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III

… – E perchè fuggire da un paese come l'Eldorado?

– Ero infelice – mestamente rispose Edon, e rilevò gli occhi dal vocabolario italiano-volapuk che Polla, la mattina, gli aveva portato a casa e da cui egli in due ore aveva imparato quanto linguaggio basterebbe a certi eruditi professori per uso domestico se non universitario.

Alla risposta dell'amico, Polla s'intenerì. Non potendo credere che in un paese dove per le vie e per i campi tutti potevano raccogliere di quei tali ciottoli, ci fossero divisioni di classi, nè che dove gli uomini volavano ci fossero tiranni e mancasse la libertà, pensò che qualche terribile sventura, fuori dell'ordine economico e politico, avesse colpito l'uomo a lui caro, ormai, più che un fratello; e si propose di tenerlo allegro, distrarlo in ogni modo e, sopratutto, nascondergli i guai della nostra vita civile. «Edon ha cuore – diceva fra sè – ; ha l'intelligenza di un uomo perfetto; dunque per non affliggerlo con suicidi, delitti, miserie e con le carneficine internazionali e i resoconti dei Parlamenti, abolisco i giornali quotidiani!» Gli premeva insomma che, essendo irreparabile l'ordigno per volare, l'amico non scappasse per ferrovia appena fosse deluso e stanco del vecchio mondo e dopo che si fosse accorto del pregio che vi hanno i diamanti, gli smeraldi, i rubini e anche i pezzi d'oro.

Certo, sarebbe stato meglio per ambedue che Edon non apprendesse mai il potere delle gemme e dei quattrini in cui Polla le convertiva; e da bravo amico Polla ci si provò, recandosi lui solo dai gioiellieri con una o due pietre alla volta e piccine, e pagando di nascosto i conti all'albergo nel quale s'erano trasferiti. Ma presto l'altro volle andare in tram, dove curiosamente vide scambiare i soldi coi biglietti.

– Non usano questi da voi? – chiese l'amico con faccia tosta, mostrandogli le monete.

Edon sorrise; negò col capo; cercò di esporre l'ordinamento economico della sua patria. Ivi i quattrini non usavano più da secoli, perchè vi abbondavano i frutti della terra da cui la scienza chimica traeva e riduceva gli alimenti; vi abbondavano inoltre i prodotti del suolo necessari alle arti e alle industrie, sì che ciascuno viveva secondo il proprio bisogno e secondo il proprio desiderio.

Polla era rimasto intontito, quasi a ricevere un colpo di mazza sulla testa.

– Come? – gridò poi. – Non solo ci avete la realtà dell'ideale socialista, ma anche dell'ideale anarchico!

– Ideale socialista?.. – ripeteva Edon traendo il vocabolario, – Ideale anarchico? – ; e intanto Polla ricorreva alla difficoltà più grande che aveva incontrata ne' suoi studi e nella sua fede.

– Dite, dite – domandò: – in che modo vi regolate, voialtri, per la misura del lavoro?

Edon non comprendeva e stava per chiedere più ampia spiegazione, quand'ecco uscì lui pure in un oh! di meraviglia, perchè scorse scintillare la mano di una cocotte che avevano di fronte.

Il socialista era divenuto di bragia in volto, non per pudore. Susurrò in fretta all'orecchio dell'amico:

– È un brillante falso!.. È una cocotte.

Ma già lo sguardo di Edon aveva sorpreso in altre mani senza guanti, oro e smeraldi, e fu bell'e fatta; che se gli anelli si portavano per ornamento, avevano un pregio, e se avevano pregio gli anelli, ne avevano anche le pietre; e se per andare in tram erano necessari i soldi, più soldi dovevano essere necessari per adornarsi mani e orecchie… In conclusione, Polla dovette chiedere l'ordinamento finanziario ed economico del nostro sciagurato paese, e, quasi fosse una bella cosa, permettere all'ingenuo fratello di tornare a casa perchè voleva pietre da cambiare subito in valute!

Ah quanto Polla fu pentito di non aver messo da parte per sè alcuno dei brillanti più grossi! Che colpa essere troppo onesti!

Per fortuna Edon era buono, ingenuo al pari di un bambino, nè avvertì altri guai dopo quello della moneta. Anzi per le strade e per le piazze manifestava una giocondità, una meraviglia, una beatitudine a cui era difficile trovare confronto. Si meravigliava e godeva come noi quando fossimo trasportati d'improvviso in una illustre città al periodo splendido del Rinascimento e vivendo di quella vita, per noi oggi storica e fantastica insieme, conservassimo l'illusione per cui il passato ci sembra più bello del tempo presente, e di quella età conoscessimo i beni senza conoscerne male alcuno. Ora attonito, ora ilare, ora meditabondo a cercare la ragione di una cosa e, trovatala, giulivo ed entusiasta, Edon non si stancava di correr qua e là sebbene non fosse avvezzo a girar molto e quantunque tanto frastuono di ruote e di carri lo stordisse. In estasi a dirittura lo traeva la vista delle signore, così eleganti negli abili diversi; così agili e provocanti nelle forme; così facili al sorriso nel salutare; così flessuose nell'incedere, così graziose nell'arrestarsi, nel sogguardare, nel porgersi allo sguardo altrui. Commentando l'ammirazione sua propria, che le costringeva a dolci soliloqui, egli con interrotte parole riferiva all'amico che nel suo paese ragioni di pubblica salute avevano privata di grazia la donna abolendo busti e cinture, e che l'igiene v'imponeva una sola e pallida tinta nelle stoffe, e, che, per di più, il perfezionamento della specie aveva condotto il genere femminile a quasi un sol tipo; onde qua da noi gli piacevano fin le brutte. Ma quasi non minore diletto gli dava la vista dei cavalli, il nobile e mite animale espulso d'Eldorado dal progresso meccanico.

– Non ci avete nemmeno asini? – domandò Polla.

– Asini? – Edon consultò il vocabolario.

Più resistenti, di asini ne restava qualcuno anche là. E i tram?

I tram elettrici non gli erano riusciti del tutto nuovi, ricordandosi d'averne visti, sebbene costruiti meglio, nella sua fanciullezza.

Del resto, troppo ci sarebbe a dire intorno le impressioni ch'egli riceveva dalla vita multiforme e molteplice della grande città; dai monumenti storici per noi e quasi preistorici per lui; dalle case e dai palazzi moderni per noi e per lui antichi: basti affermare che un ragazzo venuto di campagna o un barbaro si sarebbe divertito meno.

Ma nessuna sorpresa di Edon doveva superare quella che per Edon medesimo ebbe Polla. Il quale, non potendo accontentare l'amico desideroso di vestire a mo' d'un ufficiale dei corazzieri o di un ufficiale di cavalleria, il giorno dopo fu costretto a istruirlo intorno agli eserciti permanenti e a rivelargliene i danni con non poche maledizioni tribunizie a tutte le nazioni europee.

Ebbene, Edon il quale già parlava spiccio (oh che disposizione alle lingue!) ribattè che quella degli eserciti gli sembrava un'istituzione saggia. Aggiunse press'a poco:

– La guerra è nella natura delle cose, degli animali e degli uomini; ma noi d'Eldorado, che abbiamo aboliti gli eserciti, abbiamo violata la natura. Miseri noi!

Polla, che non voleva disgustarlo, si strinse nelle spalle e si limitò a ripetere che gli eserciti costavano troppo.

Invano: l'uomo d'Eldorado era già persuaso che nel costo delle cose, cioè nel comprare e nel vendere, e nell'uso del denaro fosse la più attiva forma di civiltà e di progresso; giudicava che il lavoro a salario fosse proficuo alla «produzione» e alla vita d'un popolo; e ragionava press'a poco così:

– Chi spende di più, è più forte! Chi è più forte, è più potente! Chi è più potente, è più temuto! Chi è più temuto è più glorioso! Chi è più glorioso, è più contento! Beati gli europei! beati voi, o italiani!

Allora Polla, invece d'urlare come nei comizi, tacque; finchè disse:

– Levatemi una curiosità. In che modo vi regolate da voi per lo scambio dei prodotti? Mi spiego: voi che professione esercitavate laggiù… o lassù?

– Il giardiniere.

– Bella professione! Ma che regola avevate nel dare i fiori in cambio o dei cibi o dei vestiti o degli ordigni per volare? Che regola vi hanno tra loro i commercianti, i professori, gli operai?

Sorridendo alla domanda strana e inutile, rispose Edon:

– L'educazione.

– L'educazione? – urlò Polla.

Già: per educazione lavoravano tutti; per educazione non richiedevano più del ragionevole negli scambi. Ad esempio lui, Edon, che faceva il floricultore, non avrebbe mai voluto da un meccanico più d'un paio d'ali, o più d'una poesia da un poeta, per un mazzo delle sue rarissime rose azzurre.

«Oh povero me! – pensava Polla – in Eldorado sono a tal punto?» In che modo avrebbe dunque potuto illudere e ingannare a lungo nelle belle apparenze della nostra società un uomo disgraziato senza dubbio in famiglia, ma allevato in una società così perfetta?

– A parte le disgrazie domestiche – mormorò il socialista, prima uso a sbraitare, – quali cittadini, voi d'Eldorado, sarete felici.

Non l'avesse mai detto!

– Felici? – gridò Edon a voce alta, rosso in viso quale non era stato mai. – Felici in un paese dove il valore delle cose è determinato dall'educazione? dove la ricchezza non è premio alla fatica? dove non si lavora per guadagnarsi il pane col sudore della fronte? – Si arrestò mormorando a sua volta qualche parola del suo armonioso linguaggio: forse bestemmie, forse insolenze; poi, data un'occhiata al vocabolario per rimettersi, riprese: – In Eldorado è sconosciuto il piacere d'adempiere i propri doveri, la voluttà del sacrificio! L'istinto battagliero dell'uomo vi si è perduto! Mentre voi avete fino i re, i presidenti di repubblica, i pontefici, noi non abbiamo nemmeno i policemen! Oh sì… la felicità degli uomini è nella disuguaglianza economica, civile, morale!

«È pazzo!» pensò Polla, mentre si mordeva le labbra; e taceva. Egli, che amava le polemiche, era costretto a non discutere, per paura di disgustar l'amico; era costretto a non svelare i mali segreti della nostra misera civiltà. «È matto da legare!»

 

La sorpresa e la paura del bravo socialista scemavano solo al pensiero che un ignoto dramma domestico avesse turbate le facoltà mentali dell'amico.

Ma l'altro intanto pareva attendere una conferma alla sua sentenza. E allora Polla, non ostante il suo prudente proposito, non potè non sorridere e non dire:

– Io però credo che in Eldorado non si stia male come voi dite. Vorrei andarci!

L'amico lo guardò negli occhi. A vedere che non scherzava, rimase triste e silenzioso. Non parlò più sino a che non rientrarono all'albergo; dove, abbandonando il vocabolario, parlò per chiedere:

– Come chiamate voi uno a cui?.. – e fece con la mano un gesto che significava il cervello andato a rovescio.

Polla comprese.

IV

«Benissimo! – pensava il buon Polla. – Il pazzo sono io che non voglio affliggerlo; che ho vergogna delle nostre colpe sociali; che non lo condurrò mai per gli ospedali e per le carceri!»

Pietoso dell'amico e di sè stesso, a ricordarsi che l'amico doveva avere avuta una terribile sventura e che ora sapeva quante pietre componevano il gruzzolo, non lo conduceva nemmeno ai teatri ove si rappresentavano o i drammi di Ibsen o melodrammi così patetici da far ammattire i savi.

– Al teatro quando ci andiamo? – Edon chiedeva.

E Polla:

– Io non sono robusto come voi. Giriamo troppo il giorno, e mi vien sonno presto.

Era assonnato e stanco all'avemaria. Pure egli promise che se dessero l'Albergo del libero scambio, ve lo accompagnerebbe.

Or mentre il terzo giorno di quella vita fraterna vagavano per le strade udirono avanzare una sinfonia lemme lemme e videro crescere, in distanza, la folla. Polla subito cercò trar via seco l'eldoradese. Ma questi, al contrario, desiderava sapere che cosa ci fosse da vedere.

– No…; andiamo! Non è uno spettacolo per voi.

– Che è? che è?

Rispose un signore molto gentile:

– Un trasporto…

– Un trasporto? – fece Edon, resistendo all'amico che lo tirava per la giacca.

– Sì. Portano un brav'uomo all'ultima dimora. Andiamo!

Ma fu peggio di prima.

– All'ultima dimora?..

Arrabbiandosi, Polla esclamò:

– Al cimitero: non capite?

E il signore:

– È un patriotta che una polmonite ha ucciso in tre giorni.

E Polla, con ira già sarcastica:

– Non usano le polmoniti da voi?

Veramente Edon non aveva notizia di tali malanni. Anzi, alla richiesta se in Eldorado si godesse buona salute, rispose:

– Ottima. Abbiamo, oltre l'igiene, un'acqua pura come l'aria. Poi ai piedi del nostro monte il clima è caldo; a mezza costa, è primavera continua, e freddo in alto; cosicchè a guarire le nostre piccole e rare indisposizioni e a trovar la stagione conveniente per ogni organismo, ci basta mutare residenza e volare di qua o di là.

– Se crederete che da noi le malattie sono molte e gravi – amaramente osservò allora Polla – , se crederete che da noi si muore anche a venti anni, ammetterete che per questo almeno si sta meglio in Eldorado che in Europa.

Ma Edon non si diè vinto.

Disse:

– Mi ricordo che il mio bisnonno viaggiando all'estero una volta s'ammalò, e soleva dire che il maggior piacere della vita si prova nella convalescenza. Ecco un piacere che noi non gustiamo mai. E poi non pensate all'afflizione della scienza che in Eldorado troppo di rado può vantarsi di salvare un uomo?

Il funebre convoglio frattanto si avvicinava: quattro cavalli bardati in nero e coi pennacchi; il cocchiere nero e rigido; fiori su la carrozza e ai lati; e quei signori che reggevano i cordoni con il viso impresso dell'onore meritato; e la turba dietro, fra cui ogni persona pareva compiacersi d'essere vista. Poichè la musica sonava così adagio e tutti camminavano così piano. Edon aveva ragione di credere che tutti amassero di essere visti e di vedere; in particolar modo le signore e le ragazze, delle quali più d'una rispondeva con un sorriso a più d'un sorriso.

Edon, pertanto, allegro e festoso entrò nel corteo, dicendo a Polla che pur troppo al suo paese la morte non meritava alcuna pompa: vi appariva un fenomeno molto semplice: una materiale trasformazione. Da tempo immemorabile gli scienziati vi avevano scoperto il modo di decomporre elettricamente i corpi morti e di restituire le cellule alla natura affinchè le usasse in nuovi uffici. Per la qual fede scientifica non era rimasta in loro alcuna traccia di una esistenza spirituale al di là di quella decomposizione; nè temevano la morte come trapasso a castighi, nè la desideravano come viaggio a miglior vita. Per essi non c'era «ultima dimora». Per essi inutili e ridicole sarebbero state la musica e le lagrime. Imaginarsi poi i discorsi!

E quando la carrozza finalmente fece sosta e un oratore prese a parlare con tutte le forze, Edon si mise in ascolto: approvava anche lui, contentissimo, le più nobili frasi; quali: «il desiderio che l'integro, intemerato cittadino lascia di sè»; il «cavaliere senza macchia e senza paura»; il «benefattore e l'amico dei poveri»; il «patriotta ardente»… «Addio, amico! Che la terra ti sia leggera!»

Finito ch'ebbe il primo, fra un mormorio di assenso unanime, un secondo oratore prendeva la parola. Ma adesso Edon tirò la manica di Polla accennando l'oratore già vuoto che consegnava un foglietto a un giovane salutante a destra e a sinistra.

– Chi è? Perchè? – Edon chiedeva.

Polla rispose:

– È un giornalista; gli ha dato il sunto del discorso.

– Dunque – esclamò Edon – la gloria dei morti giova da voi anche alla gloria dei vivi? – E sospirava; pareva dire: «Proverò io mai il conforto di rammentare al pubblico la virtù d'un amico estinto? Morirete prima voi, Polla?»

Tutti adesso chiacchieravano, perchè il secondo elogio era noioso; mentre Polla, sempre più a disagio, cercava togliere all'amico illusioni inutili: che a lodare un morto non era necessario averlo ben conosciuto in vita; che, in sostanza, le virtù domestiche e civili essendo sempre quelle, le lodi ai morti eran sempre quelle; che non essendo opportuno nell'ora del compianto rammentare vizi e difetti, ma essendo invece di consuetudine i discorsi funebri, si attribuivano molte virtù anche a chi non ne aveva mai avute.

Ah! Edon era quasi fuori di sè per ammirazione.

– Beati voi! Voi potete vivere da birbanti e morire tranquilli; chè i giornali diran bene di voi: voi potete viver bene con la speranza in un futuro premio, o viver male con la speranza del perdono…

Ma d'improvviso l'eldoradese s'interruppe.

– L'Albergo del libero scambio! – fece, accennando a un uomo che tra la folla del trasporto recava al disopra di un'asta quell'annuncio réclame.

– Questa sera a teatro! – aggiungeva Edon fregandosi le mani.

Il socialista cominciava a smarrirsi. Invero, un uomo che si era divertito tanto a una funzione funebre, logicamente poteva rattristarsi a una pochade; e, d'altra parte, se Edon non era rimasto commosso a uno spettacolo di morte, non doveva esser stata la morte di qualche persona cara che l'aveva indotto a fuggire d'Eldorado. Forse il tradimento d'una donna amata?.. Ma v'ha pochade senza inganni di donne? E che accadrebbe a tale spettacolo?.. Invece che ridere, Edon, forse, s'appassionerebbe…

E Polla balbettò:

– Penso ora che all'Albergo del libero scambio vi scandalizzerete. È una commedia immorale.

A che Edon:

– Bene! Ne sono così stanco, io, dell'arte morale!

Quella sera dunque bisognò andare a teatro.

Povero socialista! Non solo il compagno fu rapito sin dalle prime scene all'azione comica; non solo dopo il primo atto battè le palme sin quasi a scorticarle (nel suo paese non usava) e mostrò d'agitarsi nel vortice del secondo atto, come s'egli medesimo si trovasse a quei casi allegri e a quegli equivoci ameni: al calar della tela, dopo il secondo atto, proclamò:

– Questa è arte!

– A me sembra roba inverosimile – osservava Polla.

– Appunto questo è il bello! Disgraziatamente in Eldorado si ostinano a credere che il bello consista nella rappresentazione del vero! Io credo invece che la vita rappresentata in teatro possa essere piacevole per i ragazzi, che non la conoscono; non per gli uomini e per le donne che non hanno più nulla da imparare.

Polla ascoltava a bocca aperta.

– Aggiungete, amico – l'altro proseguiva – , che la perfezione è noiosa per sè stessa e che la vita in Eldorado è pur troppo quasi perfetta. Imaginate dunque come si sbadiglia nei nostri teatri!

Per fortuna la piccola orchestra, nell'intervallo, cominciò a stonare in tal modo il valzer della Madame Angot che Polla fu costretto a turarsi gli orecchi. Ed ecco che quando scostò le dita, udì Edon mormorare in estasi:

– Questa è musica! – L'amico cantarellava, accompagnando le stonature e stonando allegramente per conto suo.

Non solo! Non solo! Voleva anche giustificarsi!

– La nostra musica suscita desideri incerti, desideri e sensazioni dell'infinito; fa piangere…; fa male. La vostra al contrario, che delizia!

Per non arrabbiarsi, il socialista chiese:

– E in letteratura voi come state?

Risposta:

– La nostra poesia è di una nobile semplicità, non nego; ma così semplice che tutti la capiscono. Si scarseggia pure in aggettivi, pretendendosi dipingere con l'armonia e con la precisione dei vocaboli. Ora io domando a voi se la poesia, che di sua natura è sublime, dev'essere semplice e compresa da tutti e se si può dipingere, fuori della fotografia, senza colore!

– E la pittura? e la scultura?

Questa volta Edon sospirò:

– Non v'ha artista da noi che goda a imitare con l'opera del suo pennello e del suo cervello la divina natura.

– Oh! perchè?

– Noi abbiamo la fotografia a colori e chiunque abbia un po' di genio artistico può introdurre l'arte nella natura stessa e fare che questa si ritragga da sè. Bel gusto! Della scultura, infine, è inutile parlare. Non ne facciamo uso come fate voi. Nelle nostre scuole s'insegna che non i monumenti ma le opere debbono consacrare l'immortalità, e i grandi morti s'imparano a conoscere nelle scuole, non per le vie e per le piazze.

Interruppe, gridò Polla:

– Voi dunque non avete monumenti?

– No. Nelle nostre piazze e nelle nostre strade non ci sono che case e alberi: perciò non sono amene come le vostre.

A questo punto l'altro si mise a ridere con apparenza insolente.

– Perchè ridete?

– Pensavo al dottor Panglos.

– A chi?

– Al dottor Panglos: un filosofo che trovava tutto bello, tutto a meraviglia…

– Io sono un giardiniere e non un filosofo – disse Edon – e non oso dir tanto. Dico solo che qui da voi si sta meglio che in Eldorado; perchè in Eldorado tanti beni sono cagione di grandissimi mali e qui, al contrario, molti mali sono cagione di grandissimi beni.

– Ma in nome di Dio! – esclamò l'amico non sapendo più quello che si dicesse. – Non siete fuggito di là anche per una sventura domestica?.. Quale fu?

I vicini zittirono. La tela si alzava al terzo atto.

E, dolente, Edon mormorò:

– Ve la dirò dopo… Ora lasciatemi godere.