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I NOVELLATORI E LE NOVELLATRICI DEL DECAMERONE

 
… per nomi, alle qualità di ciascuna
convenienti o in tutto o
in parte, intendo di nominarle.
 
Introd. al Decam.

Le novellatrici e i novellatori del Decamerone, che io seguii spesso, ad ascoltarne i racconti piacevoli, ne' lieti diporti, tornano pur ora con imagini pronte e sicure e vivaci alla mia memoria: li accenno cosí come li rivedo seduti a novellare la prima giornata.

I

Prima la regina, Pampinea77.

Ella, piú adulta, è anche piú esperta e riflessiva delle altre sei donne; come Panfilo, il quale le siede a lato, è tra gli uomini il maggiore in età e il piú avveduto e assennato: per questo l'uno e l'altra si distinguono dai loro compagni; si distinguono tra loro per ciò, che Pampinea, come donna, è piú sagace, Panfilo è di pensieri piú profondi.

È Pampinea che nel tempio consiglia le compagne di cercare con la vita allegra fuori Firenze scampo alla peste e conforto ai dolori che ad esse ha apportati; e tiene meraviglioso e lungo discorso, nel quale movendo dai consigli della fredda ragione, che induce l'uomo a conservare per ogni modo la vita, s'allarga ad esporre la tristizia dei tempi presenti e la malvagità che si è introdotta negli animi, e, avvertendo che “nulla si disdice piú a loro l'onestamente andare che faccia a gran parte dell'altre lo stare disonestamente„, descrive in fine i piaceri e le bellezze della campagna con tale vivacità ed ardore, che niuna delle amiche le resiste dubbiosa, ma tutte lodano il suo consiglio con desiderio di seguitarlo. È lei che propone d'accettare a compagni Panfilo, Dioneo e Filostrato, e va essa a pregarli lieta ed ardita a che “con puro e fratellevole animo a tenere loro compagnia si debbano disporre„; e ad istanza di lei, perché le cose le quali sono senza modo non possono durare, si elegge un re ogni giorno, e si delibera di trascorrere il tempo non giuocando, ché nel gioco “l'animo dell'una delle parti convien che si turbi„, ma novellando.

Pampinea ama dilungarsi, per ammonire e far riflessioni, nei preamboli alle novelle che narra e per notare i difetti suoi e degli altri e rilevare quanto per esperienza ha appreso o ciò che le sembra che meglio convenga.

Cosí per la novella di maestro Alberto discorre della vanità e loquacità femminile, e rampogna e consiglia; per la novella di Alessandro Agolanti, che giacque con la figlia del re d'Inghilterra, della quale ei divenne marito, considera come la fortuna è mutabile; per la novella del savio re Agilulf e del palafreniere ardito e avveduto corregge i curiosi indiscreti: dimostra la verità di un proverbio narrando il miracolo dell'angelo Gabriello, e narrando dello scolare che fu burlato e burlò, prova che l'arte è dall'arte schernita, onde è poco senno dilettarsi di schernire altrui. Assorge anche con la novella del buon re Piero a princípi di retto governo politico.

Pampinea ammette che amore possa guidare a gravi pericoli, ma tiene sciocca cosa il pensare che amore tragga altrui dal senno e “quasi chi ama faccia divenire smemorato„; e la canzone ch'ella canta n'assicura che pure amando sa serbarsi donna savia e prudente. Il suo amore è senza pene, senza timori: ella ha la certezza di essere riamata, la consolazione di “possedere il suo volere„ in questo mondo e la speranza di aver pace nell'altro per quella intera fede che porta a chi ama: ella è gioiosa e con la sua gioia allieta le compagne che sono afflitte, e né pur vuole acconsentire alla tristezza che Filostrato ricerca nelle novelle al dí del suo reggimento.

II

Come Dioneo che siede appresso a Fiammetta, Panfilo78, che il primo giorno sta accanto a Neifile, dev'essere di Neifile l'innamorato. Ella infatti canta per volere di lui, ed egli – fatto re – concede ad essa, ciò ch'ella tiene per grand'onore, di dare prima svolgimento all'altissimo tema della decima giornata, ed egli loda piú d'ogni altro la leggiadra novella di lei. Panfilo e Neifile sono due amanti felici; piú felici di Dioneo e di Fiammetta, perché Dioneo, dubitando nella veemenza della sua passione di non essere amato quanto egli ama, è spinto ad invocare la pietà della sua donna, e Fiammetta, nell'ardore dell'amor suo soffre per gelosia. Ma come Neifile, Panfilo non ha ragione di rammaricarsi d'Amore, giacché esso è anche per lui soavità, gioco, allegrezza, e la letizia che gli trabocca dall'animo e gli appare su 'l chiaro viso è tale che a lui

 
ogni parlar sarebbe corto e fioco
pria n'avesse mostrato pure un poco.
 

Se non che sin nell'entusiasmo del canto, ch'egli leva pieno di gioia, riflette e pensa che quand'anche potesse, non dovrebbe dimostrare il suo piacere, “il quale se fosse sentito da altri gli tornerebbe in tormento„, e che non sarebbe creduto qualora dicesse il tempo e come poté indurre a baci ed a carezze la sua donna. Panfilo, al contrario di Dioneo, riflette sempre, e ammonimenti morali egli trae dalla considerazione di Dio e della virtú: ammonimenti di religione – ad esempio – reca nel racconto di ser Ciappelletto; di virtú, nella storia dell'Andreuola alla quale si avverò il sogno fosco; dei doveri verso gli amici, nella novella del Saladino. E porge prove di senno ed avvedutezza se dica i casi della figlia al Soldano di Babilonia, goduta in quattro anni da nove uomini e maritata poscia come vergine al re del Garbo, o della Niccolosa che dormí con l'amante mentre sua madre ostessa giacque con altri che con suo marito, o di Lidia che moglie a Nicostrato e amante di Pirro fu sí audace e lasciva.

Questo giovane assennato e osservatore sottile non resta od è lasciato in disparte, come asserisce il Landau, ma anzi è dai compagni avuto quasi tacitamente a capo; ed infatti egli che è primo a novellare, è coronato re dopo tutti, come colui che essendo ultimo potrebbe emendare il difetto degli altri reggenti e novellatori. E re ordina: “Domani ciascuno di voi pensi di ragionare sopra questo, ciò è: di chi liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno ai fatti d'amore, o d'altra cosa„.

Ma se Panfilo, a quando a quando rigido ammonitore, non si abbandona alla licenza onde Dioneo parla, non è però piú castigato di Filostrato, e come lui con voluttuosa compiacenza cede alle lubriche frasi e si spinge alle frasi oscenuccie; e pur predicando “quanto sieno sante, quanto poderose, e di quanto ben piene le forze d'amore, le quali molti, senza saper che si dicano, dannano e vituperano a gran torto„, racconta novelle d'amore poco sante e di poco ben piene: ciò perché Panfilo non deve solo contrapporre la saggezza propria alla leggerezza di Dioneo, ma rallegrare pur egli le belle donne che stanno ad ascoltarlo. Ad esse egli si rivolge ubbidientissimo coi nomi piú dolci, e le chiama amorose e graziose e reverende e dilettose e carissime. Egli per esse e con esse non ha gli ardimenti di Dioneo e gl'impeti di Filostrato; è gentile sempre; è tutto amorevolezza.

III

Neifile,79 “non meno di cortesi costumi che di bellezza ornata„, è giovinetta fra le giovani donne: ha diciott'anni, e di fanciulla diciottenne l'irrequietezza e la giocondità, la fede religiosa, la pietà per i forti dolori, l'ammirazione per la potenza d'amore; ha le paure e le audacie: timorosa quando intravvede pericoli alla sua onestà; audace ogni qual volta, per non parere ingenua ed inesperta, vuol mostrarsi a dentro nei misteri dell'amore e nella conoscenza della vita. La irrequietezza dell'animo suo manifesta quand'è fatta regina, proponendo con brevi parole di cambiare di stanza, e comandando prestamente per essere tosto ubbidita e prestamente volendo si ragioni per non perder tempo; né si cura mai di preparare con lunghi preamboli alle sue novelle l'animo di chi l'ascolta. E per le gaie novelle diffonde l'allegrezza che le sale dal cuore: racconta essa di Martellino, che si finge rattratto; di Chichibio cuoco che la paura fa di spirito pronto; di Cecco giocatore che rimane in camicia per via.

Niuna delle donne sente come Neifile la pietà religiosa: con la novella di Abraam giudeo essa prova come Dio si “dimostra verità infallibile allorché coloro, che di lui dovrebbero dare testimonianza con le opere buone, fanno il contrario„; con quella di Martellino avverte come male è “beffare quelle cose che sono da riverire„, e tiene fin disposizione di Dio s'ella in alcun giorno deve dar principio ai racconti, e da Dio spera aiuto quand'anche debba narrare le burle di una moglie al marito geloso: poi fatta regina, esorta di attendere nel venerdí e nel sabato, piú tosto che a novelle, a preghiere al Signore.

 

E di che gentile pietà debb'essere capace l'animo suo, se con tanta dolcezza dice il fiero caso di Girolamo che morí a lato all'amata!

D'amore parla con quell'entusiasmo e quel timore quasi religioso che è proprio delle giovinette soltanto. L'amore è fatale, ed è impossibile soffocarlo nel cuore in cui si è acceso, e male è il tentare di soffocarlo, ché, o si spegne da sé medesimo, o non si spegnerà mai: “Oh meravigliosa cosa è a pensare quanto sieno difficili ad investigare le forze d'amore„! Ma amore è mite con lei, e di che gioia le sia prodigo ella giovinetta, “tutta letizia nella stagione novella„, confida alla sua fresca canzone e ai fiori cui parla, paragonando il suo innamorato ad un fiore, e ai sospiri che non “aspri e gravi„ ma “soavi e caldi„ le fuggon dal petto. Tale è Neifile; e le paure sue e la sua rattenutezza di fanciulla che ama, palesa fin da principio, nel tempio, quando Pampinea si rallegra per la venuta di Dioneo, di Filostrato e di Panfilo.

“Neifile tutta nel viso divenuta per vergogna vermiglia, per ciò che alcuna era di quelle che dall'un de' giovani era amata, disse: Pampinea, per Dio guarda ciò che tu dichi; io conosco assai apertamente niun'altra cosa che tutta buona dir potersi di qualunque s'è l'uno di costoro, e credogli a troppo maggior cosa, che questa non è (ciò è di accompagnarle fuori Firenze), sofficienti, e similmente avviso loro buona compagnia et onesta dover tenere, non che a noi, ma a molto piú belle e piú care che noi non siamo. Ma perciò che assai manifesta cosa è, loro essere d'alcune, che qui ne sono, innamorati, temo che infamia e riprensione, senza nostra colpa o di loro, non ce ne segua, se gli meniamo„.

E come vaga e cara quando, coronata regina da Panfilo, diviene rossa in volto e resta smarrita con gli occhi bassi, finché cessa il rumore delle lodi che a lei levano ammirando gli astanti! Pure essa, cosí modesta sino a che Dioneo non inanimisce lei e le altre donne con le lascive novelle e non è indotta ad imitare le compagne, queste poi quasi vince in ardire con la risposta che dà a Filostrato dopo la novella del diavolo messo all'inferno.

IV

Filomena 80, “bella e grande della persona e nel viso piú che altra piacevole e ridente„, è piú volte lodata quale discretissima giovane, e la discrezione sua prova subito alla proposta che Pampinea fa di lasciare Firenze, osservando:

“Donne, quantunque ciò che ragiona Pampinea, sia ottimamente detto, non è perciò cosí da correre come mostra che voi vogliate fare. Ricordovi che noi siamo tutte femine, e non ce n'ha niuna sí fanciulla, che non possa ben conoscere come le femine sieno ragionate insieme e senza la provedenza d'alcuno uomo si sappiano regolare.„

Per questa qualità dell'animo suo ella gode raccontare come giudiziosamente procedé la donna che senza infamia fece il confessore inconsapevole mezzano al suo amore, e come cauti procederono i fratelli di Lisabetta colpevole nell'uccidere il drudo di lei; gode narrare con quale avvedimento madonna Francesca si levò d'addosso due che l'amavano contro al suo piacere, e Beatrice ingannò e fe' bastonare il marito Egano da Ludovico suo amante. Alle novelle premette anch'essa qualche volta osservazioni e consigli, ma al contrario di Pampinea, non parla mai troppo. Né pure al pari d'Emilia e d'Elisa s'accende e s'adira discorrendo de' religiosi, ma a proposito di un confessore burlato, s'accontenta di notare scherzando: “Vo' farvi accorte che eziandio i religiosi, ai quali noi, oltre modo credule, troppa fede prestiamo, possono essere sono alcuna volta, non che dagli uomini, ma da alcune di noi cautamentebeffati.„

Questa cura costante di serbare certa misura è in Filomena non solo allorché racconta, ma sempre, in ogni suo atto, in ogni suo discorso. Cosí quand'è coronata regina da Pampinea, vincendo tosto, per non parere melensa, la confusione in cui resta un momento, afferma ai compagni: “Non solo il mio giudizio, ma anche il vostro vo' seguire„; e co 'l tema che ella dà, “qualora non spiaccia„, a svolgere per novelle, toglie ragione cosí di dolore soverchio come di riso smodato: desidera si ragioni di chi “da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine„. E quando dalla dolcezza della canzone in cui lamenta la lontananza del novo amante sarebbe tratta a svelare tutto quanto in passato ha goduto e tutto quanto si ripromette di godere per l'avvenire, presto sa dominarsi:

 
Se egli avvien ch'io mai piú ti tenga,
 

– canta all'amante —

 
Non so s'io sarò sciocca
Com'io or fui a lasciarti partire.
Io ti terrò, e che può, sí n'avvenga,
E della dolce bocca
Convien ch'io soddisfaccia al mio desire:
D'altro non voglio or dire…
 

Né è a maravigliare se cantando lascia comprendere che del novello e piacevole amore ha sentito piú avanti che la sola vista, poiché la sua non è la riserbatezza d'una affettata modestia; ed ella che a Neifile, sbigottita allorquando Pampinea esorta a prendere per compagni gli amanti di alcune di esse, risponde: “Dov'io onestamente viva, né mi rimorda d'alcuna cosa la coscienza, parli chi vuole in contrario, Iddio e la verità per me l'armi prenderanno„, ella può bene anche arrischiarsi a dire quando accenna al godimento ch'ebbero due amanti una notte: “Prego Iddio per la sua santa misericordia, che a tali notti conduca me e tutte le anime cristiane che voglia ne hanno.„

V

 
Dioneo re del drappello
Le Grazie afflisse…
 

Dioneo 81, che il Boccaccio animò della franchezza, della vivacità, dell'ardore suo proprio, meglio che il re è l'anima del drappello.

– “Fra voi tutte, discretissime e moderate, io, qual sento anzi dello scemo che no, facendo la vostra virtú piú lucente col mio difetto, piú vi debbo esser caro che se con piú valore quella facessi divenir piú oscura…„ – dice egli, umile e carezzevole, alle belle donne innanzi di raccontare l'ultima sua novella, quasi che loro non fosse piaciuto subito il primo giorno in cui uscito di Firenze con esse ad esse dichiarò: – “Io non so quello che de' vostri pensieri voi v'intendete di fare; li miei lasciai dentro dalle porte della città… E per ciò voi a sollazzare et a ridere et a cantare con meco insieme vi disponete (tanto dico quanto alla vostra dignità s'appartiene), o voi mi licenziate che io per li miei pensieri mi ritorni a starmi nella città tribolata.„ – Però a movere la temperata allegria di Panfilo, ad animare l'allegria che Filostrato trova a fatica, ad assicurare l'allegria delle donne spesso dubitanti, egli apporta la schietta ardita irresistibile allegria dell'animo suo.

Ma all'occasione, e specie allorché le donne stimano proterva e temeraria la licenza del suo parlare, e temono per la loro onestà, Dioneo, non piú scemo, dimostra com'esse s'ingannino se credono ch'ei non sia capace di pensare e sentire nobilmente. Cosí se desidera che presto finiscano le dolorose novelle di cui Filostrato si compiace, è perché non solo alle donne, ma anche a lui “le miserie degl'infelici amanti contristano gli occhi ed il petto„; e se, fatto re, dà al novellare un tema che pare troppo arrischiato, egli prova che non deve pentirsi d'averlo scelto. – “Donne, io conosco ciò che io ho imposto, non meno che facciate voi, e da imporlo non mi poté istornare quello che voi mi volete mostrare, pensando che il tempo è tale che, guardandosi e gli uomini e le donne d'operar disonestamente, ogni ragionare è conceduto… La vostra brigata, dal primo dí infino a questa ora stata onestissima, per cosa che detta ci si sia, non mi pare che in atto alcuno si sia maculata, né si maculerà, collo aiuto di Dio… Et a dirvi il vero, chi sapesse che voi vi cessaste da queste ciance ragionare alcuna volta, forse suspicherebbe che voi in ciò foste colpevoli, e perciò ragionare non ne voleste„. – E questo giovane che affligge le Grazie narrando di Paganino da Monaco e di Alibech, di Pietro di Vinciolo e dell'incantesimo della cavalla, allorché l'oscenità gli sfugge, “arrossa un po' per vergogna„ e gli dispiace d'“esser troppo bene compreso„. Ma le donne, “rosse nel viso, l'una all'altra guardando, appena dal ridere potendosi astenere, l'ascoltano sogghignando„; e ad esse è caro: Lauretta canta con lui, ed egli accompagna co 'l liuto il canto d'Emilia, e da Filomena regina ottiene una grazia; onde Fiammetta è gelosa. Ride Dioneo della gelosia di lei e per gelosia non soffre egli; non troverebbe anzi nel suo amore ragione alcuna di rammaricarsi se, tant'è ardente il suo affetto, non lo turbasse il timore che l'amata Fiammetta non conosca bene l'alto suo desio e la sua intera fede.

 
… non so ben, se 'ntero è conosciuto
L'alto disio che messo m'hai nel petto,
 

(dice ad Amore)

 
Né la mia intera fede,
Da costei, che possiede
Sí la mia mente, che io non torrei
Pace fuor che da essa, né vorrei.
Perch'io ti prego, dolce signor mio.
Che gliel dimostri, e facciale sentire
Alquanto del tuo foco
In servigio di me; ché vedi ch'io
Già mi consumo amando e nel martire
Mi sfaccio a poco a poco…
 

VI

Fiammetta, “i cui capelli eran crespi, lunghi e d'oro, e sopra li candidi e delicati omeri ricadenti, et il viso ritondetto con un colore vero di bianchi gigli e di vermiglie rose mescolati, tutto splendido, con due occhi in testa che parevan d'un falcon pellegrino, e con una boccuccia piccolina le cui labbra parevan due rubinetti„, Fiammetta, quale vive nel Decamerone, ha pure tutta la leggiadria regale della donna che nel Filocopo presiede alla brigata intesa a risolvere le difficili questioni della scienza d'amore; ha pure la grazia della ninfa che “con atti d'autorità pieni, lieta e ridente„ narra nell'Ameto come si concedette all'affetto di Galeone, e pur ha non poco della donna appassionata e gelosa che nel doloroso romanzo si strugge per l'abbandono del suo Panfilo.

Non piú fidente giovinetta quale è Neifile, ella sa “come Amore vince tutte le cose„, e canta e lamenta:

 
… perciò ch'io m'avveggio
Che altre donne savie son com'io,
I' triemo di paura,
E pur credendo il peggio,
Di quello avviso in altre esser disio,
Ch'a me l'anima fura (cioè del suo amante);
E cosí quel che m'è somma ventura,
Mi fa isconsolata
Sospirar forte e stare in vita ria.
Se io sentissi fede
Nel mio signor, quant'io sento valore,
Gelosa non sarei…
 

Ma tra le amiche del Decamerone ella riesce ad attutire il tormento della gelosia e a scacciarne il cupo pensiero, e narra di cortesie e d'amori, lieta in viso e ridente come tra le compagne dell'Ameto. E ricorda: “Noi siam qui per aver festa, e buon tempo.„ Via dunque ogni cagione di dispiacere! – e pur raccontando di Tancredi ella è mal disposta al tema dato da Filostrato; – via tutto ciò che possa inacerbire gli spiriti! – e dopo la novella dello scolare, la cui severità ha trafitta lei e le compagne, osservando prima come la vendetta non dev'essere soprabbondante, narra l'allegra istoria dei due che si accomunarono le mogli – ; via anche ciò che possa muovere leggermente ad ira! – e la decima giornata, quando nella nobile gara di chi narri azioni piú nobili, gli animi delle compagne s'accendono disputando, essa innanzi di dire la sua novella ammonisce: “Splendide donne, io fui sempre in opinione che nelle brigate come la nostra è, si dovesse sí largamente ragionare che la troppa strettezza della intenzione delle cose dette non fosse altrui materia di disputare. Il che molto piú si conviene nelle scuole tra gli studianti che tra noi, le quali appena alla rócca et al fuso bastiamo.„

Cosí Fiammetta, dopo le tristi, dà tema alle felici novelle: “Ciò che ad alcuno amante dopo fieri o sventurati accidenti felicemente avvenisse.„ D'amore ogni suo pensiero, e amore è la sua vita; né fa commento alcuno a quello che racconta se non per consigliare chi ama o chi è per amare.

 

Al modo stesso che nel Filocopo risolve la questione di Pola, se piú alta debba essere la condizione dell'amata o dell'amante, asserendo che “quantunque la donna sia ricca, grande e nobile piú che 'l giovane in qualunque grado, o dignità si sia, ella deggia piú tosto dal giovane essere amata, che quella che alcuna cosa ha meno di lui„, facendosi a narrare la prima novella del Decamerone afferma: “Quanto negli uomini è gran senno il cercar d'amar sempre donna di piú alto lignaggio ch'egli non è, cosí nelle donne è grandissimo avvedimento il sapersi guardare dal prendersi dallo amore di maggiore uomo ch'ella non è.„ – Bene dunque Fiammetta figlia di re e Dioneo figlio di mercante fiorentino possono amarsi e di amore pari a quello di messer Guglielmo e della dama di Vergiú, dei quali cantano insieme le gioie e gli affanni.

77La rigogliosa – “Niuna il venti et ottesimo anno passato avea né era minor di diciotto… Delle quali la prima, e quella che di piú età era, Pampinea chiameremo„. (Introd. al Decam.)
78Πᾶν φίλος = tutto amoroso.
79νέη φίλη = giovinetta amorosa.
80Amante del canto. – Nella favola, Filomena “con giudizioso procedimento„ avvertí Progne della colpa di Tereo.
81Διώνεος = venereo.