Czytaj książkę: «Voto Di Gloria»
V o t o di G L O R i a
(libro #5 in l’anello dello stregone)
Morgan Rice
Versione italiana
A cura di
Annalisa lovat
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri.
I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).
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Cosa dicono di Morgan Rice
“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”
--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)
“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”
–-The Romance Reviews (parlando di Tramutata)
“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”
–-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }
“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi”
–-vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)
“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”
–-The Dallas Examiner {parlando di Amata}
“È un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”
–-Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}
“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”
–-The Romance Reviews {parlando di Amata}
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
THE SURVIVAL TRILOGY
ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA TWO (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Ascoltate la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!
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Copyright © 2013 by Morgan Rice
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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.
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“Ciascun uomo ha cara la propria vita; ma l’uomo d’onore ha l’onore più caro della vita.”
—William ShakespeareTroilo e Cressida
CAPITOLO UNO
Andronico si portò fieramente al centro della città di McCloud, affiancato da centinaia dei suoi generali e trascinandosi dietro la sua più preziosa proprietà: re McCloud. Privato della sua armatura, mezzo nudo, il corpo grassoccio e peloso lasciato allo scoperto, re McCloud era legato dietro alla sella di Andronico con una grossa corda stretta attorno ai polsi.
Avanzando lentamente e facendo mostra del suo trionfo, Andronico trascinava McCloud tra terra e sassi, sollevando una nuvola di polvere. Il popolo di McCloud si riunì attorno a loro guardando la scena a bocca aperta. McCloud imprecava e si agitava per il dolore, mentre sfilava attraverso le vie della sua stessa cittadina. Andronico era raggiante. I volti della gente di McCloud erano segnati da smorfie di paura. Ecco lì il loro re, ora ridotto al più infimo degli schiavi. Era uno dei giorni migliori di cui Andronico avesse memoria.
Era sorpreso di quanto semplice fosse stato conquistare quella città. Pareva che gli uomini di McCloud si fossero demoralizzati ancora prima che l’attacco avesse inizio. I suoi soldati li avevano sottomessi alla velocità di un fulmine, piombando su di loro, annientando i pochi che avevano osato opporsi e penetrando all’interno della città in un batter d’occhio. Probabilmente si erano resi conto che non valeva la pena opporre resistenza. Avevano tutti deposto le armi sperando che, se si fossero arresi, Andronico si sarebbe limitato a farli prigionieri.
Ma non conoscevano il grande Andronico. Disprezzava chi si arrendeva. Non catturava prigionieri, e l’abbassare le armi gli aveva solo reso le cose più facili.
Le strade della città di McCloud furono presto inondate dal sangue, mentre gli uomini di Andronico facevano piazza pulita in ogni vicolo, in ogni via, massacrando ogni anima incontrassero. Le donne e i bambini venivano catturati e fatti schiavi, come sempre. Le case saccheggiate una per una.
Ora Andronico avanzava lentamente tra le vie, osservando i segni del suo trionfo e vedendo cadaveri ovunque, il bottino accumulato, le case distrutte. Si voltò e fece cenno a uno dei suoi generali che immediatamente sollevò una torcia e diede il via ai suoi uomini: centinaia di soldati si aprirono a ventaglio sulla città dando fuoco ai tetti di paglia. Le fiamme si levarono tutt’attorno a loro, alte verso il cielo, e Andronico già ne sentiva il calore.
“NO!” gridò McCloud, dimenandosi a terra dietro di lui.
Andronico sorrise e allungò il passo, diretto verso una roccia piuttosto grande. Si udì subito un colpo che gli diede grande soddisfazione, consapevole che il corpo di McCloud vi aveva sbattuto contro.
Era meraviglioso veder bruciare quella città. Come aveva fatto per ogni luogo conquistato dall’Impero, l’avrebbe prima rasa al suolo, per poi ricostruirla con i suoi uomini, i suoi generali, il suo Impero. Era così che funzionava. Non lasciava mai traccia del vecchio. Voleva costruire un nuovo mondo. Il mondo di Andronico.
L’Anello, il sacro Anello che era sfuggito a tutti i suoi antenati, era ora territorio suo. Riusciva a stento a crederci. Fece un respiro profondo pensando alla sua grandezza. Presto avrebbe attraversato l’Altopiano e avrebbe conquistato anche l’altra metà di Anello. Dopodiché non ci sarebbe stato alcun luogo sul pianeta dove il suo piede non fosse passato.
Andronico si avvicinò alla torreggiante statua di McCloud, nella piazza cittadina, e vi si fermò davanti. Era fatta di marmo e si ergeva di oltre quindici metri, come una sorta di tempio. Mostrava una versione di McCloud che Andronico non conosceva: un McCloud in forma e muscoloso, che brandiva coraggiosamente una spada. Era egomaniacale. Per quell’aspetto lo ammirava. Una parte di lui avrebbe voluto prendere quella statua e portarla a casa, collocarla come un trofeo nel suo palazzo.
Ma un’altra parte ne era troppo disgustata. Senza pensarci due volte prese la sua fionda – tre volte più grande di quella di qualsiasi essere umano, abbastanza larga per potervi mettere un piccolo masso – e tirò con tutta la propria forza.
La roccia volò in aria e andò a colpire la testa della statua, che esplose in mille pezzi staccandosi dal corpo. Andronico poi gridò, sollevò il suo mazzafrusto e lo calò sul resto del monumento.
Frantumò il busto di marmo e i pezzi caddero a terra con grande frastuono. Andronico girò poi il suo cavallo e si assicurò che, avanzando, il corpo di McCloud si grattasse e graffiasse sui frammenti.
“Pagherai per questo!” gridò debolmente e agonizzante McCloud.
Andronico rise. Aveva incontrato molti uomini nella sua vita, ma quello era forse il più patetico di tutti.
“Davvero?” gli gridò in risposta.
Quel McCloud era troppo ottuso, ancora non apprezzava il potere del grande Andronico. Aveva bisogno di una lezione, una volta per tutte.
Andronico osservò la città e i suoi occhi caddero su quello che era senza dubbio il castello di McCloud. Spronò il cavallo e partì al galoppo, seguito dai suoi uomini, mentre McCloud veniva trascinato in terra attraverso il cortile.
Risalì le decine di gradini di marmo e il corpo di McCloud rimbalzò dietro di lui, gridando e gemendo a ogni scalino. Poi proseguì attraverso l’ingresso. I suoi uomini erano già di guardia al portone, ai loro piedi i cadaveri insanguinati delle precedenti guardie. Andronico sorrise soddisfatto constatando che ogni angolo della città era già suo.
Oltrepassò i grandi portoni del castello ed entrò in un corridoio dall’alto soffitto a volta, completamente fatto di marmo. Si meravigliò per gli eccessi di quel re. Era chiaro che non aveva badato a spese per concedersi i lussi che voleva.
Ora era giunta la sua ora. Andronico proseguì a cavallo lungo gli ampi corridoi, sempre seguito dai suoi uomini. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano tra le pareti e il gruppo giunse a quella che aveva tutto l’aspetto di essere la sala del trono. Fecero irruzione attraverso la porta di quercia e si portarono al centro della stanza, vicino a un volgare ed eccessivo trono d’oro lavorato, collocato al centro della sala.
Andronico smontò da cavallo, salì lentamente i gradini dorati e vi si sedette.
Respirò profondamente scrutando da lì i suoi uomini, le decine di generali a cavallo in attesa di un suo comando. Guardò il corpo sanguinante di McCloud, ancora legato al suo cavallo, gemente. Osservò la stanza, esaminò le pareti, gli arazzi, le armature, le armi. Osservò la maestria con cui il trono era stato cesellato e se ne stupì. Prese in considerazione l’idea di fonderlo, o magari portarlo indietro intero. Avrebbe magari potuto darlo in dono a uno dei suoi generali minori.
Ovviamente quel trono non assomigliava neanche lontanamente al suo, il trono più grande e massiccio di tutti i regni, che aveva richiesto il lavoro di venti artigiani per quarant’anni. La costruzione aveva avuto inizio ai tempi di suo padre ed era stata completata nel giorno in cui Andronico l’aveva ucciso. Tempismo perfetto.
Guardò McCloud, quel patetico omuncolo, e si chiese come poterlo far soffrire al meglio. Esaminò la forma e la misura del suo cranio e decise che gliel’avrebbe perforato per inserirlo nella catena che portava al collo, insieme alle altre teste che già vi pendevano. Eppure si rendeva conto che prima di ucciderlo aveva bisogno di tempo per smagrirgli il volto, far incavare le guance, in modo che stesse meglio sulla sua collana. Non voleva che una faccia grassa e floscia rovinasse il risultato estetico del suo gioiello. Lo avrebbe lasciato vivere quanto bastasse, e nel frattempo lo avrebbe torturato. Sorrise tra sé e sé. Sì, era davvero un bel piano.
“Portatelo qui,” ordinò Andronico a uno dei suoi generali con il suo consueto ringhio profondo e gutturale.
Il generale balzò a terra senza un solo secondo di esitazione, si avvicinò velocemente a McCloud, tagliò la fune e trascinò il corpo sanguinante sul pavimento, macchiandolo di rosso, e lo lasciò ai piedi di Andronico.
“Non puoi passarla liscia!” bofonchiò debolmente McCloud.
Andronico scosse la testa: quell’umano non avrebbe mai imparato.
“Eccomi qui, seduto sul tuo trono,” disse Andronico. “E guarda dove sei tu, disteso ai miei piedi. Io direi che la passerò liscia in tutto e per tutto. Direi che l’ho già fatto.”
McCloud rimase a terra, gemente e tremante.
“Il primo punto del mio ordine del giorno,” disse Andronico, “sarà di insegnarti a prestare il dovuto rispetto al tuo nuovo re e padrone. Vieni da me ora, e ricevi l’onore di essere il primo a inginocchiarsi davanti a me nel mio nuovo regno, il primo a baciare la mia mano e a chiamarmi re di ciò che prima era la parte di Anello appartenente ai McCloud.”
McCloud sollevò lo sguardo, si alzò appoggiandosi su mani e ginocchia e fece una smorfia ad Andronico.
“Mai!” disse, voltandosi e sputando sul pavimento.
Andronico scoppiò a ridere. Si stava divertendo di cuore. Era un bel po’ che non incontrava un umano così pieno di forza di volontà.
Si voltò e fece un cenno. Uno dei suoi uomini afferrò McCloud alle spalle, un altro gli tenne ferma la testa e un terzo si fece avanti con un lungo rasoio. Vedendolo avvicinarsi McCloud tremò di paura.
“Cosa avete intenzione di fare?” chiese terrorizzato, con voce alta e stridula.
L’uomo abbassò il rasoio e con un colpo netto gli tagliò metà della barba. McCloud lo guardò disorientato, chiaramente stupito di non essere stato ferito.
Andronico annuì e un altro servitore si fece avanti con un lungo attizzatoio, all’estremità del quale era inciso nel ferro l’emblema del suo regno: un leone con un uccello tra le fauci. Avvampava, arancione e caldo rovente, e mentre gli altri tenevano fermo McCloud, l’uomo abbassò il ferro contro la sua guancia nuda.
“NO!” McCloud strillò rendendosi conto di cosa stava accadendo.
Ma ormai era troppo tardi.
Un grido terrificante tagliò l’aria, accompagnato da un sibilo e dal puzzo di carne bruciata. Andronico guardò con soddisfazione l’attizzatoio che affondava nella guancia di McCloud bruciandola. Il sibilo era sempre più forte e le grida quasi insopportabili.
Alla fine, dopo dieci secondi buoni, lo lasciarono andare.
McCloud si afflosciò sul pavimento, privo di conoscenza, sbavando, mentre il fumo si levava dalla metà bruciacchiata della sua faccia. Ora portava, stampato nella carne, l’emblema di Andronico.
Andronico si chinò in avanti, guardò il corpo privo di conoscenza di McCloud e ammirò il lavoretto appena fatto.
“Benvenuto nell’Impero.”
CAPITOLO DUE
Erec si trovava in cima alla collina, al limitare della foresta, e guardava il piccolo contingente armato che avanzava. Il cuore gli bruciava di ardore. Era nato per un giorno come quello. In alcune battaglie la linea di demarcazione sfumava tra giusto e ingiusto, ma non in una giornata come quella. Il signore di Baluster aveva sfacciatamente rubato la sua sposa e si era comportato da spaccone, per nulla dispiaciuto per ciò che aveva fatto. Era stato messo al corrente del suo crimine, gli era stata data la possibilità di ratificare i suoi errori, eppure lui si era rifiutato. Si era preso gioco dei suoi dolori. I suoi uomini avrebbero dovuto lasciar perdere, soprattutto ora che egli era morto.
Invece stavano avanzando, in centinaia: mercenari pagati da quel signorotto mediocre, tutti lanciati con lo scopo di uccidere Erec solo perché quell’uomo li aveva pagati. Procedevano verso di lui nelle loro scintillanti armature verdi, e mentre si avvicinavano lanciavano grida di guerra. Come se una cosa del genere potesse mai spaventarlo.
Erec non aveva la minima paura. Aveva visto troppe battaglie come quella. Se aveva imparato qualcosa nei suoi lunghi anni di allenamento, era di non avere mai paura quando combatteva dalla parte del giusto. Gli avevano insegnato che la giustizia non aveva sempre la meglio, ma poteva donare a chi la sostenesse la forza di dieci uomini.
Non era paura quella che Erec provava mentre guardava l’avanzata di quelle centinaia di uomini, consapevole che sarebbe probabilmente morto. Era attesa. Gli era stata concessa la possibilità di affrontare la propria morte nel modo più onorevole, e questo era un dono. Aveva fatto un voto di gloria e quel giorno quel voto gli domandava ciò che era dovuto.
Erec sguainò la spada e iniziò a correre a piedi giù dalla collina, rapido contro l’esercito che gli galoppava contro. In quel momento desiderava più di ogni altra cosa di poter avere il suo fidato destriero, per affrontare la battaglia a cavallo, ma provava un senso di pace sapendo che Warkfin stava riportando Alistair a Savaria, sana e salva alla corte del duca.
Quando fu più vicino ai soldati, ormai a neanche cinquanta metri da lui, Erec prese velocità deciso a colpire il cavaliere che stava a capo del gruppo, esattamente al centro. L’esercito non rallentò, e neppure Erec lo fece, preparandosi allo scontro ormai imminente.
Sapeva di avere un vantaggio: trecento uomini non potevano fisicamente avvicinarsi abbastanza da attaccare un uomo solo nello stesso istante. Aveva imparato dal suo allenamento che al massimo sei uomini a cavallo potevano arrivare sufficientemente vicini a un uomo a terra. Per come la vedeva Erec, ciò significava che lo scontro non era trecento a uno, ma solo sei a uno. Se fosse riuscito ad uccidere sei uomini alla volta, aveva delle possibilità di vittoria. Tutto ovviamente dipendeva dalla sua resistenza e se questa sarebbe stata sufficiente a sostenerlo per tutta la durata della battaglia.
Scendendo dalla collina, Erec estrasse dalla cintura l’arma che sapeva essere la migliore: un mazzafrusto con una catena lunga dieci metri, all’estremità della quale era appesa una palla chiodata. Era il genere di arma generalmente utilizzata per tendere trappole lungo la via, o per situazioni come quella.
Erec attese l’ultimo momento, fino a che fu certo che l’esercito non avesse tempo per reagire, poi fece roteare il mazzafrusto sopra la propria testa e lo scagliò verso il campo di battaglia. Mirò a un piccolo albero e la catena si srotolò attraverso il campo. Quando la palla si fu attorcigliata attorno all’albero, Erec iniziò a rotolare a terra, evitando così le lance che i nemici gli stavano scagliando, tenendosi alla catena con tutte le sue forze.
Il suo tempismo fu perfetto: l’esercito non ebbe alcun tempo per reagire. Videro la catena all’ultimo momento e cercarono di fermare i cavalli, ma stavano procedendo troppo velocemente e fu troppo tardi.
L’intera prima linea inciampò nel cavo, che tagliò le gambe dei cavalli mandando a terra i cavalieri, seguiti a ruota dalle loro cavalcature che atterrarono su di loro. Decine di uomini collassarono a terra in un grande caos generale.
Erec non ebbe il tempo per essere orgoglioso di quanto aveva fatto: un altro contingente girò e si lanciò contro di lui, avanzando con un grido di battaglia. Erec balzò in piedi pronto ad affrontarli.
Quando il cavaliere a capo del gruppo sollevò il suo giavellotto, Erec prese vantaggio dalle sue risorse: non aveva un cavallo, non poteva affrontare quegli uomini alla loro altezza, ma essendo basso poteva utilizzare il terreno sotto di lui. Improvvisamente si tuffò in terra, rotolò, sollevò la spada e tagliò le gambe del cavallo del primo cavaliere. L’animale inciampò e il soldato cadde a terra senza avere neanche l’occasione di usare la sua arma.
Erec continuò a rotolare e riuscì a schivare le zoccolate dei cavalli attorno a sé, che dovettero dividersi per evitare di calpestare il cavallo caduto a terra. Molti non vi riuscirono e incespicarono sull’animale morto, collassando a terra e sollevando un nuvola di polvere, causando così un vero e proprio ingorgo nel mezzo dell’esercito.
Era proprio ciò che Erec aveva sperato: polvere e confusione, decine di soldati e cavalli a terra.
Balzò in piedi, sollevò la spada e parò un colpo che stava scendendo contro la sua testa. Ruotò su se stesso e bloccò un giavellotto, poi una lancia, poi ancora un’ascia. Si difese contro colpi che gli piovevano contro da ogni parte, ma sapeva che non avrebbe potuto resistere a lungo. Doveva rimanere all’erta se voleva conservare una minima possibilità.
Erec rotolò di nuovo, uscì da quel pandemonio, si poggiò su un ginocchio e lanciò la spada come fosse una lancia. L’arma volò in aria e si conficcò nel petto del soldato più vicino. Questo sgranò gli occhi e cadde di lato dal suo cavallo, morto.
Erec colse l’occasione per balzare sul cavallo, prendendo il mazzafrusto dalle mani dell’uomo. Si trattava di un’arma ben fatta ed Erec l’aveva individuata per quel motivo: aveva un’asta d’argento borchiata e una catena di un metro e mezzo con tre palle chiodate all’estremità. Erec la tirò all’indietro e la fece roteare sopra la testa, andando a spazzare via le armi dalle mani di diversi avversari in un colpo solo. Poi, con un altro colpo, li fece cadere dai loro cavalli.
Poi perlustrò il campo di battaglia e notò che aveva atterrato quasi un centinaio di cavalieri. Ma gli altri, ancora almeno duecento, si stavano lanciando contro di lui tutti insieme proprio in quel momento, ed erano decisamente determinati.
Erec galoppò loro incontro, un uomo solo contro duecento, e levò un forte grido di battaglia, brandendo il suo mazzafrusto e pregando Dio che la sua forza lo sostenesse.
*
Alistair piangeva mentre si teneva stretta a Warkfin con tutta la sua forza, mentre il destriero galoppava portandola lungo la fin troppo familiare strada per Savaria. Per tutto il tempo aveva calciato e gridato contro il cavallo, cercando di fare il possibile per farlo girare e tornare da Erec. Ma lui non l’aveva ascoltata. Non aveva mai incontrato un cavallo del genere prima d’ora: ascoltava risoluto il comando del suo padrone e non esitava un secondo. Era ovviamente intenzionato a portarla dove Erec gli aveva ordinato, e alla fine non poté che rassegnarsi al fatto che non c’era nulla da fare.
I sentimenti di Alistair erano contrastanti mentre attraversava i cancelli della città, una città nella quale aveva vissuto così a lungo da schiava. Da una parte si sentiva a casa, ma dall’altra le tornavano alla mente i ricordi del locandiere che l’aveva sfruttata, di ogni cosa ci fosse di sbagliato in quel luogo. Aveva desiderato così tanto andarsene, scappare da lì con Erec e iniziare una nuova vita insieme a lui. Mentre quelle mura la facevano sentire al sicuro, provava allo stesso tempo una crescente inquietudine per Erec, laggiù da solo, ad affrontare un esercito intero. Il solo pensiero le dava alla nausea.
Rendendosi conto che Warkfin non sarebbe tornato indietro, sapeva che la miglior cosa che avesse potuto fare sarebbe stata cercare aiuto per Erec. Lui le aveva chiesto di rimanere lì, all’interno delle mura protette della città, ma sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto. Era la figlia di un re dopotutto, e non era tipo da fuggire dalla paura o dagli scontri. Erec aveva trovato in lei una persona come lui: era altrettanto nobile e determinata. E non c’era modo per lei di sopravvivere se gli fosse accaduto qualcosa.
Conoscendo bene quella cittadina reale, Alistair diresse Warkfin verso il castello del duca, ed ora che si trovavano oltre il cancello, l’animale si lasciò guidare. Giunta all’ingresso del castello scese da cavallo e corse tra i servitori che cercavano di fermarla. Si scrollò di dosso le loro mani e percorse i corridoi di marmo che tanto bene aveva imparato a conoscere quando era una serva.
Si lanciò di peso contro le grandi porte reali della sala principale e le aprì con uno schianto, introducendosi in fretta e furia nella stanza privata del duca.
Diversi membri del consiglio si voltarono a guardarla, tutti abbigliati con paramenti reali, il duca seduto al centro, circondato da numerosi cavalieri. Rimasero tutti sorpresi: chiaramente aveva interrotto con il suo arrivo qualche affare importante.
“Chi sei, donna?” chiese un uomo.
“Chi osa interrompere gli affari ufficiali del duca?” gridò un altro.
“Riconosco questa donna,” disse il duca alzandosi in piedi.
“Anche io,” disse Brandt, che Alistair riconobbe essere l’amico di Erec. “È Alistair, vero?” chiese. “La nuova moglie di Erec?”
Lei gli corse incontro, in lacrime, e gli afferrò le mani.
“Vi prego, mio signore, aiutatemi. Si tratta di Erec!”
“Cos’è successo?” chiese il duca, allarmato.
“Si trova in grave pericolo. Sta affrontando un terribile esercito da solo in questo preciso istante! Non ha voluto che rimanessi con lui! Ha bisogno di aiuto!”
Senza dire una parola tutti i cavalieri saltarono in piedi e iniziarono a correre fuori dalla sala senza la minima esitazione. Anche Alistair si voltò e iniziò a correre con loro.
“Resta qui!” la esortò Brandt.
“Mai!” rispose lei, correndogli dietro. “Vi condurrò da lui!”
Corsero tutti insieme lungo i corridoi, fuori dai portoni del castello fino a un gruppo di cavalli già pronti. Ognuno montò sul suo senza aspettare un solo secondo. Alistair salì su Warkfin, lo spronò e si mise a capo del gruppo, ansiosa tanto quanto loro di partire.
Mentre attraversavano di gran carriera la corte del duca, altri soldati intorno a loro montarono a cavallo e si unirono al gruppo. Quando lasciarono i cancelli di Savaria formavano un grosso contingente di almeno cento uomini, Alistair a capo di esso, affiancata da Brandt e dal duca.
“Se Erec viene a sapere che sei con noi, vorrà la mia testa,” disse Brandt. “Per favore, mia signora, dicci semplicemente dove sta.”
Ma Alistair scosse la testa ostinatamente, ricacciando le lacrime mentre continuava a galoppare in quel frastuono di zoccoli attorno a lei.
“Preferirei scendere nella mia stessa tomba, piuttosto che abbandonare Erec!”