Za darmo

Parvenze e sembianze

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Erano già due lunghi anni che Iroldo, rimeritato il liberale Prasildo con lasciargli la parte dell'anima sua, andava pellegrinando e dolorando pe'l mondo, quando un dí pervenne al paese d'Orgagna. Vi regnava Falerina la trista, che era maestra di tutte le frodi e di tutti gli incanti e all'ingresso d'un vago giardino manteneva un serpente voglioso di carne umana: per questo nessun forestiero sfuggiva dalle lusinghe di lei e poi dai denti del mostro. E anche il misero Iroldo fu preso d'inganno, e da quattro mesi attendeva in carcere insieme con molti miseri cavalieri e dame il dí della morte nefanda. Due vittime erano destinate ogni giorno pe'l drago: un cavaliere e una dama. Ma Prasildo fu in tempo ad apprendere, Dio sa come, la sorte che aspettava il suo Iroldo, e camminando giorno e notte venne in Orgagna e propose gran somma d'oro al guardiano di Falerina se gli liberava l'amico. Invano. Con l'oro offerse sé stesso in cambio di vittima, e il guardiano accettò, e Iroldo fu libero.

Tuttavia Iroldo voleva morire egli pure, perché il giorno che l'amico dovea essere condotto alla belva, si mise in un boschetto presso a una fonte ad aspettare ch'ei passasse di là fra i custodi, e contro di essi egli voleva combattere solo. Aspettando piangeva, non già di sé, che sarebbe perito da valoroso per amore fraterno, ma della sorte la quale per sua cagione toccava a Prasildo; e Rinaldo, a caso in quel bosco, l'udí lamentare e gliene chiese la causa.

Saperla e disporre il suo valore in premio e salute d'una cosí ferma e santa amicizia fu un punto; fu un punto per lui scorgere la turba che con a guida il gigante Rubicane traeva al supplizio un cavaliere e una dama e piombare su quella e sbaragliarla. Ma di bei colpi fu capace anche Iroldo, e la battaglia presto finita. La donna era Fiordiligi, che aveva raccontata a Rinaldo la storia d'Iroldo e di Prasildo, e il cavaliere era Prasildo; e i due amici si gettarono l'uno tra le braccia dell'altro.

Damone e Pizia. Meglio, per riguardo all'origine della loro amicizia e fratellanza, Iroldo e Prasildo rievocano a mente Gisippo ateniese e Tito Quinzio Fulvo romano. Gisippo – ve ne rammentate? – come sa che Tito, l'amico suo di giovinezza e di studi, è preso della bellezza di Sofronia sua fidanzata, fa ch'egli l'ottenga per inganno in isposa. Ma poi, quando, trascorsi molti anni, Gisippo arriva a Roma in povero stato e crede che Tito non voglia riconoscerlo e a fin di morire s'incolpa d'avere ucciso un uomo, Tito “per scamparlo dice sé averlo morto. Il che colui, che fatto l'avea, vedendo, sé stesso manifesta, per la qual cosa da Ottaviano tutti sono liberati…„

To'! – esclamerebbe adesso un piccolino Livingstone della storia letteraria – : anche la novella ottava della giornata decima del Decamerone è una fonte dell'Orlando Innamorato! – , e con gli occhi stanchi, che san le ricerche, ravvivati di nuova luce e di nuovo gaudio suderebbe alla scoperta di prove.

Ma che prove! Potrà anche credersi che il Boiardo si ricordasse pur di quest'altra novella; non per ciò l'analogia dell'invenzione, ch'è il meno, ha alcuna importanza, se tra i due scrittori è tanto diversa la potenza, l'attitudine, la fattura artistica, ch'è il piú. Vedete in confronto di Iroldo e Prasildo, Gisippo e Tito. Questi sono d'animo romano e di senno ateniese e son dotti, come scolari di Aristippo, a sottomettere il sentimento alla ragione. Filosofi, tengono l'amicizia per il piú gran bene; onde l'uno può cedere la sposa all'altro e l'altro accettarla: l'uno viene a tanta liberalità perché le mogli non si trovano con la difficoltà con cui si trovano gli amici; e l'altro acconsente alla dedizione perché comprende di acquistare dall'amico suo con l'amata donna la vita stessa, essendo egli per mal d'amore ridotto quasi a termine di morire.

Vedete in confronto di Tisbina, Sofronia giovinetta…

– E a che cosa giova tale studio?

Tardi giunge l'ironica domanda; alla quale per altro io so rispondere a tempo che il Boccaccio non è Masuccio e né pure Matteo Boiardo è Gianfrancesco Loredano, e che, almeno a mio parere, i classici non si sono studiati e ammirati mai abbastanza.