Luna Nascente

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Luna Nascente
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Luna Nascente

Copyright © 2016, Ines Johnson. Tutti i diritti riservati.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero, o trasmessa in qualsiasi forma, o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione dell'autore.

Prodotto negli Stati Uniti d'America

Prima edizione Agosto 2016

Indice

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Capitolo 22

Capitolo 23

Capitolo 24

Epilogo

Capitolo Uno

La Luna si impossessava del cielo del nuovo giorno, eclissando il sole al tramonto. La sfera lunare che regnava sul cielo incoronava la cima della catena montuosa come la punta dello scettro di un sovrano. In basso, le onde dell'oceano si infrangevano contro la parete occidentale della montagna. Una folata di aria fresca proveniente dall'Oceano Orientale soffiò nella guaina di Lucia. Lei rabbrividì, tirandosi il pesante mantello attorno al corpo.

Guardando giù dallo strapiombo della montagna ad un miglio dalla terra, vide la sagoma degli edifici nelle profondità dell'acqua. Due secoli prima, l'attrazione della Luna sulla marea dell'oceano aveva fatto sì che le acque inghiottissero una terra chiamata California. Le onde avevano fatto ritirare la terra dopo la corsa alle armi che spostò la Terra dal suo asse, avvicinando il pianeta alla Luna.

Prima di fare un altro passo sull'infido sentiero giù per la montagna, Lucia lanciò una preghiera alla Dea della Luna perché guidasse i suoi passi in quel viaggio. Si impregnò dell'energia del corpo celeste, aprì gli occhi e partì con piedi leggeri racchiusi in pesanti stivali.

Le sue gambe agili si mossero rapidamente giù per le pendici della montagna, saltando sui massi e abbassandosi sotto i rami bassi. In quella luce, con lo spruzzo di fiori di luna bianchi e stellati ai suoi piedi, si immaginava come un'eroina in fuga da un cattivo intento a sovvertire la sua volontà addomesticandola per pulire la casupola in miniatura che condivideva con i suoi sei fratelli. Oppure in fuga da un padre negligente che metteva la sua giovane figlia e la sua nuova moglie l'una contro l'altra in una competizione per il suo affetto.

Come tutte le sue Sorelle, Lucia aveva letto da novizia i manifesti patriarcali e romantici richiesti. Gli uomini scrivevano queste favole e trasformavano le matriarche in cattive e le aspiranti regine in mogli. Ricordava le storie di Biancaneve e Cenerentola, ragazze sciocche, ognuna ad aspettare fino a che un principe l’avrebbe sopraffatta con il suo magico pisello, le avrebbe infilato un anello d'oro al dito privando ciascuna dei propri poteri femminili, e costringendola a una vita domestica di servizio. Le Sorelle insegnarono a Lucia e alle altre giovani novizie a schernire le storie dell'orrore come quelle. E, per la maggior parte, lei lo fece.

Eppure, a differenza delle sue Sorelle, Lucia aveva provato il brivido di essere stretta tra le forti braccia di un uomo. Aveva sentito la tenerezza e il calore delle labbra maschili premute contro la sua guancia. Per un periodo della sua vita, aveva conosciuto l'amore di un uomo. Ora si incamminava giù per la montagna, lasciandosi alle spalle ogni presunzione femminista, per tornare a quell’amore.

I suoni della natura selvaggia permeavano i suoi pensieri mentre la fauna della foresta si muoveva sotto i suoi piedi. Pensò a Cenerentola e ai topi che vennero in suo aiuto. Ricordò gli uccelli di Biancaneve che l'aiutavano a pulire la casa. Lucia si fece strada lungo la montagna e gli scoiattoli si allontanarono dal suo cammino. I gufi girarono la testa lontano da lei. I cervi si bloccarono alla sua sola vista, la paura traspariva dai loro occhi scuri.

Un ramo si spezzò alla sua destra. Lucia si voltò e vide una palla di pelo scuro che si dirigeva verso di lei. Si fermò. Non per paura, ma per curiosità. Un cucciolo d'orso aveva seguito le sue tracce. Balzò verso di lei, con la lingua che gli usciva dalla bocca. La meraviglia e l'eccitazione negli occhi del cucciolo stonava con la desolazione di ciò che lo circondava. Scaldò la freddezza esteriore di Lucia, e un sorriso le illuminò il viso.

Il cucciolo sembrava innocente mentre si avvicinava a quello che forse sperava fosse un compagno di giochi simile nella taglia e nel colore. Lucia aveva la pelle color bronzo e un'infinità di riccioli scuri in cima alla testa. Era certa che il mantello nero che la avvolgeva aiutasse a rendere la sua forma familiare al cucciolo.

Si inginocchiò all'altezza dell'orso per mostrare la non aggressività. L'odio e il pregiudizio non erano radicati nel cuore dei giovani. Coloro che si prendevano cura dei giovani li insegnavano. Si tramandavano le lezioni nei miti e nelle favole di ogni cultura. Il cucciolo non aveva ancora imparato la via del mondo.

Lucia offrì la sua mano per un'annusata.

Il cucciolo fece un altro passo avanti.

Un ringhio mostruoso squarciò il sentiero di montagna alberato, rivaleggiando con i venti delle forti maree sottostanti. La madre del cucciolo caricò verso di loro. A quattro zampe, l'orso era una forza enorme con cui fare i conti. Quando raggiunse il suo cucciolo, ruggì scuotendo i tronchi rossi degli alberi di Sequoia. In tutta la sua altezza, l'orso madre superava i due metri e guardava Lucia.

Con un movimento rapido, Lucia si alzò dalla sua posizione rannicchiata e affrontò il colosso. Era piccola per la sua razza, poco meno di un metro e ottanta, mentre alcune delle sue sorelle superavano i due metri.

La madre orso si mise tra Lucia e il suo cucciolo. Il terreno tremò quando l’animale piantò il suo peso e fece balenare i suoi occhi su Lucia.

Lucia ricambiò l’occhiata.

La madre orso abbassò la sua massa massiccia e mugolò. Fece un passo indietro in ritirata, tenendo il suo cucciolo vicino al corpo. Il grizzly sbirciò Lucia attraverso le ciglia abbassate, mentre radunava il suo cucciolo nella sicurezza degli alberi e lontano dal pericolo che quello aveva pensato fosse un nuovo compagno di giochi.

Quando furono fuori dalla visuale, Lucia sospirò e continuò per la sua strada. L'idea che un eroe salvasse qualcuno come lei era pittoresca. Un mito maschile. Una favola.

Riprese il passo lungo la montagna e raggiunse la città di Tahoe Lake proprio mentre la Luna raggiungeva il suo apice nel cielo. Incapace di ignorare l'energia della sfera, si fermò e alzò la testa in segno di riverenza al suo Creatore. Intorno a lei, vide altri abitanti della Luna fare lo stesso, fermarsi per ricevere la piena benedizione della Dea.

Sul bordo del lago, la giornata di lavoro era in pieno svolgimento. Lucia osservava un'alta fata che tirava fuori verdure verdi dalla terra ombreggiata. Le fate femmine erano snelle, con corpi agili e capelli lisci e fluenti. I maschi elfi avevano toraci larghi, fianchi snelli e dita lunghe. Avevano occhi color argento brillante mentre facevano il loro lavoro, dissodando la terra e invogliando le piante a crescere sotto la pallida luce della Luna.

Lucia buttò uno sguardo all’orologio della torre cittadina. Si era trastullata molto più di quel che credeva. Slacciò il mantello, liberando le gambe e permettendole di aumentare il ritmo.

Lungo la strada, una giovane fata corse tra le gambe di un alto elfo che doveva essere suo padre. Il padre si piegò in avanti, prendendo al volo la ragazzina tra le sue forti braccia, facendola volteggiare in aria. La fatina rise ancora di più quando lui con un sorriso la afferrò e le diede un bacio leggero sulla guancia. La risata della bambina rallentò il ritmo di Lucia.

 

I ricordi invasero la sua mente. Braccia forti. Un volto incorniciato da capelli scuri e selvaggi ed occhi marroni che irradiavano amore. Una risata profonda, ringhiante ed i baci più dolci sulle sue guance.

Il calore sbocciò nel suo giovane cuore e rievocò il senso di protezione racchiusa in quelle braccia forti.

L’aria intorno a lei cambiò riportandola al presente. Lucia alzò gli occhi verso quelli celesti della piccola fata mentre puntava il suo dito snello verso Lucia. Fece un ghignocon le sue guance spigolose, quasi come se avesse visto i suoi pensieri. Quel ghigno era accogliente; i suoi occhi luminosi ed aperti.

Sopra di lei, il volto di suo padre mostrava allarme. La testa abbassata e gli occhi guardavano terra. La mano velocemente coprì gli occhi di sua figlia. Aumentò il passo allontanandosi molto da Lucia.

Lei spostò lo sguardo verso il basso. L’erba verde assumeva nei suoi occhi una sfumatura argentea sovrannaturale. Il barlume dei ricordi aveva suscitato emozioni in lei. Attese finché le sensazioni ed il potere che quelle evocavano passò. In breve tempo, il prato tornò ad essere verde, e lei voltò i suoi occhi color nocciola verso la sua destinazione.

Teneva la testa bassa mentre andava verso la meta: la stazione dei treni. Quando salì sul binario, l’eccitazione scorreva nelle sue vene. Aveva osservato il treno dalle montagne per anni, sognando i posti che avrebbe visitato una volta maggiorenne dopo aver lasciato le Sorelle. Aveva compiuto ventun anni al tramonto del giorno prima.

“E’ una strega?”

“Non può esserlo. È bella. Hai visto il suo seno?”

Ora slacciato, lo scuro mantello di Lucia, sventolava dietro di lei sotto il vento leggero. Le streghe non indossavano indumenti stretti e costrittivi, come i corsetti. I seni raccontano il tempo, amava dire la Grande Sacerdotessa. Durante la giovinezza puntano in alto come le possibilità. Puntano verso l'esterno con la franchezza della maturità. E infine, indicano la terra al crepuscolo della vita di una donna. I seni di Lucia puntavano direttamente ai due maschi umani, dando loro quasi un'occhiata.

Per tutta la vita le era stato detto che la bellezza fosse sopravvalutata. Aveva imparato che la forza e la devozione erano le caratteristiche più importanti. Anche se sapeva che le parole di quegli uomini erano volgari e offensive per la sua sensibilità femminile, non poteva fare a meno di provare un pizzico di soddisfazione per il fatto che i primi maschi umani che aveva incontrato trovassero la sua forma piacevole.

"Le streghe della congrega non sono pallide con le verruche? Per questo hanno bisogno di incantare gli uomini per convincerli ad andare a letto con loro."

"Il mio vicino ha detto che era stato incantato da una strega sulla sua Rumwicca. Ha detto che lei lo ha ormai rovinato per le altre donne".

"Con un culo così, quella strega potrebbe rovinarmi in qualsiasi momento."

Le spalle di Lucia si irrigidirono al loro linguaggio indecente. Si tirò il mantello intorno al corpo e lo legò stretto.

Vivendo sulla cima di una montagna in una comunità di sole donne, non aveva mai sentito il bisogno di coprirsi. Quel giorno indossava la sua guaina verde e il suo mantello marrone scuro, una dichiarazione di moda audace che la faceva sembrare un pezzo di terra bagnata. Ma forse era il massimo della moda, visto il modo in cui i maschi umani la stavano fissando.

Sapeva di non avere l'aspetto di una strega normale. Le streghe erano alte, con corpi muscolosi costruiti per il duro lavoro e la vita selvaggia. Lucia era qualche centimetro più bassa della strega media. Aveva più curve che muscoli. I suoi grandi seni erano sempre d'intralcio quando correva, ma il suo posteriore arrotondato fungeva da cuscino quando doveva stare seduta per ore a lavorare nei campi.

Dai bordi della valle dei Fae scrutava la montagna. Poteva venderne la nebbia nella pallida luce della luna. Sapeva che le streghe si stavano alzando per iniziare la giornata di lavoro per occuparsi della festa. Si sarebbero svegliate e avrebbero controllato i raccolti di ortaggi di melanzane, peperoni, patate e pomodori dopo la notte. Le bacche erano mature in quel periodo dell'anno. Le novizie Aislin e Raven si stavano probabilmente dipingendo i polpastrelli di rosso con i succhi mentre li schiacciavano nelle brocche. La Sorellanza avrebbe cantato nei campi in quel momento, avendo finito le loro preghiere serali e le devozioni alla Luna nascente.

Durante quella vigilia, il compito di Lucia sarebbe stato il bucato. Era quello che preferiva di meno, lavare i mantelli e i foderi di tutti i membri della comunità. La maggior parte dei lavori si alternavano per equità, persino la Gran Sacerdotessa si sporcava le mani lavando gli indumenti intimi di tutta la congrega. Le streghe vivevano semplicemente secondo il volere della natura. Dividevano i loro compiti e condividevano ogni giorno il frutto di quel duro lavoro.

La bocca di Lucia era riarsa per il succo di bacche che sarebbe stato messo sul tavolo da pranzo comune di lì a poco. Il suo stomaco brontolava per lo stufato di melanzane. Non aveva mangiato dal banchetto della mattina precedente. Non aveva preso nulla dalla congrega durante il suo viaggio solitario giù per la montagna, come era abitudine di una strega che si imbarca in una Rumwicca. Ma Lucia non aveva intenzione di sedurre un maschio umano per avere un figlio. L'uomo da cui voleva tornare era un lupo.

"Stai cercando un po' di compagnia, ragazzina?"

Lucia si accigliò alla domanda. Il maschio umano non poteva avere più di qualche mese più di lei. Il ragazzo le arrivava a malapena al mento. I segni rossi coprivano il suo viso pallido, il che le ricordava di nuovo le bacche dolci che avrebbe potuto bere in quel momento se fosse tornata in cima alla montagna.

Il suo amico era ancora più basso, con la pelle di qualche tonalità più marrone di quella di Lucia. Si mordicchiava il labbro inferiore, facendole chiedere se fosse stato un succhiatore di pollici da bambino. Un comportamento così infantile non era tollerato in una congrega. Una strega più anziana avrebbe punito una novizia con un incantesimo di rotazione; facendo girare la ragazza fino a farla vomitare. Subito dopo, ogni inclinazione a calmare la situazione mettendo un dito in bocca sarebbe stata accolta dalla nausea.

"No, grazie," disse Lucia e si voltò.

Sperò che gli uomini capissero l'antifona e non inasprissero la questione. I Fae che si aggiravano nella stazione ferroviaria tenevano i loro grandi occhi lontani dai suoi. Ma questi due uomini la fissavano audacemente negli occhi, e poi giù verso i suoi seni come se potessero vedere attraverso la sua guaina.

"Potremmo occuparci dei tuoi bisogni," disse mister foruncolo. "Non dovresti nemmeno farci un incantesimo."

"Ho detto di no," il tono di Lucia era fermo.

Alzò lo sguardo per vedere che un uomo con l'uniforme blu di un ufficiale della sicurezza li guardava. Gli occhi dell'ufficiale di sicurezza non mostravano alcuna preoccupazione per lei. La sua preoccupazione era per i due giovani ragazzi. Il suo atteggiamento le disse che non era sicuro di cosa fare in quelle circostanze. Non c'era molto che gli umani, i Fae o i licantropi potessero contro le streghe e gli stregoni.

"Oh, andiamo, piccola," disse il succhiapollice. "Ti tratteremmo molto bene. E per ogni bastardo che ne risulterà non cercheremo nemmeno di avanzare pretese. Il bambino sarebbe tuo".

Le streghe della congrega erano autosufficienti. Coltivavano i loro raccolti, si facevano i vestiti da sole, costruivano le loro case. Ma c'era una cosa che le donne di qualsiasi razza non potevano fare da sole.

"Ho sentito dire che le streghe sono selvagge a letto."

I due maschi la guardarono dritto negli occhi mentre dicevano queste parole ignobili, e la Luna Piena non era da meno. Erano davvero così stupidi. Lo sguardo di Lucia lampeggiò d'argento. Vide l'ufficiale afferrare il grosso bastone che aveva in vita.

"Non mi piace il modo in cui voi due state parlando, " li rimproverò. "La prima cosa che farete è chiedere scusa".

I ragazzi sbatterono le palpebre, con la bocca aperta.

"Mi dispiace," dissero entrambi, ubbidientemente.

"E ora," disse lei, "vi siederete in un angolo e vi comporterete bene fino all'arrivo del treno."

"Sì, signora."

I loro occhi si spalancarono mentre eseguivano il suo comando. Inciamparono sui loro piedi fino a una panchina. Una volta seduti, mister foruncolo si grattò i bozzi sulla faccia. Succhiapollice mordicchiò un'unghia.

Lucia sbatté le palpebre, liberando l'energia della Luna. Il colore tornò alla sua vista e i suoi occhi tornarono al marrone nocciola. Guardò l'ufficiale per dimostrargli che non intendeva fare del male. Avrebbe potuto fare molto peggio. Un'altra strega l'avrebbe fatto, e nessuno dei presenti avrebbe potuto farci nulla.

L'ufficiale si rilassò, ma non incontrò gli occhi di Lucia. Era il meglio che lei potesse sperare. Da queste parti si credeva ancora ai miti degli uomini e ai racconti delle fate. Lei era la cattiva della loro storia.

Si avvicinò alla biglietteria. "Biglietto di sola andata per Sequoia City."

L'impiegata la guardò. "Sei qui per una Rumwicca? Dovrebbe sapere che Sequoia City ha delle leggi contro le streghe in libertà. Faresti meglio ad andare a Vegas City."

"Non sono qui per una Rumwicca. Sto cercando mio padre." Lucia non aveva idea del perché avesse raccontato il suo segreto ad uno sconosciuto. Non l'aveva detto a nessuno della sua congrega. Anche se a loro fosse importato, cosa di cui dubitava, le sue Sorelle l'avrebbero probabilmente ridicolizzata. Cioè, se avessero potuto prima capire il suo bisogno di connessione con un uomo.

Dall'altra parte della vetrata, le sopracciglia dell'impiegata si alzarono. "Lei sa chi è?"

Le parole erano già uscite dalla bocca dell'impiegata prima che lei ci ripensasse. Distolse lo sguardo, infilò il biglietto di Lucia nella fessura in fondo alla finestra e si voltò.

Lucia non si offese. La maggior parte delle streghe della congrega non sapeva chi fosse il proprio padre. I padri, essendo uomini, erano sconosciuti sulle montagne delle streghe. Non c'erano per le nascite o per i compleanni successivi.

Ma questo non era il caso di Lucia. Non era nata su una montagna. Ricordava di essere stata tra le braccia di suo padre. Ricordava lui che le sorrideva. Ricordava che le diceva che le voleva bene. Ricordava persino il giorno in cui se ne era andato da lei quindici anni prima, lasciando lei e sua madre con la Sorellanza.

Lucia aveva molte domande senza risposta. Biglietto alla mano, si fermò sulla banchina e aspettò il treno che l'avrebbe portata a trovare l'uomo che aveva tutte le risposte.

Capitolo Due

Jackson Alcede si spostò dall’avampiede ai talloni per il potente gancio ad un centimetro dal naso.

Il pugno lo colpì.

Non sul naso. Non era quello il bersaglio designato.

Il ricevente del pugno cadde all’indietro e Jackson afferrò i possenti bicipiti dell’uomo, bloccandoglieli dietro la schiena per evitare ritorsioni. Il sangue sgorgò dal naso rotto dell’uomo e sul polso di Jackson.

Jackson fece un sospiro simile ad un ruggito. Era la sua camicia preferita, e lo aspettavano a cena i suoi genitori quella stessa sera. Non avrebbe avuto tempo di tornare a casa a cambiarsi. Sua madre avrebbe dato uno sguardo al sangue e si sarebbe agitata.

Non per i pericoli del suo mestiere.

No, Karyn Alcede sapeva che tutti i suoi cuccioli potevano cavarsela in una rissa. Si sarebbe agitata per il fatto che Jackson vivesse da solo e non avesse nessuna donna che potesse prendersi cura dell’inevitabile macchia di sangue che sarebbe rimasta sui suoi vestiti.

Il sangue non era l’unica sostanza ad imbrattare i suoi abiti in quel momento. Sudore e saliva macchiavano la parte frontale della camicia di Jackson, così come i suoi calzoni stretti, mentre l’uomo cercava di respirare liberandosi dalla presa.

“L’ho vista per primo.” Grugnò pieno di saliva l’uomo in custodia di Jackson. Le sue labbra si arricciarono, permettendo a bolle di saliva di uscirgli dai lati della bocca. I suoi occhi scuri e vispi erano fissi su un altro uomo che poteva essere il suo gemello, eccezion fatta per gli occhi più chiari ed una grossa cicatrice sulla fronte. “Non posso credere che mio fratello voglia competere per la mia donna.”

 

“Non è la tua donna,” rispose stizzito il fratello con la cicatrice.

Di fianco a loro la donna in questione osservava la scena con un calore quasi febbrile sulle guance. Jackson vide il bagliore argenteo nei suoi occhi verdi segno di eccitazione per lo spettacolo. Distolse lo sguardo dalla lupa disgustato.

“D’accordo,” intervenne Jackson. “Voi due dovete calmarvi prima che la situazione vi sfugga di mano.”

Il labbro sanguinante dell’uomo cicatrice e il naso dolorante del salivatore avrebbero potuto indurre un poliziotto umano a credere di aver terminato il suo lavoro. Ma quelli erano lupi. Erano molto più grossi degli umani in altezza e larghezza. Erano anche più forti, con temperamenti volatili come animali selvaggi quando percepiscono che il loro territorio è stato violato.

Al momento Jackson aveva la situazione sotto controllo. Era simile in altezza e talmente possente che i due lupi a confronto sembravano umani. Aveva anche il vantaggio di essere molto in controllo del suo lupo.

“Puoi averla vista per primo, fratello,” ghignò l’uomo cicatrice. “Ma l’ho avuta per primo.”

Tutti gli occhi viaggiarono verso la lupa in piedi ai margini della scena. La ragazza arrossiva di calore, ma non sembrava affatto imbarazzata.

Jackson aveva le mani piene di bava del salivatore mentre il fratello sfregiato lo incitava con i racconti di una notte passionale e animalesca con la donna che entrambi sostenevano essere il loro unico, vero amore. Il fratello che Jackson teneva fermo gli scivolò tra le dita mentre la pelle spessa e muscolosa si trasformava in zampe anteriori magre e pelose. L'altro fratello si spostò, e fu allora che si scatenò l'inferno.

C'era una piccola folla di vicini e passanti riuniti fuori dalla piccola casa a guardare. Rimasero in piedi, impassibili, come se non fosse una novità. Sotto la luce della luna, il prato mostrava più macchie secche di terra che ciuffi d'erba verde, ma niente che una serata di semina e irrigazione non potesse sistemare. Le grondaie del tetto pendevano basse, ma non abbastanza da impedire a uno di questi ragazzi di sollevarle. La vernice delle persiane era opaca, ma una mano fresca avrebbe richiesto l'ora del crepuscolo per essere applicata. Invece, tutta l'attenzione era concentrata sulla rissa.

Né Jackson né suo fratello avrebbero permesso che la casa dei loro genitori cadesse in un tale stato di abbandono, a meno che non fossero in qualche modo incapaci fisicamente. Né Jackson avrebbe mai potuto immaginare di litigare con suo fratello per una donna. Lui e Pierce avevano gusti diversi in fatto di donne. Pierce amava le donne Fae che gli permettevano di affondare i suoi artigli su di loro senza alcun vincolo.

Jackson non aveva mai toccato una fata, o una femmina umana, per quel motivo. I Fae praticavano l'amore libero, e gli umani avevano una pratica conosciuta come divorzio. I lupi si accoppiavano per la vita. Uscire con qualsiasi razza che non fosse quella dei lupi aveva senso per Jackson quanto innamorarsi di una strega della congrega durante la sua Rumwicca.

Mentre la rissa si intensificava, il lupo di Jackson non vedeva l'ora di essere liberato. Tirò il guinzaglio che tutti i muta forma avevano sulle loro bestie interiori. Il suo lupo obbedì, come faceva sempre, e rimase seduto sulle zampe, aspettando obbediente finché non fu chiamato a fare ciò che era necessario.

I due lupi caricarono di nuovo. Jackson guardò la Luna e si chiese perché diavolo non avrebbe dovuto lasciare che i maschi si facessero del male a vicenda. Ma tra gli schiocchi e gli stridii, la madre emise un lamento. Un terzo figlio, più giovane per i peli che gli spuntavano sopra le orecchie, gridò per farli smettere.

La stranezza di quella famiglia fece gemere il lupo di Jackson con disgusto.

"Niente di tutto questo sarebbe successo se papà fosse stato qui," disse il terzo figlio. Aveva gli stessi lineamenti ottusi degli altri due ragazzi, ma la fronte e il naso erano immacolati.

"Tornerà presto," disse la madre con il tono di un disco rotto in una ripetizione deformata.

"Sono anni che non torna. Non tornerà mai più."

Jackson notò che i bambini erano distanziati per età, probabilmente di cinque anni. L'intero quadro divenne chiaro allora. Il loro padre era un solitario.

I lupi solitari vagavano, senza mai fermarsi, alcuni non tornano mai due volte negli stessi posti. Sembrava che questo lupo fosse tornato almeno tre volte. Era chiaro che questi ragazzi erano imparentati. Non solo per l'aspetto, perché erano entrambi attratti dalla stessa femmina. A volte succedeva con i fratelli lupi. Jackson aveva visto fare a pezzi famiglie per quella ragione. Doveva essere uno di quei casi, perché sembrava che la lupa stesse giocando.

La lupa guardò Jackson. "Non hai intenzione di dividerli?"

Jackson non percepì alcuna sincerità nella voce della lupa. Lo disgustò. Non c'era niente di più importante della famiglia. Suo padre non aveva mai passato una sola notte lontano da sua moglie. Jackson e Pierce si prendevano cura della loro sorellina, un'abitudine che Kayla Alcede etichettava come prepotenza.

C'era sangue sul naso di entrambi i lupi che si azzuffavano. Le loro mascelle erano chiuse l’una nella carne dell'altro. Jackson si guardò intorno in cerca di qualcosa che si frapponesse tra loro due.

Una figura con un mantello lungo fino alle caviglie entrò nel cortile. La sua camminata era disinvolta. Tutt'intorno, i vicini si dispersero, con gli occhi fissi a terra o le mani che li proteggevano dallo sguardo noncurante dell'uomo.

L'uomo col mantello si avvicinò ai lupi. Si abbassò e afferrò la gorgiera di uno di loro, costringendolo a guardare nei suoi occhi blu cristallo.

"Lasciami." Gli occhi blu dello stregone divennero d'argento.

Il lupo mugolò e fece come gli era stato detto. Lo stregone si rivolse all'altro lupo. Cercò di distogliere lo sguardo, ma non fu abbastanza veloce. Ripeté lo stesso comando, e il lupo lasciò andare. Il sangue di suo fratello colava dai suoi canini mentre obbediva.

Warwick guardò Jackson con un sopracciglio alzato. "Cosa pensavi di fare con quello?"

Jackson abbassò lo sguardo sulle sue mani. Alcune gocce d'acqua gocciolarono dal beccuccio del tubo da giardino che teneva in mano e finirono nella terra riarsa. "Non potevi arrivare prima?"

Jackson gettò il tubo a terra, mentre il suo compagno alzava le spalle.

"Cosa hai intenzione di fare con loro?" chiese la lupa.

Jackson arricciò il labbro e voltò le spalle alla donna, anzi alla ragazza. Ragazzina, soprattutto, se stava facendo questo tipo di giochi con lupi adulti. "Ci dormiranno sopra. E poi si spera che rinsaviscano e facciano scelte di vita migliori."

La lupa gli ringhiò contro.

Il lupo di Jackson ebbe l'impulso di rispondere con un ringhio. Tirò di nuovo il guinzaglio interno.

Il suo lupo aveva scalpitato per raggiungere i propri limiti nelle ultime settimane, negli ultimi mesi ad essere onesti. Sia l'uomo che il lupo erano diventati sempre più insoddisfatti delle sue scelte di vita, finché Jackson non si era arreso e aveva fatto alcuni cambiamenti.

Il primo cambiamento che aveva fatto era stato trasferirsi dalla casa dei suoi genitori sei mesi prima. I lupi erano animali da branco e stavano con le loro famiglie finché non si accoppiavano. Poi iniziavano il proprio branco familiare. Il trasloco di Jackson dalla casa di famiglia era un chiaro segno che il suo lupo sentiva che la sua compagna di vita era vicina.

Aveva acquistato un appartamento vicino alla periferia della città e aveva iniziato a preparare il posto per l'arrivo della donna con cui avrebbe passato il resto della sua vita. Poteva sentire il suo lupo ansimare per l'eccitazione alla prospettiva, la sua pazienza si stava esaurendo mentre aspettava l'odore di lei.

Warwick incantò i lupi costringendoli a ritrasformarsi nelle loro forme umane. Nudi come il giorno in cui erano nati, lo stregone fece salire entrambi i ragazzi nel retro della macchina della polizia.

"Davvero?" Jackson rabbrividì. "Non metti nemmeno un lenzuolo sulla pelle?"

Warwick sorrise. "È la macchina di Falun."

Jackson ridacchiò. Falun, un elfo dell UPP, e Warwick avevano una continua guerra di scherzi. L'elfo era l'unico maschio che non aveva paura di scontrarsi con uno stregone. A Jackson sarebbero mancati gli scherzi e le buffonate quando avrebbe lasciato l'unità.

Si tranquillizzò. Lasciare il suo lavoro era il secondo cambiamento che aveva pianificato di fare. Non aveva detto a nessuno che avrebbe lasciato l'unità, nemmeno alla sua famiglia. L'avevano presa abbastanza male quando se n'era andato dalla fattoria. Sua madre aveva insistito che lui e la sua futura compagna potessero stare con loro fino alla nascita dei primi nipotini.

Jackson scivolò dietro il sedile del conducente e si diresse verso il centro. Erano solo le due dopo mezzanotte, la notte era giovane. I cittadini si dedicavano ai loro affari serali, prendendo seconde tazze di caffè sotto la luminosa luce della luna.

Jackson si passò una mano tra le scure e folte ciocche di capelli che aveva in testa, e poi giù per i ciuffi sempre più folti sulle guance e sul mento. Quando si era unito al UPP tre anni prima, aveva pensato che avrebbe fatto la differenza nel mondo. Invece, passava le notti a sedare risse, ad arrestare i giovani per abusi di magia e a portare via i pazzi strafatti di moonglow e altre sostanze potenziate dai Fae.