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Vecchie storie d'amore

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II

Il cielo era stellato, ma la strada, lontano dalla città e da ogni casolare e campo, saliva ai monti e s'internava tra due falde boschive e dense come in una notte cupa.

Il cavallo, benché valido, accortosi del doppio peso, rallentava il galoppo e sbuffava; e tuttavia Rinaldo Imberali lo feriva degli sproni perché salvasse il suo amore: l'Agnesina, che impaurita chiudeva gli occhi e sentiva la frescura ventarle i capelli, con le braccia stringeva piú forte il petto del giovane; e il cuore di lui palpitava sotto la destra di lei. Egli, quando a quando, rivolgeva il viso e le susurrava su 'l capo: – Anima mia! – ed ella taceva rabbrividendo; ma a un punto l'Agnesina sospirò: – Guglielmo! – , e Rinaldo comprese d'improvviso e allibí. Tacque: non sarebbe stato da stolto perdere ciò che per sorte aveva in suo potere? «Saprò trovare sí buone parole – pensava – che m'ascolterà e l'avrò in pace prima di giorno; ma dove andremo?»; mentre essa, che non ardiva domandargli «Dove ci fermeremo?», si fidava tutta nel cuore che sentiva battere sotto la sua mano.

La strada, dopo che i fuggitivi ebbero corso forse dieci miglia, risaliva erta per una folta e fosca abetaia, dove a Rinaldo parve di poter riposare; ed ivi ristando legò il destriere a un abete; poi, prese una mano della fanciulla e, senza piú velare la voce, le disse: – Qui, anima mia, saremo sicuri – . Alle parole di lui l'Agnesina vide che non era Guglielmo e con un grido di spavento, quasi riconoscesse un suo mortale nemico, riconobbe Rinaldo. Rinaldo si mise a supplicarla dicendo: – Agnesina, ascoltatemi e non temete di me; ma alla fanciulla s'annodarono in gola parole e singhiozzi, finché copertasi con le mani il volto in atto di vergogna e sciagura, proruppe in pianto.

– Ascoltatemi – supplicava Rinaldo fuori di sé medesimo, perché temeva di perdere la nuova speranza. – Voi mi chiamaste; io credetti che alla fine v'avesse presa pietà di me e voleste darmi la maggior consolazione che uomo provasse mai al mondo. Solo a mezza strada mi diceste: «Guglielmo», e io m'accorsi dell'inganno; ma allora che cosa potevo, che cosa dovevo fare? Ricondurvi alla madre? Questo farò adesso, se voi volete, e tosto che il cavallo abbia riavuto il respiro; io vi ricondurrò, ma la madre, adesso come allora, v'accoglierà con sospetti e n'avrete rimbrotti e castigo.

Oh quanto l'Agnesina piangeva duramente senza dare ascolto a Riccardo! Il quale proseguiva:

– La colpa non è stata mia, non vostra, non di Berlinghieri: è stata della mia fortuna, che mi ha condotto alla vostra casa prima di Guglielmo e ora mi fa vedervi cosí! E voi credete che chi vi vuole tanto bene potrebbe lasciarvi in simile guaio se potesse consolarvi un poco?

L'Agnesina, ascoltando Rinaldo, piangeva sempre duramente.

E Rinaldo, tuttavia concitato e tremante, continuò a maledire la sorte per cui egli, anzi che rallegrarsi, doveva affliggersi dell'avere in sua mano la donna desiderata: ma poiché la fanciulla non si quetava, egli riprese a dire delle parole savie.

Diceva con voce tenera: – Io non vi offenderò mai, Agnesina. Voi, che non avete uguali in bellezza, siete uguale nell'onestà ad ogni altra piú gentil donna di Firenze ed io conosco che Guglielmo mi sopravanza in valore e cortesia e che meritava tutto da voi. Ma quando ce ne torniamo, neppure Guglielmo vorrà persuadersi che io non vi abbia tócca; e se la madre vi scaccerà, e se Guglielmo non vi crederà, dove andrete voi, a chi vi affiderete voi?

L'Agnesina piangeva meno duramente, meravigliata delle oneste parole del giovane; e questi se ne avvide e il conforto che ne ricevette lo rimise nella concitazione di prima.

– Crudele vicenda di tre! – diceva – . Ma dei tre io non avrò pace mai piú; io stolto, che vi voglio bene come Guglielmo; e voi, non per voi ma per Guglielmo, seguitate a piangere!

E le chiedeva perdono di quel suo amore quasi di un'azione cattiva: le diceva i molti disagi, le lunghe notti insonni, i gravi martíri patiti per lei, e gli sdegni dei suoi e gli scherni dei compagni e i giochi e le feste che volentieri aveva obliati per lei, fino a consumarsi per lei l'anima e il corpo. Ma l'Agnesina pareva ascoltare un'altra voce che le discorresse nel petto. L'ammoniva l'altra voce di non trarre a morte Rinaldo; a pensare ch'egli non aveva altra colpa che di amarla molto e che colpevole era piuttosto Guglielmo, il quale dimentico o falso non s'era trovato a prenderla fuggente di casa; a considerare come bel giovane fosse pure Rinaldo e in che onore la tenesse: perché non raccogliere il piacere che da tempo la sua giovinezza le prometteva, perché rimanere lagrimosa e confusa quando alla lieve sventura non era rimedio? Ond'ella passò il rovescio della mano sui grand'occhi molli di pianto. Ma Rinaldo, cieco e disperato di potere piegarla, irrompeva in queste aspre parole:

– Meglio farei ad ucciderti perché altri non abbia mai ciò che altri ti avrebbe súbito tolto; pure io voglio che tu veda e creda a che mi hai ridotto. Or dunque tu salirai su 'l cavallo, che è docile, e andrai dove piú ti piacerà, ed io lascerò qui il mio corpo, carne buona per i corvi e per i lupi.

Cosí dicendo toglieva dalla cinta il pugnale; ma l'Agnesina lo rattenne inorridita e gridò: – Rinaldo, non fate!

Rinaldo rimase sospeso guardandola come uomo che sia fra la vita e la morte, come anima che dubiti fra il paradiso e l'inferno; e l'Agnesina, a cui Guglielmo Berlinghieri era del tutto uscito dalla memoria, gli gettò le braccia al collo vergognosa e sorridente e piena di desiderio e di grazia.

Quando furono stanchi del piacere, s'addormentarono stretti l'uno all'altra; e sognarono d'essere cosí, stretti l'uno all'altra.

III

Guglielmo Berlinghieri era tornato e ritornato piú volte alla casa dell'amante meravigliandosi del lungo e strano ritardo, finché dalla casa udí delle grida e dei gemiti, e per chiarirsi dell'accaduto s'arrestò dinanzi la porta. La madre dell'Agnesina, insospettita per lo scalpitío frequente del cavallo di Guglielmo e levatasi, aveva scoperta la fuga della figliuola; e la fantesca, che aveva udito da un pezzo la corsa del primo cavallo, scese anch'essa le scale, quasi ignara di tutto, e al veder Berlinghieri solo presso l'uscio cominciò anch'ella a piangere, a gridare tradimento! aiuto! corri corri!, e a dire quel che sapeva. Da che Guglielmo capí presto che il rapitore non poteva essere se non l'Imberali; e corse alla porta della città per richiedere e rimproverare i compagni. Costoro risposero:

– Vedemmo un cavallo passare di trotto e non potemmo conoscere chi vi fosse sopra. Saranno lontani, ma la via è questa. – E per quella via cavalcarono tutti e tre.

Quando giunsero all'abetaia, la luna, in ultimo quarto, era in mezzo al cielo. Guglielmo vide súbito il destriero di Riccardo e i tre pervennero tosto ove il lume della luna, fra i rami e le foglie, tremava sui due amanti felici. Alla vista i compagni ammiccarono e Guglielmo afferrò il pugnale; ma l'uno disse: – Berlinghieri non ferirà un cavaliere che dorme – , e l'altro, anche piú cortese, disse: – Noi non consentiremo mai che tu faccia paura a una fanciulla che giace cosí tranquilla – . E l'uno e l'altro fermarono per le briglie i loro cavalli ad un tronco; poi, come quelli che non provavano angoscia di gelosia e si sentivano tutti rotti per la corsa sfrenata, coricatisi su l'erba fresca a riposare, dopo poco, tant'alta era la quiete del luogo, s'addormentarono. Ma Guglielmo, legato egli pure il cavallo a un abete, si sedé con piú desiderio di vendicarsi che di dormire, e guardava la bella giovane dormire cosí, e avrebbe voluto ricuperarla. Se non che nessuno sa convincersi del proprio danno, ed egli voleva anche convincersi dell'innocenza di lei: forse ella aveva respinto l'amante con promesse mendaci, e nella speranza di chi la liberasse era stata presa dal sonno. E allora perché dormiva Rinaldo e dormiva con faccia gioiosa? No: la colpa della fanciulla pareva manifesta; ma essa era una povera fanciulla e degna di scusa. Degno invece di un'acerba vendetta era Rinaldo Imberali; e quale migliore vendetta dell'aspettare che l'Agnesina, risvegliandosi già pentita del fallo, corresse nelle braccia di lui, Berlinghieri? Veramente ella poteva anche opporsi all'amore antico, e con che scorno per lui, Berlinghieri! Ma Guglielmo ricordava le prove di quell'amore, e incredulo, quasi non vedesse ciò che vedeva, pensò che fingerebbe di dormire anche lui per sorprendere gli atti dell'Agnesina al ridestarsi e attendere ch'ella piú facilmente, perché non rimproverata, minacciata o pregata, tornasse a lui. Però dié tregua ai pensieri, e a poco a poco – tant'alta era la quiete del luogo – a quel suo affanno; a poco a poco sentí la stanchezza e sentí il ristoro di quel letto d'erba fresca e molle; e gli si annebbiavano i pensieri, e gli sembrava che la ragione lo aiutasse. A che penar tanto e tanto faticare per una fanciulletta senza giudizio? Non lo chiamavano belle donne a Firenze desiderose di lui? Non era da pazzo correr dietro a dei pazzi? E non era meglio dormire davvero?

La stanchezza… l'alta quiete del luogo… l'erba fresca…; e Guglielmo Berlinghieri non ebbe piú forza di rilevare le pálpebre.

IV

Alla brezza dell'alba l'Agnesina sospirò e a pena aprí gli occhi meravigliata di non trovarsi alla sua camera, nel suo lettuccio, scorse quelli che dormivano lí da presso. E Rinaldo, al muoversi di lei desto anch'egli, scorse i nemici e trasse l'arme; ma riflettendo ristette e disse:

– Perché li offenderei se non hanno offeso noi? E per non offenderli, come impediremo che ci inseguano e ci raggiungano?

Allora l'Agnesina gli tolse il pugnale di mano, gli fe' cenno di tacere e leggera leggera, quasi un'ombra, corse ai cavalli degl'inseguitori e ne recise le redini; indi tornò da Rinaldo, che era già in sella, e via entrambi su 'l loro veloce cavallo. Scossi dal rumore della fuga e liberi e ricordevoli piú della stalla che dei padroni, gli altri destrieri balzarono uno qua uno là: balzò in piedi Guglielmo, al rumore, gridando, e i compagni, fregati che s'ebbero gli occhi, la prima cosa che videro furono le corregge recise; né seppero che si dire. Guglielmo tutto smarrito e pieno di rabbia quando riebbe la voce disse:

 

– Troveranno scampo e io non potrò piú vendicarmi di Rinaldo e della sua druda!

A cui l'uno dei compagni:

– Piú ho da dolermi io che non riavrò mai il mio cavallo, cosí buon sangue ha nelle vene e cosí buone le gambe!

Ma il secondo, il quale era miglior filosofo e di ingegno piú arguto, rise e conchiuse:

– E piú di voi mi dolgo io, perché d'ora in avanti non potrò tener fede a donna alcuna s'ella non sia prima innamorata d'altri e non fugga meco per sbaglio!

LA FANTASIMA

Sec. XIV

Ogni vecchio marito di moglie giovane vivrebbe d'angoscia senza il conforto della religione; e messer Tonio degli Albizeni pregava molto e consumava molto tempo in esercizi spirituali, sí che, nelle ore che gli rimanevano da star con la moglie, il giorno non s'avvedeva di nulla e la notte non si risentiva di nulla. Il mondo diceva che madonna Lisa non era guardinga e che le fiammeggiavano negli occhi le voglie non sazie; ch'essa tutta cascante di vezzi trescava con questo o con quello e che poco schifiltosa variava troppo gli amori; ma messer Tonio bandiva i sospetti con le orazioni e raccomandava al Cielo la virtú di madonna: giorno e notte, nella sua camera, egli manteneva accesa una piccola lampada dinanzi un'imagine sacra; e, mallevadore il prete cui talvolta aveva espressi i suoi dubbi, quella luce valeva a garantirgli l'incolumità del talamo. Infatti nella stanza nuziale madonna Lisa non aveva peccato mai: a pianterreno c'era una camera da dormire, una camera in cui messer Tonio ospitava gli amici e in cui egli non aveva messo piú piede da quando s'era sparsa la voce che ci si vedevano gli spiriti maligni. Madonna Lisa non temeva gli spiriti, anzi non di rado li chiamava lei là dentro; pure come il marito s'impauriva leggendo nelle vite de' santi padri le descrizioni delle orride forme assunte dal demonio per spaventare gli anacoreti e vincerne la resistenza in Dio, e recitava spesso delle giaculatorie che lo difendessero dagli spettri, madonna Lisa biascicava con lui senza ridere le giaculatorie contro gli spettri.

In quel tempo era tornato a Forlí un giovane di nome Guido Morlaffi, il quale allo studio in Bologna piú tosto che a discutere il giure aveva appreso a donneare e a burlare i mariti gelosi.

Di persona bella e gagliarda e di cervello balzano e sagace, in tali arti era divenuto maestro con poca fatica; e con meno fatica raccontando ai compagni le sue gaie vicende, che i compagni narravano di qua e di là, agli occhi delle donne di Forlí diveniva piú celebre che s'avesse avuta in testa tutta la glossa d'Irnerio.

Ora, madonna Lisa degli Albizeni voleva esser delle prime a esaminare come messer Guido si fosse addotrinato in Bologna; né il suo era desiderio difficile da esaudire. Già egli la vagheggiava; ed ella incontrandolo per via lo guardava come persona a cui si è pensato piú volte: alla finestra l'attendeva mostrando d'attenderlo e gli sorrideva con gli occhi. Poi al sorriso degli occhi accompagnò il sorriso delle labbra; poi rispose con segni: ella vedeva, ella capiva; e sospirava.

Guido Morlaffi cominciò dunque a scriverle delle lettere tutte miele e tutte fiori, quali s'imparavano solo a Bologna; e le gettava per la finestra; senza fallare. A cui, per bocca d'una servicina, la quale aveva istruita meglio a queste che alle altre faccende, madonna Lisa rispose che essa non aveva pace, tanto ardeva di lui, ma che il marito le stava sempre tra i piedi: ciò perché le donne perbene debbono far parere gelosi e feroci i mariti anche quando sono com'era messer Tonio.

– Appena potrà, mi manderà a chiamarvi – assicurava la servicina. E un giorno venne a dire a messer Guido: – Messer Tonio ha paura degli spiriti, e voi?

– Dove sono? – domandò il Morlaffi.

Rispose l'altra: – In una stanza dove il sere non entra mai e dove madonna vi farà entrare questa notte a pena che il sere dormirà.

Messer Guido sospettò un inganno e chiese:

– Oh!, e madonna non ha paura lei?

– Non l'avrà con voi.

E il giovane promise che v'andrebbe. Né mancò all'ora convenuta; e madonna Lisa, che pareva angustiata e timorosa, quasi senza fiatare l'introdusse nella camera buia degli spiriti; e disse: – Non dorme ancora e bisogna aspettare.

Cosí messer Guido rimase un pezzo ad aspettare al buio; e la donna non veniva mai, e neppure gli spiriti. Egli sbuffava e imprecava a tutti i mariti che non dormono e a tutte le mogli che non sanno addormentarli, quando finalmente udí dei passi: i passi della servicina che con in mano una lucerna veniva a dire come messer Tonio non aveva sonno. Onde messer Guido, stucco e ristucco, fece per andarsene. Ma non andò.

La serva di madonna Lisa era piccoletta e rotondetta; era fresca e colorita, e a guardarla dava l'idea d'una pera già matura quando è lí che par che dica coglimi. A messer Guido, che era stucco, bisognava attendere dell'altro; e nessuna maggior noia che un'attesa prolungata per chi fra tanto non faccia qualche cosa.

Che cosa fece messer Guido?

Talora accade che un ragazzo nel passare presso un orto scorga una pera già matura la quale in vista da uno dei rami piú carichi e piú bassi par che dica coglimi; e il ragazzo s'arresta, guata, si delibera, salta la siepe ed allunga la mano: allunga la mano, ed ecco che il padrone gli esce addosso infuriando e tempestando.

Ed ecco aprirsi la porta e comparire madonna Lisa, la quale fermatasi di botto – Buon pro', messere – , disse.

La servicina aveva messo un grido e s'era coperto il viso con le mani. E la padrona aggiunse, piena d'ira:

– Ma dell'ingiuria vi pentirete tutt'e due! – E tornò indietro; e allora fuggí anche la servicina; di guisa che messer Guido rimase cosí, senz'aver còlto nulla.

Della serva non gli rincresceva molto; ma molto gli rincresceva di madonna Lisa, e del bene perduto prima che goduto. A ricuperarlo – giacché voleva ricuperarlo ad ogni costo e in quella notte stessa – , egli chiese consiglio alla sua matta testa, la quale gli ricordò che messer Tonio temeva degli spiriti: indi l'idea. Subito dal letto, che là era preparato, trasse via un lenzuolo, vi s'avvolse da capo a piedi, e salite le scale brancicando ed inciampando, piano piano si diresse ove di sotto un uscio appariva un po' di luce. L'uscio cedette all'impeto.

– Uh la fantasima! – urlò, balzando, messer Tonio, il quale vegliava in orazione. A che la Lisa si rivolse, e nello scorgere il Morlaffi in tale foggia, co 'l viso deforme e gli occhiacci spiritati, quasi scoppiava per non ridere. Pure disse seria:

– Io non vedo nulla – e richiuse le palpebre.

– È là! È là! – ripeteva messer Tonio, e si faceva di gran croci. Nella stanza, davanti all'imagine sacra, ardeva la lucerna, ma con lume cosí tenue e fosco che tra quel lume e il buio dell'altra camera il mostro bianco, immoto e diritto su la soglia, appariva immateriale e vano al pari d'una larva.

Messer Tonio guardava con terrore, ma preso dal fascino della visione sovrumana non poteva distorre gli occhi da quegli occhi mostruosi; e mentre si segnava con la destra, con la sinistra scoteva madonna Lisa perché partecipasse al suo terrore.

– Vuol parlare! Parla! – egli gemeva.

Lo spettro infatti allargava la bocca senza dir nulla, quasi attingesse ed aspettasse la voce di sottoterra; e con una voce che veniva da sottoterra finalmente ululò: – Ohimè, messer Tonio, ohimè! In purgatorio si sta male!

A messer Tonio pareva d'essere in purgatorio; e – Odi tu? – egli gemette.

– Io non odo nulla – rispose la donna – . Voi sognate. Lasciatemi dormire.

– Non sei in grazia di Dio tu, e non odi nulla! – mormorò il marito; e lo spettro ululando proseguí: – Non per voi, messer Tonio, vo attorno la notte; non per voi: cent'anni andrò attorno la notte se la vostra donna non perdonerà a chi l'offese.

– Perdona, perdona! – scongiurava messer Tonio. E la moglie: – Ma voi siete ammattito a leggere le storie dei Santi! Che cosa andate dicendo?

– Mala femmina! – gridò l'altro vinto, nell'angoscia, dalla rabbia; e la fantasima con voce di lamentosa divenuta terribile, e con le braccia tese, terribile, comandò: – Madonna Lisa, perdonate agli offensori vostri!

– Perdona, perdona! – ripeté disperato e piangente messer Tonio.

– A chi?

– Agli offensori tuoi!

– Bene – disse madonna Lisa – , io che faccio sempre quello che volete e quel che non volete, se volete, perdonerò. Siete contento? E pareva che ella interrogasse la fantasima invece che il marito. Ma la fantasima, dopo avere aperta e chiusa la bocca senza ringraziare, perché la sua voce era tornata sottoterra, scosse le braccia come due ali e lenta e lieve, lenta e lieve sparí nel buio.

Né ricomparve mai piú: madonna Lisa aveva perdonato – anche alla servicina.

UN'OPERA DI PIETÀ

Sec. XV

Anastasio Bonesi, uno dei mercanti piú noti a Bologna e in Romagna, aveva presa in moglie una giovane di nome Valeria, la quale era bella, di buoni costumi e cosí prudente ed accorta che nelle faccende della mercatura aiutava e consigliava essa stessa il marito. Cristina invece, la sorella di Anastasio, era vana e di poca mente, e credendosi non meno bella che la cognata e sapendosi, al paragone, meno lodata di lei, avrebbe voluto umiliarla, e per coglierla in fallo ne spiava i passi, gli atti, i discorsi. Ma Valeria attendeva ai figlioli e agli interessi della famiglia senz'altro pensiero.

A Bologna viveva in quel tempo messer Anselmo Canetoli, un giovane ricco e di nobiltà antica, al quale non isconveniva una lusinghiera rinomanza nelle cose d'amore; e questi mentre con due amici, una sera dopo i vespri, andava a diporto per una contrada, imbattutosi in madonna Valeria che insieme con la cognata e con un figlioletto per mano tornava dalla chiesa vicina, si fermò ad osservarla e disse: – Ecco la piú bella donna che si possa vedere a Bologna; e io non l'avevo mai vista!

– Ma è una mercantessa – disse uno degli amici con tono beffardo. – Ed è onesta – aggiunse un altro con tono ad un tempo provocatore e maligno.

Messer Anselmo tacque e, quasi temesse l'accusa d'una voglia troppo bassa per lui, non parlò piú ad alcuno di quella plebea che aveva due occhi stellanti e nell'aspetto e nelle forme gli pareva avere la severità gentile di una matrona. Ma quando la impressione prima della beltà di Valeria gli si fu approfondita nell'animo e nella fantasia cominciò a ricercarne e ad accarezzarne la bella imagine, si risovvenne del sorriso co 'l quale uno degli amici gli aveva detto – è onesta – e pensò che tal fama gli scuserebbe l'umiltà dell'impresa.

Si mise dunque a vagheggiare la donna e a seguirla per ogni luogo e a passare sotto le finestre di lei; ma ella non lo guardava, o lo guardava senz'intenzione. Lieta invece lo vedeva e l'attendeva la cognata Cristina, la quale convinta d'avere acceso della sua bellezza un tal gentiluomo non capiva piú in sé dalla gioia. Di che messer Anselmo s'infastidiva come d'un impedimento al suo scopo e tentava altre strade che lo guidassero ad esso. Gli bisognavano piú cose per il suo palazzo, e Anastasio lo condusse a casa sua nel magazzino; ma Valeria non c'era. Allora messere Anselmo riuscí a dimesticarsi una vecchia in cui, come parente e donna di gran religione, Valeria poneva molta fiducia, e l'indusse a chiedere a madonna Valeria perché cosí ripugnasse dal suo amore e perché, s'egli per via le rivolgeva qualche parola, ella non gli rispondesse neppure, o, se le mandava lettera alcuna, la rifiutasse. La parente sedotta dall'oro promise l'opera sua; e con molti preamboli e con lunghe ambagi cercò avvolgere il capo di madonna, non già affinché si disponesse a commettere il male, ma affinché non divenisse causa di guai a sé e al marito con quell'aspra freddezza che offendeva un signore quale Anselmo Canetoli. Non poteva essa, pur resistendo, mostrare almeno di compatirne il fervido amore? Furon parole! Madonna Valeria rispose: – Ditegli che io non gli voglio né bene né male: che io ho da attendere alla mia famiglia e a nient'altro. Lasciate che m'insidii o cerchi di farci del danno: la verità è come l'olio; e, grazie a Dio, non abbiamo bisogno delle sue ricchezze perché io debba perdere il mio buon nome dietro le sue smanie.

L'impresa diventava difficile, e piú degna di messer Anselmo. Anzi lo turbarono l'orgoglio ferito e la brama acuita da quel diniego cosí placido e fermo e lo spinsero, benché esperto e avveduto, all'assalto piú audace.

 

Co 'l pretesto di cercare Anastasio Bonesi s'introdusse nella casa di lui in ora che la moglie era sola. E alle sue preghiere e a' suoi lamenti e all'esagerazione stessa della sua passione madonna Valeria non contrappose lo sdegno; non contrappose nemmeno l'incredulità, oppose un rifiuto freddo e quieto ma tenace e irremovibile. L'assalto fu ributtato; e la volontà del giovane baldanzoso urtando per la prima volta con una volontà piú salda non si sostenne e non insisté: egli si dissimulò la propria debolezza, rise e volle dimenticare nei sollazzi e nelle orgie quello stolido capriccio inesaudito. Ma quando piú la giocondità e i piaceri gli fervevano attorno, gli appariva piú bella la serena e severa imagine di Valeria, e quasi per i sensi disposti ad altre gioie gli penetrasse piú vivace e sottile il desiderio di quel bene perseguito invano, tutte le dolcezze gli tornavano amare, tutti gli svaghi gli recavano un'intollerabile noia.

Chi ama di perfetto amore cerca con tutte le forze dello spirito e dei sensi il possesso spirituale e corporale della donna amata, e come se quel primo possesso gli mancasse non gli gioverebbe l'altro piacere, cosí quando non possa riposare e ritemprare il fervore dello spirito nella soddisfazione della carne, anche chi bene ama, soffre. Piú soffriva, disordinato amante che solo al piacere sensuale limitava l'intento dell'amore e della vita, il gentiluomo bolognese; e mentre imaginava e meditava la bellezza di Valeria, guardandola nel suo fisso pensiero, si diceva con raffinata cupidigia: – Oh! solo una volta, e poi, allora, o vivrei o morirei contento.

Ma per quanto si rimproverasse d'aver corso troppo e si ripetesse che non era stato abbastanza astuto e fermo, non ardiva ritentare l'impresa: comprendeva che madonna Valeria non avrebbe acconsentito mai, per ostinazione di coscienza o, peggio, per ostinazione di natura. Cosí il pensiero di lei s'impadroní solo e assoluto della sua mente e diventò doloroso. Cosí le domande e i sorrisi dei compagni, che gli leggevano in faccia la cura segreta, a lui sembravano oltraggi; a lui che un tempo aveva nascoste le proprie fortune (giacché le fortune d'amore uscendo quasi per sé medesime dal mistero, tanto piú acquistano pregio quanto piú apparisce lo sforzo di tenerle celate), riusciva ora d'umiliazione e vergogna dover mentire e lasciar travedere un'acerba sconfitta, quasi la sconfitta d'un capitano reputato invincibile.

Si sottrasse agli amici; e rinchiuso in casa s'abbandonò del tutto al suo cupo e inconsolabile affanno. L'insonnia cominciò a consumarlo e la febbre, una febbre sorda, a limargli le forze: quell'idea fissa gli struggeva il cuore, la giovinezza, la vita.

Meglio morire. Ma quando sentí che l'approssimava la morte si riscosse, spaventato, in un impeto di desiderio: – Vivendo, chi sa che per grazia di fortuna non conseguisse un giorno, una volta sola, il bene per cui s'era dato alla disperazione?

Ed egli sperava. Sperava e s'era ridotto a tal punto per disperazione! Delirava.

Delirando, tra le forme confuse e strambe di persone conosciute intorno a Valeria, una volta sognò anche la vecchia bigotta, la parente del mercante che egli si era amicata invano; e tornato in sé stesso mandò per lei affinché ella testimoniasse a Valeria della sua misera condizione. Quella accorse, e a trovarlo piú morto che vivo capí come per suo profitto le rimaneva un tentativo solo e innocente. – Messere – chiese – , volete che madonna Valeria venga a vedervi? – Oh sí! – rispose l'infermo – . Mi potrebbe guarire!

Poco dopo la vecchia diceva a madonna con aria di severità: – Valeria, tu sai che messere Anselmo muore per amore di te. Per la sua pazzia Dio lo castiga cosí; ma noi non dobbiamo godere che abbia del male chi intendeva farci del male: dobbiamo perdonare e venirgli in aiuto. Io l'ho visto, l'ho udito, e per l'amore dei tuoi figliuoli e per l'amore di Dio egli ti chiede d'andare da lui. Vuoi acquistarti del merito visitando un infermo e perdonando a chi cercava tirarti al peccato? E tu va. Non vuoi? E tu mettiti in pace con la coscienza e rimani.

Valeria tacque a lungo, riflettendo; poi sospirò e disse: – Voi avete ragione: bisogna che vada. – E incaricatala di tenere in ciarle Teresa e di badare ai figlioli, si vestí in fretta e uscí di soppiatto.

Intanto Anselmo attendeva, ma la speranza stessa gli era una fatica e una pena; e una sonnolenza grave e fantasiosa l'avvolse. In questa egli vide la morte. La morte, quale con freddo terrore da fanciullo aveva spesso considerata dipinta, tutta ossa, con uno sguardo nero nelle orbite cave e profonde e con un infernale sorriso tra le mandibole lunghe e dentute, s'avanzò scricchiolando con la mano tesa, quasi per toccarlo su 'l cuore, e pareva che dicesse: basta!

Egli si ritraeva con terrore freddo, gemendo. Ma la mano del mostro ricadde; dalle orbite cave gli lampeggiò una vivida luce come di due occhi di donna, e per virtú di tal luce lo scheletro a poco a poco rivestí umane forme e di donna innamorata ricevette a poco a poco la sembianza, il colore, il sorriso e una meravigliosa bellezza.

Al portento, l'infermo dié un grido di gioia; e scorse china su lui madonna Valeria.

– Messere – ella diceva – , voi avete vinto il piú duro assalto del male. – E gli tergeva la fronte soavemente.

– Dio vi rimuneri il beneficio – mormorò Anselmo, che si sentiva alleggerire e ristorare da una forza rinnovatrice di tutti gli spiriti. – Quel giorno foste cattiva…; oggi, no.

La donna arrossí e disse: – Volentieri sono venuta a vedervi; ma che cosa posso fare di piú?

Alla dimanda il viso di Anselmo tornò sofferente ed egli rispose: – La mia vita è la vostra – . E aggiunse: – Se mi contentaste solo una volta, dopo non mi vedreste mai piú, non udreste mai piú cosa alcuna di me.

– Voi non pensate all'anima vostra – ribatté la donna – , all'anima mia!

Anselmo ripeté: – La mia vita è la vostra. Per Cristo morto in croce, non dovreste ammazzarmi!

Tacquero; indi l'ammalato sospirò: – Lasciatemi dunque morire – ; e abbassò le palpebre rifinito.

Madonna Valeria ebbe paura: cosí, con gli occhi chiusi, nella penombra, l'infermo pareva un cadavere; e a lei in quei minuti lunghi di angoscia sembrò di sentire su la coscienza il peso del delitto che ancora non aveva commesso. Ella si dibatteva perché non voleva fallare, e avrebbe voluto concedere il bene invocato. E mentre pensava udiva l'affanno di Anselmo. – «Cedendo il corpo non salvava forse un uomo? E non cedendo l'anima chi avrebbe potuto incolparla d'infedeltà?» Sopraffatta da questo pensiero e vinta, disse con voce tremante: – Messere, fra un mese, se vi sarete rimesso, la sera del sette settembre, che mio marito deve andare a Firenze, verrete da me: vi prometto che v'aspetterò al portone dell'orto. Ma giuratemi che non mi cercherete mai piú.

Anselmo Canetoli giurò lieto il patto che gli salvava la vita. – Egli avrebbe, dopo, abbandonata Bologna per sempre.

Ma appena fuori di quella camera e di quella casa, quasi al lume e al rumore della strada ricuperasse la conoscenza e la misura della realtà e s'accorgesse d'essere stata còlta a un inganno, madonna Valeria sentí il turbamento, l'amarezza, il rimorso del fallo in cui era caduta, e giunta a casa sua, piena d'ira e smaniosa cominciò a raccontare alla vecchia ciò che pur troppo aveva fatto e che pur troppo aveva detto. La parente dissimulava la sua gioia tra le esclamazioni e i sospiri e la confortava. – In tal caso strano chi si sarebbe comportata altrimenti? Dio il quale perdona le colpe piú gravi, doveva perdonarle la colpa leggera che aveva e avrebbe commessa a fine di bene; – e, confortandola, per curiosità le chiedeva tuttavia particolari del fatto e spiegazioni, per cui apprese fino il giorno e il modo stabilito al convegno. Anzi l'appresero in due, giacché Cristina, che aveva vista la cognata uscire pensosa e tornare con in faccia il segno d'una sventura, fiutando il mistero s'era messa ad ascoltare dietro una porta, e, come accade sempre a chi ascolta di nascosto, imparò e indovinò proprio quello che meno s'attendeva e voleva. Non di lei, ma di Valeria messer Anselmo era stato ed era preso al punto che Valeria, per compassione di lui, avrebbe tra un mese disonorato il marito. Arrabbiata pertanto e sconvolta dall'odio, deliberò vendicarsi; e la sera di quel medesimo giorno rivelò al fratello tutto quanto aveva appreso.