lo conoscevano, è così è la verità». Le cose medesime esposero in sostanza anche gli altri, con un identico formulario; potrebbe appena rilevarsi che aggiunsero essere stato il Pizzoni leso nel braccio destro, avere usato molti rimedii inutilmente, avere avuta la visita di due medici etc. In conchiusione la morte di lui risultò con siffatte testimonianze legalmente accertata.

Intanto fin dagli ultimi giorni di maggio erano in corso i preparativi per ripigliare il processo, in adempimento delle diligenze ordinate da Roma a fine di scovrire la pazzia simulata del Campanella. Si era provveduto che due medici visitassero più volte il Campanella, come risulta da una delle fedi che costoro scrissero e come d'altronde era stato da Roma ordinato; ma senza attendere tali fedi, si era provveduto anche quanto occorreva pel tormento della veglia; per questo dovè farsi venire ogni cosa dalle carceri della Vicaria, poichè sappiamo di certo essere stato della Vicaria uno degli aguzzini che a suo tempo vedremo entrare in iscena. Siffatti preparativi, che non potevano tenersi nascosti, posero in agitazione vivissima i poveri inquisiti: apparve a tutti che specialmente o fra Dionisio o il Campanella fossero sul punto di avere un tormento de' più gravi, e che di poi sarebbe venuta la volta degli altri; si pensò quindi di fare qualche tentativo capace almeno di trattenere un poco l'amministrazione del tormento.

Il 3 giugno fra Pietro di Stilo trasmise con una sua lettera al Vescovo di Caserta alcune carte del Campanella, sulla provenienza delle quali, dovendo nascondere il vero, fece una narrazione abbastanza inverosimile247. Erano le proprie Difese con gli Articoli Profetali, che il Campanella aveva scritte durante il processo della congiura, e che non aveano potuto essere presentate a tempo debito. Fra Pietro, che fin dall'inizio di questi processi avea prescelto di far la parte dell'ignorante, mostrando di non conoscere che cosa quelle carte rappresentassero, scriveva al Vescovo di aver ricevuto dal Campanella già da un anno, poco dopo il suo primo tormento (il tormento del polledro), alcune carte scritte di sua mano, con preghiera che le facesse copiare e le conservasse, perchè erano cose di molta importanza; ed egli le avea prese, e perchè non le intendeva, le avea fatte leggere all'olim fra Gio. Battista di Pizzoni (sempre citato il morto o l'assente) acciò vedesse se ci fossero cose di S.to Officio da poterlo compromettere, nè avea mai più potuto riaverle, dicendogli il Pizzoni che le avea perdute e che erano cose sospette; ma appunto nella sera precedente le avea riconosciute tra altre carte lasciate dal Pizzoni, e per suo discarico le consegnava a S. S.a Ill.ma, perchè vedesse se c'erano cose di eresia come il Pizzoni avea detto, e provvedesse secondo giustizia, assicurando che quelle carte erano «il vero trasunto di quelli scritti del detto frà Thomaso Campanella». – Da parte sua fra Dionisio, il 4 giugno, trasmise con una sua lettera a' Giudici, perchè provvedessero come meglio fosse loro parso di giustizia, una lettera a lui diretta dal Petrolo fin dal 28 maggio, nella quale costui, dicendosi infermo ed abbandonato, scriveva: «intendo che si fanno molti preparamenti di tormenti, e dubito che non siano per V.a Reverenza, o per il Padre Campanella, io, come hò possuto vedere nella copia del processo suo, non m'hò esaminato contra V.a paternità in niente, perche non ci era occasione, si bene mi hò esaminato contra di frà Thomaso ad un certo fine, ch'io esposi in un memoriale all'Ill.mo Sig.r vescovo di Termoli olim commissario di questa causa (pia menzogna, sempre citando il morto), per il quale memoriale credeva io che fossemo tutti rimessi alli nostri superiori, ma vedo che non ha fatto effetto mentre cquà si tormenta, dunque vostra paternità mi favorisca di avvisare li signori superiori e protestarsi che facciano la causa nelle carceri delli nostri superiori (ciò era stato già eseguito appunto da fra Dionisio), ò vero che prima che procedano a cosa alcuna mi reesaminino» etc.248. Evidentemente questa lettera, fatta scrivere dal Petrolo infermo, era un pretesto per pigliar tempo e scansare il tormento almeno per qualche giorno; la lettera medesima di fra Pietro di Stilo, senza dubbio poggiata su qualche cosa assai più concludente, non aveva uno scopo diverso; ma i Giudici cominciarono per fare amministrare il tormento, e di poi, anzi durante il tormento, si occuparono di tali lettere ad essi inviate.

230Engenio, Napoli sacra, Nap. 1623, pag. 151-152.
231Ved. Doc. 108, pag. 68.
232Ved. Doc. 108 a 115, pag. 68 a 70.
233Ved. Doc. 116, pag. 70.
234Vedi l'Ughelli loc. cit. – La data dell'exequatur fu il 25 feb. 1594, come si rileva da' Reg. Sigillorum, vol. 27 (an. 1586-95) fol. 213 t.o.
235Ved. l'Engenio, Napoli sacra, Nap. 1623, p. 562; Silos, Historiarum clericorum regularium t. 2. Rom. 1655, p. 67 e 156.
236Ved. Doc. 396, pag. 470.
237Ved. Doc. 396 e 398, pag. 461 e 473.
238Ved. vol. 1o, pag. 70.
239Ved. Doc. 117, pag. 70.
240Ved. Doc. 398 b, pag. 473.
241Ved. Doc. 118 pag. 70, e Doc. 407 pag. 507.
242Ved. Let. del 18 maggio 1601; Doc. 122, pag. 72.
243Ved. Doc. 119, pag. 71.
244Ved. il cit. Doc. 122, pag. 72. In questa lettera si parla anche di patenti e licenze da trasmettersi al Pittella e al Contestabile: non riesce agevole intendere di che si tratti, ma parrebbe trattarsi di fornir loro i permessi di andare a deporre in Squillace circa le nuove diligenze ordinate da Roma, poichè per la condanna avuta essi dovevano rimanere «extra provinciam Calabriae».
245Il fatto è registrato anche dal Campanella nella sua Informazione, ed interpetrato naturalmente così: «fra Cornelio era di mala conscienza, poi c'ha venduto il sangue di suoi fratelli, et andò fin a Spagna per la paga allo ingannato Re». È da notarsi che il Campanella non aggravò mai la mano sopra fra Marco e lo disse perfino «huomo buono ingannato da loro, che stava tanquam idolum et pastor», mentre tutto il processo, ed anche la parte del Carteggio del Nunzio di cui ci stiamo occupando, mostrano il contrario; parrebbe che al Campanella premesse di non tirarla troppo.
246Ved. Doc. 118, pag. 70, e 120-121, pag. 71-72.
247Ved. Doc. 400, pag. 475.
248Ved. Doc. 399, pag. 474.