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III

Perché egli era già divenuto in fama di grande scrittore, e le sue opere levavan rumore in tutta Europa: già avvolto di carezze e di minacce, di ossequi e di calunnie, aveva sperimentato, quantunque invano, come il dire la verità o quel che gli sembrava la verità, fosse travagliosa impresa. Ginevra, dove, quasi in seconda patria, era stato ricolmo d'onori, dove, primo italiano il quale ne fosse parso degno, era stato fatto “cittadino borghese„, non fu piú luogo per lui dopo che ebbe dato di cozzo nell'“odio teologico„ di quei “predicanti„; e perché Luigi XIV lo lusingava di promesse se accettasse la nomina di suo storico, nel 1680 si portò con la famiglia in Parigi. Ma nella prima sua visita al ministro Colbert capí che al re non piaceva uno storico calvinista, e com'egli dichiarò che non sarebbe andato mai dal padre La Chaise, il quale aveva ricevuto incarico di rimetterlo nel “giron della Chiesa„, il ministro incollerito l'avverti “che il re avrebbe trovato presto la maniera di farvelo andare„. Cosí il Leti, che, sia detto a sua lode, rinunciava a un lauto stipendio per non rinunciare ai suoi princípi, s'allontanò incontanente da Parigi e a Calais s'imbarcò per l'Inghilerra.50

Ed ivi Carlo II l'accolse con molta degnazione, gli donò mille scudi e gli diede incarico di scrivere la storia del regno inglese; grave compito per altri che per il Leti, il quale la condusse a termine in breve tempo. Ma per avervi dette, al solito, cose che era meglio tacere, e sopra tutto per aver fatta certa profezia, “che se non si portava impedimento acciò non cadesse in successore cattolico la corona, si sarebbero viste tragiche scene di dentro e di fuori„, gli furon conceduti appena dieci giorni per uscire dal regno.

Si rifugiò allora ad Amsterdam; e là finalmente trovò tutta la libertà che desiderava; ebbe l'ufficio di storiografo per gli Stati dell'Aja; ricevette onori piú che altrove: ivi chiudeva il secolo decimosettimo stampando la sua centesima opera e cominciava il secolo decimottavo lavorando, in età di settant'anni, quattordici ore al giorno intorno la Vita di Carlo V, la quale finí poco prima della vita sua, nel 1701.

Fibra di ferro ebbe costui!; e benché anche adesso l'Italia non manchi di chi dà troppo a stampare, non avrà piú mai, speriamo, chi, per riuscire a comporre cento volumi, resista come il Leti a scrivere tre opere per volta consumando in ciascuna due giorni della settimana, e in ogni settimana faticando tre giorni dodici ore e tre altri, sei. Veramente, a differenza di molti instancabili scrittori odierni, non mancava d'ingegno; e nelle storie procedendo audace sin fuori della giustizia e feroce nelle satire sin fuori dell'onestà, commoveva e seduceva moltitudini di lettori. Né è strano che molti, pure cattolici, gli volessero gran bene, perché egli fu nella vita quale nelle opere: aperto, e cosí naturalmente arguto e ardito da movere incontro anche a gravissimi pericoli con sangue freddo e con motti ridevoli.

Quando si trovava a Ginevra gli giunse un giorno questo avviso di Giuseppe Corso, libraio romano provveditore della casa Panfili: – Signor Gregorio, perché l'amo, la sua vita mi è cara: il Signor Principe Camillo Panfili, ch'è persuaso già che V. S. sia autore della Vita di donna Olimpia sua madre, ha giurato di spender cento mila doppie per farla pugnalare – ; ed egli, gettato l'angoscioso biglietto nel fuoco, “acciò con questo se n'estinguesse la memoria, e preso un gran foglio di carta – e reale di piú, per fargliela costar piú cara alla posta – „ rispose all'amico: – Signor Gioseppe, il Signor Principe Camillo è troppo benigno e troppo economico per spender cento mila doppie per farmi pugnalare, se con dieci potrebbe farlo due volte.51

In Londra, essendo la corte in tempesta per colpa della sua storia, corse a lui, una sera alle dieci, il fratello di sua moglie, il quale atterrito l'avvisò da parte di milord Cernis che il duca di York aveva dato ordine di assassinarlo: nel nome di Dio, guardasse la sua persona!

– “E per questo vieni tu a svegliare il mio sonno?„ – gridò egli al cognato; e pieno d'ira lo coprí d'ingiurie; poi messolo fuori della camera riprese a dormire mentre quelli della famiglia stavano in pianti. L'indomani non fu loro possibile impedirgli di uscire, e agli amici che incontrandolo meravigliati gli ripetevano sotto voce il consiglio di lord Cernis, il Leti rispondeva ridendo: – “Il signor duca ha il cuore troppo augusto per risentirsi con la morte e con la prigionia della morsicatura d'una mosca„. – E cosí fece ogni volta che gli riferirono una vendetta imminente.

Per tanta spontaneità e vivacità di spirito; per la facilità sua a cogliere, l'attitudine ad imaginare, la capacità a rendere tipi diversi in azione sarcastica, Gregorio Leti fu certo uno scrittore di satire singolare nel seicento e per noi degno di molta considerazione. È vero che ai nostri giorni niuno s'occupò di lui convenientemente, forse perché le sue satire derivano in gran parte la materia da pasquinate che si possono conoscere per altra via; forse perché feriscono le colpe dei papi e la corruzione de' sacerdoti alti e bassi con un fine religioso o politico di cui oggi è troppo difficile avvertire la sincerità e l'importanza; forse, piú tosto, perché appariscono in gran parte libelli osceni. Infatti – contraddizione curiosa! – il calvinista riformato pur ne' costumi è sconcio scrittore; ma, e come avrebbe potuto battere i peccati de' preti senza essere tale? Del resto, altri vegga il danno ch'egli poté recare alla moralità: a me basta dare a vedere ch'egli ebbe forza e vena satirica e che meglio la rivelò appunto nelle composizioni piú lubriche.

E meglio fra tutte, parmi, tant'è spietato e giocondo e acuto per rappresentazione di tipi, in quella intitolata… – mal titolo, e bisogna coraggio, o pudibondo lettore, – Il Puttanismo romano.52

IV

Nell'agosto del 1666 sembrava che la santità di Alessandro settimo (Fabio Chigi senese) si disponesse davvero ad esaudire coloro che lo desideravano morto e ad accontentare in ispecial guisa le donne, cui gran mali eran venuti dal suo pontificato – “la nazione senese ha per una certa ragione d'istinto naturale… diretta e implacabile l'antipatia contro il sesso muliebre„ – , e il 20 di quel mese stesso per Roma corse lieta la voce che il papa traeva gli ultimi respiri. Onde in quel dí “si videro le patriarchesse del bordello„ e molte loro emule dell'aristocrazia “con sollecita e esatta diligenza girar in diverse pratiche, stringersi in diversi negoziati e proponere diversi trattati per vedere in ogni modo possibile di far succedere l'elezione del nuovo Pontefice in alcuna creatura loro, o almeno in alcuno delli soggetti che per ragione di genio… sapessero essere aderenti al loro partito e se ne fussero potute liberamente fidare…„

Come s'affaccendavano a ricercare le compagne per le ville intorno la città e ad inviare avvisi a quelle ch'erano a Frascati e nei luoghi vicini. Rintracciatesi, si composero in gruppi e ciascun gruppo scelse un nome di cardinale da proporre a pontefice.

Cosí “Madonna Angela Sala, serenissima decana del bordello, con il suo squadron volante s'adoprava… per l'inclusione del cardinale Spadino detto Santa Susanna„, che “aveva gagliardamente assicurata la loro fede„; Nina Barcarola in vece, nella quale era riconosciuta da molte una certa superiorità, essendo ella tutta cosa di Ravizza prelato possente in Vaticano, chiedeva voti per il Celsi protettore del suo Ravizza e seduceva ad aiutarla Nina Pandolfina, Nina delle Cannuccie, Maria Vittoria delle Masse; tra le dame, quella detta la Regina “si faceva avanti con la nominazione d'Azzolino Maldachino„, ma la duchessa Mattei, per ragioni d'igiene, preferiva il Bonelli, “non ostante la sua ispida e irsuta fisonomia„: l'Adrianella infervorandosi per il Rospigliosi, “vecchio nel mestiere, faceto nella conversazione, libero nel tratto„, contrastava colla principessa di Rossano, a cui solo l'Odescalchi pareva un “soggetto degno e un uomo di buona volontà„. Altre sostenevano altri, ed era facile capire che senza un lungo conclave non sarebbero riuscite ad accordo. Però il giorno 22 centoquattro donnine condotte da Angela Sala vollero raccogliersi a congresso, sole, senza le dame, nella via delle Vaschette.

Ma l'adunanza ebbe principio non buono, perché gli “affezionati assistenti„ di quelle signore “con cotal impeto fecero ressa alla porta, che, non volendo l'un cedere… luogo all'altro„, vennero alle mani e si maltrattarono: il canonico Scotti restò tutto pesto; l'abate Pizzisio perdette il naso; il cardinale Acquaviva patí una stretta funesta alle reni; monsignor Assarini n'usci tutto spelato, e peggio ancora, monsignor Altemps cadde all'indietro e la sua testa, che non si fracassò per miracolo, s'enfiò ad un enorme bernoccolo. Pur le “conclaviste„, ottenuto finalmente il silenzio, incominciavano la discussione, quand'ecco, recando nuova cagione di rumore, entrare con fare “sprezzante ma disinvolto„, assai dame, le quali pretendevano aver parte al congresso; né fu picciol merito della Regina se furono accolte in non trista maniera. Anzi la Regina, la quale era parlatrice larga e forbita, dopo aver proposto e fatto stabilire che da quel dí in poi “tanto le dame quanto le… (quel tal nome che ha assonanza con dame) andassero al pari e senza alcuna immaginabile distinzione, e che… (quello stesso nome al singolare) e dama volesse dire l'istesso„, mise in campo l'elezione di Azzolino o di Maldachino. Ella si teneva certa che il primo concederebbe:

 

1.º una bolla che dichiarasse lecito ai religiosi d'andare… “senz'alcun disturbo o pericolo„ a… fare visite piacevoli;

2.º “la facoltà„ alle donne maritate o libere “di cavarsi la fantasia„, immuni “davergogna e da pena, quando e quanto loro paresse„;

3.º l'espulsione da Roma di tutta la “genia de' monsignori senesi„;

4.º… – Ma questa io non la dico – .

Se dalla nomina dell'Azzolino si ricavava tutto ciò, continuava la Regina delle dame, che importava s'egli era “una bestia cosí brutta„, se aveva “un viso cosí deforme, un tratto cosí rustico, una figura cosí mal fatta?„ Ma quando costui non soddisfacesse in alcun modo, ella garantiva questi altri vantaggi da un papa Maldachino:

1.º diverrebbero padrone d'andar dove loro piacerebbe, anche in palazzo con lui, e rimarrebbero libere d'ogni angheria;

2.º libere anche da quegli “scrocconi„ in mano dei quali dovevano stare durante le loro infermità;

3.º sarebbero istituite tra loro “le dignità civili e di Rota, Signatura e Camera„, ove entrerebbe una presidentessa a provvedere contro le impertinenze dei prelati;

4.º un concistoro vedrebbe di stabilireche i papi pigliassero moglie.

E se Maldachino è brutto, ricordate, – aggiungeva la Regina – che “le pere tanto sono piú buone quanto sono piú brutte„.

Già ella, conchiuso il suo lungo e bel discorso, s'era seduta, quando s'alzò l'Adrianella e “con volto ridente, benché non gran cosa, fatta una bella e graziosetta ma umil riverenza circolare„, cominciò a dire che quanto aveva promesso Sua Maestà tornava a solo utile delle… signore pubbliche; che la confusione delle dame con esse non le piaceva affatto perché veniva a perdere “tutta la fatica et tutta la diligenza, che aveva usata in vita sua, di farsi stimar da dama se bene non fosse, e di esser creduta onesta se bene non era„, e che a lei bisognava soltanto un po' di dominio, il quale sperava dal Rospigliosi. Ma Eleonora la Barcarola l'interruppe: la signora Adrianella pensava troppo a sé, dove ella, che pure aveva fatto Ravizza quello che era, e molto avrebbe potuto attendere dal Celsi, acconsentiva alla proposta della Regina, desiderando il vantaggio di tutte le compagne sue. E l'Adrianella a rispondere poco a tono e a insistere che fidarsi dei Celsi e dei Ravizza era pazzia. Ma come Dio volle il battibecco tra lor due finí e si fece avanti la “reverenda madre decana„, la quale “dopo di aver fatto da trenta smorfie di conto, cominciò a dire il fatto suo…„. Costei, a differenza della Regina, discorreva balzellando e con la sguaiata bonarietà e smaccata gaiezza che è propria delle vecchie sue uguali.

Per lasciare comprendere di quanta esperienza era ricca si fece prima a raccogliere la storia della sua vita; poi vantò lo studio che poneva nel “formare„ e reggere le sue allieve, e citava fatti; poi, accorgendosi di andar per le lunghe prometteva di spicciarsi in due parole… Ella, Ciccia dello struzzo venuta da Frascati e molt'altre avrebbero dunque preferito il cardinale Santa Susanna, in riguardo alla grande amicizia che le legava all'abate Bernardino nipote di lui, ma pur finivano con appagarsi del Maldachino. Maldachino?: “zitto zitto! – diceva a voce piú bassa e co 'l gesto di chi si prepara al racconto d'un bel caso; e rammentava come una volta lo vestirono da dama. Lo conosceva, insomma, per un buon ragazzo e non lo credeva “capace di distinguere il ben dal male.„

“Non aveva appena questa finito con altrettante smorfie, che incontanente ritornò a discorrere la Regina, e fatto prima un nobile et erudito ringraziamento alle pronte esibizioni della decana e… stesasi ancora in un lungo encomio sopra le di lei qualità… voltatasi alle altre…„ le richiese della loro opinione. “Datesi quelle giovinotte una guardata, scappò tra l'altre a parlare la prima Nina Fiorentina con un proemio di dicerie e di tratti poetici piacevolmente infilzati, che parve una pasquella che allora fosse uscita dalla cima di Monte Alcino o da Pistoia, e poscia fatto un esame generale a tutti li cardinali, e avendo ritrovato a chi il collare torto, a chi li calzoni corti, a chi il naso troppo piccolo, e chi troppo stretto in cintura, volando or qua or là, si posò alla fine sopra Bandinello. Al sentir tal nome saltò fuori la paesana sua, che era Margherita, e con uno strillo da disperata:

– Oh affè di Dio non si poteva dir meglio!; cotesto costí vogliamo al certo, signor sí!„ – Ma le altre gravemente tutte in coro:

– “È senese, nihil!, è senese, nihil!„ – (allusione alla forma di procedimento che “nelle cause de' miserabili„ seguiva ogni giorno “l'ignorantissima canaglia della Signatura di Giustizia„).

Escluso il Bandinelli; la principessa di Rossano adduceva le ragioni per cui le sembrava migliore l'Odescalchi, quando la fece ristare gran rumore di gente che veniva dalla parte di strada: era la signora Nina Stagnarina, la quale con un corteggio di sgualdrinelle entrava a lamentarsi di non aver ricevuto invito alcuno al conclave. Fu pronta a sgridarla la Rossano e a farla tacere ed uscire con ragioni molte e tali che io non ripeto perché sbigottiscono anche me; ma la principessa non poté subito riprendere l'interrotto discorso tanto le “conclaviste„ si lamentavano d'essere stanche, né ci volle meno del potere della Regina per ricondurle al silenzio. Finalmente la Rossano, con “un viso tra il brusco e il dolce, fatto all'usanza d'una pizza da un baiocco„, ebbe agio a ritesser le lodi dell'Odescalchi “un uomo da bene, uno spirito puro, un animo dotato di grandi virtú…„; – Un gesuita falso! – gridò la Brigidaccia impedendole di proseguire. Nuccia Belluccia, che aveva dalla sua Nuccia delle cannuccie, si levò poscia ad esprimere il suo desiderio di nominare “un buon fratone„, e fu tratto in ballo fra Silvio de' Vecchi.

Piú tosto poi il Celsi! – esclamava Nina Barcarola; e altre: – Meglio Santa Susanna! – Meglio il padre Caravita! —

Era tempo di por termine al diverbio, e ciò fece la Regina sospendendo il concistoro al modo stesso – questo paragone lo posso fare – onde ogni bravo presidente termina ogni consiglio tumultuoso, e dicendo che per quel giorno bastava essersi persuase della difficoltà della questione, e che in altra adunanza (la indisse per la settima prossima) sarebbero venute a deliberare ultimamente. E la Eleonora Adrianella, “la quale, per esser tra l'altre forse la piú astuta e la piú pratica delle cose del mondo, aveva in testa di far riuscire la regola che a fare il Papa ci vuole raggiro, e con ingannare il compagno si gira tutta questa macchina del prelatismo, si alzò a dire quattro barzellette per licenziare il conclave„, trovando pur modo di pungere un poco la fortunata Regina.

Ma allorché levatesi tutte in piedi stavano per andarsene, giunse d'improvviso Stecchino principe del bordello, il quale, “tutto affannato e afflitto, datosi di mano al cappello e fatta una riverenza a mezza luna con quelle sue gambe storte, cominciò a mezzo il congresso, con mille sospiri e quasi sommerso in un torrente di lacrime, ad ululare in questa maniera: Siamo rovinati, siamo spediti, oh poverini noi! Oh disgrazie della natura, oh malvagità delle stelle!: il Papa sta meglio! —

“Parve che a quelle misere, al suono di queste voci, uscisse l'anima e svanisse lo spirito„; e sola ad una rimase la forza di interrogarlo. Ah! – egli si era introdotto in Palazzo e già aveva saputo che “mancavano pochi minuti alla comune felicità, quando una straordinaria allegrezza di quei matti di là dentro lo aveva fatto cadere negli abissi delle miserie„.

E cosí avvenne che tutte quelle signore se n'uscirono piangendo e lamentando dal luogo ove eran entrate piene di letizia. – Ma io dubito molto che questo riassunto possa lasciare in chi mi legge la vivace ed efficace impressione che il piccolo libro lasciò in me, nauseato lettore di cose del seicento.

In proposito del qual Puttanismo vo' riferire un'altro aneddoto non inutile anch'esso alla conoscenza del Leti e dei suoi tempi.

Nel 1675, a Ginevra, fu spedita a Gregorio Leti una lettera da certa Suor Agnese Mansola, la quale godeva rinnovarglisi nella memoria come colei che già molt'anni innanzi aveva servita da cameriera la sorella di lui, a Milano, e da lui stesso, quando la chiamavano ancora Bellottola, aveva ricevute non poche carezze. Ed essa gli raccontava che morta la sua prima e buona padrona era stata traviata da un marchese e poi da un abate romano, il quale l'aveva indotta a recarsi a Roma, ove in breve era divenuta cortigiana famosa acquistandovi il pomposo nomignolo di Regal meretrice. Ma in quell'anno del giubileo il Signore le aveva tócco il cuore sí che aveva fatto dono di dieci mila scudi al monastero in cui s'era rinchiusa. – “Mi son riservati – ella finiva – cento scudi romani, ch'è il salario ricevuto dalla sua signora sorella, e della metà ne farò dir messe per il riposo dell'anima di questa e dell'altra preghiere al Santo Spirito per la sua conversione, oltre alle mie preghiere particolari„.

Il Leti rispose: “… Di lei non ne avevo inteso parlar minima cosa dalla morte in poi della mia sorella, né mai avrei pensato che Bellottola di Milano fosse fatta la Regal meretrice di Roma, della quale ne avevo inteso far conti tali, che aveano dato la volontà all'autore del Puttanismo di Roma d'infilzarvela dentro con gratiose maniere vantaggiose a tal sua professione… Le dirò intanto che per una nuova convertita il mentir cosí sfacciatamente mi dà da pensare. Mi scrive d'aver abbandonato il peccato, in luogo di dire ch'è stata dal peccato abbandonata. La mia sorella è morta sono appunto trent'anni: quattro di servizio, son trentaquattro, e ventuno che aveva quando entrò a servirla, son cinquantacinque; et intanto si loda d'aver abbandonato il peccato? Anzi doveva scrivermi che per dispetto al peccato, che l'aveva abbandonata erano quindici anni (giacché in Italia, passati li quarant'anni, si mandan le donne al diavolo), aveva presa la risoluzione di far la penitente… Non so comprendere questo suo zelo di voler salvar la mia anima per gli obblighi che aveva alla mia sorella… Perché non conservar meco quest'obbligo… co'l farmi suo erede?; che senza scrupolo avrei ricevuta l'eredità„. E consigliandola d'impiegare i cento scudi romani, invece che in messe e in preghiere, in elemosine, conchiudeva: “Si ricordi talvolta che non è il giubileo che l'ha convertita, ma la sua età„.53

V

Ma per tornare ad Alessandro settimo, egli morí davvero poco dopo l'imaginato conclave di quelle tali donnine, e della sua morte e del suo viaggio all'altro mondo Gregorio Leti seppe e narrò assai cose piacevoli. La qual satira – Il sindacato di Alessandro VII con il suo viaggio nell'altro mondo,54 – è di quelle la cui essenza, tutta di pasquinate, trova disposizione in una tela semplice ma ingegnosa di fatti. Cosí mentre il morto pontefice è spedito dritto dritto in Purgatorio e là giú tenta invano di procedere come in vita, e solleva gran discorsi di sé, quassú in Roma passa dinanzi ai Conservatori e a Pasquino e Marforio, l'uno fiscale e l'altro scriba nel congresso, la moltitudine di coloro che hanno da significare i torti ricevuti da lui: monsignori e cardinali tristi, de' quali non è stata appagata abbastanza l'avidità e l'ambizione; preti miserabili, vittime dell'ingordigia dei maggiori; fidati impudenti rivelatori delle proprie per rivelare le colpe altrui; gentiluoministranieri pieni di nausea per la politica e la corruzione di Roma: una fila lunga di persone, a cui non manca espressione; tra cui è anzi piú d'una macchietta a tratti rapidi e vivaci.

 

I conservatori ascoltano in silenzio il racconto delle piccole colpe o dei delitti nefandi; ma, per contro, discorrono assai Pasquino e Marforio, il primo strapazzando spesso i querelanti, e ammonendoli il secondo; e dando l'uno notizie e argomento di dispute all'altro: giacché lo scriba e il fiscale, quantunque siano i due amici che tutti sanno, non si trovano sempre d'accordo per cagione del loro carattere molto diverso.

Pasquino è sagace e senza paura e irascibile; Marforio, meno pronto di testa, meno sicuro d'animo, difficile ad infiammarsi: l'uno, quando è il caso e può, cerca di salvar capre e cavoli e s'imbroglia; e l'altro si stizzisce. “Tu sei nato per farmi crepare, Marforio, con queste tue procediture – dice Pasquino – , le quali servono a farti stimare un poco meno cattivo di me; ed in fatti tutti parlano di Pasquino: Pasquino qua e Pasquino là: le punture, le ferite, le maldicenze ed ogni sorta di mormoro s'applica a Pasquino; in somma non si parla, quando si tratta di mala vita, che di Pasquino; a tal segno che hanno dato titolo ad ogni sorta di satira, di pasquinate; ma di te non si parla che poco o niente, e sinora non s'è inteso mai dire marforiata. E perché questo? Perché io parlo con libertà; perché quello che ho nella bocca ho nel cuore, e nel cuore non resta che quello che va fuori dalla bocca; perché sono amico degli amici e nemico dei nemici; perché non faccio distinzione di qualità di persona, menando al pari i grandi con i piccoli…; ma tu, al contrario, vai sempre risarcendo quello che rompi e cerchi di rompere quello che mostri di risarcire… Se io sapessi fingere come fai tu, non averei la testa rotta…„ —

Risponde Marforio ch'egli nacque non ai tempi in cui nacque lui, ma quando i piú “nascevano con due faccie, l'una ricevuta dalla natura nel luogo ordinario e l'altra dietro le spalle: non esser meraviglia se ritiene della natura propria a molti di quelli che è andato praticando.„

Non meno piacevole e ugualmente intessuta di pasquinate è l'Ambasciata di Romolo ai Romani55.

Gli annali sacri e profani di Roma, “già compiuti da parecchie autorità per ordine di Romolo„, erano letti ad alta voce in cospetto di tutti i numi, i quali con diversa commozione ascoltavano i grandi fatti e le grandi sventure dell'alma città, e la gloria a cui l'avevano innalzata con meravigliosa alleanza la fortuna e la virtú, e le ruine in cui l'avevano precipitata il papato, i barbari e Carlo quinto, allorché Mercurio si presentò tutt'afflitto alla suprema raunanza e, mancandogli la voce, spiegò la causa del suo dolore con fogli che dié a leggere a Romolo stesso. Contenevano tre poesie di rammarico in morte di Clemente nono; e dalla lettura loro Romolo ricevette tanto cordoglio che si mise a piangere, e cosí, con il capo tra le mani, a pensare i mezzi di salvezza per la sua città, su la quale minacciava di nuovo la tirannia del nipotismo.

Andar egli a riporvi le cose nello stato d'una volta in un tempo in cui “gli ecclesiastici non potevano soffrire altro dominio che il proprio„, era certo impresa troppo arrischiata: meglio spedire un ambasciatore che sotto apparenza di consolare il popolo romano per la morte del buon pontefice, ricercasse s'ei fosse disposto a vivere nel regime del paganesimo; e giacché agli ambasciatori conveniva fasto e nobiltà, gli parve ancor meglio inviarvi Remo suo fratello. E Remo con una lettera “credenziale„ per i Romani e con gli ammonimenti del fratello, e a capo d'una scelta comitiva, si mise subito in viaggio. Aveva di piú, per “non rincontrare in quei viluppi in che sogliono cadere bene spesso quei ministri che vanno a negoziare senza conoscere l'umore delle nazioni„, una memoria intorno “i costumi de' principali popoli d'Europa„. Nella quale tra le altre cose, era detto che:

in statura

 
il Tedesco è grande;
l'Inglese di bella presenza;
il Francese di bel garbo;
l'Italiano mediocre;
lo Spagnuolo spaventevole…
 

In amore:

 
il Tedesco non sa l'arte d'amare;
l'Inglese ama bene in pochi luoghi;
il Francese ama per tutto;
l'Italiano sa come bisogna amare;
lo Spagnuolo ama bene.
 

In scienza;

 
il Tedesco sa come un pedante;
l'Inglese come un filosofo;
il Francese di tutto sa un poco;
l'Italiano sa come un dottore;
lo Spagnuolo è profondo…
 

In ingiurie e benefici:

 
il Tedesco non fa né bene né male;
l'Inglese fa bene e male;
il Francese scorda il bene e il male che fa e che riceve;
l'Italiano serve con affetto e si vendica con ira;
lo Spagnuolo ricompensa il bene e il male.
 

In pasti:

 
il Tedesco è un briaco;
l'Inglese è un ghiotto;
il Francese delicato;
l'Italiano sobrio;
lo Spagnuolo scarso…
 

In costumi:

 
Il Tedesco è rustico;
l'Inglese crudele;
il Francese cortese;
l'Italiano civile;
lo Spagnuolo disprezzante…
 

In magnificenza:

 
il Tedesco è magnifico in privato;
l'Inglese in mare;
il Francese nella corte;
l'Italiano nella chiesa;
lo Spagnuolo nell'armi.
 

In bellezza:

 
il Tedesco è come una statua;
l'Inglese come un angelo;
il Francese come un uomo;
l'Italiano come può;
lo Spagnuolo come un diavolo…
 

In presenza:

 
il Tedesco di rado ha bel garbo;
l'Inglese ha la vista né di savio né di matto;
il Francese un garbo stordito, et è in effetto;
l'Italiano ha la vista di savio et è matto;
lo Spagnuolo ha la vista di matto et è savio…
 

In matrimonio:

 
il Tedesco è padrone;
l'Inglese servidore;
il Francese buon compagno;
l'Italiano carceriere;
lo Spagnuolo tiranno.
 

Le donne:

 
in Germania fanno risparmiare, ma sono fredde;
in Inghilterra sono regine e libertine;
in Francia dame e lascive;
in Italia prigioniere e cattive;
in Spagna schiave et amorose…
 

In viaggio:

 
il Tedesco viaggia per costume;
l'Inglese per capriccio;
il Francese per osservare i fatti d'altri;
l'Italiano per imparare;
lo Spagnuolo per necessità.
 

E Remo, da buon italiano, s'istruiva assai viaggiando di cielo in terra, tanta gente incontrava che gli dava a leggere satire e tanti l'accompagnavano per discorrergli delle tristi condizioni di Roma.

Meno male che giunto nella eterna città fu consolato dall'elezione d'un ottimo cardinale a pontefice: l'Altieri, che prese il nome di Clemente primo.

50Lett. Cit. T. II, pag. 36; pag. 583-584. Anche: Pref. alla Monarchia di Luigi XIV, di G. L.
51Lett. cit., T. II, pag. 45 e seg.
52Il Puttanismo Romano nuovamente ristampato, con l'aggiunta d'un dialogo tra Pasquino e Marforio sopra lo stesso soggetto, et insieme con il Nuovo Parlatorio delle Monache – Satira comica di Baltassaro Sultanini Bresciano – Londar (sic) per Tomaso Buet, 1669.
53Leti, Lett., II, pag. 318-323.
54… e Pasquino morto risuscitato, senza luogo e nome di stamp., 1668: in-12.
55Colonia, Antonio Turchetto, 1676: in-12.