Czytaj książkę: «I minatori dell' Alaska»
I – IL FERITO
– All’erta!…
– Corna di bisonte!…
– In piedi, Bennie!…
– Brucia la prateria?
– No!…
– Fugge il bestiame?…
Un clamore assordante, un misto di urla acute, latrati e muggiti echeggia improvvisamente in lontananza, rompendo di colpo il profondo silenzio dell’immensa prateria che, dalle rive del Piccolo lago degli Schiavi, si estende, quasi senza interruzione, fino a quelle del fiume Athabasca e ai piedi della gigantesca catena delle Montagne Rocciose. Sono urla confuse d’uomini, abbaiamenti di cani, muggiti di buoi spaventati.
– Bennie, che cosa sta per succedere?
L’uomo così chiamato non rispose. Si era bruscamente alzato, sbarazzandosi della coperta di lana che lo copriva, aveva raccolto la carabina a percussione centrale trovata al proprio fianco, e si era slanciato fuori dell’enorme carro.
Una oscurità profonda regnava sulla prateria. Non c’erano nè luna, nè stelle. Solamente qua e là si vedevano scintillare, come a ondate, dei punti luminosi, che si abbassavano e si alzavano capricciosamente, tracciando delle linee d’argento o d’un verde pallido di un effetto fantastico. Attorno al carro, delle masse nere si erano alzate in gran numero, muggendo e nitrendo, cercando un rifugio addosso al monumentale carro, verso le cui pareti si urtavano confusamente facendo un gran strepito.
– By-god! – borbottò l’uomo che era uscito, mentre alzava il fucile, come se avesse timore di venire improvvisamente assalito. – Che cosa succede sulle rive del fiume? Uno sparo era echeggiato in quella direzione. Era stata una detonazione secca, ben diversa da quella delle carabine.
– È stato un winchester, Bennie, – disse una voce dietro di lui.
– Sì, Back.
– L’arma a ripetizione adoperata dagli indiani.
– È vero.
– Che quelle dannate pellirosse abbiano dissotterrata l’ascia di guerra?…
– Non lo so, ma ti dico, Back, che sulle rive del lago succede qualcosa di grave.
– Che quei furfanti vogliano tentare un colpo di mano contro di noi?… Questi duecento capi di bestiame possono far gola.
– Lo so.
– Tanto più che non devono ignorare che noi siamo solo due.
– È vero, Back.
– Senti?
Le grida, che per alcuni istanti erano cessate, echeggiarono di nuovo verso nord, dove si scorgeva confusamente una linea oscura, forse una boscaglia, seguite da alcuni spari isolati, poi da un vero fuoco di fila. Si udivano le detonazioni secche dei winchester a ripetizione, quelle più sonore dei rifles e quelle più brevi delle rivoltelle. Pareva che un combattimento furioso avvenisse fra le tenebre, forse impegnato fra indiani e uomini bianchi.
– Satanasso! – gridò Back, che non poteva rimanere fermo. – laggiù si scannano!… Bennie, se andassimo a vedere cosa succede?…
– E il bestiame che ci ha affidato il signor Harris?… Se al ritorno non lo trovassimo più?…
– Non fuggirà, Bennie.
– Da solo no, di certo, ma può esservi costretto dagli indiani.
– Se sono impegnati laggiù, non possono trovarsi qui.
– Sono astuti.
– Che cosa vuoi dire, Bennie?…
– Che forse fingono di battersi, per cercare di allontanarci.
– Uhm!…
– Non lo credi?…
– Non senti le detonazioni delle rivoltelle?… Gli indiani non hanno mai posseduto queste armi. Che cosa facciamo?…
– Tu rimani e io andrò a vedere che cosa succede.
– Ti farai scotennare.
– Nube Rossa mi conosce.
– Sì, fidati di quel sackem!…
– Suvvia!…
– Taci, Bennie!…
Le grida si erano allora fatte talmente acute, che i due uomini non riuscivano quasi più a intendersi. Colpi di rivoltella, colpi di carabina e fuochi di fila dei winchester si susseguivano, provocando un baccano assordante. Non c’era da ingannarsi. Sulle rive dell’Athabasca, in mezzo ai pini, alle querce e agli aceri, si combatteva con furore. Si trattava forse di due bande di indiani appartenenti a due diverse nazioni, che combattevano fra loro, per procurarsi delle capigliature oppure era stata assalita una colonna di emigranti diretta nelle regioni dell’ovest?… Questa supposizione era più attendibile della prima, poiché nei tre mesi che Back e Bennie si trovavano in quella parte della grande prateria, mai avevano visto apparire tribù avverse ai guerrieri di Nube Rossa, il capo dei Corvi e dei Grandi Ventri. La battaglia furiosa durò cinque minuti, mettendo in subbuglio i cavalli e i buoi che si erano raccolti attorno al carro, poi cessò bruscamente. Qualche sparo isolato si udì ancora in lontananza, verso ovest, quindi ogni rumore cessò e la grande prateria ritornò silenziosa.
– Satanasso!… – esclamò Back, che aveva ascoltato in preda a viva emozione. – Tutto è finito.
– Non vorrei essermi trovato nei panni di quelli che hanno avuto la peggio, – disse Bennie. – I poveri diavoli saranno stati tutti scotennati dai guerrieri di Nube Rossa.
– Apriamo gli occhi.
– Temi qualcosa, Bennie?
– Gli indiani, insuperbiti dalla vittoria, potrebbero prendersela con noi.
– Non ci sarebbe da stupirsene, tanto più che siamo solo in due.
– E che siamo lontani da qualsiasi centro abitato. Montiamo a cavallo, Back. Saremo più sicuri sui nostri mustani, che nel carro. Stando in sella potremo spingere lontano gli sguardi e scorgere il nemico prima che ci piombi addosso.
– Ah!… Lo dicevo io di non fidarci di quei furfanti!… La pipa della pace!… Bah!… Una volta, chi aveva fumato il calumet con i pellirossa poteva considerarsi amico, ma ora?… Coraggio, Back, in sella. Incomincio a non sentirmi più sicuro. Hai la rivoltella?…
– Anche il mio bowie-knife.
– Benissimo.
Bennie mandò un fischio breve e sonoro, mentre il suo compagno faceva altrettanto. In mezzo al bestiame, che si era raggruppato attorno al carro monumentale, si verificò una viva confusione, che pareva prodotta da alcuni animali tendenti a forzare quelle fitte linee di buoi e di cavalli, poi due grandi ombre uscirono con fatica da quell’ammasso di corpi giganteschi e si slanciarono nella prateria, caracollando e mandando sonori nitriti. Erano due splendidi mustani, due cavalli di prateria, animali d’origine spagnuola, piccoli, vigorosi, con la testa leggera, le gambe sottili e nervose, la groppa larga e robusta e la coda lunghissima che toccava quasi terra. I due mustani, ormai completamente domati, andarono a soffregare i loro musi contro le spalle dei due uomini, mandando un nitrito prolungato.
– In sella – disse Bennie. Entrambi, con un mirabile volteggio e senza far uso delle staffe, balzarono in arcione, raccogliendo con una mano le briglie, poi stettero in ascolto, col capo teso in avanti e cercando di scoprire ciò che accadeva sulla fosca linea dell’orizzonte.
– Vedi nulla, Bennie? – chiese Back, dopo alcuni istanti di silenzio.
– Assolutamente nulla; mi pare che la prateria sia tranquilla.
– Se ci spingessimo fino sulle rive del lago?…
– Uhm!… Lo pensi davvero?
– Sono curioso di sapere cos’è accaduto laggiù.
– A me preme non perdere il bestiame, Back: chi mi assicura che degli indiani non ronzino in questo istante nella prateria, con la speranza di vederci allontanare?…
– Eh!… Se i Grandi Ventri e i Corvi volassero su di noi a rubarci il bestiame, chi glielo impedirebbe, Bennie?… Due carabine non fanno paura a quegli indemoniati scotennatori.
– Lo so, tuttavia preferisco per ora starmene qui, Back. Domani, all’alba, quando saremo certi che la prateria sarà deserta, andremo a vedere cos’è accaduto sulle rive del lago.
– Che ci sia stato un vero combattimento?
– Non c’è dubbio, Back.
– O che sia stato un falso allarme?… Chissà, forse una manovra per tentare di allontanarci?…
Bennie stava per rispondere, quando in lontananza si udi echeggiare un urlo acuto, triste e lugubre.
– Senti, Back?… – chiese Bennie, crollando il capo.
– L’urlo di un lupo?…
– Sì, e sai che cosa significa?…
– Che uno di quei voraci animali ha scoperto dei cadaveri da spolpare.
– Sì, Back, sulle rive dell’Athabasca c’è stato un combattimento, e i lupi si preparano a banchettare con i morti.
– Ecco una cosa che fa venire i brividi, Bennie.
– A te che sei nuovo del mestiere, ma non a me, vecchio cow-boy del grande ovest. Bah! Ho viste ben altre scene e ben altri lupi… Ne ho visti degli orrori nella prateria!…
Intanto a quel primo urlo, che era risuonato verso le rive del fiume, un altro non meno triste, non meno lugubre, aveva risposto più lontano, poi un terzo, un quarto, un quinto. I predoni a quattro gambe, attirati dall’odore della carne fresca, si chiamavano l’un l’altro per radunarsi e quindi piombare sui morti e sui feriti per divorarli.
– Bennie!… – esclamò a un tratto Back, con una certa emozione. – Se laggiù ci fosse qualche ferito da salvare? Non si potrebbe strapparlo ai denti dei lupi?
– Qualche ferito ci potrà forse essere, ma in che stato sarà ridotto?… Credi tu che gli indiani non l’abbiano scotennato?…
– Lo credo, però non tutti gli uomini scotennati dagli indiani muoiono.
– È vero, e ne ho visti parecchi vivere ancora molti anni. Il mio amico Taylor, per esempio, cow-boy del signor Wood, è stato scotennato dagli indiani Ogollala, eppure è sano e robusto e tutt’al più soffre qualche volta un po’ di mal di testa quando il tempo cambia.
– Come vedi qualche povero diavolo potremmo forse salvarlo prima che i lupi lo divorino.
– Uhm!… E gli animali?…
– Fra un’ora spunterà l’alba.
– Non dico di no.
– Se gli indiani non hanno approfittato delle tenebre per fare un colpo anche su di noi, non oseranno ora che le stelle cominciano ad impallidire. Non senti le urla dei grossi lupi grigi?
– Sono le urla dei coyote, Back.
– Sono pericolosi e audaci anche quelli, quando sono in gran numero. Bennie!…
– Back!…
– Andiamo?
– Sì, – disse Bennie, dopo alcuni istanti di esitazione. – Però, facciamo prima un giro attorno al bestiame. Diffido sempre degli indiani.
– Facciamolo pure.
Misero i cavalli al trotto, descrivendo un ampio cerchio attorno al bestiame che si era raggruppato addosso al carro, la cui massa enorme giganteggiava fra le tenebre, con la sua grande tela spiegata ad arco. Respinsero i buoi e i cavalli, che si erano coricati un po’ al largo, poi batterono la prateria, descrivendo parecchi giri. Persuasi che nessun indiano stava nascosto fra le alte erbe, dopo aver lanciato un ultimo sguardo all’ingiro, spinsero i cavalli verso nord, dove si vedeva l’orizzonte chiuso da una fascia oscura, senza dubbio qualche bosco.
Qualche uccello si alzava dalla prateria e saliva in alto descrivendo ampi giri e lanciando di quando in quando un trillo, il primo saluto al sole che stava per sorgere, mentre i grilli, nascosti sotto le grasse erbe, cominciavano a interrompere i loro monotoni concerti. Verso le rive del fiume, invece, echeggiavano sempre le urla tristi dei grandi lupi grigi e i latrati insistenti dei coyote, i veri lupi delle grandi praterie dell’America settentrionale. Bennie e Back, fermi in sella, con le gambe un po’ allargate per essere pronti, al primo pericolo, a balzare a terra e con le carabine a percussione centrale gettate attraverso l’arcione, guardavano attentamente le alte erbe, che potevano nascondere qualche agguato. Galoppavano da venti minuti, senza aver scambiato una sola parola, concentrati nelle loro osservazioni, temendo sempre una sorpresa, quando Bennie trattenne violentemente il suo cavallo facendolo piegare sui garetti.
– Che cos’hai?… – chiese Back alzando rapidamente la carabina.
– Guarda laggiù, al margine del bosco che costeggia il fiume, – disse Bennie. – Non vedi nulla?
– Ma… sì – rispose il compagno, dopo aver osservato attentamente. – Si direbbe che c’è un carro semirovesciato.
– Ieri non c’era.
– Lo credo. A mezzogiorno in quel bosco, sono andato a caccia di tacchini selvatici e non l’ho visto.
– Ciò significa, Back, che non si trattava di un falso allarme, ma di un vero combattimento. Laggiù noi troveremo dei poveri emigranti orrendamente scotennati.
– Andiamo a vedere. Guarda, ci sono dei lupi raggruppati attorno al carro.
– Sì, per centomila corna di bisonte! – disse Bennie, aggrottando la fronte. – Quei feroci predoni stanno spolpando qualche cadavere, Avanti, con prudenza, e non abbandonare il fucile.
Spronarono leggermente i cavalli e si spinsero innanzi, guardando attentamente ora il carro e ora le alte erbe che giungevano fino al ventre degli animali. La luce che cresceva rapidamente, permetteva di scorgere distintamente ciò che si trovava presso il bosco costeggiante l’Athabasca. Il carro era ormai completamente visibile. Si trattava di uno di quei grandi e pesanti rotabili usati dagli emigranti delle regioni orientali, vere fortezze ambulanti, che vengono trascinati da sei e talvolta da otto paia di buoi o di cavalli. La grande tela che lo copriva era stata in parte abbattuta e sventrata e il carro, sia che avesse perduto qualche ruota, o che si fosse sprofondato in qualche canale o in qualche tratto di terreno melmoso, giaceva semirovesciato sul fianco destro. Coricati sulle erbe, si vedevano alcuni cavalli ammucchiati alla rinfusa, sopra i quali volteggiavano, descrivendo ampi giri, degli avvoltoi neri. Più oltre, si scorgevano delle casse sventrate, altri cavalli morti, qualche coperta di lana che il vento mattutino gonfiava e sbatteva; il tutto circondato da un gruppo di quindici o venti animali simili ai nostri lupi, ma col muso di volpe, il pelame abbondante, di tinta giallognola a macchie rossastre, e il corpo robusto, lungo dai sessanta ai settanta centimetri e le gambe piuttosto alte. Era una banda di coyote, lupi di praterie, intenti a spolpare i cadaveri. Vedendo avvicinarsi i due cavalieri, i lupi si affrettarono a disperdersi, mostrando i loro musi aguzzi lordi di sangue e mandando brevi latrati.
– Al diavolo, dannati mangia-morti! – gridò Bennie, alzando minacciosamente il fucile, mentre il suo cavallo, spaventato da quei latrati, s’impennava.
– Guarda!… – esclamò in quell’istante Back, che aveva trattenuto il suo corsiero.
– Che cosa c’è?…
– Un uomo scotennato!… – Bennie si era rizzato sulle staffe, curvandosi dinanzi.
In mezzo alle erbe giaceva un uomo di alta statura, calzato con alti stivali di pelle non conciati e vestito di panno azzurro, stretto ai fianchi da una cartuccera piena per metà. Giaceva coricato sul fianco destro, con le mani strette attorno al viso bruttato di sangue. La sua capigliatura, strappata insieme con la pelle del cranio dal coltello di un indiano, era scomparsa, e si vedeva invece una superficie rotonda, coperta qua e là da grumi di sangue coagulato, di un aspetto raccapricciante.
– Canaglie!… – mormorò Bennie, rabbrividendo. – Quel povero diavolo è stato scotennato.
– E vedo là due indiani che sono caduti l’uno sull’altro – disse Back. – Questo emigrante non si è lasciato scotennare senza lotta. Allontaniamoci, Bennie: questa scena mi fa rabbrividire.
Stavano per spingere innanzi i due cavalli, quando videro quel disgraziato così atrocemente mutilato tare un lieve movimento con una mano, poi lo udirono mormorare con voce semispenta:
– Da… bere…
II – SCOTENNATO DAGLI INDIANI
Le immense praterie del nord-ovest americano, come quelle non meno immense della Patagonia e dell’Australia, offrono risorse infinite ai grandi allevatori di bestiame. Quelle pianure sterminate, sparse di alte graminacee e di erbe succolente chiamate buffalo-grass, sono il vero paradiso dei cavalli, dei buoi e dei bisonti che vi ingrassano rapidamente, quasi senza spesa per i loro proprietari. Essendo per lo più lontane dai centri abitati, e di proprietà esclusiva delle tribù indiane che le considerano come loro territori di caccia, i grandi allevatori, per mandarvi le numerose mandrie, hanno imitato i loro compatriotti dell’America del sud, gli Argentini. Questi affidano i loro cavalli e i loro buoi ai gauchos, cavalieri indomiti della pampa; gli americani del nord hanno invece i cow-boys. Gli uni valgono gli altri. Se i primi sono quasi dei selvaggi, dotati di temperamento violento e battagliero, sempre in armi, pronti a respingere gli assalti dei patagoni e degli araucani, i cow-boys dell’America del nord non sono da meno. In ogni caso si tratta di coraggiosi che sfidano intrepidamente la morte e che difendono strenuamente il bestiame loro affidato, contro i lupi e gli orsi e la rapacità degli indiani.
Sempre in sella, essendo tutti instancabili cavalieri, non hanno altra cura che di impedire al bestiame di disperdersi, poiché ogni capo che si allontana può considerarsi perduto. I lupi seguono con ostinazione quelle mandrie, per mesi e mesi, sempre pronti a piombare sull’animale che rimane indietro, o che di notte si allontana dall’accampamento. I cow-boys si fermano dove le erbe sono migliori, e l’acqua è vicina. Un carro colossale serve loro di casa; due sassi bastano per improvvisare il fornello su cui faranno friggere il lardo e cucineranno le focacce impastate alla meglio, o arrostiranno qualche pezzo di selvaggina. Sono uomini frugali, che si accontentano di poco; d’altronde il proprietario della mandria non fornisce loro di più, forse vi aggiunge qualche sacco di legumi. Finché la stagione è buona, i cow-boys non abbandonano le praterie. Continuano ad avanzare, di pianura in pianura, attraverso territori quasi vergini, lottando coraggiosamente contro tutti gli ostacoli, battendosi quasi costantemente contro gli indiani che non li vedono di buon occhio, e non ritornano se non quando le prime nevi cominciano a coprire la prateria, e anche molte mandrie sono passate nelle mani dei pellirossa, ma che importa? Sono semplici incidenti che non scoraggiano gli altri cow-boys, nè i proprietari del bestiame. Sembra che quella vita libera, indipendente, piena di emozioni, di lotte, di avventure, eserciti su di loro un’attrattiva irresistibile. Il cow-boy, anche diventato ricco, il che è un caso rarissimo, non lascia più il suo mestiere. Tornerà sempre nella prateria finché ci lascerà la pelle o la capigliatura; tutt’al più diventerà un cacciatore di qualche compagnia di pellicce. Bennie e Back erano dunque due cow-boys. Il primo non era alle prime armi. Canadese d’origine, era stato prima cacciatore di professione, poi minatore nelle miniere d’argento del Colorado, quindi, perduti tutti i suoi risparmi, era diventato vaccaro. Bell’uomo quel Bennie, il vero tipo dello scorridore della prateria. Alto, muscoloso, dalle braccia poderose, il petto ampio, con una testa energica, coperta da una lunga capigliatura nera, inanellata, che cominciava già a brizzolarsi, con occhi penetranti e una barbetta tagliata a due punte.
Non aveva ancora abbandonato il pittoresco costume dei cacciatori della prateria. Invece del largo cappello usato dai cow-boys, aveva conservato il suo berretto di pelle di raccoon, adorno della coda che gli pendeva su di una spalla; aveva il petto racchiuso dentro una comoda giacca di panno grosso, azzurro-cupo, stretta alla cintura da una cartuccera e da un’alta fascia sostenente uno di quei lunghi coltelli, chiamati dagli americani bowie-knife: calzoni di pelle, adorni ai lati di piccole strisce di pelle e alti stivali muniti di speroni messicani, dalla grande rotella. Il suo compagno Back, era invece tutto l’opposto: forse di dieci o dodici anni più giovane, era molto bruno, paffuto, con baffetti appena nascenti, con gli occhi nerissimi, il vero tipo ispano-americano. Messicano d’origine, avido di emozioni e di avventure come i suoi compatriotti, era emigrato, nelle regioni occidentali degli Stari Uniti, attiratevi dalla febbre dell’argento. Dopo aver fatto il minatore nelle ricche miniere argentifere della Nevada e del Colorado, ma con poca fortuna, a causa della sua giovinezza e della poca esperienza, s’era associato o meglio aggrappato ai panni di Bennie, dividendo con lui i pericoli. I due amici, diventati inseparabili, avevano già esercitato il loro duro mestiere sulle falde delle Montagne Rocciose, per due stagioni di seguito, alle dipendenze di un grande proprietario di Lytton, poi erano passati ai servigi del signor Harris, uno dei più grandi allevatori dell’Alberta. Partiti da Edmonton, piccola città situata sulle rive dello Saskatchewan del Nord, insieme con due altri compagni, duecento buoi e ventiquattro cavalli, ai primi di marzo 1897, avevano già attraversato il fiume Athabasca, dirigendosi verso il piccolo lago degli Schiavi, dove contavano di passare la buona stagione in quelle ubertose praterie. Durante il viaggio però, in uno scontro con gli indiani, avevano perduto un compagno, mentre l’altro era stato costretto a tornare indietro, per curarsi una grave ferita.
Alla metà dello stesso mese si accampavano presso le rive del lago.
. . . . . . . . . . . . . . .
Udendo quella voce fioca che chiedeva da bere, i due cow-boys avevano trattenuti i loro cavalli, guardando lo scotennato che essi avevano ritenuto morto da parecchie ore.
– Corna di bisonte!… – esclamò Bennie, al colmo dello stupore. – Che i miei orecchi mi abbiano ingannato o che io sia in preda a qualche sogno?… Un uomo che ha subito quella spaventevole mutilazione, dopo quattro ore dà ancora segno di vita!… Ecco un caso straordinario!…
– Ma che sia lui che ha parlato?… – chiese Back con viva emozione.
– Se l’hai udito anche tu, vuol dire che non sono sordo. Tieni il mio cavallo. Back, e andiamo a vedere questo miracolo.
Il canadese balzò a terra, senza però abbandonare il fucile; gettò un rapido sguardo all’intorno, poi s’avvicinò all’uomo scotennato e si curvò su di lui. Quel disgraziato, dopo aver pronunciato quelle due parole, e dopo lo sforzo del gesto compiuto, pareva fosse morto o svenuto.
– Diavolo, – mormorò il cow-boy. – Che sia spirato?…
Estrasse il bowie-knife e accostò la lama lucida sulle labbra dello scotennato. Un istante dopo la vide leggermente appannarsi sotto il debole respiro del ferito.
– Ebbene!… – chiese Back, con ansietà. – È vivo ancora?…
– Ma sì, – rispose Bennie. – Corna di Bisonte!… Mi pareva impossibile che un uomo così solido, e che pare non abbia ricevuto altre gravi ferite, fosse morto così presto. Back, amico mio, noi possiamo ancora salvarlo.
– Lo credi?…
– L’uomo è robusto.
– Che cosa dobbiamo fare?…
– Issarlo su uno dei nostri cavalli e condurlo al campo.
– Forse ci sono altri feriti nel bosco.
– Per ora occupiamoci di questo. Da bravo, aiutami.
Back balzò a terra, legò i due cavalli l’un l’altro con le briglie, poi s’affrettò ad accorrere in aiuto del camerata. Lo scotennato fu delicatamente alzato. Si vide allora che era un uomo di costituzione robustissima, tale da dare dei punti allo stesso canadese. Poteva avere quarant’anni. Aveva spalle larghe, membra poderose, un volto ardito, leggermente abbronzato, coperto in gran parte da una barba lunga, nerissima. Si poteva crederlo un ispano-americano; però poteva anche essere un emigrante dei paesi meridionali dell’Europa. Bennie e Back, riunendo le loro forze, lo sollevarono fino al cavallo più vicino e lo misero in sella, tenendolo da ambo le parti per impedirgli di accasciarsi e cadere. Lo scotennato non aveva dato segno di vita durante quell’operazione. Pallido, anzi livido, con gli occhi semichiusi, la fronte increspata per lo spasimo, si era lasciato mettere in sella, senza fare il minimo gesto, e senza pronunciare una sola parola.
– Presto, al campo – disse Bennie. – Fortunatamente questo poveruomo non ha ricevuto nè una palla, nè un colpo di lancia.
Il cavallo, a un fischio di Back, si mise in marcia, ma al passo, come se l’intelligente animale avesse compreso quale delicato carico portava in sella. La traversata della prateria si compì senza incidenti e senza che il ferito fosse tornato in sè. Giunti al carro, levarono di sella il disgraziato e, con mille precauzioni, lo issarono, deponendolo su un materasso situato sotto la grande tenda bianca.
– Back, – disse Bennie, – il signor Harris deve averci fornito degli antisettici, se non m’inganno.
– Sì, del cotone fenicato – rispose il giovane cow-boy.
– Presto, dammelo. Hai anche una spugna?
– Deve esserci.
– Portamela dopo averla imbevuta d’acqua. Cercheremo di calmare l’infiammazione.
Il giovane cow-boy, in pochi istanti, portò tutto quello che gli era stato chiesto e parecchi pezzi di tela. Bennie passò delicatamente la spugna su quel povero cranio denudato, levando il sangue già coagulato che lo copriva e ripetendo più volte l’operazione. Alla quarta, lo scotennato mandò un lungo sospiro e provò un forte tremito, prodotto forse dallo spasimo.
– Bene – disse Bennie. – Il nostro uomo torna in sè.
Pulito il cranio, lo avviluppò con del cotone fenicato, poi lo fasciò. Non avendo a portata di mano rimedi migliori, non poteva fare di più. Coricò, sempre con grandi precauzioni, lo scotennato, procurando che la sua testa rimanesse un po’ alta, poi attese che rinvenisse. Non erano trascorsi due minuti, che il ferito emise un secondo sospiro, facendo contemporaneamente un gesto con le mani, come se avesse voluto allontanare qualcuno.
– Ritorna in sè, – disse Bennie, che lo osservava attentamente.
– Disgraziato!… Chissà quali atroci dolori soffrirà.
– Lo credo, ma guarirà. Back, te lo assicuro.
In quel momento, dalle labbra del ferito uscì un sordo brontolio.
Pareva tentasse di far agire la lingua per pronunciare qualche parola.
– Volete bere?… – gli chiese Bennie, curvandosi su di lui.
Il ferito, udendo quelle parole, dopo qualche sforzo aprì gli occhi due bellissimi occhi neri, vividi, e li fissò, con stupore, sul cow-boy. Lo guardò per alcuni istanti in silenzio, poi aprì le labbra mormorando con voce rotta:
– Da… bere!…
Bennie prese una fiaschetta che Back gli porgeva, contenente dell’acqua mista a whisky e gliela introdusse fra le labbra. Il ferito bevette avidamente parecchi sorsi, poi sorrise ai due cow-boys, facendo con una mano un gesto come per ringraziarli.
– Potete parlare?… – gli chiese Bennie.
Lo scotennano fece un cenno affermativo.
– Sono stati gli indiani ad assalirvi?…
– Sì – rispose il ferito.
– Eravate in molti?…
– Cinque.
– Sono stati uccisi gli altri? Il ferito fece con una mano un gesto negativo molto energico, poi pronunciò un nome:
– Armando.
– Chi?… – chiese Bennie. – Uno straniero forse?…
– Sì, – confermò il ferito.
– È stato ucciso?…
– No!… No!… – ripeté il ferito con suprema energia.
– Forse fatto prigioniero dagl’indiani?…
– Sì!… Sì!…
– Corna di bisonte… – esclamò Bennie, aggrottando la fronte. – È un uomo questo Armando?…
– Un ragazzo.
– E gli indiani ve l’hanno rapito?…
– Sì.
– Furfanti!… Era stato ferito?…
– No.
– E gli altri vostri compagni, sono stati tutti uccisi?
– Lo credo.
– Back, – disse il canadese. – bisogna che facciamo un’altra corsa sulle rive del lago. Forse ci sono altri feriti.
– Sono pronto a seguirti, Bennie.
Il canadese si curvò sul ferito, dicendogli:
– Noi andremo nel bosco a vedere che cosa è accaduto dei vostri compagni. Non temete nulla; gli indiani, almeno per ora, non verranno qui, siatene certo. D’altronde la nostra assenza sarà breve.
Il ferito fece un cenno d’assenso, poi mormorò con un tono di voce nel quale si sentiva vibrare una profonda angoscia:
– Armando!…
– Sì, vi comprendo, voi siete preoccupato per lui, ma non lo abbandoneremo, ve lo prometto. Nube Rossa mi conosce e forse mi teme.
– Grazie – rispose il ferito.
– Vieni, Back, – disse il canadese. – Vedremo come finirà questa triste avventura.