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Il Colpo

Indice

Il colpo

1. Capitolo Uno

2. Capitolo Due

3. Capitolo Tre

4. Capitolo Quattro

5. Capitolo Cinque

6. Capitolo Sei

7. Capitolo Sette

8. Capitolo Otto

9. Capitolo Nove

10. Capitolo Dieci

11. Capitolo Undici

A proposito di Kate Rudolph

Altri titoli della stessa Autrice

Il colpo
L’Alfa derubato

L`alfa non cede ciò che è suo...

Nessuno ruba a Luke Torres. La sua fortezza è leggendaria e il suo branco di leoni è letale, pronto ad affrontare qualsiasi minaccia. Quando Luke conosce Mel, lei lo lascia senza fiato con un bacio rovente, ma quando si incontrano di nuovo si ritrovano carceriere e prigioniera in un micidiale scontro felino contro felino.

La ladra è all’altezza del compito...

Dal primo momento in cui Mel accetta l’incarico, sa che portarlo a termine è praticamente impossibile. Ma per la ladra più scaltra del mondo soprannaturale, una missione impossibile è una sfida irresistibile. Specialmente se la ricompensa per il lavoro svolto può portarla un passo più vicino alla vendetta.

Quando le cose prendono una brutta piega, Mel si ritrova nella tana del leone ad affrontare l’uomo più attraente che abbia mai incontrato. Riuscirà a portare a termine la missione prima che qualcos’altro vada storto?

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The Alpha Heist © Kate Rudolph 2015

Cover design di Kate Rudolph.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.

Pubblicato da Kate Rudolph.

www.katerudolph.net

Creato con Vellum

1

Capitolo Uno

La faccenda prese una brutta piega poco dopo che Mel ebbe rubato la chiavetta usb dal caveau. E caveau era una definizione fin troppo generosa per quella miserabile sottospecie di cassaforte. L’intera operazione avrebbe dovuto essere molto più difficile. Da quel che aveva visto, si poteva dedurre che la società fosse gestita da un gruppo di cervelloni privi di qualsivoglia preoccupazione per la sicurezza, quella vera.

Buon per lei.

Ancora meglio, con quel livello di protezione ridicolo, il lavoro poteva essere portato a termine da un solo uomo – o una sola donna. Più soldi, e meno gente attorno che poteva incasinare qualcosa. Proprio come piaceva a lei. Mentre sfrecciava per l’ultimo corridoio dell’edificio, non perse tempo a pensare a come Krista e Bob avrebbero potuto renderle le cose un po’ più facili. Era perfettamente in grado di lavorare da sola, lo era da molto tempo.

I latrati dei cani sovrastavano il rumore dei passi concitati degli addetti alla sicurezza. Mel poteva sbarazzarsi delle guardie senza problemi. I cani erano un’altra faccenda. Sperava che non la raggiungessero. Lei aveva zanne più affilate e artigli molto più pericolosi, ma la violenza contro gli innocenti non le era mai stata congeniale. L’avrebbe fatto se necessario, ma gli animali non lo meritavano.

Cosa diavolo aveva fatto scattare quel dannato allarme?

Sbatté contro le doppie porte, sentendo a malapena l’impatto, prima di sfrecciare attraverso il parcheggio, illuminato solo dalle luci fioche dei lampioni. Mel si sarebbe presa a calci da sola, se avesse avuto energia da sprecare. La sua auto era a quasi un chilometro e mezzo di distanza. Non avrebbe dovuto esserci ragione di lanciarsi a rotta di collo per quel tratto di strada. Era certa di non aver fatto scattare nessun allarme.

E invece eccola lì, a correre come una pazza per fuggire dalla scena.

Ma evidentemente doveva andare così. L’unica alternativa era farsi catturare da umani idioti e dai loro animali. O ucciderli tutti quanti. Nessuna delle due opzioni era allettante, la fuga era l’unica soluzione. Lasciò il parcheggio e raggiunse l’erba nel boschetto che circondava gli uffici. Nelle intenzioni, quello spazio verde avrebbe dovuto integrarsi perfettamente con l’ambiente naturale circostante per fornire un luogo di lavoro più sano per i dipendenti. Mel non aveva ancora mai visto un edificio aziendale armonizzare con successo con la natura, e questa struttura di ricerca non faceva eccezione.

I grilli frinivano e le altre creature notturne cercavano riparo per nascondersi al suo passaggio. L’avrebbero fatto anche se lei fosse stata una persona normale, ma ad aumentare la loro confusione era il suo odore, che doveva averli spaventati ancora di più. La mezza luna era alta nel cielo, regalandole chiazze di luce più che sufficienti per addentrarsi nel boschetto.

Lei poteva vedere chiaramente, al contrario delle guardie. Le sentiva ancora dietro di sé, ma avevano rallentato. E anche i cani. Bene.

Dopo aver corso ancora per un po’, fu inghiottita dal silenzio. Il bosco era sempre lo stesso, ma tutti i suoni erano svaniti. Mel guardò alle sue spalle e vide nell’aria un debole luccichio. Sollevò una mano lentamente e la spinse avanti. L’aria faceva resistenza.

Una zona protetta.

Avrebbe potuto spingere fino a oltrepassarla; quella barriera non era destinata a tenerla prigioniera. Ma la curiosità ebbe la meglio. “Mostrati, strega.” Mel lasciò che la sua voce suonasse minacciosa, anche se non era propriamente un ringhio.

Una donna uscì dall’ombra. “È davvero in questo modo che intendi rivolgerti a me, Mellie?” Sembrava sulla quarantina, anche se Mel non aveva mai saputo esattamente quanti anni avesse. Chiunque possedesse la magia poteva lanciare un incantesimo e apparire di qualsiasi età. L’aspetto non aveva alcuna rilevanza quando una persona poteva avere trenta o trecento anni. La donna indossava pantaloni neri e un top grigio scuro, in perfetta armonia con la notte fonda. Come unici gioielli portava un paio di semplici orecchini di diamanti messi in ombra dai capelli scuri che le ricadevano oltre le spalle.

Ed ecco che alcune cose trovavano una spiegazione. “Ciao, Tina. Sei stata tu a far scattare l’allarme?” Mel era sorpresa dal suo stesso disappunto, visto che da tempo era abituata alle buffonate di Tina.

Tina rise, una risata a squarciagola che avrebbe riecheggiato attraverso l’intero bosco se non fosse stato per la barriera. “Forse stai solo diventando più distratta.”

Mel trovò le parole giuste per risponderle per le rime. “Se sono distratta, perché mi stai offrendo un lavoro?”

Tina si portò una mano al petto con la bocca aperta in un’espressione stupita – era il ritratto dell’innocenza. “Così mi ferisci, mia cara. Forse volevo solo parlare.”

“In mezzo a un bosco con delle guardie che mi danno la caccia?” Mel si appoggiò con la schiena a una solida quercia e decise di assecondare la donna. “Va bene. Parliamo.”

Tina scosse i capelli sistemandoli dietro le spalle e si piazzò le mani sui fianchi. “Lo Smeraldo Scarlatto.”

Se Mel avesse avuto in mano qualcosa, le sarebbe caduto. Lì per lì riuscì a stento a mantenere un’espressione neutra. “Cosa ti fa pensare che non mi senta insultata da questa proposta?” Lo Smeraldo Scarlatto era leggendario tra i mutaforma.

“Ma dai, faresti qualsiasi cosa se ritenessi adeguato il compenso,” le disse Tina in tono sprezzante.

Quella piccola osservazione fece venire a Mel la voglia di rifiutare senza appello l’intera faccenda. Chi diavolo credeva di essere Tina? Una ladruncola da quattro soldi nemmeno tagliata per fare la strega. Non una potente, comunque. Ma Mel non era pronta a bruciarsi quel ponte alle spalle. Non in quel momento. “Ci sono forse – forse – tre persone che potrebbero farcela. Le sole che mi vengono in mente così, su due piedi.” Le contò sulle dita. “Cyn si è fatta beccare dai vampiri due anni fa, è fuori dai giochi. La Regina di Ghiaccio non ci proverebbe nemmeno. Rimango io. E una volta scoperta, sulla mia testa ci sarà una taglia abbastanza grossa da poter comprare il Kansas. Non mi interessa.”

“Hai paura di quel micetto?” La voce della donna più vecchia lasciava trasparire un profondo disprezzo. “Torres, nonostante il suo castello, non potrebbe tenerti lontano neanche se ci provasse.”

Lucio Torres, alfa di un piccolo clan di felini, era l’attuale proprietario dello Smeraldo Scarlatto. Lo sapevano tutti. Senza ricerche, in quel momento Mel non aveva molte altre informazioni. Ovviamente lui era pronto a combattere contro qualsiasi attacco, e i suoi sistemi di sicurezza dovevano di certo essere di prim’ordine. Ma lei poteva farcela.

Nonostante ciò, avrebbe rifiutato. Quell’obiettivo portava con sé una condanna a morte.

“Non vuoi nemmeno sapere a quanto ammonta il compenso?” Tina inarcò un sopracciglio. Con un rapidissimo movimento delle mani fece apparire un diamante puro montato su un ciondolo di platino, e glielo fece penzolare davanti. “Per il disturbo.”

Inconsciamente Mel allungò una mano per prenderlo, con il cuore che le martellava nel petto. Ma Tina glielo sottrasse. “È di Ava?” chiese Mel. L’odio le ribolliva in gola e sentiva gli artigli spingere sotto la pelle, pronti a erompere al momento giusto.

Tina sorrise. “Sì. È una pietra rivelatrice.”

Accettare il lavoro sarebbe stato un suicidio. Si sarebbe fatta ammazzare e probabilmente avrebbe fatto fare la stessa fine anche alla sua squadra. “Quanto tempo ho?” Stava solo valutando la situazione, nessun impegno.

“Tre settimane.”

Doppio suicidio. Non avrebbe avuto il tempo di prepararsi prima di tentare il colpo. “Lasciami guardare il gioiello un minuto.”

Tina glielo lanciò, e Mel lo prese facilmente al volo. Era un diamante lungo e sottile, montato su un filo di platino che si attorcigliava nella parte superiore. Aveva una catenina abbastanza lunga perché una donna potesse portare il gioiello tra i seni, e la gemma era quasi trasparente. Mel lo tenne stretto in una mano. Poteva immaginare Ava mentre lo indossava, con una goccia di sangue che ne macchiava un’estremità.

Il diamante oppose alla sua mano una certa resistenza. Mel lo lasciò andare e lo guardò tornare in un attimo nelle mani di Tina. “Salutami Krista,” disse la donna, poi sorrise e se ne andò, senza aspettare che Mel confermasse di aver accettato il lavoro.

Entrambe avevano avuto la certezza che l’avrebbe fatto, dal primo attimo in cui Mel aveva toccato il diamante.

C’erano modi peggiori di morire.

2

Capitolo Due

Una settimana più tardi

A Eagle Creek, in Colorado, c’erano due squallidi motel e un ristorante in cui Mel mangiava sentendosi abbastanza sicura. Non era la clientela a preoccuparla – era il cibo. Era nota per divorare le sue prede ancora sanguinanti quando assumeva la sua forma felina. Ma come donna, con fattezze umane, doveva rispettare degli standard. Krista e Bob erano già seduti a un tavolo. Era quello nell’angolo più lontano, sul lato opposto del locale rispetto al bancone e al bagno.

L’Eagle Creek Bar e Grille – la E finale, naturalmente, dava un tocco di classe – era una piccola attività. Forse venti tavoli e un solido bancone con una dozzina di sgabelli. Poteva soddisfare agevolmente le esigenze degli abitanti della cittadina, ma i campeggiatori che passavano di lì durante il loro viaggio verso le montagne probabilmente non ne coglievano il fascino. Nemmeno Mel lo coglieva, ma era sempre meglio che nutrirsi di ramen riscaldato nel microonde della stazione di servizio.

Alle sette del martedì sera il locale era affollato. Tutti i tavoli, tranne uno, erano occupati e le cameriere si davano tutte un gran daffare a servire da bere e a distribuire cibo come se l’apocalisse fosse vicina. Dal botta e risposta con i clienti, si capiva che tutte loro lavoravano lì da un po’ di tempo e che molti degli avventori erano clienti abituali. In una città di quelle dimensioni, era normale che fosse così.

L’uomo burbero dietro il bancone era un mutaforma, probabilmente un felino. E se Mel avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto che lo erano anche i quattro componenti della famiglia sistemata al tavolo più vicino alla finestra. Ma entrambi i bambini erano pre-muta. Quasi nessun mutaforma acquisiva la capacità di trasformarsi prima dell’adolescenza inoltrata. E i genitori non erano una coppia. Non se si poteva considerare un indizio il fatto che il padre avesse gli occhi incollati al seno di lei.

Tutti gli altri erano umani. L’aveva stabilito dall’aspetto. Con il profumo che portava, le sarebbe stato impossibile distinguerli dall’odore. Un handicap, ma ne valeva la pena visto che avrebbe reso difficile al branco del posto capire che lei era una mutaforma. Registratore di cassa all’entrata, cassaforte probabilmente tenuta nel retro, forse imbullonata al pavimento se erano svegli abbastanza. Lei avrebbe potuto ripulirli di qualche migliaio di dollari in pochi minuti, ma non ne valeva la pena. Non quando sarebbero rimasti in città per settimane con un sacco di soldi da buttare.

Vide Krista sbuffare impaziente, con le braccia conserte davanti a sé. La donna era l’incarnazione della parola folletto. Alta meno di un metro e mezzo, con corti capelli castani a spazzola e una lucente pelle bronzea, sembrava una specie di ninfa della foresta in versione punk. E sapendo esattamente quanto forte potesse colpire, Mel si sarebbe guardata bene dal dirglielo.

Bob, invece, era... Bob. Avevano lavorato un paio di volte insieme prima che Mel si mettesse in proprio, e lui era la sua prima scelta ogni volta che lei aveva bisogno di una squadra per sé. Ma se qualcuno le avesse chiesto di descriverlo, lei non ci sarebbe riuscita nemmeno mentre lo aveva di fronte, guardandolo direttamente. Era un uomo, con i capelli castani, o potevano anche essere neri, o forse biondi, e aveva gli occhi... gli occhi erano al loro posto, così come un naso e una bocca. Mel pensava che avesse la carnagione scura, tuttavia non sarebbe riuscita a descriverne esattamente la tonalità. Doveva essere un incantesimo di percezione, ma lei non aveva mai sentito quella scintilla di magia che qualsiasi strega normale sprigionava. Ma quando si arrivava al punto, sapeva sempre che lui era Bob e che era lì per lei. Non c’era bisogno di altro, per quel che la riguardava.

Mel si diresse al tavolo dei suoi soci, sedendosi di fronte a loro. Ad un suo cenno, Krista attivò una barriera di deviazione del suono. Avrebbe distorto tutto ciò che dicevano in modo che nessuno intorno a loro potesse capire il senso della loro conversazione, ma lasciando che comunque si sentisse il mormorio delle loro voci. Nessuno aveva mai fatto domande al riguardo e quella magia era così impercettibile che nemmeno Mel, con i suoi affinati sensi all’erta, riusciva a rilevarla.

“Allora, perché ci hai voluto qui?” chiese Krista. “Pensavo che il lavoro di squadra non ti si addicesse più.” C’era una nota tagliente nella sua voce, e Mel sapeva che era giustificata.

“È stata Tina a propormi il lavoro.” Krista inarcò le sopracciglia serrando le labbra, e Mel continuò. “E non c’è la minima possibilità che io possa farcela da sola. Mi fido di voi due più che di chiunque altro per aiutarmi a portarlo a termine.”

“Lo Smeraldo Scarlatto?” chiese Bob, con la voce piatta di sempre. “Pensi che io abbia istinti suicidi, micetta?”

Mel serrò i pugni sentendo quel nomignolo. Bob doveva essere davvero incazzato. “Sì. E come pagamento potete avere qualsiasi oggetto vogliate dalla mia raccolta. Uno a testa.” Sarebbe stata disposta a dividere a metà la sua collezione e a dare via tutto in cambio di Ava. Ma non era necessario arrivare a questo.

“E hai dovuto portarci nel territorio dei mutaforma per questa offerta?” Krista non sembrava soddisfatta. “Noi due abbiamo probabilmente violato tre trattati solo per aver preso un aereo fino a qui, per non parlare del fatto che siamo seduti in un bar a venti chilometri di distanza dal castello del Re dei Leoni!” Se non ci fosse stata la necessità di non dare nell’occhio la donna più giovane avrebbe battuto il pugno sul tavolo. “Queste sono solo stronzate manipolatorie, Mellie, non funzionano con me. Se mi vuoi per un lavoro, basta chiedere.”

Bob non disse nulla, ma annuì in segno di assenso.

Mel si prese un momento, e cercò di scaricare la tensione dalle spalle. “Mi aiuterete a rubare lo Smeraldo Scarlatto? Non posso farcela senza di voi.” Non fu nemmeno doloroso ammetterlo, non nei confronti di Bob e Krista. Fu una sorpresa.

I suoi soci si scambiarono un sorrisetto. “E quel diamante grosso come il pugno di Bob?”

Mel sapeva esattamente di cosa stesse parlando Krista. Ci erano voluti sei mesi di pianificazione per rubarlo. “È tuo.” Guardò Bob.

Lui scrollò le spalle. “Sono sicuro che troverò qualcosa.” Lo avrebbe fatto, lo faceva sempre.

Mel si sporse in avanti, con i gomiti sul tavolo. Poteva quasi sentire la voce di sua madre che le urlava di toglierli da lì. “Sarà complicato. Non ci sono planimetrie ufficiali, nessun dettaglio sui sistemi di sicurezza. E sono mutaforma, il che significa che rubare qualcosa a loro è circa venti volte più difficile che a chiunque altro, fatta eccezione forse per un edificio protetto da una congrega di streghe.”

Krista fu irritata da quell’apprezzamento. “Prova a derubare una congrega senza qualcuno che rompa le barriere.”

“Non c’è niente negli archivi della contea?” chiese Bob.

Mel sorrise. “Stando alla loro documentazione il signor Torres vive in una casa a due piani di centotrenta metri quadrati, con tre camere da letto e due bagni.” Estrasse dalla borsa una cartellina e dispose le fotografie sul tavolo di fronte a loro.

Castello non era proprio la definizione corretta per la casa di Torres. Era troppo moderna, tutta linee rette e cemento, con finestre piccole al piano terra e leggermente più grandi a partire dal quarto piano. L’intero edificio era alto quanto gli alberi intorno, i cui rami per fortuna si avvicinavano fin quasi a toccarlo. Dal punto di vista difensivo era una scelta stupida, ma un felino evidentemente non poteva resistere al richiamo della foresta.

“È evidente che la contea ha documenti contraffatti.” Mel guardò Krista. “Come puoi farmi entrare?”

Anche se Krista era in grado di fare a botte e avrebbe preso a pugni chiunque si fosse azzardato a guardarla male, i suoi veri talenti erano la ricognizione e la magia tattica. “Ho qualcosa per te. In un paio d’ore dovrei riuscire a ottenere una rappresentazione interna accettabile.”

Perfetto. “Quando puoi iniziare?”

Krista sorrise. “Stasera. Sono mesi che aspetto di poter usare quel gioiellino.” Krista amava creare dispositivi magici che potevano infiltrarsi anche nei luoghi più protetti.

Mel rabbrividì e si guardò intorno. Un uomo con un giubbotto di pelle aveva appena varcato la soglia. Quando lei lo guardò, fu come se un filo scoperto le avesse dato una scossa elettrica direttamente nel petto, oltre che altrove. L’uomo emanava un’energia primordiale. Mel distolse bruscamente lo sguardo. “Sembra che il grande capo sia qui. Potete muovervi subito? Vi faccio guadagnare un po’ di tempo per sistemare tutto.” In assenza dell’alfa, il pericolo di fare un sopralluogo sarebbe stato minimo. Se c’erano persone in grado di farlo, quelle erano Krista e Bob.

I suoi compagni di cospirazione si scambiarono uno sguardo e iniziarono una conversazione silenziosa fatta di mutevoli espressioni del viso, così velocemente che Mel non riusciva a coglierne il significato. Non era telepatia, semplicemente avevano lavorato insieme così a lungo che alcuni scambi non necessitavano di avvenire ad alta voce. Bob finalmente annuì. “Cerca di procurarci più tempo che puoi, ma in ogni caso trattienilo qui per almeno venti minuti. Ci ritroviamo alla baita fra tre ore,” disse Krista. Mel fece un cenno di assenso. Aveva preso in affitto per un mese una bella baita per vacanze nella periferia della città, appena oltre la linea di confine che separava la contea dal territorio di Luke Torres. Se lui in seguito avesse parlato del colpo con le persone giuste alla fine avrebbe capito chi era stato ad organizzarlo, ma lei non voleva che ci potesse arrivare semplicemente controllando i registri dei due motel della città.

Krista disattivò la barriera e l’odore dei felini che erano appena entrati quasi la travolse, ma riuscì a rimanere impassibile. Lei e Bob uscirono senza dare nell’occhio e Mel non li guardò allontanarsi. Il suo sguardo si rivolse all’alfa.

Aveva del lavoro da fare.


C’era qualcosa che non andava all’Eagle Creek. Luke lo percepì nell’istante stesso in cui varcava la soglia. A prima vista, tutto sembrava normale. Quasi tutti i presenti vivevano in città, anche se notò la famigliola che aveva fatto tappa al Sid’s Motel mentre attraversava le montagne. Ma loro non erano un problema, erano completamente umani e ignari del fatto che ci fossero persone che non lo erano.

Si avvicinò al bancone, che Sinclair stava tirando a lucido. “Qualche novità?”

La barba dell’uomo gli copriva metà del viso ed era lunga diversi centimetri. Celava un brutto groviglio di cicatrici, e oscurava la linea della mascella abbastanza da nascondere il fatto che tempo prima era stato violentemente colpito in pieno volto. Lo faceva anche sembrare più vicino ai sessanta che ai trenta, ma quelli erano affari suoi. “Vince e gli altri sono fuori sul retro a fumare. Hanno preso un tavolo. Non hanno fatto niente da quando sono arrivati.”

Proprio il gruppo che Luke aveva necessità di incontrare. Vince Hardy e i suoi compari erano esattamente il tipo di stronzetti con cui non avrebbe voluto avere a che fare in quel momento. “E i nostri ospiti?”

La barba di Sinclair si mosse mentre lui sorrideva. “Quali?”

La domanda lasciò Luke interdetto. Qualcuno doveva essere arrivato in città dopo aver ricevuto il suo aggiornamento. Per quanto sembrasse assurdo, con il summit in programma entro due settimane aveva bisogno di un sistema di sicurezza blindato. Nessun estraneo in città di cui non fosse a conoscenza, nessuna sorpresa. “Della famiglia so già tutto.”

Sinclair indicò con un cenno della testa il tavolo in fondo al locale. “Tre persone. Credo che siano umani ma non sono riuscito a vedere bene. Devono essere di passaggio. Nessuna stanza affittata.”

Luke guardò verso il tavolo indicato dal barista. Una ragazza minuta sedeva accanto ad un uomo imponente, ed entrambi avevano di fronte una donna dai capelli rossi. L’unica cosa che Luke riusciva a vedere di lei era la sua massa di ciocche ricciolute. Anche così, il solo guardarla fu come un pugno nello stomaco. Serrò i pugni e trasse un profondo respiro. Certo, era passato un po’ di tempo dall’ultima volta con una donna, ma la sola vista di quei capelli non avrebbe dovuto metterlo in agitazione.

Gli amici della donna si alzarono e se ne andarono prima che lui potesse anche solo considerare di ascoltare quello che stavano dicendo. Lei rimase lì. Luke guardò gli altri due uscire dalla porta principale, e sembrò che la donna dai capelli rossi non avesse intenzione di seguirli. Si rivolse di nuovo a Sinclair. “Quando sono arrivati?”

Il barista scrollò le spalle. “Mezz’ora, un’ora fa forse? Hanno ordinato da bere ma non da mangiare. Stavano solo parlando. Ho mandato Lucy al loro tavolo, ma lei mi ha riferito che non stavano dicendo niente di sospetto. Terrò gli occhi aperti.”

“Ci conto.”

Vince e i suoi amici rientrarono e Luke ebbe quasi un conato di vomito a causa dell’odore di tabacco. Non sarebbe mai riuscito a capire come un mutaforma felino potesse fumare sigarette. Anche il più piccolo sbuffo di fumo a lui dava l’impressione che le narici andassero a fuoco. Ma quel ragazzino era nato idiota, e idiota sarebbe sempre rimasto. Vince Hardy era uno di quei piccoli sbandati che avevano avuto tutto, scegliendo di non farci niente. Si era sputtanato il fondo fiduciario in alcolici e stronzate costose e non era capace di combinare nulla che gli permettesse di riprendere in mano la sua vita. Ma Luke non poteva cacciarlo dal branco solo perché era un ragazzino stupido. Tuttavia punirlo gli avrebbe dato un po’ più di soddisfazione del dovuto.

Luke rimase al bancone e aspettò che Vince si accorgesse di lui. Il ragazzo stava occupando più spazio possibile. Quasi si appoggiò al tavolo della donna dai capelli rossi per guardarle nella scollatura. Il verde lime della sua polo feriva gli occhi di Luke, e doveva aver passato almeno mezz’ora a sistemarsi i capelli biondi in modo da ottenere uno studiato effetto spettinato. Vince appariva esattamente come di solito appare un idiota con i soldi, e ciò non non faceva altro che renderlo più popolare.

Dopo aver passato più di due minuti a fare il cretino, Vince finalmente cominciò a prestare attenzione a ciò che lo circondava e vide il suo alfa appoggiato con noncuranza al bancone. Mentre le sue guance si coloravano di rosso, il resto del viso impallidiva. Luke dovette trattenere un sorriso. Il ragazzo sapeva di aver fatto una cazzata, se l’alfa aveva intenzione di parlargli il giorno stesso dell’incidente.

Luke mantenne il contatto visivo per diversi secondi prima di girarsi e uscire dal bar. Vince e i suoi amici lo avrebbero seguito. Conoscevano le regole.

Non aspettò nel parcheggio. C’erano troppe persone normali in città che non avevano idea dei mostri che vivevano fra loro. Girò intorno al piccolo edificio di mattoni e attese appena oltre l’alta staccionata di legno che separava il retro del ristorante dalla strada. Durante l’estate avevano messo fuori tavoli e sedie in modo che i vacanzieri potessero godersi il magnifico clima del Colorado. Ma ora che l’autunno si stava avvicinando, i tavoli erano impilati di lato e potevano essere utilizzati solo su specifica richiesta. Era il posto perfetto per quel genere di incontri.

Vince fu il primo a sgattaiolare fuori, a testa bassa e con le spalle curve. Si appoggiò alla staccionata senza dire una parola. Luke si limitò ad aspettare. Passò quasi un minuto prima che Henry e Mick li raggiungessero. Tutti e tre i ragazzi attesero che l’alfa parlasse. Luke li lasciò cuocere nel loro brodo in silenzio per diversi minuti. Gli stavano incasinando la vita e non era interessato a render loro le cose più facili.

Solo dopo aver visto una goccia di sudore imperlare la fronte di Vince, si decise a parlare. “Hai una spiegazione?”

Se possibile, le spalle di Vince si incurvarono ancora di più. Bastava davvero poco perché fosse completamente piegato in avanti. “Non la stava usando,” bofonchiò.

Luke fece un ampio movimento con la mano. “Vedi della neve per terra?” Non alzò la voce. Non ce n’era bisogno.

Vince deglutì e i suoi amici sembrarono imbarazzati. “No, signore.”

“Hai sentito lamenti o rumori preoccupanti provenire dal garage di Rinna? Magari un cucciolo spaventato?” Si avvicinò, fino a trovarsi a pochi centimetri dal viso del ragazzo.

“No, signore.”

“Allora ti dispiacerebbe spiegarmi perché hai rubato la motoslitta di una donna e tentato di guidarla lungo la strada, causando danni per migliaia di dollari?” Accompagnò le ultime parole con un leggero ringhio e fu soddisfatto quando Vince mugolò, lasciandosi sfuggire dalla gola un flebile lamento.

Sia Henry che Mick tenevano la testa bassa, rifiutandosi di alzare gli occhi o di difendere il loro amico. Anche Vince non disse nulla in sua difesa.

“Da ora in avanti andate tutti a scuola e tornate subito a casa. Se avete dei lavori, sbrigateli. Ognuno di voi deve a Rinna cinquecento dollari per coprire i danni e lavorerete nella sua proprietà ogni fine settimana fino a Natale. Se volete fare qualcos’altro, chiedete prima a me. Se vi becco a disobbedire sarete confinati a casa mia in ogni momento in cui non siete al lavoro, a scuola o a dormire. Chiaro?” Quei tre potevano anche essere vicini all’età adulta, ma nel branco contavano ancora come bambini. Ed erano fortunati – se uno di loro avesse avuto un solo anno in più, la punizione avrebbe potuto essere molto peggiore. E infine, tanto per essere ancora più chiaro: “Qualcuno di voi sa cosa succederà fra un paio di settimane?” Lasciò la domanda in sospeso, guardando i ragazzi.

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