Czytaj książkę: «La Forgia del Valore »
VERSIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Morgan Rice
Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campione d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri, della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende undici libri (e che continuerà a pubblicarne altri); della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende due libri (e che continuerà a pubblicarne); e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende tre libri (e continuerà a pubblicarne altri). I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono tradotti in 25 lingue.
TRAMUTATA (Libro #1 in Appunti di un Vampiro) ARENA UNO (Libro #1 de La Trilogia della Sopravvivenza),UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1 in L’Anello dello Stregone) e L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro 1 un Re e Stregoni) sono tutti disponibili per essere scaricati gratuitamente!
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Cosa dicono di Morgan Rice
“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”
--Books and Movie ReviewsRoberto Mattos
“L'ASCESA DEI DRAGHI ottiene grande successo direttamente dall'inizio… Un fantasy superiore… Inizia, come dovrebbe, con le lotte di un protagonista e si sposta poi nettamente verso una cerchia più ampia di cavalieri, draghi, magia, mostri e destino… Vi si trovano tutti gli intrighi di un fantasy di alto livello, dai soldati e le battaglie ai confronti con se stessi… Un libro di successo raccomandato per coloro che amano le storie epiche e fantasy pregne di giovani protagonisti potenti e credibili.”
--Midwest Book ReviewD. Donovan, eBook Reviewer
“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini… Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”
--The Wanderer,A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)
“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”
--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)
“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”
--Publishers Weekly
Libri di Morgan Rice
RE E STREGONI
L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)
L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)
IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)
LA FORGIA DEL VALOR (Libro #4)
L'ANELLO DELLO STREGONE
UN'IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE(Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D'ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D'ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
UN REGNO D'ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
UN GIURAMENTO DI FRATELLI (Libro #14)
UN SOGNO DI MORTALI ( Libro #15)
UN TORNEO DI CAVALIERI (Libro #16)
IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)
LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA
ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI ( Libro #1)
ARENA DUE ( Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA ( Libro #1)
AMATA ( Libro #2)
TRADITA ( Libro #3)
DESTINATA ( Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
PROMESSA ( Libro #6)
SPOSA ( Libro #7)
TROVATA ( Libro #8)
RISORTA ( Libro #9)
BRAMATA ( Libro #10)
PRESCELTA ( Libro #11)
Ascolta RE E STREGONI nella sua edizione Audio libro!
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Copyright © 2015 by Morgan Rice
All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.
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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.
Jacket image Copyright St. Nick, used under license from Shutterstock.com.
"Il valore è superiore al numero."
Publio Vegezio Renato(IV secolo)
CAPITOLO UNO
Si udì la porta di una cella sbattere e Duncan aprì lentamente gli occhi, desiderando subito di non averlo fatto. Aveva la testa che pulsava, un occhio completamente chiuso, e cercò di levarsi di dosso quel sonno pesante. Sentì un dolore acuto all’occhio sano e si chinò contro la pietra fredda e dura. Roccia. Si trovava sdraiato su roccia fredda e umida. Cercò di mettersi a sedere, sentì il ferro che gli premeva contro i polsi e le caviglie, sferragliante. Immediatamente capì: catene. Si trovava in una prigione.
Era un prigioniero.
Duncan aprì gli occhi di più udendo il lontano rumore di stivali che marciavano e riecheggiavano da qualche parte nell’oscurità. Cercò di orientarsi. Era buio là sotto, le pareti di pietra erano appena illuminate da torce che baluginavano in lontananza e da una tenue luce solare che proveniva da una finestra troppo alta per essere vista. La pallida luce filtrava verso il basso, spoglia e solitaria, come se provenisse da un mondo che si trovava a chilometri di distanza. Duncan udiva un lontano gocciolare d’acqua, un fruscio di stivali, e riusciva a malapena a distinguere i contorni della cella. Era ampia, le pareti di pietra erano arcuate e le sue estremità scomparivano nel buio.
Dagli anni passati nella capitale, Duncan capì subito dove si trovava: le prigioni reali. Era dove venivano mandati i peggiori criminali del regno, i nemici più potenti, così che potessero marcire per il resto dei loro giorni, o attendere la loro esecuzione. Duncan stesso aveva spedito là sotto un sacco di uomini quando era stato lì di servizio, alle dipendenze del re. Sapeva perfettamente che si trattava di un luogo da cui i prigionieri non riemergevano.
Duncan cercò di muoversi, ma le catene non gli concedevano spazio e gli tagliavano i polsi e le caviglie ferite e sanguinanti. Ma questi erano tuttavia i minori dei malanni: tutto il corpo gli faceva male e pulsava, provava un tale dolore da riuscire a malapena a decifrare dove le membra dolessero maggiormente. Si sentiva come se gli avessero dato un migliaio di bastonate, come se un esercito di cavalli lo avesse calpestato. Provava dolore a respirare. Scosse la testa cercando di mandare via quella sensazione. Ma non se ne andava.
Chiudendo gli occhi e leccandosi le labbra secche, Duncan vide dei flash. L’imboscata. Era successo ieri? Una settimana fa? Non riusciva a ricordarlo. Era stato tradito, circondato, adescato da promesse di un falso patto. Si era fidato di Tarnis, e anche Tarnis era stato ucciso davanti ai suoi occhi.
Duncan ricordò i suoi uomini che lasciavano cadere le armi al suo comando; ricordò quando l’avevano preso; e peggio di tutto ricordò l’assassinio dei suoi figli.
Scosse più volte la testa e gridò di dolore, cercando senza successo di spazzare via quelle immagini dalla propria mente. Sedeva con la testa tra le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e gemeva al solo pensiero. Come poteva essere stato così stupido? Kavos lo aveva avvisato e lui non aveva prestato attenzione al suo avvertimento. Era stato ingenuamente ottimista, pensando che questa volta sarebbe stato diverso, che ci si potesse fidare dei nobili. E così aveva condotto i suoi uomini dritti in una trappola, dritti nel covo dei serpenti.
Duncan si odiava per questo, più di quanto potesse esprimere a parole. Il suo unico rimorso era che era ancora vivo, che non era morto lì con i suoi figli e con tutti gli altri che aveva deluso.
I passi si fecero più distinti e Duncan sollevò lo sguardo strizzando gli occhi nell’oscurità. Lentamente apparve la figura di un uomo che si stagliava contro il fascio di luce, avvicinandosi fino a trovarsi a pochi passi da lui. Mentre il volto dell’uomo prendeva forma, Duncan si ritrasse riconoscendolo. L’uomo, facilmente riconoscibile nei suoi abiti aristocratici, mostrava lo stesso aspetto pomposo di quando aveva presentato istanza a Duncan per avere il governo, la stessa espressione di quando aveva cercato di tradire suo padre. Enis. Il figlio di Tarnis.
Enis si inginocchiò di fronte a Duncan con un sorrisetto vittorioso e compiaciuto in volto, la lunga cicatrice verticale sull’orecchio ben in evidenza mentre lo fissava con i suoi occhi vuoti e mai fermi. Duncan provò un’ondata di repulsione, un bruciante desiderio di vendetta. Strinse i pugni, desideroso di avventarsi contro quel ragazzo, di farlo a pezzi con le sue stesse mani; quel ragazzo che era stato responsabile della morte dei suoi figli, della prigionia dei suoi uomini. Le catene erano l’unica cosa rimasta al mondo a trattenerlo dall’ucciderlo.
“La vergogna del ferro,” sottolineò Enis sorridendo. “Eccomi qui in ginocchio, a pochi centimetri da te, e tu non hai nessuna possibilità di potermi toccare.”
Duncan gli lanciò un’occhiataccia. Avrebbe voluto parlare, ma era troppo esausto per poter pronunciare delle parole. Aveva la gola troppo secca, le labbra troppo screpolate, e aveva bisogno di conservare le energie. Si chiese da quanti giorni non avesse dell’acqua, da quanto si trovasse là sotto. Quell’uomo viscido e subdolo ad ogni modo non meritava le sue parole.
Enis era lì per un motivo: era evidente che voleva qualcosa. Duncan non nutriva false illusioni: sapeva che, qualsiasi cosa quel ragazzo dovesse dirgli, la sua esecuzione incombeva sulla sua testa. Ma ad ogni modo, cosa voleva? Ora che i suoi figli erano morti e i suoi uomini imprigionati, non era rimasto nulla per lui al mondo, non c’era alcun altro modo di fuggire alla colpa.
“Sono curioso,” disse Enis con la sua voce viscida. “Come ci si sente? Come ci si sente ad aver tradito chiunque tu conosca e ami, tutti quelli che si fidavano di te?”
Duncan sentì montare la rabbia. Incapace di mantenere oltre il silenzio, in qualche modo raccolse le forze per parlare.
“Non ho tradito nessuno,” riuscì a dire con voce roca e gracchiante.
“Ah no?” ribatté Enis, chiaramente godendo di quella situazione. “Si fidavano di te. E tu li hai portati dritti nel mezzo di un’imboscata, circondati. Gli hai strappato di dosso l’ultima cosa che era loro rimasta: orgoglio e onore.”
Duncan si sentiva avvampare a ogni respiro.
“No,” rispose alla fine, dopo un lungo e pesante silenzio. “Sei stato tu a strapparglieli via. Mi sono fidato di tuo padre e lui si è fidato di te.”
“Fiducia,” rise Enis. “Che concetto infantile. Legheresti veramente le vite degli uomini alla fiducia?”
Rise di nuovo e Duncan continuò a ribollire.
“I capi non si fidano,” continuò. “I capi dubitano. È questo il loro lavoro: essere scettici per conto di tutti i loro uomini. I comandanti proteggono gli uomini dalla battaglia, ma i capi devono proteggere gli uomini dall’inganno. Tu non sei un capo. Hai fallito su tutti questi punti.”
Duncan fece un respiro profondo. Una parte di lui non poteva fare a meno di sentire che Enis aveva ragione, per quanto odiasse ammetterlo. Aveva fallito nei confronti dei suoi uomini e quello era il sentimento peggiore che mai avesse provato in vita sua.
“È per questo che sei venuto qui?” rispose alla fine. “Per compiacerti del tuo raggiro?”
Il ragazzo sorrise, un sorriso brutto e malvagio.
“Sei un mio suddito ora,” gli rispose. “Sono il tuo nuovo re. Posso andare ovunque, in qualsiasi momento voglia, per qualsiasi motivo o anche per nessuna ragione al mondo. Magari ho solo piacere di guardarti, mentre stai sdraiato qui in questa prigione, spezzato e distrutto.”
Duncan respirava e ogni respiro gli faceva male, era a malapena capace di controllare la sua rabbia. Voleva fare del male a quell’uomo più di quanto ne avesse fatto a chiunque altro in passato.
“Dimmi,” disse Duncan con l’intento di ferirlo. “Come ti sei sentito a uccidere tuo padre?”
L’espressione di Enis si fece più dura.
“Neanche la metà del bene che provo a guardarti morire in questa galera,” rispose.
“Allora fallo adesso,” disse Duncan pensandolo veramente.
Ma Enis sorrise e scosse la testa.
“Non sarà così facile per te,” gli rispose. “Prima ti guarderò soffrire. Voglio che tu prima veda cosa ne sarà della tua amata terra. I tuoi figli sono morti. I tuo i comandanti sono morti. Anvin e Durge e tutti i tuoi uomini alla Porta Meridionale sono morti. Milioni di Pandesiani hanno invaso la nostra nazione.”
Duncan sentì sprofondare il cuore udendo le parole del ragazzo. Una parte di lui si chiese se si trattasse di uno scherzo, ma aveva la sensazione che fosse tutto vero. Si sentiva cadere sempre più giù a ogni frase.
“Tutti i tuoi uomini sono imprigionati e Ur è sotto assedio dal mare. La stanno bombardando. Quindi vedi, hai fallito miseramente. Escalon si trova in condizioni molto peggiori di prima e non hai nessuno da biasimare se non te stesso.”
Duncan tremava di rabbia.
“E quanto ci vuole,” chiese, “prima che il grande oppressore si rivolti contro di te? Pensi davvero che verrai risparmiato, che sfuggirai all’ira di Pandesia? Che ti permetteranno di essere re? Di governare come ha fatto tuo padre un tempo?”
Enis sorrise con risoluzione.
“So che lo faranno,” disse.
Si fece più vicino, così vicino che Duncan poté sentire il cattivo odore del suo alito.
“Vedi, ho fatto un patto con loro. Un patto molto speciale per assicurarmi il potere, un patto che non hanno potuto rifiutare.”
Duncan non osava chiedere di cosa si trattasse, ma Enis sorrise e si chinò su di lui.
“Tua figlia,” sussurrò.
Duncan sgranò gli occhi.
“Pensavi davvero di poterla nascondere da qualche parte dove non potessi trovarla?” insistette. “Mentre noi parliamo i Pandesiani la stanno accerchiando. E questo dono non farà che dare stabilità al mio potere.”
Le catene di Duncan tintinnarono e il rumore riecheggiò in tutta la prigione mentre lui lottava con tutte le sue forze per liberarsi e attaccare, riempito di una disperazione oltre ogni sopportabile limite.
“Per cosa sei venuto qui?” chiese Duncan sentendosi molto più vecchio, la voce spezzata. “Cosa vuoi da me?”
Enis sorrise. Fece silenzio a lungo e alla fine sospirò.
“Credo che mio padre volesse qualcosa da te,” disse lentamente. “Non ti avrebbe convocato, non avrebbe concordato quel patto se non fosse stato così. Ti ha offerto una grandiosa vittoria con i Pandesiani e in cambio deve averti chiesto qualcosa. Cosa? Di cosa si tratta? Quale segreto nascondeva?”
Duncan lo fissò, risoluto, del tutto noncurante.
“Tuo padre effettivamente desiderava qualcosa,” rispose, girando il coltello nella piaga. “Qualcosa di onorevole e sacro. Qualcosa per cui poteva fidarsi solo di me. Non di suo figlio. Ora capisco perché.”
Enis fece una smorfia e divenne rosso in volto.
“Se i miei uomini morissero per qualsiasi motivo,” continuò Duncan, “sarebbe per il bene dell’onore e della fiducia, valori che mai infrangerei. Ed è per questo che non lo saprai mai.”
Enis si adombrò e Duncan fu felice di vederlo furente.
“Hai intenzione di salvaguardare i segreti di mio padre defunto, dell’uomo che ha tradito te e tutti i tuoi uomini?”
“Tu mi hai tradito,” lo corresse Duncan, “non lui. Lui era un brav’uomo che un tempo ha commesso un errore. Tu invece non sei niente. Non sei che un’ombra di tuo padre.”
Enis si accigliò. Si alzò lentamente in tutta la sua altezza, si chinò su Duncan e gli sputò vicino.
“Mi dirai cosa voleva,” insistette. “Chi – o cosa – intendeva nascondere. Se lo fai, potrei anche essere misericordioso e liberarti. Altrimenti non solo ti porterò io stesso al patibolo, ma mi assicurerò anche che tu muoia nel modo più cruento immaginabile. A te la scelta, e senza possibilità di ritorno. Pensaci bene, Duncan.”
Enis si voltò per andarsene, ma Duncan lo richiamò.
“Puoi avere la mia risposta ora, se vuoi,” gli rispose.
Enis si voltò con sguardo soddisfatto.
“Scelgo la morte,” rispose Duncan, e per la prima volta riuscì a dormire. “Dopotutto la morte non è nulla se messa vicino all’onore.”
CAPITOLO DUE
Dierdre, asciugandosi il sudore dalla fronte mentre lavorava nella forgia, improvvisamente si mise a sedere sobbalzando a causa di un rumore tonante. Era un suono distinto, un suono che la rese tesa, un rumore che si levava al di sopra del frastuono di tutti i martelli che colpivano le incudini. Anche tutti gli uomini e le donne attorno a lei si fermarono, posarono le armi non ancora terminate e si guardarono attorno confusi.
Si udì di nuovo, era come un tuono portato dal vento, come se la sostanza stessa del mondo venisse fatta a pezzi.
Poi ancora.
Finalmente Dierdre capì: campane di ferro. Stavano suonando infondendole il terrore nel cuore a ogni rintocco, riecheggiando in tutta la città. Erano campane di avvertimento, di pericolo. Campane di guerra.
Tutti insieme gli abitanti di Ur balzarono in piedi dai loro tavoli e corsero fuori dalla forgia, ansiosi di vedere. Dierdre era la prima tra loro, insieme alle ragazze, a Marco e ai suoi amici. Tutti uscirono e si riversarono nelle strade già piene di cittadini preoccupati che si dirigevano verso i canali per vedere meglio. Dierdre guardò ovunque aspettandosi, con quelle campane, di vedere la sua città invasa dalle navi e dai soldati. Ma non vide nulla.
Confusa si diresse verso l’enorme torre di vedetta che si trovava al limitare del Mare dei Dispiaceri per poter vedere meglio.
“Dierdre!”
Si voltò e vide suo padre e i suoi uomini che correvano anche loro verso la torre, tutti desiderosi di avere una visuale aperta sul mare. Tutte e quattro le campane risuonavano con frenesia, una cosa che non era mai accaduta. Era come se la morte si stesse avvicinando alla città.
Dierdre si portò accanto a suo padre mentre correvano, svoltando tra le strade e salendo le scale di pietra fino a raggiungere la sommità delle mura cittadine, al limitare del mare. Lì si fermò, accanto a lui, scioccata da ciò che vide.
Era come se il suo peggiore incubo prendesse vita, una scena che non avrebbe mai voluto vedere in tutta la sua esistenza: tutto il mare, per intero fino all’orizzonte, era completamente nero. Il nero delle navi di Pandesia, così vicine l’una all’altra da coprire l’acqua. Sembravano velare il mondo intero. E peggio di tutto, si stavano dirigendo come forza unica dritti verso la sua città.
Dierdre rimase impietrita osservando la morte che sopraggiungeva. Non c’era modo di difendersi contro una flotta di quella misura, non con le loro misere catene e non con le loro spade. Quando le prime navi avessero raggiunto i canali, forse avrebbero potuto incanalarle in una strozzatura, magari rallentarle. Avrebbero forse potuto uccidere qualche centinaia, magari addirittura un migliaio di soldati.
Ma non i milioni che vedeva ora davanti a sé.
Dierdre si sentì spezzare il cuore a metà voltandosi a guardare suo padre, i suoi soldati, vedendo lo stesso silenzioso panico sui loro volti. Suo padre mostrava un’espressione coraggiosa davanti ai suoi uomini, ma lei lo conosceva. Poteva scorgere il fatalismo nei suoi occhi, poteva vedere la luce che svaniva in essi. Stavano tutti chiaramente fissando le loro morti all’estremità della loro grandiosa e antica città.
Accanto a lei Marco e i suoi amici guardavano con terrore, ma anche con risoluzione, e a loro credito nessuno si voltò per correre via. Scrutò tutto quel mare di volti per cercare di vedervi Alec, ma fu sorpresa di non scorgerlo da nessuna parte. Si chiese dove potesse essere andato. Sicuramente non poteva essere fuggito.
Dierdre rimase al suo posto e strinse il pugno sull’elsa della spada. Sapeva che la morte sarebbe venuta a prenderli, solo non pensava così presto. Ma ad ogni modo aveva finito di scappare da chiunque.
Suo padre si voltò verso di lei e le strinse le spalle con urgenza.
“Devi lasciare la città,” le disse.
Dierdre vide l’amore paterno nei suoi occhi e ne rimase toccata.
“I miei uomini ti accompagneranno,” aggiunse. “Possono portarti lontano da qui. Vai adesso! E ricordati di me.”
Dierdre si asciugò una lacrima vedendo suo padre che la guardava con tanto amore. Scosse la testa e si scrollò di dosso le sue mani.
“No, padre,” disse. “Questa è la mia città e io morirò al tuo…”
Prima che potesse finire di parlare l’aria venne squarciata da un’orrenda esplosione. All’iniziò ne fu confusa, pensando che si trattasse di un’altra campana, ma poi si rese conto che era un cannone che faceva fuoco. Non solo un cannone, ma centinaia.
L’onda d’urto da sola le fece perdere l’equilibrio, trapassando l’atmosfera con una tale forza che Dierdre si sentì come se le orecchie le venissero spaccate a metà. Poi sopraggiunse l’acuto fischio delle palle di cannone e guardando verso il mare provò un’ondata di panico vedendo centinaia di enormi palle, come calderoni di ferro lanciati nel cielo, che disegnavano un arco in alto e si dirigevano dritte verso la sua adorata città.
Seguì un altro suono, peggiore del precedente: il suono di ferro che andava a sbattere contro la pietra. L’aria stessa rimbombava mentre sopraggiungeva un’esplosione dopo l’altra. Dierdre inciampò e cadde mentre tutt’attorno a lei i grandiosi edifici di Ur, capolavori dell’architettura, monumenti che erano durati per migliaia di anni, venivano distrutti. Quegli edifici di pietra, spessi qualche metro, le chiese, le torri, le fortificazioni, i bastioni: tutti con suo orrore venivano fatti a pezzi dalle palle di cannone. Si sgretolavano davanti ai suoi occhi.
Si generò poi una valanga di macerie mentre un edificio dopo l’altro crollava a terra.
Era uno spettacolo che faceva venire la nausea a guardarlo. Mentre Dierdre rotolava a terra, vide una torre alta una trentina di metri che iniziava a cadere di lato. Era inerme e non poteva fare null’altro che guardare e vedere le centinaia di persone di sotto sollevare lo sguardo e gridare di terrore mentre la parete di pietra si schiantava su di loro.
Si sentì un’altra esplosione.
Poi un’altra.
Poi un’altra ancora.
Tutt’attorno a lei sempre più edifici esplodevano e cadevano, migliaia di persone veniva schiacciate all’istante in massicce nuvole di polvere e macerie. I massi rotolavano attraverso la città come ciottoli mentre gli edifici cadevano l’uno contro l’altro, sbriciolandosi quando finivano a terra. E ancora arrivavano altre palle di cannone, perforando un prezioso edificio dopo l’altro, trasformando quella maestosa città in un cumulo di macerie.
Alla fine Dierdre si rimise in piedi. Si guardò attorno, frastornata, con le orecchie che fischiavano, e tra le nubi di polvere vide le strade piene di cadaveri, pozze di sangue, come se l’intera città fosse stata spazzata via in un istante. Guardo versò il mare e vide le migliaia di navi che aspettavano di attaccare. Si rese quindi conto che tutti i loro programmi erano stati uno scherzo. Ur era già distrutta e le navi ancora non avevano toccato riva. Cosa mai avrebbero potuto fare di buono adesso tutte quelle armi, tutte quelle catene e punte?
Dierdre udì dei lamenti e si voltò vedendo uno dei coraggiosi uomini di suo padre, un uomo cui aveva sempre voluto bene di cuore, che si trovava a pochi passi da lei, schiacciato da una pila di macerie che sarebbe dovuta crollare su di lei se non fosse inciampata e caduta. Fece per andare ad aiutarlo quando l’aria venne improvvisamente scossa dal ruggito di un altro giro di cannonate.
E poi da un altro.
Seguì il fischio, poi altre esplosioni, altri edifici che cadevano. Le macerie si ammassarono in cumuli più alti e altra gente morì. Dierdre si trovò a cadere di nuovo mentre un muro di pietra collassava accanto a lei e la mancava di un soffio.
Ci fu un momento di quiete nel bombardamento e Dierdre si rimise in piedi. Un muro di macerie le impediva di vedere il mare, ma sentiva che i Pandesiani erano vicini adesso, sulla spiaggia. Ecco perché il fuoco era stato interrotto. Grosse nubi di polvere fluttuavano in aria e nel cupo silenzio non si sentiva altro che i lamenti della gente morente attorno a lei. Si girò e vide Marco vicino a lei che piangeva angosciato mentre cercava di liberare il corpo di uno dei suoi amici. Dierdre abbassò lo sguardo e vide che il ragazzo già era morto, schiacciato sotto il muro di quello che una volta era stato un tempio.
Si voltò, ricordandosi delle sue ragazze, e rimase devastata vedendo che molte di esse erano pure state schiacciate e uccise. Ma ne erano sopravvissute tre, che cercavano senza successo di salvare le altre.
Si udì il grido dei Pandesiani, a piedi, sulla spiaggia, che correvano all’attacco di Ur. Dierdre pensò all’offerta di suo padre e capì che i suoi uomini avrebbero ancora potuto portarla rapidamente fuori di lì. Sapeva che restare lì avrebbe significato morte certa per lei, ma era proprio ciò che voleva. Non sarebbe scappata.
Accanto a lei suo padre, con uno squarcio sulla fronte, si alzò dalle macerie, sguainò la spada e senza paura condusse i suoi uomini all’attacco verso la pila di detriti. Dierdre capì con orgoglio che stava coraggiosamente andando incontro al suo nemico. Ora sarebbe stata una battaglia a piedi e centinaia di uomini lo seguirono, tutti accorrendo con una tale temerarietà da donarle un incredibile senso di orgoglio.
Anche lei si mise al seguito, sguainando la spada e scalando gli enormi massi davanti a lei, pronta a combattere al suo fianco. Quando si fu issata fino alla cima si fermò, stordita dalla visuale che le si apriva davanti: migliaia di soldati pandesiani, con le loro armature gialle e blu, riempivano la spiaggia e correvano verso il cumulo di macerie. Quelli erano uomini ben allenati, ben armati e riposati: non come gli uomini di suo padre che erano solo poche centinaia, possedevano armi rudimentali ed erano tutti già feriti.
Era certa che sarebbe stato un massacro.
Eppure gli uomini di suo padre non si tirarono indietro. Non si era mai sentita più orgogliosa di lui come in quel momento. Eccolo lì, così fiero, con i suoi uomini raccolti attorno a lui, tutti pronti a lanciarsi per scontrarsi con il nemico anche se questo avrebbe portato a morte certa. Questo era per lei la vera incarnazione del valore.
Mentre suo padre stava lì, prima di scendere, si voltò a guardarla con un’espressione di puro amore. C’era un addio nei suoi occhi, come se sapesse che non l’avrebbe rivista mai più. Dierdre si sentiva confusa: aveva la spada in mano e si stava preparando ad attaccare insieme a lui. Perché avrebbe dovuto dirle addio adesso?
Improvvisamente sentì delle forti mani che la afferravano da dietro, si sentì tirare indietro e voltandosi vide i fidati comandanti di suo padre che la tenevano ferma. Un gruppo dei suoi uomini si occupò anche delle altre tre ragazze rimaste, di Marco e dei suoi amici. Lei cercò di divincolarsi e protestò, ma non servì a nulla.
“Lasciatemi andare!” gridò.
Loro ignorarono le sue proteste mentre la trascinavano via, chiaramente per ordine di suo padre. Dierdre riuscì a dare un’ultima occhiata a suo padre prima che conducesse i suoi uomini dall’altra parte del cumuli lanciando un forte grido di battaglia.
“Padre!” gridò lei.
Si sentiva dilaniata. Proprio quando stava veramente provando ammirazione per suo padre e lo amava di nuovo, glielo stavano portando via. Voleva disperatamente stare con lui. Ma era già sparito.
Dierdre si trovò ad essere gettata su una piccola barca e immediatamente gli uomini iniziarono a remare lungo il canale, lontano dal mare. La barca svoltò più volte attraversando i canali dirigendosi verso un punto segreto e nascosto che si apriva in una delle pareti. Di fronte a loro si trovava un basso arco di pietra e Dierdre capì subito dove stavano andando: il fiume sotterraneo. Era una corrente impetuosa dall’altra parte del muro e li avrebbe portati lontano dalla città. Sarebbe emersa da qualche parte a chilometri e chilometri di distanza da lì, sana e salva nel mezzo della campagna.