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IL CUORE IN ATTESA
LA QUINTA INTENZIONE DEL CUORE
DAWN BROWER
TRADOTTO DA ISABELLA MEDOLLA
EDITO DA TEKTIME
Questa è un'opera di finzione. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell'immaginazione dell'autrice o sono stati usati in maniera fittizia e non vanno intesi come reali. Qualsiasi somiglianza con luoghi reali, organizzazioni o persone, viventi o defunte, è puramente casuale.
Il cuore in attesa Copyright © 2018 Dawn Brower
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta elettronicamente o a mezzo di stampa senza previa autorizzazione scritta, ad eccezione di brevi citazioni contenute nelle recensioni.
Per Elizabeth Evans – so quanto volevi una storia di Dane e Reese. Sono felice di avertela potuta dare finalmente. Grazie per essere una delle mie amiche e per amare qualsiasi cosa io scriva. Sei la migliore.
RICONOSCIMENTI
Un grazie speciale va alla mia editrice Victoria Miller. Sono sempre entusiasta del suo talento come redattrice – non ne ho mai avuta una migliore. Grazie per il duro lavoro che fai e per aiutarmi a rendere le mie storie più forti. Lo apprezzo molto, più di quanto potrei mai dire.
PROLOGO
Dieci anni prima
La musica riecheggiava nella sala da ballo nell'hotel Roseland. Ognuno indossava un abito da ballo – tranne lui. Sua madre a malapena riusciva ad arrivare a fine mese. Dane aveva un lavoro, ma anche i suoi soldi servivano per pagare le bollette. Quindi no non aveva uno smoking raffinato. Era stato fortunato ad essere riuscito a racimolare abbastanza denaro da comprare un abito al negozio dell'usato. Non gli andava bene ed anche dopo essere stato lavato diverse volte a casa puzzava come morte mista a muffa. Pregò, ma nessuno se ne accorse.
"Chi è se non Dane Hunter che viene di notte dai quartieri più poveri".
Ovviamente la sua fortuna non avrebbe resistito. Soprattutto perché non ne aveva mai parlato… Tutto quello che voleva era un ballo ed un momento magico che avrebbe ricordato per il resto della sua vita. Forse andare al ballo era stato un errore. I soldi per il vestito e per il biglietto avrebbero potuto servire per qualche altra cosa – come il cibo. Mangiare era un lusso che non potevano permettersi di ignorare, ma l'aveva avuto per quella sera. Lei era la ragione per cui aveva buttato al vento la prudenza.
Come una calamita attratta dal suo polo opposto, il suo sguardo si posò sull'unica donna che non avrebbe mai potuto ignorare, anche se avesse voluto —Reese Jackson – e sicuramente non aveva nessuna intenzione di dimenticarla. L'amava, l'aveva sempre amata. Sfortunatamente lei a malapena lo aveva notato; tuttavia, una volta lo aveva fatto. Era entrata nel ristorante dove lavorava e gli aveva promesso che se fosse andato al ballo, avrebbe ballato con lui.
Ovviamente, lei aveva avuto pietà di lui dopo che le aveva detto che non sarebbe andato. Dane non era così bravo da accettare la carità e quella promessa era stata proprio quello. Lei alzò lo sguardo e lo guardò dritto negli occhi, per un attimo nient'altro esisteva.
"Hey, testa di cazzo". Qualcuno gli aveva detto, spintonandolo.
Dane si girò verso quell'idiota di suo fratello. "Vattene, Nolan. Non ti sto importunando, quindi perché anche tu non fai lo stesso?". Suo fratello era uno di quelli i cui vestiti impeccabili abbellivano la sala. Indossava uno smoking firmato, che gli andava perfettamente. Sembrava essere stato fatto su misura per lui. Il loro padre non aveva badato alle spese per il suo ragazzo d'oro. Erano opposti come due persone potevano esserlo. Se Nolan era luminosità – Dane era oscuro come il peccato. Considerando solo le apparenze, qualcuno avrebbe pensato che Nolan fosse come un angelo della bontà e Dane il figlio di Satana. Con quella ipotesi, tutti si sarebbero completamente sbagliati…
Nolan rise malvagiamente. Dane lo odiava sempre di più ad ogni conversazione. C'era stato un momento in cui aveva desiderato un fratello. Se avesse potuto rimangiarsi quel desiderio, lo avrebbe fatto da molto tempo. Come poteva una persona essere così cattiva? In momenti come quelli si chiedeva se anche in lui non ci fosse quel gene di cattiveria. Nolan e Dane condividevano il padre, ma niente di più. Lo stimato Mason Pratt aveva deciso di abbandonare la sua famiglia a favore di un'altra – con un'importante eccezione. Aveva accettato di mandare Dane nella stessa scuola privata che frequentava Nolan. Una cosa di cui avrebbe potuto fare a meno, ma sua madre aveva insistito. Voleva che avesse la migliore istruzione possibile. Tutto quello che Dane voleva era dimenticarsi di avere un padre e un fratello.
Giacché la scuola era così costosa, suo padre diede al ragazzo tutto l'aiuto che poteva. Dane sopportò le prese in giro ed il costante bullismo da parte dei suoi compagni di classe. Si impegnò molto, completò tutti i compiti scolastici, ma divenne un emarginato sociale. Non c'era niente di più che voleva dalla scuola, oltre all'istruzione. Almeno finché non conobbe Reese. Gli aveva fatto cambiare il suo modo di pensare su tutto. Sfortunatamente lei non studiava lì e usciva sempre con i ragazzi dell'ultimo anno. Almeno non era uscita con suo fratello. Non sarebbe riuscito a sopportarlo…
"La tua stessa esistenza mi infastidisce" – Nolan sentenziò – "Da dove hai preso quel vestito? Da un bidone della spazzatura?"
Ovviamente suo fratello avrebbe notato il suo abito maleodorante. Dane avrebbe dovuto restarsene a casa. Un mantra subito iniziò a rimbombargli incessantemente nella sua testa… Reese non avrebbe mai ballato con lui. Perché avrebbe dovuto? Il fetore che emanava non poteva essere totalmente camuffato dall'asciugatrice e da un po' di colonia.
"Non hai niente di meglio da fare che tormentarmi?"
Nolan lo odiava. Dane non voleva detestare suo fratello, ma non gli aveva dato altra scelta. L'astio di Nolan superava di gran lunga quello di Dane e quella era una cosa che non riusciva proprio a comprendere. Suo fratello aveva avuto tutto, mentre lui aveva combattuto e lottato per quel poco che aveva. Suo padre aveva deciso di restare con la madre di Nolan, facendolo soffrire.
"Perché la tua esistenza lascia un sapore nauseante nella mia bocca – sei l'unica persona con cui posso prendermela". Nolan lo spintonò ancora una volta, spingendolo contro il muro. "Vattene e forse dimenticherò che hai avuto il coraggio di presentarti qui stasera. Nessuno ti vuole. Fatti un favore e lascia anche la scuola".
Dane fece un respiro profondo e trattenne l'impulso di sferrargli un pugno sul suo viso perfetto. Non l'avrebbe aiutato e avrebbe favorito la causa di Nolan di farlo espellere dalla scuola. Era stato il suo principale obiettivo da quando suo padre l'aveva iscritto alcuni anni prima. La madre di Dane, Moira, gli diceva sempre di mantenere la calma, ma col passare dei giorni stava diventando sempre più difficile. Tuttavia, una volta diplomato, le cose sarebbero cambiate. Avrebbe preferito mostrare a Nolan quello che pensava di lui.
"Cosa stai facendo?" chiese una ragazza, avvicinandosi a loro. Dane riconobbe quella voce. L'aveva sentita costantemente nei suoi sogni ogni sera, l'avrebbe riconosciuta dappertutto. Reese stava venendo a salvarlo e tutto quello che voleva era nascondersi. Non avrebbe dovuto vederlo così… Lei incrociò le braccia al petto e guardò Nolan.
"Chi sei?" chiese Nolan e lasciò andare la presa dal petto di Dane. Praticamente trasudava fascino ogni volta che parlava. "Non penso che ci conosciamo".
Reese guardò prima l'uno e poi l'altro. "Non sono di qui".
Nolan roteò gli occhi. Era abbastanza ovvio – se avesse studiato nella sua stessa scuola, avrebbe finto che non fosse successo nulla. Nessuno era mai andato contro di lui. La sua parola era praticamente legge nei sacri corridoi di Shelton Academy. Mentre lei era distratta a parlare con suo fratello, Dane ne approfittò per ammirare la sua bellezza, senza che se ne accorgesse. Lasciò che i suoi occhi guardassero la sua squisita bellezza. I suoi capelli biondi erano raccolti in una serie di riccioli che incorniciavano il suo bel viso a forma di cuore. Le chiazze d'oro nei suoi occhi color nocciola li facevano scintillare nella fioca luce della sala da ballo e le sue morbidi labbra rosa erano deliziose. Desiderava avere il privilegio di baciarla per darle la buonanotte. Cosa che probabilmente non sarebbe mai successo, ma che un ragazzo poteva sempre sognare.
"Uhm…" Reese continuò a fissare Nolan. Dane aveva voglia di dargli un pugno solo per quello sguardo. Ti prego, fa' che anche lei non si lasci ingannare dalla sua perfetta facciata… Si schiarì la voce. "Mi chiamo Reese".
Probabilmente quello era un segnale per andarsene, ma non riusciva a muoversi. Continuava a pensare. Non sarebbe mai riuscito a conquistarla, non avrebbe nemmeno dovuto provarci. A cosa diavolo stava pensando? Non era adatto a lei e questo continuava ad essere un problema per il suo cuore. Reese lo aveva riportato alla realtà, doveva smettere di vivere in una fantasia. Non sarebbe mai andata oltre il fascino di Nolan e avrebbe considerato realmente Dane.
"Reese" – disse Nolan delicatamente – "Mi piacerebbe parlare di più con te, ma sono impegnato a buttare la spazzatura. Forse dopo potremmo provare a conoscerci meglio".
Reese ancora una volta lo guardò e aggrottò la frotte. "In realtà, devo rifiutare il tuo invito. Sono fidanzata" – indicò Dane e sorrise – "Se vuoi scusarmi, gli ho promesso che avrei ballato con lui".
Non poteva essere più sorpreso, si era dichiarata a lui piuttosto che a suo fratello. Lo aveva fatto, in un certo senso. Non poteva non amarla di più in quel momento. Lo sguardo accigliato di Nolan valeva cento giorni della sua sfortuna perché, per un volta, era stato fortunato. Avrebbe ballato con la ragazza che amava, pensò a quanto lo aveva sperato quando aveva deciso di andare a quel ballo.
"Sei pronto?" Reese gli tese la mano. "Adoro questa canzone".
Non avrebbe potuto scegliere una canzone migliore per ballare con lei, se glielo avessero chiesto. Non era niente senza Reese e, a dire il vero, non aveva nessuna pretesa su di lei. Quanto era triste tutto quello? Ingoiò quel groppo che aveva in gola e le tese la mano. "Sarebbe un onore".
Camminarono mano nella mano. Non riusciva a dire nemmeno una stupida parola, ma a volte volte le parole non servono. Se avesse potuto dichiararle il suo amore, lo avrebbe fatto; tuttavia, i sentimenti di lei non erano gli stessi. Reese lo avrebbe sempre considerato come qualcuno da aiutare e un amico su cui poteva contare. Doveva accettare che il loro rapporto non avrebbe mai raggiunto il livello che voleva. Una piccola parte di lui pianse per la frustrazione per quello che non poteva avere ma, per la maggior parte, era felice di poter avere almeno qualcosa da lei. Solo perché voleva che lo amasse, non significava che sarebbe successo. Alcune cose non sono destinate ad accadere e lui e Reese ne erano la prova.
"Ti stai divertendo?" gli chiese.
Doveva essere uno scherzo – non avrebbe mai considerato minimamente divertente quello che aveva fatto con Nolan. "Non fino a questo momento". Dopo il loro ballo, era uscito in fretta per evitare il suo malvagio fratello. Anche se avesse avuto un altro litigio con lui, sarebbe andato tutto bene. Aveva ottenuto quello per cui era venuto e quello era tutto ciò che importava.
"Sono felice che sei venuto" – gli disse Reese – "Pensavo che non saresti venuto. Tutti dovrebbero andare al ballo, anche solo per pochi minuti. Il liceo non dura per sempre e qualche ricordo sarà apprezzato quando invecchieremo". Le sue labbra si distesero in un caldo sorriso. "O per lo meno così mi hanno detto".
"Penso che tu abbia ragione". Almeno nell'ultima frase. "Ma il liceo non è stato proprio piacevole per me. Sto per diplomarmi, ma non mi volterò mai indietro". Alcune cose era meglio dimenticarle e gli anni infernali alla Shelton Academy erano in cima alla sua lista.
"Mi dispiace".
"Perché?" – chiese – "Non sei tu la responsabile".
"Lo so". Aggrottò la fronte. La musica si diffondeva mentre loro seguivano il ritmo. "Ma mi dispiace lo stesso. Spero che un giorno le cose non siano più così difficili per te".
"Va tutto bene". Sentì una sensazione strana al centro del suo stomaco. "Ho un progetto e un giorno niente di tutto questo avrà importanza".
"Mi fa piacere". Il suo viso si illuminò quando sorrise. "Voglio aiutare le persone e diventerò il miglior dottore di tutto lo stato. Sapere cosa voglio mi aiuterà a raggiungerlo, quindi sono veramente felice che anche tu abbia un progetto".
"Perché?" – non poté fare a meno di chiedere – "Cosa importa cosa farò della mia vita?"
Il suo sorriso si affievolì lievemente. "Perché ti guardo e so quanto stai lavorando duramente al ristorante – potresti pensare che nessuno se ne accorga, ma io sì. Nessuno dovrebbe essere così stanco alla tua età. Spero che un giorno sarà più semplice per te".
"No" – rispose – "Quando sarà più semplice, allora sicuramente le cose andranno male. Sto bene, te lo prometto". Non voleva che lei si preoccupasse per lui o per il suo futuro. "Concentrati sui tuoi obiettivi e sarai un medico meraviglioso, come hai programmato. Forse un giorno i nostri cammini si incroceranno di nuovo e possiamo confrontarci".
"Sarebbe meraviglioso, ti terrò al corrente". Il suono della musica iniziò a disperdersi. "Ma per me ci vorrà più tempo rispetto a te, visto che non mi diplomerò prima di due anni. Non dimenticarti di me quando raggiungerai i tuoi sogni".
"Non lo farei mai". Come poteva dimenticarsi di lei? "La canzone è finita. Suppongo che debba accompagnarti al tuo appuntamento". Sperava di non doverlo fare, ma la realtà aveva un modo di insinuarsi quando meno lo voleva.
"Andrò da sola. Grazie per il ballo".
"È stato un piacere". Un nodo si stava formando di nuovo nella sua gola. Non aveva considerato a quanto sarebbe stato difficile lasciarla andare. Lei annuì e si avviò verso il suo fidanzato, non prima di essersi girata a guardare Dane. Invidiava il suo fidanzato più di quanto potesse ammettere. Lo invidiava per avere il beneficio di stare con lei – di amarla liberamente… Il suo cuore l'avrebbe sempre aspettata finché non si fosse dichiarata, ma temeva che lei non lo avrebbe mai fatto.
CAPITOLO 1
Oggi
Reese spinse una ciocca di capelli dietro il suo orecchio e fece un respiro profondo. Era stato un giorno particolarmente duro in ospedale. Amava il suo lavoro, ma alcuni giorni erano più difficili di altri. Lavorare in pediatria era stata un'attenta decisione. Voleva salvare i bambini in modo che potessero vivere una vita lunga e piena. A volte non riusciva a fare quell'unica cosa che doveva fare e, quando aveva perso quelle anime innocenti, era ancora più distrutta. La perdita della piccola Amanda… Una bambina non più di tre anni – doveva essere viva e felice. Perché il mondo era così crudele? Non riusciva a scacciare l'angoscia che si era insinuata dentro di lei.
Aprì la porta più vicina e accese la luce. In qualche modo era riuscita a trovare la sala d'attesa per le famiglie nell'unità di terapia intensiva pediatrica. Non c'era nessun membro della famiglia ad aspettare per sapere se la piccola fosse morta o viva. Il silenzio ed una stanza vuota la salutarono. Le lacrime le scesero lungo le sue guance prima di accorgersi di aver liberato le emozioni che erano nel suo cuore. Come avrebbe potuto credere che sarebbe riuscita a fare quel lavoro? La sua forza interiore non poteva sopportare altri dolori come quello, altrimenti non sarebbe mai riuscita a sopravvivere.
Forse era arrivato il momento di rivalutare i suoi obiettivi di vita. Aveva bisogno di pace e calma, quindi fece l'unica cosa che non aveva mai fatto da quando era diventata un medico. Spense il cellulare, poi lo mise nella sua tasca cosicché nessuno avrebbe potuto contattarla per un po' di tempo e finalmente poteva respirare e prendere una decisione sulla sua vita.
Senza pensarci, si sedette sulla sedia più vicina e pensò a tutto quello che era andato storto e, sì, anche a quelle giuste nella sua vita. Aveva finito la facoltà di medicina prima di tutti i suoi compagni di classe, aveva superato a pieni voti il tirocinio e aveva trascorso il primo anno nella sua residenza ad Envill East. Se avesse continuato su quella strada sarebbe stata in cima al programma e sarebbe stata scelta per la borsa di studio. Sarebbe dovuta essere entusiasta, eppure non lo era. La sua carriera era sulla buona strada; tuttavia, la sua vita personale era un totale disastro.
Un bussare alla porta riecheggiò nella stanza, distraendola dalla sua malinconia. "Dottoressa Jackson?"
Si asciugò velocemente le lacrime sulle sue guance e si girò non appena si sentì chiamare. "Sì?"
"C'è bisogno di lei per un consulto al pronto soccorso – non rispondeva al cellulare…" le disse l'infermiera. Maledizione. L'aveva spento per cinque minuti maledetti. "C'è stato un incidente e il Dottor Sousa ha chiesto di lei – si tratta di una bambina di circa cinque anni".
Un altro bambino, un'altra possibilità di fare la differenza – o un'altra opportunità di fallire… Quale sarebbe stata e, alla fine della giornata, sarebbe riuscita a conviverci? "Arrivo". Reese le passò accanto e si avviò verso la sala d'emergenza, lasciandosi alle spalle la pediatra della terapia intensiva e i cattivi ricordi. Doveva fare del suo meglio per questa nuova bambina e non avrebbe potuto farlo con le immagini che le ronzavano nella testa.
Una volta raggiunta la sala d'emergenza, si avviò verso il reparto delle infermiere. Lana Kelly – Brady – era appoggiata sul bancone, fissando la compressa nella sua mano. Reese non era abituata al suo nuovo cognome. Lana aveva sposato Sullivan Brady più velocemente di quanto tutti si aspettassero ed erano già in attesa del loro primo figlio. Poteva dire solo una cosa di Sullivan – una volta trovato quello che voleva, avrebbe lottato duramente.
"Ren ha bisogno di me?" Reese chiese a Lana. "Dov'è la paziente?"
"È nella stanza quattro" – rispose – "Halie Morris, cinque anni. Molteplici contusioni, sconosciute, il perone rotto, ma non è questo quello che preoccupa Ren".
"Non è già abbastanza grave?" – cos'altro sarebbe dovuto succedere alla piccola per far sì che Ren fosse preoccupato? – "Ha avuto un incidente, giusto?"
"Sì" rispose Lana. "Un conducente ubriaco ha corso al semaforo rosso ed ha sbattuto proprio contro il veicolo in cui era la bambina". Si passò una mano sul grembo mentre parlava, probabilmente pensando al suo bambino. "La madre è già nella sala operatoria. Preston se ne sta occupando".
Era felice che Preston si stesse occupando dell'operazione della madre della bambina. Questo significava che le sue possibilità di sopravvivenza erano aumentate in modo esponenziale, anche se non riusciva a capire quale fosse il vero problema. "Spiegami la situazione di Halie Morris. Cosa preoccupa Ren?"
"La aggiorno io, Lana" – disse Ren avvicinandosi – "Puoi controllare l'autista ubriaco? Si sta svegliando e sarà disorientato".
"Subito" disse Lana e corse a fare quello che Ren le aveva ordinato.
"Quindi?" Reese alzò un sopracciglio. Una risposta alle sue domande sarebbe stata gradita… La sua impazienza stava aumentando.
"Le ferite dell'incidente non sono abbastanza serie da preoccuparsi" iniziò a dire. Si strofinò il viso con una mano e lanciò uno sguardo alla stanza dov'era la bambina. "È quello che ho scoperto dopo averla esaminata. Ha già molti altri lividi che ancora non sono guariti".
Non sembrava una cosa buona, ma molte cose potevano esserne la causa. Poteva avere una malattia o… "Pensi che abbiano abusato di lei?" Che cosa orribile se fosse stato così. Reese non poteva immaginare come potesse essere per la bambina. Sua madre era severa, ma non aveva mai ferito né lei né i suoi fratelli. Rachel Jackson poteva essere esigente, ma sicuramente aveva spronato Reese ad essere la migliore.
In tutti quegli anni non aveva mai messo in discussione l'amore di sua madre. Ovviamente ciò non significa che un bambino che aveva subìto abusi l'avesse fatto. Alcuni di loro avevano persino pensato che fosse giusto il trattamento che aveva ricevuto. Reese strinse le sue dita in un pugno e cercò di mantenere la calma. Odiava l'idea che un bambino potesse essere ferito e, ancor meno, che potesse essere stato maltrattato.
"Spero proprio di no" – Ren sospirò – "È per questo che ti ho chiamato. Vorrei che la esaminassi ed escludessi ogni causa medica prima che io chiami i servizi sociali. Non voglio credere che qualcuno abbia ferito intenzionalmente quella piccola bambina".
"Capisco". Era sposato con una donna che aveva trascorso molto tempo della sua vita in affidamento. Tante famiglie diverse e non tutte erano state buone. Le migliori erano state indifferenti. Se quella piccola bambina fosse stata ferita, allora sua moglie avrebbe voluto aiutarla. Aveva creato una fondazione per i bambini bisognosi. Quel caso poteva essere potenzialmente buono per i Sousa. "Vado ad esaminarla ora". Reese si voltò e andò a controllare la bambina. Non c'era miglior momento come in quel giorno per determinare se una bambina avesse bisogno di essere salvata da qualcosa di più delle sue ferite…
Dane era in piedi nella stanza dell'esame, fissando la piccola bambina sul letto. Era così minuta – come una bambola, sebbene distrutta e piena di lividi, ma pur sempre una bambola. Sperava che il conducente ubriaco che le aveva causato quelle ferite, sarebbe stato giustiziato. Il suo lavoro era quello di servire e proteggere, non avrebbe potuto prevedere tutto quello. Nessuno avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo a quella bambina, eppure in qualche modo non poteva non sentirsi responsabile.
Per l'autista quella non era la prima volta che era finito nei guai. In passato lo aveva arrestato e, da come stavano andando le cose, avrebbe dovuto rifarlo ancora una volta. A volte era inevitabile. Soprattutto quando la persona in questione aveva un problema – Abel Roberts era un alcolizzato. Aveva ricominciato a bere così tante volte che un giorno non era più riuscito a riprendersi. La porta scricchiolò mentre si apriva.
Si girò e trovò all'entrata l'unica donna che aveva sempre amato – Reese Jackson. Ancora non gli aveva prestato attenzione. Non erano cambiate molto le cose negli ultimi dieci anni. Erano andati avanti dopo il liceo, ognuno aveva scelto la propria carriera, ma erano rimasti nella stessa sfera sociale. Cavolo, era persino uscita con suo fratello malvagio. Era stata la peggior cosa che avesse potuto capitargli. Anche tutti gli scherni e le difficoltà che aveva avuto, non erano così dolorosi nel suo cuore come un tempo. Non riusciva a capire cosa avesse visto in lui. Era l'incarnazione del male e, fortunatamente, ora tutti lo sapevano. Nolan era stato arrestato per aver ucciso molte donne e per aver attaccato la sorella di Reese, Claire. Si era accorto da molto tempo che suo fratello era un idiota narcisista, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe diventato uno psicopatico.
"Non pensavo che ci fosse qualcuno qui". Reese non lo aveva guardato nemmeno negli occhi. "Devo chiederle di uscire. Devo esaminare la bambina".
"Non pensavo che il dottor Sousa avesse chiamato una specialista. Pensa che ci sia qualcos'altro che non vada in lei?" Sperava di no. Se fosse stata gravemente ferita più di quanto credesse…
"Cosa stai facendo qui?" Evitò la domanda con una delle sue. "Pensavo che un regolare ufficiale della pattuglia sarebbe stato incaricato dei dettagli di questo caso. Non è abbastanza grosso da poter essere analizzato da un detective".
Dane aggrottò la fronte. Perché si comportava come se volesse aprire una crepa nel terreno e farlo inghiottire? Erano a malapena conoscenti, ma era sempre stata cordiale con lui. Ora a stento riusciva a guardarlo e la sua voce aveva assunto un tono freddo che lo aveva paralizzato. Non gli piaceva la nuova Reese. Voleva che ritornasse ad essere la donna premurosa e cortese che conosceva.
"Sono a conoscenza di tutte le parti coinvolte e volevo controllare personalmente". La madre di Halie – Paige – era stata una sua vicina di casa quando era una bambino. Si erano aiutati reciprocamente così tante volte, più di quanto potesse contare. C'erano state molte occasioni in cui erano rimasti da soli tutti e due, mentre le loro madri facevano due o tre lavori. Paige era come un'amica, insieme al suo partner di servizio, Carter.
"È per questo?" – alzò un sopracciglio – "Quanto bene li conosci?"
"Non so perché me lo stai chiedendo. Forse dovresti sputare il rospo e dire chiaramente cosa pensi".
"Sei suo padre?" indicò la bambina sul letto. La sua voce era quasi priva di emozioni mentre parlava.
Dane guardò Halie e aggrottò la fronte. Aveva il suo colorito, ma non era sua figlia. Anche se però somigliava molto a suo padre – da cui Dane aveva preso i capelli scuri e gli stessi occhi color blu scuro. A pensarci bene, non sapeva chi fosse in realtà il padre di Halie. Infastidiva Reese se fosse lui il padre? Sembrava irrequieta per qualcosa. La sua mano tremava quando era entrata nella stanza. Aveva cercato di non farlo notare, ma lui se n'era accorto lo stesso. Non se ne sarebbe accorto se si fosse trattato di qualcun altro…
"No" – disse in tono calmo – "Halie non è mia figlia. Sua mamma è una mia cara amica".
Reese lo ignorò e si avvicinò al letto. Iniziò ad esaminare la bambina, ma senza toccarla. "Che amica è, esattamente?" Ancora non lo aveva guardato.
A Dane non piaceva nemmeno il suo tono accusatorio – sembrava quasi un'accusa.
"Ancora una volta noto una domanda nella domanda. Possiamo giocare a questo gioco per tutta la notte dottoressa, ma non posso rispondere a quello che sta pensando senza sapere di cosa si tratta". Incrociò le braccia al petto. "Conosco Paige dalla scuola media, prima che mio padre mi mandasse in quell'inferno. È una brava persona".
"Alcune persone sarebbero state fiere per l'istruzione che hanno avuto alla Shelton Academy".
Non gli piaceva l'insinuazione dietro quella frase. Era uscita con Nolan e sapeva quanto fosse meschino per come l'aveva trattato. "Solo quelli che non sanno quanto tutti siano idioti".
"Non ho avuto nessun problema con loro, forse eri tu".
"Sì" – disse sarcasticamente – "Hai perfettamente ragione. Era colpa mia e meritavo di essere il loro sacco da box verbale ogni giorno per quattro anni". L'aveva considerata male in tutti quegli anni? Perché improvvisamente li difendeva e stava iniziando una lotta con lui? Cosa si era perso? Nolan l'aveva plagiata quando erano stati insieme? Scosse la testa, scacciando le domande dalla sua testa. Non importava realmente. Non l'avrebbe mai visto come un suo pari e lo aveva accettato da molto tempo. "Perché continui a guardarmi come se potessi ferire te o qualcun altro?"
"Sei tu?"
"Non ho mai…" Deglutì con forza. Davvero pensava che fosse capace di far del male a qualcuno? "Suppongo che tu abbia un motivo per farmi questa domanda. Perché non me lo dici?"
"Perché questa bambina ha dei lividi che somigliano ad un grande pugno, probabilmente maschile" – alzò il mento – "Quindi dimmi, quanto bene conosci la madre di Halie?"
Merda. Pensava che lui avesse abusato della bambina. Non lo conosceva per niente se pensava una cosa del genere. Cavolo, chi voleva prendere in giro? Reese non si era mai preoccupata di capire chi fosse realmente. L'aveva sempre guardato come un caso caritatevole. Almeno i suoi occhi color nocciola non riflettevano più pietà. Però non le aveva riposto. Era stato salvato dall'inferno oppure si era aperta la porta.
"Ah sei qui" disse entrando il suo partner Carter. Il suo sguardo si posò su Reese. Poi guardò Dane e sospirò. "Anche tu, stavo cercando entrambi".
"Cosa c'è?" – chiese Reese – "Sto lavorando, è meglio per te che sia importante".
"Ho delle cattive notizie…"
A quanto pareva era la specialità di quella giornata. "Spara" disse Dane. "Potresti anche strappare la benda e farla finita".
Carter non si trattenne e disse senza preamboli: "Nolan è scappato".
Cazzo. "Come?"
"Un pullman che lo stava trasportando in prigione si è capovolto una settimana fa. Avevano pensato che fosse scomparso".
Tutto il colorito scomparve dal volto di Reese. Dondolò sui suoi piedi, perse conoscenza, sarebbe caduta a terra se Dane non si fosse lanciato per prenderla. Anche se non si fidava di lui era sempre stato lì per lei. Era così innato in lui che non c'era un altro modo di essere. La prese tra le sue braccia e la cullò. "L'ho presa. Hai parlato con Claire?"
Scosse la testa. "Non risponde al cellulare. Ero già qui, ho pensato che avrei trovato prima voi due. Devo avvertirla…" Carter si tappò la bocca e poi si passò una mano tra i suoi capelli biondi. "Como farò a proteggerle tutte e due? Sono le mie sorelle…"
"Io ho Reese. Va' da Claire".
Annuì e uscì dalla stanza. Dane portò Reese sull'altro letto vuoto della stanza e la distese su di esso. Si era ripresa quasi subito e voleva essere lì a proteggerla – che le fosse piaciuto oppure no…