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Czytaj książkę: «La principessa romanzo», strona 14

Czcionka:

XIII

La festa data dal marchese di Trapani riuscì splendidissima.

Inutile dire che la principessa fu tra le prime ad accorrervi. Si era mascherata stupendamente: la foggia, da lei vestita, rifioriva la sua bellezza.

Sul cominciar della festa nessuno la riconobbe. Poi tutti cominciarono a domandarsi qual gran dama poteva aver in Napoli sì belle braccia e sì altri belli accessorii, e compiacersi tanto di mostrarli: quale fra le grandi dame di Napoli avesse quel modo provocante di sedersi e di far veder sempre una gamba: poco, ma quanto bastasse ad attizzar desiderii.

Subito il nome della principessa venne sulle labbra di tutti. Ella credea rimanere incognita e pigliarsi spasso degli altri. Aggirandosi qua e là, si avvicinò alle stanze di Diana. In un salottino vide due persone, che sedevano l’una accanto all’altra: riconobbe alle voci, che erano Diana ed il Re: essi le voltavano le spalle e la principessa si nascose dietro un paravento, volendo ascoltarli.

Uscì di là tutta infuriata; avea inteso, o avea interpretato certe parole di Diana come assentimento alle stringenti dichiarazioni del Re. Era egli dunque vero ch’essa aveva alla Corte una rivale?

In tal punto tutte le sue idee eran più che mai riconcentrate nelle frivolezze, nel piacere.

Finiti i denari ottenuti dal De Carlo, aveva già rimandato a chiamar il vecchio gioielliere: si consultava ormai spesso con lui: s’era posta in cuore di far ridurre in denaro da quell’astuto tutti i suoi diamanti, tutte le sue gemme.

Il De Carlo si prestava a secondar i capricci di lei, a sperimentarne i rabbuffi con la sottigliezza di un diplomatico, con la pazienza di un uomo che sa di poter cavare buon frutto dal sopportare.

E, senza che ella il subodorasse, conferiva sempre col Weill-Myot; ma il banchiere americano gli avea ripetuto che non desiderava sborsar altro denaro; disponesse egli come credeva di quei gioielli; a lui bastavano gli antichi, che già aveva acquistato.

– E vorrei sapere, – gli diceva anzi a volte il De Carlo, – -l’uso che ne fate.... Non li avete regalati certo.... E tener lì morto un sì grosso capitale.... Comprendo che voi siete un ricco....

– Sono ricco, e sono solo! – ripigliava il Weill-Myot. – Centomila franchi!… Ne avrei gettati cinque volte il doppio.... un tempo.... per ottenere il contrario di ciò che ora voglio ottenere.... Con questi gioielli voglio riconciliare una moglie col suo marito.... Ma quante spiegazioni vi do! – avea detto un giorno interrompendosi e impazientandosi.

Ormai Enrica, da questo lato, stava tranquilla; non sentiva più le strette della penuria; vedeva un lungo avvenire in cui avrebbe avuto ogni mezzo d’ingolfarsi nelle sue dissolutezze.

Si sarebbe impoverita di tutto: ella, gentildonna, era ormai arrivata a truffare al principe suo marito i gioielli di famiglia, a lasciar nelle mani d’un mercante le gemme appartenute alla madre di lui, per cambiarle con gemme false. Ma ormai la sua coscienza non parlava più.

La notte stessa, in cui sorprese il colloquio tra Diana e il Re, divampò nel suo animo un vero odio per la giovinetta che, sin allora, avea tanto amato, e a solo vederla le parea sentirsi consolata.

Volle subito sfogare il suo odio.

S’imbattè nel Venosa che era anch’egli alla festa del marchese Piero. Gli parlò con volto ilare, preparando una delle sue scene di seduzione.

Ella dava il braccio al vecchio balì di Cantadera; non volea lasciarlo bruscamente per un giovinetto: ma fece capire al Venosa che la seguisse.

Ogni tanto si voltava verso di lui; sorrideva, gli parlava.

Il vecchio balì stanco, e non volendo poi servir di balocco, trovò un pretesto per allontanarsi.

– Voi sarete il mio cavaliere alla cena! – disse la principessa al Venosa.

Il giovane non domandava di meglio.

Entrarono nella sala delle cene: vi erano molte tavole apparecchiate. Diana li raggiunse mentre favellavano sotto voce: la principessa aveva sulle labbra il suo sorriso diabolico e il Venosa tremava, socchiudeva gli occhi come se facesse un sogno di voluttà.

Anche Diana fu colpita da gelosia della principessa e questa volta nel modo più vivo: si persuadeva esser proprio vero che costei le disputasse il suo fidanzato.

Chiamò subito il Venosa con un certo piglio d’irritazione. Egli si scosse: le andò incontro un istante per dirle molto turbato che non potea lasciare la principessa: e la risposta fredda, insidiosa, a Diana dette nel cuore. Non volle perder più di veduta que’ due in tutta la durata della festa. Presso il mattino si accorse che essi erano nel salotto ov’ella era stata poco prima col Re.

La principessa, con un piacere maligno, avea voluto sedersi nello stesso punto, con accanto il fidanzato di Diana.

A Enrica era venuta un’idea: costringere il Venosa a chieder la mano di Diana. Se la giovinetta consentiva a sposarlo, voleva significare che fra lei e il Re non correva alcuna relazione, se non amichevole. S’ella si opponeva alla domanda, ella, che un tempo amava il Venosa, potea tenerla per sua rivale, per sua nemica; e pensare a sbarazzarsene come avea fatto di altri suoi nemici.

Così le sue focose passioni la spingeano: e senza ch’ella il sapesse, fin contro la propria figlia. Si dette a raddoppiare di tenerezza con il Venosa: egli le stringeva furtivamente il polso del braccio destro: in sembiante, per aggiustarle un grosso braccialetto. Essa lasciava fare, e lo guardava ammaliandolo.

Diana s’era nascosta dietro il paravento ove era stata poco innanzi la principessa.

Sembra che Enrica avesse mossa al Venosa una domanda, poichè egli le rispondeva:

– Ma non ci è cosa al mondo, che non vorrei tentare per voi.... Mi chiedete, se amo Diana.... se voglio bene a quella creaturina inesperta, ma sento quanto l’amore per una giovanetta come Diana debba esser diverso dalla passione seria, profonda, esaltata che può ispirar una donna come voi....

– Voi dovete ubbidirmi: me l’avete promesso....

– E vi ubbidirò, principessa!

– Dovete chiedere, senza indugio, la mano di Diana.

– Ma.... – il Venosa esitava.

– Lo voglio io! – aggiunse, imperiosa, la principessa e in tuono che lasciava a quell’uomo, ignaro della vita, molte speranze.

– Vi ripeto: io voglio bene a Diana, secondo si può voler bene ad una giovinetta come lei.... Però andavo sempre indugiando il mio matrimonio....

– Giovinetta.... Ma Diana potrebbe esser madre.... Vedete che essa ha già l’aspetto, la figura di una donna.... Promettetemi che domanderete subito la sua mano.... già voi l’amate....

– L’amo.... non quanto amo voi! – disse con foga il Venosa: e baciava le estremità delle dita alla principessa, di cui s’era portato alle labbra la mano destra morbida, bianca, profumata, sfavillante di anelli. – Per voi Diana sarà presto mia sposa: essa vi dovrà la sua felicità, poichè per voi avrò sormontato quelli scrupoli che mi spingevano a serbar tuttora la mia libertà.... Ma qual sarà la mia ricompensa?…

Diana sentì il rumore di un bacio, che il Venosa avea dato col massimo ardore su la spalla nuda di Enrica.

Enrica si alzò, passarono quasi accanto a Diana che si teneva tutta raccolta dietro il paravento. Essa vide benissimo il Venosa, che si accostava molto alla principessa, mentre le dava il braccio, come fanno certi innamorati smaniosi. La principessa voleva infiammarlo. Con la sua bella voce musicale, quando furono presso la porta, avvicinandosi a lui in modo ch’egli potesse riconoscere tutto il valore delle forme risentite della sua persona, gli mormorò, tra languida e carezzevole:

– Sapete qual sarà il vostro premio!… Ma occorre affrettare il matrimonio....

Essere l’amante di quell’uomo inesperto, per un istante, poco le caleva: ciò che le importava era riacquistare la sicurezza ch’ella non potea perdere della sua influenza sull’animo del Re, influenza da cui traeva una sì gran vanagloria.

Ma Diana avea colto anche quelle ultime parole: avea capito a qual prezzo il perfido Venosa la vendeva.

Si preparò a stornare i suoi disegni.

Allorchè quasi tutti gl’invitati ebbero lasciato il palazzo del marchese di Trapani, e soli rimanevano due o tre suoi parenti e la principessa, accadde una scena delle più strane.

La principessa avea notato che un uomo le si avvicinava spesso, come per udir ciò ch’ella diceva, e la guardava con una bizzarra espressione.

In quest’uomo ella avea riconosciuto Marco Alboni, l’intendente del marchese di Trapani, sì ben noto anche al nostro lettore.

Si trovavano tutti riuniti: il marchese, Diana, la principessa, il Venosa.

– Avremmo da dirvi qualche cosa di molto confidenziale! – incominciò la principessa. E si voltava verso Marco come per far capire che colui era di troppo.

Ma il marchese le rispose con un altro gesto, e un ristringersi nelle spalle, che volea significare: è un vecchio servitore, fidato, che vuol magari ingerirsi troppo nelle mie faccende, ma non posso ora dispiacergli, irritarlo.

La principessa capì.

È proprio di noi italiani, de’ meridionali in ispecie, compendiar in un gesto, in un’espressione della fisonomia un lungo discorso.

Subito Enrica si mosse e andarono tutti dal lato opposto della sala.

Marco Alboni si contentò di seguirli con lo sguardo.

– Caro marchese, – disse la principessa al marchese di Trapani, – -io debbo parlare in nome del nostro amico Venosa.... e la vostra risposta mi sta molto a cuore.... Il Venosa, – riprese dopo breve esitanza, – ama vostra figlia.... e vi chiede la sua mano!

Era impossibile parlare con più vellutata soavità di accento, con più grazia.

Il marchese s’aspettava così poco una tale domanda che non trovava parole per rispondere.

L’Alboni, il quale col suo orecchio sottile avea tutto udito, non potea più star nella pelle.

Temeva che il marchese cadesse in qualche errore.

Ma Diana venne a tor tutti d’imbarazzo.

– Mio padre, – disse al marchese, ch’ella non solea mai chiamare in tal modo, – io non ho mai sin ad oggi avuto alcuna idea di maritarmi, e non mi sono mai accorta di amare il signor Venosa!

Il giovane fu ferito, e nella schietta, ingenua affezione che nutriva per Diana, non ostante il momentaneo suo depravamento, e nell’orgoglio che ogni uomo reca con sè.

Diana si era presa giuoco di lui sin allora?

La principessa fu eccitata dalla collera.

Ella sapea che Diana amava il Venosa. La fanciulla erasi mutata soltanto per l’ambizione ch’ormai gonfiava il suo cuore: sapea di poter conquistare il Re e disprezzava l’umile giovane sin allora adorato: la giudicava alla sua stregua.

Non poteva ormai contenere il suo odio per lei.

Lasciò la casa del marchese, ultima fra le invitate, affettando la massima disinvoltura.

Salutò appena Diana nell’accomiatarsi: rivolse poche, sdegnose parole al Venosa, il cui amore per lei si era infiammato a cento doppii, dopo la improvvisa ripulsa della ragazza.

La principessa tornò a casa e ricevette una notizia, che avrebbe dovuto aspettarsi, ma alla quale ormai più non pensava.

– È tornato il principe! – le disse la sua cameriera.

– E dov’è? – domandò Enrica.

– Era stanco e si è coricato.

Ella era ben stanca, ma non potea coricarsi.

Si vedeva negli specchi, nella sua camera, nel suo abbigliatoio, con lo strano abito che indossava, tornando da una mascherata.

Licenziò la sua cameriera e si gettò su una poltrona.

Il Re la tradiva.... e per una giovinetta. Era ella, dunque, tanto invecchiata? Non poteva ormai più trattenere un amante?

S’imbizziva; e la sua collera avrebbe voluto sfogar tutta contro quella fanciulla.

– Una ragazza, – pensava, – cui ho voluto tanto bene sino a ieri!

Sentì bussare alla porta e una voce fievole che diceva:

– Enrica!

Riconobbe la voce del marito.

Fece subito un gesto di disgusto.

Poi, volendo fingere, o forse sembrandole che ciò potesse distrarla da’ suoi neri pensieri, da’ pensieri, che le erano in tal momento assai importuni, si alzò, andò ad aprire: e si gettò nelle braccia del principe. Incontanente, scostandosi da lui, volle guardarlo.

Il principe sembrava più giovane che mai: aveva acquistato molto di floridezza nella sua assenza.

Le parve più bello di prima.

E subito Enrica provò una nuova fiamma d’amore per lui.

Anche il principe, eziandio, volle rimirarla: non gli parve che ella avesse nulla perduto: anzi gli parve ch’ella avesse acquistato di venustà.

Si accorse subito che essa era vestita in maschera; e vestita in qual modo!

– Vi siete divertita molto, cara, durante la mia assenza?… – domandò con quel piglio leggero, che gli era proprio ne’ suoi periodi, lunghi periodi, di affabilità.

Per irritarlo, per farlo divenire cattivo, come sa il nostro lettore, ci volevano le cose che al carattere suo eran più ripugnanti: una bassezza, un tradimento, una viltà. In tutto il resto si mostrava indulgentissimo: nessuno aveva meno pregiudizi di lui: solo non sapea transigere sulla pura questione dell’onore.

– Mi mancano precise notizie… di voi… da molto tempo, – continuò, celiando. – Cercherò informazioni.... Potrei domandarne a voi stessa… ma la fonte è un po’ sospetta!…

– Oh! – rispose la principessa con un bel sorriso, che metteva in mostra i suoi denti bellissimi: e battè la mano sul tappeto del tavolino, che avea alla sua destra. – Ma ditemi, – riprese, – sareste forse geloso?

– Eh… chi sa? – soggiunse il principe, che carezzava con una mano i suoi lunghi baffi.

– Facciamoci le nostre confessioni, – continuò la principessa, – uno dopo l’altro....

– Sì… sì....

– Ma cominciate voi dal dire i vostri peccati.

– Avete paura che, cominciando voi, vi mancherebbe il tempo per finire?…

E anche il principe rideva....

– Siete tornato molto allegro....

– E anche voi vi trovo allegrissima… in maschera!

– Sono gli ultimi momenti della mia vita per divertirmi.... Mi sento, caro, già vecchia!

– No, no.... questo no.... voi siete sempre più bella…

– Si vede in voi il diplomatico, che non è mai abituato a dire la verità!

– Vi dico sinceramente che voi siete bellissima.

– Grazie, amico mio, grazie!

E la principessa si alzò, si accostò al principe, gli tese la mano e gli fece un inchino, con quel garbo di cui ella aveva il segreto.

– Dunque, sì, – proseguì egli, rimirandola e quasi compiacendosi della eleganza, della bellezza di lei, – chiederò informazioni.... Ma, ditemi, a chi devo evitare di domandar notizie.... perchè non vorrei andar a istruirmi da gente che potesse aver troppo interesse a mentire!…

– Siete molto cattivo.

– Mi piace di tormentarvi.... Ho viaggiato tanto, dacchè non ci siamo veduti, ho conosciuto alle Corti, nelle aristocrazie forestiere, donne bellissime… e pure… Enrica, vi dirò una cosa, che non dispiacerà al vostro orgoglio: non ho mai trovato una donna che avesse la vostra perfezione di forme, e che sapesse sorridere, parlare, sapesse muoversi, atteggiarsi come voi....

La principessa rideva e scrollava il capo.

– Siete una meravigliosa figura, – insisteva il principe, – Dio vi ha largito tutto. Un artista dee sentirsi beato nel riguardarvi. A voi è mancata una sola forza: l’educazione del cuore, che vostro padre avrebbe voluto darvi, ma non potè, per la sua spensieratezza, che vostra madre vi avrebbe dato, se non fosse morta sì precocemente.

– Sicchè mi credete una donna viziosa....

– Cara Enrica, vi dirò di più.... Io vi credo, pel vostro utile, capace di tutto....

– Anche di un delitto? – chiese Enrica per far l’indifferente, studiando un sorriso.

– Di uno, di due, di più....

– Avete una buona moglie, voi!

– Non ho mai riconosciuto d’averla buona: ho detto bella.... Sapete che voi mi avete ispirato forti passioni, ma che il sentimento più durevole da voi ispiratomi fu quello della diffidenza.

– E che temete da me?

– Lo sapete, Enrica, – disse il principe con tuono un po’ più aspro. – Ma, tra voi e me, spero, non ci saranno più motivi di dissidio!

– Spero anch’io, – replicò arditamente la principessa. E, per sviare la conversazione, che non finisse io minaccie, domandò:

– O la duchessa sa che siete tornato?

– Sicuro.

– E l’avete forse riveduta prima di me?

– Sì, perchè è venuta a trovarmi dove io era: desiderio che voi non avete mai provato....

– Sapete che mi piace Napoli e che si potrebbe adattar a me, benissimo il proverbio: vedi Napoli, e poi mori, – il mio voto è vivere, morire in questa città. Se me ne assento, mi par di farle una infedeltà....

– E voi di infedeltà non siete capace! – interruppe il principe con fino dileggio.

– Crediate: ci sono molti che la pensano come me; Napoli è il paradiso della terra.... Non posso sentir cantar una volta quella canzone: o bella Napoli, senza che mi batta il cuore. O bella Napoli! Soltanto in queste parole è per me una melodia.... Ove si può trovar un soggiorno più incantevole che in questa regione beata? Dove meglio che tra il nostro mare, il nostro cielo, i nostri orizzonti si posson gustare i rapidissimi istanti di poesia che ha la vita?

– Dite benissimo: amo anch’io Napoli e appena, dopo lunghe assenze, ho riveduto il Vesuvio, Posilipo, le linee di Chiaia, di tutti que’ luoghi dal nome armonioso, mi son sempre sentito occupar l’animo da tenerezze ineffabili.... Chi non ha fatto un bel sogno a questi dolci tramonti.... chi non ha sentito soave il fremito delle più trepide passioni fra tanta luce, tanto profumo di fiori, tanta allegrezza di natura? Sì, par che qui debbano vivere Numi e non vi si debba conoscere se non il sorriso della vita....

Tutti e due si erano affacciati, a poco a poco, al balcone: e non sentivano l’aria pungente del mattino, e si tenevano per mano.

Il principe si lasciava andar alle sue fantasticherie.

Egli era davvero poeta, come sa il lettore.

– Domani, dunque, – disse a un tratto la principessa, divenuta molto pensosa, – voi andrete a cercar notizie sul conto mio....

– È probabile! – rispose il principe asciutto, e tornando alla realtà.

– E a che fonte le attingerete, si può sapere?

– Cerco anch’io....

– Dalla duchessa?… – domandò all’improvviso Enrica, dopo breve pausa.

– Ella è troppo generosa: non potrebbe mai accusare nessuno… se pur vi fosse motivo ad accuse.... Ella, statene certa, non si occupa di voi.

– È una prudenza, che dovrebbe usare la… mia cara amica, in contraccambio di quella ch’io so usare verso di lei.... Non ho nulla a rimproverarmi: ve lo assicuro!

– Guardate: e io ve lo credo!… Sapete quanto io sono indulgente, ma vi hanno cose che non riuscirei mai a perdonarvi.... Possiate evitarle sempre, cara.... Poi, ho scherzato fin ora.... Se voi aveste commesso qualche atto grave, non avrei bisogno di andarne a cercar le notizie.... La malignità de’ miei amici penserebbe ad informarmene.... C’è di più: le donne come voi, suscitano nel mondo invidie, ostilità.... Più volte mi son pervenute accuse contro di voi: e le ho disprezzate!

Si tacquero l’uno e l’altra.

Noi abbiamo appena riferito qualche parte della conversazione che aveano avuto tra loro in quelle ore.

– Abbiamo fatto di strani discorsi stasera, – disse il principe, come risvegliandosi. – E sopra tutto, dopo non esserci visti da tanto tempo.... Ma già con voi tutto è strano… Vi bacio la mano: – e il principe la baciò, – e vi lascio alle vostre preghiere. Non avete ancora pregato?

– La domanda che fa Otello a Desdemona....

E, sghignazzando, la principessa entrò nella sua camera.

Il principe richiuse pian piano la porta del salotto.

XIV

La principessa non potea rintuzzare l’avversione che s’era in lei destata verso Diana.

Da varii giorni avea cercato ogni pretesto per riveder il Re, ma non vi era riuscita. Aveva scritto, ma senza ricevere alcuna risposta: s’infiammava sempre più il suo sdegno. Il Venosa non riusciva a comprendere la ripulsa di Diana, dopo che ella lo avea sì fortemente incitato a chieder la mano di lei al marchese. L’atto avrebbe meravigliato ben altri che lui, a dirittura inesperto delle cose della passione, degl’inopinati mutamenti dell’animo femminile.

Gli entrava in cuore un rimorso. Si diceva ch’egli non era stato, almeno in tutto il suo sentimento, fedele a Diana; e, se non sapea spiegarsi lo sdegno di lei, dovea riconoscere d’averlo ben meritato.

Invano avea cercato di rivedere la giovinetta: essa lo sfuggiva. Non si era più recato dalla principessa: nella sua indole buona, tra gli ardori di una passione male ispirata, cominciava a sentir la indegnità dell’aver cercato di tradir Diana. Voleva ad ogni costo riacquistar la stima, la fiducia di lei.

Una notte, tornato a casa, le scrisse una lunga lettera: le prime due pagine le scrisse e riscrisse di nuovo due e tre volte; non era mai soddisfatto. Aveva coperto il tavolino di foglietti stracciati.

Quando fu contento, o almeno quasi contento della lettera da lui scritta, erano le cinque del mattino.

Avea passato più di cinque ore a intrattenersi con la giovinetta, di cui s’era potuto persuadere più volte fin allora di non essere innamorato. Sentiva quanto l’amava, ora che gli pareva averla perduta!

Il giorno, verso il tocco, se ne andò al palazzo del marchese di Trapani. Avea veduto, non visto da essi, il marchese Pietro e Marco Alboni, che confabulavano insieme in un Caffè della via Toledo. Egli, timido, non poteva ormai incontrar più il marchese senza un vivo imbarazzo: l’aspetto di Marco Alboni pure lo turbava: non potea dirsi il perchè, ma quell’uomo non gli piaceva e l’ispirava insieme un certo disgusto e una certa soggezione.

Dopo che Diana avea respinto la sua domanda di matrimonio, egli avea sorpreso un sorriso sarcastico nel volto di Marco. Gli era sembrato che, con l’atteggiamento della sua fisonomia, gli dicesse: – alla fine, siamo liberati di te!…

E già si era accorto, non ostante che l’Alboni gli si mostrasse molto cerimonioso, secondo il suo solito, ch’egli non vedea di buon occhio le sue visite sì frequenti.

Il Venosa avea molto pensato alla difficoltà di ripresentarsi nel palazzo del marchese. La principessa, egli credea con la sua avventatezza, gliene avea chiuse le porte. Gli era corso alla mente uno stratagemma: andar a domandare della signora Teodora: prenderla a confidente de’ suoi crucci.

Quella donna pretenziosa, sempre innamorata, lo avrebbe lasciato ben volentieri discorrere della sua passione: essa era irritata che pochi le parlassero: le sembrava esser troppo abbandonata, non ostante le sue vivaci conversazioni col giovinetto, di cui abbiamo parlato. Il Venosa non aveva se non a presentarsi a lei, anch’egli come un’anima derelitta: la fibra patetica era in lei commovibilissima.

Così fece: la signora Teodora lo accolse, vorremmo dire, a braccia aperte.

– Così quel caro angioletto non vuol più sentir parlare di voi.... Davvero? E lo credete sul serio?

Il Venosa non rispose.

– Allora siete molto semplice!… Ma io non voglio farvi soffrire.... vi consolerò subito; vi dirò che ho sorpreso ieri sera Diana, sola nella sua camera, mentre piangeva dirottamente. – Che hai? – le ho domandato. Ella mi s’è gettata al collo: e mi ha detto ch’era tanto, ma tanto infelice.... povera creaturina! – Due grosse lacrime rigavano le guancie vegete e dipinte della signora Teodora. – Mi ha detto che voleva uccidersi.... non poteva più sostenere la vita.... Insomma, mi ha confessato che vi ama, e non amerà mai altri che voi; che è inconsolabile della vostra assenza: e non può tollerare di rivedervi, perchè ha scoperto che la tradite.... – Ma la tradite davvero?… – domandò con una certa solennità la signora Teodora.

Al Venosa batteva il cuore.

Si spinse, senza saper che facesse, verso una finestra aperta, rispondente su un balcone. Affacciatosi vide Diana seduta sotto di esso, nel giardino; e certo avea riconosciuto la voce di lui, poichè stava in attitudine di chi ascolta.

Egli le gettò subito, con mano tremante, la lettera che aveva scritto.

La lettera cadde a’ piedi di lei.

Diana la guardò, per un istante, esitando. Poi la raccolse: avea riconosciuto le sue cifre: si alzò e disparve. Il Venosa non capiva più in sè dall’allegrezza.

Quell’atto era più che una garanzia di riconciliazione.

Si trattenne, per qualche tempo, a parlar con la signora Teodora: ma i suoi discorsi erano ben slegati.

Egli non pensava ad altro, se non che in tal momento Diana dovea leggere la sua lettera.

Avrebbe dato tutto al mondo: pure tremava alla idea ch’ella potesse comparire in quella stanza.