Za darmo

Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2

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XXIII.
Scioglimento del voto di Lucia e morte di Don Rodrigo

Fermo intanto era giunto alla capannuccia del Padre Cristoforo, e avendolo veduto lì fuori, che, pregando, chiudeva gli occhi ad un morente, si era ritirato nella capannuccia, senza dar voce, nè far segno che turbasse quel pio e doloroso uficio. Quando il poveretto fu spacciato, Fermo si mostrò, e il Padre Cristoforo andò a lui, che tosto gli raccontò la lietissima scoperta ch'egli aveva fatta di Lucia viva e sana e quell'altra scoperta che era venuta come a tradimento a guastargli una tanta consolazione. Benchè egli, in questa parte del racconto, volesse aver l'aria di chi propone un dubbio superiore ai suoi lumi, aspettando il giudizio d'un sapiente, pure non lasciò scappare nessuna occasione di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel voto, che veniva per lui così male a proposito. Così faceva sentire che, per la parte sua, il giudizio era bell'e fatto; e intanto guardava attentamente ai volto del Padre Cristoforo, per iscoprire un pensiero, dal quale avrebbe potuto dipendere la sua sorte. Ma non potendo leggervi nulla, terminò con una aperta domanda: Che ne dice, Padre? Il Padre stava pensoso: combattuto fra il desiderio di rivedere Lucia e la speranza di consolarla forse, e il timore di rendersi colpevole, abbandonando per qualche tempo i suoi infermi. Dopo essere così rimasto alquanto, pronunziò ad alta voce la conclusione del dibattimento che era stato tra i suoi pensieri. Ho un dovere con quella creatura, diss'egli. Dio l'aveva in altri tempi indirizzata a me, ed ora non me l'ha fatta venir così presso perch'io ricusi di esserle utile. Andiamo.

Lasciò per la seconda volta i suoi ammalati alla cura del Padre Vittore e si mosse con Fermo.

Questi andava innanzi tacito, facendo la guida per quel triste labirinto, e dirigendosi al viale per cui era passato la prima volta, e il frate, pur tacito, gli teneva dietro.

Gli oggetti, che ad ogni mutar di passo si succedevano alla vista, tenevano occupato l'animo di quella compunzione che non trova parole; e in quel momento su quel mesto spettacolo pareva che scendesse e pesasse una mestizia più cupa e più grave dell'ordinario.

Una nuvola comparsa all'occidente aveva a poco a poco coperto tutto il cielo: e alla oscurità crescente avresti detto che il giorno era finito, se il sole, lontano ancor forse due ore dal tramonto, non avesse mostrato, come dietro ad un velo spesso ed immobile, il suo disco grande e biancastro, donde partivano non vivi raggi e diretti, ma un barlume scialbo e circonfuso, che mandava143 una caldura morta e gravosa. L'aria non dava un soffio, non si vedeva muovere una tenda delle baracche, nè piegar la cima d'un pioppo nelle campagne d'intorno. Solo si vedeva la rondine, sdrucciolando rapidamente dall'alto, rasentare con l'ali tese, per un picciol tratto, la superficie ingombra e confusa di quel terreno; e tosto risalire, volteggiare per l'aria in cerchi veloci e piombar di nuovo. Un'afa faticosa prostrava gli animi con una oppressione straordinaria. La lotta del morire era più affannosa; i gemiti dei languenti erano soppressi dall'ambascia; il movimento delle opere era stanco, rallentato, come sospeso; quella dubbia luce dava al colore della morte e della infermità un non so che di più livido; un non so che di più squallido all'abbattimento onde erano atteggiate le figure dei sani; e su quel luogo di desolazione non era forse ancor passata un'ora amara al par di questa.

Eppure quegli che sopravvissero rammentarono quell'ora con gioja per tutta la vita; era la preparazione d'una burrasca, che scoppiò la notte, e menò poi per due giorni una pioggia continua, dopo la quale il contagio cessò quasi ad un tratto. Sotto il fascio di quella comune gravezza, procedevano il giovane e il vecchio, con la fronte bassa il primo e con l'animo diviso fra lo studio della via, fra l'orrore delle cose che vedeva e l'ansietà del suo destino futuro; e l'altro levando di tratto in tratto al cielo la faccia smunta, come per cercare un più libero respiro, e per secondare con quell'atto una speranza interna. – È qui, disse Fermo con voce tremante, accennando la capanna; e v'entrarono, che Lucia, col volto lagrimoso, stava proseguendo il suo racconto. Al riveder Fermo ella trasalì, e al vedere il Padre Cristoforo balzò dal saccone di paglia, ov'era seduta, e gli si gettò incontro sulla porta. – Oh Padre!.. Signore Iddio! come sta ella? soggiunse poi tosto, vedendogli i segni della morte in volto. – Come Dio vuole, mia buona figlia, rispose il frate; e presto spero starò bene affatto.

– Come?.. disse Lucia.

– Come Dio vorrà, riprese egli tosto: Parliamo ora di voi, per cui son venuto.

– Oh Padre! quanto tempo! quante cose! disse Lucia.

– Quante cose! ripetè il frate. E certo, se fossimo là ai vostri monti, seduti in su la porta della casetta di quella buona Agnese, mi lascerei andar volentieri a farne lunghi discorsi. Ma qui il tempo è misurato. E tosto, trattala in disparte in un angolo della capanna, continuò: Fermo mi ha detto che avete fatto voto di non maritarvi.

– È vero, rispose Lucia arrossando.

– Avete voi pensato allora, proseguì il vecchio, che voi avevate un impegno solenne di matrimonio, e che offerivate alla Vergine una libertà della quale avevate già disposto? E che riprendevate una parola già data, senza sapere se quegli che l'aveva ricevuta avrebbe consentito a restituirvela?

– Ho fatto male? chiese Lucia con sorpresa, e con un rimorso che non era tutto doloroso.

– Avete voi confidato a nessuno questo vostro nuovo impegno? interrogò di nuovo il frate: avete chiesto consiglio?

– Non ho ardito, rispose Lucia.

– Ed ora, proseguì egli, che vi dice il vostro cuore di quel voto?

– Che vuoi ella che me ne dica? rispose Lucia, arrossando più che mai e chiudendo quasi del tutto gli occhi, ch'erano già chini a terra.

– Se non lo aveste fatto, lo fareste?

– Se… non fossi in quel pericolo… in un grande pericolo… e poi se non è permesso… non lo farei.

– Se non lo aveste fatto, sareste tuttavia risoluta di sposare quell'uomo a cui avevate promesso?

– Io credeva… che fosse male il pensarvi… ma poi ch'ella me ne domanda… oh Padre sì!

Fermo intanto adocchiava ansiosamente verso quell'angolo, e la vedova anch'essa stava in una tacita aspettazione. Il frate si fece presso a loro, accennando a Lucia, che lo seguì con gli occhi bassi. Allora egli, con voce spiegata, le rivolse questa nuova interrogazione: Credete voi che la santa madre Chiesa ha ricevuta da Dio l'autorità di sciogliere e di legare?

– Lo credo, rispose Lucia.

– Credete voi dunque che ella possa in suo nome ricevere, confermare, o rimettere i voti che gli son fatti, interpretando la sua volontà in questo, come nel perdono dei peccati, e usando una potestà che tiene da lui?

– Lo credo, rispose ancora Lucia.

– Domandate voi alla Chiesa di essere sciolta dal voto di verginità, che avete fatto, o inteso di fare alla Madre santissima di Dio?

– Lo domando, rispose Lucia, con una prontezza, alla quale Fermo non ebbe nulla a desiderare, e che potrà parere forse troppa a chi, non essendo stato presente a quell'atto, non rifletta che la solennità della richiesta, l'aria autorevole di chi l'ha fatta, non lasciavan luogo a titubamenti leziosi, e che ivi la verecondia doveva essere tutta nella sincerità.

– Ed io, disse allora il buon frate con tuono ancor più solenne, prego umilmente la Vergine, regina di tutti i santi, che abbia sempre per aggradito il sentimento del vostro divoto e travagliato sacrificio, e lo offra al suo e nostro Signore; e con l'autorità, che la Chiesa mi ha affidata, vi sciolgo dal voto, annullando ciò che vi potè essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione, se ne avete contratta.

Non parleremo dell'effetto che queste parole produssero nell'animo dei due giovani: la buona vedova era tutta commossa. Il frate continuò, rivolto a Lucia: Siate moglie pudica, moglie affettuosa, moglie contenta dì quella contentezza che conduce all'eterna. Questo Iddio ha voluto e vuole da voi. Quindi levò le mani verso i due giovani, come per parlare ad ambedue. Essi caddero ginocchioni ai suoi piedi, ed egli, tutto assorto, e quasi senza avvedersi di quell'atto, stese le mani su le loro teste e stette un momento pensoso. Erano nel fondo della capanna, come chiusi tra quello e il letto della vedova, che teneva gli occhi fissi su di loro; i giovani inginocchiati con la fronte bassa, e il frate ritto dinanzi a loro, con le spalle rivoltate alla porta.

– Figliuoli, disse egli, che ho amati e che amerò sempre, ricordatevi che se la Chiesa vi assolve da un sagrificio, non lo fa per procurarvi le consolazioni di questa vita, che deve esser tutta un sagrificio, ma per mettervi su la via della santificazione. Amatevi, come compagni di viaggio, col pensiero di avere a lasciarvi, con la speranza di ritrovarvi ancora e per sempre. Rendete grazie al cielo, che vi ha condotti a questo stato non con le allegrezze turbolente e passeggiere, ma coi travagli e fra le miserie, per disporvi ad una gioja raccolta, temperata e continua. E nei vostri discorsi qualche volta, e sempre nelle vostre preghiere, ricordatevi…

Queste parole, che rinchiudevano come un presentimento e un tristo addio, rinnovarono nell'animo di Lucia l'impressione dolorosa che le aveva prodotta l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhi quasi involontariamente, tutta commossa, a riguardarlo di nuovo; ma insieme con l'oggetto che cercava il suo sguardo, un altro inaspettato le se ne offerse su la porta della capanna, alla vista del quale ella mandò uno strido repentino. Tutti gli occhi si rivolsero a quella parte donde le era venuta quella subita commozione144.

 

Ritto sul mezzo dell'uscio stava un uomo, smorto, rabbuffato i capegli e la barba, scalzo, nudo le gambe, le braccia, il petto, e nel resto mal coperto di avanzi di biancheria, pendenti qua e là a brani e a filaccica; stava, con la bocca semiaperta, guatando le persone raccolte nella capanna, con certi occhi, nei quali si dipingeva ad un punto l'attenzione e la dissensatezza; dal volto traspariva un misto di furore e di paura, e in tutta la persona una attitudine di curiosità e di sospetto, uno stare inquieto, una disposizione a levarsi, non si sarebbe saputo se per fuggire, o per inseguire. Ma in quello sfiguramento Lucia aveva tosto riconosciuto Don Rodrigo, e tosto lo riconobbero gli altri due. Quell'infelice, da una capanna, posta lungo il viale, nella quale era stato gittato, e dove era rimasto tutti quei giorni languente e fuor di sè, aveva veduto passarsi davanti Fermo e poi il Padre Cristoforo, senza esser veduto da loro. Quella comparsa aveva suscitato nella sua mente sconvolta l'antico furore e il desiderio della vendetta, covato per tanto tempo, e insieme un certo spavento, e con questo ancora una smania di accertarsi, di afferrare distintamente con la vista quelle immagini odiose, che le erano come sfumate dinanzi. In una tal confusione di passioni, o piuttosto in un tale delirio, s'era egli alzato dal suo miserabile strame, e aveva tenuto dietro da lontano a quei due. Ma quando essi, uscendo dalla via, s'internarono nelle capanne, il frenetico non aveva ben saputa ritenere la traccia loro, nè discernere il punto preciso per cui essi erano entrati in quel labirinto. Entratovi anch'egli da un altro punto, poco distante, non vedendo più quegli che cercava, ma dominato tuttavia dalla stessa fantasia, era andato a guardare di capanna in capanna, tanto che s'era trovato a quella in cui, mettendo il capo su la porta, aveva riveduto in iscorcio quelle figure. Quivi, ristando stupidamente intento, udì quella voce ben conosciuta, che nei suo castello aveva intuonata al suo orecchio una predica, troncata allora da lui con rabbia e con disprezzo, ma che aveva però lasciata nel suo animo una impressione che s'era risvegliata nel tristo sogno precursore della malattia. Quella voce lo teneva immobile, a quel modo che altre volte si credeva che le biscie stessero all'incanto, quando Lucia s'accorse di lui. Dopo la sorpresa, il primo sentimento di quella poveretta fu una grande paura: il primo sentimento del Padre Cristoforo e di Fermo, bisogna dirlo a loro onore, fu una grande compassione. Entrambi si mossero verso quell'infermo stravolto, per soccorrerlo e per vedere di tranquillarlo; ma egli, a quelle mosse, preso da un inesprimibile sgomento, si mise in volta e a gambe verso la strada di mezzo; e, su per quella, verso la chiesa. Il frate e il giovane lo seguirono fin sul viale, e di quivi lo seguivano pure col guardo: dopo una breve corsa egli s'abbattè presso ad un cavallo dei monatti che, sciolto, con la cavezza pendente e col capo a terra, rodeva la sua profenda: il furibondo afferrò la cavezza, balzò su la schiena del cavallo, e percotendogli il collo, la testa, le orecchie coi pugni, la pancia con le calcagna, e spaventandolo con gli urli, lo fece muovere e poi andare di tutta carriera. Un romore si levò all'intorno, un grido di piglia, piglia; altri fuggiva, altri accorreva per arrestare il cavallo, ma questo, spinto dal demente, e spaventato da quei che tentavano di avvicinarglisi, s'innalberava e scappava vie più verso il tempio.

I due, dei quali egli era stato altre volte nemico, tornarono tutti compresi alla capanna, dove Lucia stava ancora tutta tremante.

– Giudizii di Dio! disse il Padre Cristoforo: preghiamo per quell'infelice. Dopo un momento di silenzio, il pensiero che venne a tutti fu di concertare insieme quello che era da farsi: e i concerti furon questi: che Fermo partirebbe tosto, giacchè ivi non v'era ospitalità da offerirgli, cercherebbe un ricovero per la notte in qualche albergo, e all'indomani si rimetterebbe in via pel suo paese, porterebbe ad Agnese le nuove della sua Lucia, andrebbe poi a Bergamo a disporre la casa dove intendeva di stabilirsi con la moglie e con la suocera; e tornerebbe poi ad aspettare Lucia nel suo paese, dove dovevano celebrarsi le nozze: ne avvertirebbe intanto Don Abbondio, il quale era da sperarsi che, invece di frapporre nuove difficoltà, sarebbe vergognoso di quelle che aveva frapposte altra volta. Quanto a Lucia, ella protestò, prima d'ogni cosa, che non si staccherebbe dalla sua buona compagna, fin che questa non fosse affatto guarita, e ristabilita nella sua casa. Il Padre la lodò, Fermo non v'ebbe nulla a ridire, e la vedova, tutta commossa, promise che accompagnerebbe essa Lucia a casa e la consegnerebbe a sua madre.

– E voglio farle il corredo, aggiunse all'orecchio del Padre, a cui aveva fatto cenno di avvicinarsi.

– Dio vi benedica, le rispose il buon vecchio.

– E tu, disse poi a Fermo, che stai qui tardando? il tempo, come vedi, si fa più nero e la notte si avvicina: affrettati di cercare un ricovero.

Convien dire ancora, ad onore di Fermo, che in quel momento non gli doleva tanto lo staccarsi da Lucia, appena trovata, è vero, ma ch'egli contava di riveder presto, quanto dal Padre Cristoforo, che restava lì a morire.

– Ci rivedremo, Padre? disse il buon giovane.

– Se Dio vorrà e quando Egli vorrà, rispose il frate, vincendo una commozione, che andava crescendo. Va', va', che non c'è tempo da perdere.

Fermo disse, con voce accorata, riverisco, al Padre, che lo benedisse e gli strinse la mano: disse addio a Lucia e alla vedova, sopprimendo: un arrivederci presto, che gli veniva su le labbra; poi spiccatosi in fretta, partì.

– Vi raccomando l'una all'altra, buone creature, disse il frate, e fece atto pure di andarsene; ma, nel dare a Lucia uno sguardo di commiato, vide nell'aspetto di lei, mista alla commozione, una grande inquietudine; s'avvisò tosto di ciò che poteva esserne la cagione, e disse: Di che state inquieta?

– Quell'uomo…! disse Lucia.

– Poveretto! rispose il frate, non è più in caso di far paura a nessuno: non lo vedrete più, siatene certa. Pure, soggiunse dopo d'aver pensato un momento, per ogni altro evento, sarà meglio ch'io vi raccomandi a qualcheduno dei nostri. Così detto, uscì, girò un poco in ronda, finchè trovò un cappuccino, e condottolo alla capanna, gli mostrò le due donne, e gli disse: Sono due derelitte: vi prego di averne una cura particolare. Vi lascio con Dio, disse poi alle donne, e uscì dalla capanna. Lucia lagrimando lo seguiva, egli le imponeva che tornasse, e così si trovarono entrambi sulla grande strada, dove videro una folla di monatti, che accorreva in tumulto, gridando: aspetta, aspetta, ad altri monatti, che guidavano un carro verso la porta. Il carro si fermò quasi davanti ai nostri due amici; quei monatti sopraggiunsero tosto ansanti; e due, che portavano un morto, lo gittarono sul carro, dicendo un d'essi: mettetelo bene in fondo costui, che non torni a cavallo, a farci tribolare.

– Che diavolo è stato? disse più d'uno di quei carrettieri.

– Il diavolo, rispose il monatto, l'aveva in corpo costui: è andato su e giù finch'ebbe fiato; se durava ancora, faceva crepare il cavallo: ma è crepato egli, e allora, per amore, o per forza, ha dovuto venir giù.

Il Padre Cristoforo, rivolto allora a Lucia, le disse: ricordatevi di pregare per questa povera anima, voi e vostro marito, per tutta la vita, e di far pregare i vostri figliuoli, se Dio ve ne concede. Tornate alla vostra compagna. Iddio sia sempre con voi. Dette queste parole, prese in fretta il viale, per andarsene alla sua stazione; Lucia, compunta di quella separazione e atterrita dallo spettacolo, tornò a capo basso e col petto ansante alla sua capanna, e Don Rodrigo, su la cima d'un tristo mucchio, fra lo strepito e le bestemmie, usciva dal lazzeretto per andarsene alla fossa.

APPENDICI

I.
Il principio del Romanzo nella prima minuta

24 Aprile 1821.
CAP. I
Il Curato di…

Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato, di modo che dalla riva si può, per dir così, segnare il punto dove il lago divien fiume145. Il ponte, che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione: poichè gli argini perpendicolari, che lo fiancheggiano, non lasciano venir le onde a battere sulle rive, ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso a quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso rumore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi, tagliata dalle pile di macigno, scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale. Dalla parte che guarda a settentrione, e che a quel punto si può chiamare la riva destra dell'Adda, il ponte posa sopra un argine addossato alla estrema falda del Monte di S. Michele; il quale si bagnerebbe nel fiume se l'argine non vi fosse frapposto. Ma dall'opposto lato il ponte è appoggiato al lembo di una riviera che scende verso il lago con un molle pendìo, sul quale per lungo tratto il passeggero può quasi credere di scorrere una perfetta pianura. Questa riviera è manifestamente formata da tre grossi torrenti, i quali, spingendo la ghiaja, i ciottoli e i massi rotolati dal monte, hanno a poco a poco spinte le rive avanti nel lago, ed erano abbastanza vicini perchè le ghiaje gettate da essi a destra e a sinistra abbiano potuto col tempo toccarsi e formare un terreno sodo. Allora hanno cominciato a correre in un letto alquanto più regolare, poichè questi stessi depositi hanno loro servito d'argine, e il successivo loro impicciolimento, cagionato dall'abbassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla dispersione delle acque, gli ha rinchiusi in un letto più angusto. Così il terreno che li divide ha potuto essere abitato e coltivato dagli uomini. Il lembo della riviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli, ma appena appena dove il terreno s'alza al di sopra delle escrescenze del lago e del traripamento della foce dei torrenti, ivi tutto è prati, campagne e vigneti, e questo tratto d'ineguale lunghezza è in alcuni luoghi forse d'un miglio. Dove il pendìo diventa più ripido son più frequenti, e assai più lo erano per lo passato, gli ulivi; al di sopra di questi e sulle falde antiche dei monti cominciano le selve di castagni, e al di sopra di queste sorgono le ultime creste dei monti, in parte nudo e bruno macigno, in parte rivestite di pascoli verdissimi, in parte coperte di carpini, di faggi e di qualche abete. Fra questi alberi crescono pure varie specie di sorbi e di dafani, il cameceraso, il rododendro ferrugigno ed altre piante montane, le quali rallegrano e sorprendono il cittadino dilettante di giardini, che per la prima volta le vede in quei boschi, e che non avendole incontrate che negli orti e nei giardini, è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi un prodotto della coltura artificiale piuttosto che una spontanea creazione della natura. Dove poi la mano dell'uomo ha potuto portare una più fruttifera coltivazione, fino presso alle vette non ha lasciato di farlo, e si vedono di tratto in tratto dei piccioli vigneti posti su un rapido pendìo e che terminano col nudo sasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di case e di villaggi: altri alla riva del lago, anzi nel lago stesso quando le sue acque s'innalzano per le pioggie, altri sui varj punti del pendìo, fino al punto dove la montagna è nuda, perpendicolare ed inabitabile. Lecco è la principale di queste terre e dà il nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi e che altre volte aveva l'onore di essere un discretamente forte castello; onore al quale andava unito il piacere di avervi una stabile guarnigione ed un comandante, che all'epoca in cui accade la storia che siamo per narrare era spagnuolo. Dall'una all'altra di queste terre, dalle montagne al lago, da una montagna all'altra corrono molte stradicciuole, ora erte, ora dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri fatti di grossi ciottoloni e coperti qua e là di antiche edere, le quali dopo aver colle barbe divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un sasso e l'altro e servono esse di cemento al muro, che tutto nascondono. Di tempo in tempo invece di muri passano le anguste strade fra siepi, nelle quali al pruno e al biancospino s'intreccia di tratto in tratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il filadelfo. Una di queste strade percorre tutta la riviera, ora abbassandosi, ora tirando più verso il monte, ora in mezzo le vigne, ed ora sulla linea che divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra due muri che superano la testa del passeggero, dimodochè egli non vede altro che il cielo e le vette dei monti: ma spesso lascia un libero campo alla vista, la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi, ampii e bellissimi prospetti. Poichè guardando verso settentrione tu vedi il lago chiuso nei monti che sporgono innanzi e rientrano e formano ad ogni tratto seni o ameni o tetri, finchè la vista si perde in uno sfondo azzurro di acque e di montagne; verso mezzogiorno vedi l'Adda, che, appena uscita dagli archi del ponte, torna a pigliar figura di lago, e poi si ristringe ancora e scorre come fiume, dove il letto è occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che formano come tanti istmi: dimodochè l'acqua si vede prolungarsi fino all'orizzonte come una larga e lucida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi e le foreste, e guardando sotto di te e in faccia, vedi il lungo pendìo, distinto dalle varie colture, che sembrano striscie di varj verdi, il ponte ed un breve tratto di fiume fra due larghi e limpidi stagni, e poscia, risalendo collo sguardo, lo arresti sul Monte Barro, che ti sorge in faccia e chiude il lago dall'altra parte. Ma non termina quel monte la vista da ogni parte, poichè di promontorio in promontorio declina fino ad una valle che lo separa dal monte vicino; e come in alcune parti la stradetta si eleva al di sopra del livello di questa valle, da quei punti il tuo occhio segue tra i due monti che hai in prospetto un'apertura, che dalla valle ti lascia travedere qualche parte dell'amenissimo piano che è posto al mezzogiorno del Monte Barro. La giacitura della riviera, i contorni e le viste lontane tutto concorrono a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni146. [Alla estremità del ramo] [Sulla riva meridionale del ramo del [Lario] Lario che] Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si [ristringe alla fine] [viene alla fine a ristringer per tal modo che] [ristringe] viene tutto ad un tratto a ristringere [per tal modo, e [ri] avvicina le sue [ri] due riviere a segno che si può [dire] fissare che a quel punto il lago cessi e il fiume cominci [.] [si può manifesta] e a cambiare l'ondeggiamento] ivi il fluttuamento [vario] delle onde si cangia in un corso [diretto e seguito che] diretto e continuato di modo che [si può] dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, [e che aumenta il corso [dell'acqua] e il rumore fluviale dell'acqua [dell'acqua] e le dà [per così] un rumore per così dire fluviale [compisce all'occhio] [rendono] rende ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione]». A questo punto si legge in margine: «[gli argini [che non lasciano batter] perpendicolari che non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le costringono in un letto, e le fanno correre sotto gli archi con uno strepito per così dire assolutamente fluviale]». Quindi prosegue nella colonna: «[rendono] [rende ancor più sensibile all'occhio ed alla fantasia [ed all] questa subita trasformazione:] rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione: [poichè gli argini [non lasciano] perpendicolari che lo fiancheggiano non [perm] lasciano] [poichè cessano le rive] [poichè gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano ven] [poichè ivi cessano le rive] [poichè gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano] [poichè invece di batter sovra] poichè gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; [e l'uo] [e chi] [e l'uomo seduto presso] [e stando presso gli argini] [e dove] e presso a quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso rumore dell'acqua, [e dove ella] la quale qui viene a rompersi in [onde sull] piccioli cavalloni sull'arena, e [dove scorre travolta dai] a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale». (Ed.)]

 

Su questa stradetta veniva lentamente, dicendo l'ufizio ed avviandosi verso casa, una bella sera di autunno dell'anno 1628, il curato di una di quelle terre che abbiamo accennate di sopra147.

143Il Manzoni sopra mandava ha scritto pioveva. (Ed.)
144Qui finisce il capitola VIII e incomincia quello IX. (Ed.)
145Sarà curioso e utile il vedere di quali e quante correzioni e pentimenti l'A. tempestò questo primo periodo e quello seguente. Scrivo in corsivo e metto tra parentesi quadre le parole cancellate: «[Quel ramo del lago di Como [che] donde esce l'Adda
146Nella Guida di Lecco, sue valli e suoi laghi, compilata da Giuseppe Fumagalli, con topografia descrittiva del romanzo «I Promessi Sposi», e scritti vari di Antonio Ghislanzoni, del dott. Giovanni Pozzi e di altri autori, Lecco, Vincenzo Andreotti detto Busall, editore [Milano, Stab. G. Civelli, 1882]; in-16º, con una carta topografica, si afferma che i panorami del territorio di Lecco non si possono ritrarre per virtù di parole e che il Manzoni non riuscì in questa descrizione, e non ottenne l'intento neanche con l'addio, il quale ci commuove fortemente sol perchè in esso «sta la sintesi di tutti quei dolori che lo determinarono» [p. 50]. B. Zumbini [I Promessi Sposi e il Lago di Lecco; in Studi di letteratura italiana, Firenze, Successori Le Monnier, 1892, pp. 280-281] fa notare «a codesti egregi autori» che, «trattandosi di cose del Manzoni, era meglio se ne ragionasse con minor disinvoltura», poi soggiunge: «mi pare evidente che il Manzoni abbia adoperata la descrizione non già per far visibili alla mente le cose, quali sono nella loro realtà, ma piuttosto per derivarne nuovo pregio a quella rappresentazione di fatti umani, ch'era il suo più alto intento. E ciò fece con quella profonda consapevolezza di fini e di mezzi, di cui diede chiare prove in ogni altro suo lavoro, e con quel raziocinio che in lui non fu meno meraviglioso delle facoltà poetiche. E veramente, da ogni particolare di quella descrizione e da tutto ciò che seguita nel romanzo, s'intende com'egli volesse destare in noi l'immagine di un dolce e riposato ostello, i cui abitatori sarebbero stati felicissimi, se non li avesse contristati la violenza de' signorotti paesani e degli Spagnuoli». (Ed.)
147Cfr. Sforza Gio., Saggio di una edizione critica dei Promessi Sposi, Bologna, tipografia Zamorani e Albertazzi, MDCCC XCVIII; in-fol.

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