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Czytaj książkę: «Egitto», strona 4

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CAPITOLO V

DELLE SCUOLE ITALIANE IN EGITTO E DELLA MISSIONE CATTOLICA DELL'AFRICA CENTRALE
Le scuole italiane in Egitto

L'Egitto, fin dal medio-evo, erasi popolato di colonie italiane, come nel resto dell'Oriente, quando l'attività commerciale delle repubbliche marittime italiane, specialmente di Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi aveva sentito il bisogno di stabilire empori pel traffico nell'Oriente.

L'influenza italiana nella contrada dei Faraoni andava prendendo piede, e la lingua pure si diffondeva a tener vivo nelle famiglie italiane l'amore alla patria lontana.

Ciò avveniva facilmente, perchè le altre nazioni di Europa non pensavano ancora a muovere quella persistente concorrenza, che vediamo al giorno d'oggi.

Ma coll'andar del tempo anche gli altri Stati europei volsero i cupidi sguardi su questa terra ed incoraggiarono i loro connazionali a venire a stabilirsi sulle rive dello storico Nilo, per fruire delle ricchezze di una regione fertilissima e metter mano al commercio, che andava sempre più sviluppandosi ed estendendosi tra l'Europa e l'Oriente.

Naturale conseguenza fu la diminuzione dell'influenza italiana; poichè cessata la potenza delle repubbliche marittime italiane, i principati che le surrogarono non pensarono più a continuare la grande espansione coloniale, nè ebbero potenza per proteggere efficacemente i coloni, i quali si lasciavano, man mano, soperchiare dalle altre invadenti colonie, meglio appoggiate dai governi della loro madre patria.

Pur tuttavia la lingua italiana, sorretta dalla tradizione, lottò pel predominio colle altre lingue, specialmente colla francese; ma la sua influenza, pur troppo, andava scemando per molte altre ragioni che non spetta a questi cenni di mettere in luce.

Allora persone stimabili, alle quali stava a cuore il mantenimento e la diffusione della lingua italiana e con essa del sentimento patrio, pensarono di aprire scuole, alle quali provvide la colonia aiutata da un sussidio del governo italiano.

Per più di quindici anni la scuola coloniale italiana prosperò discretamente sotto l'egida e la sorveglianza dell'egregio avvocato Tito Figari e di altri benemeriti personaggi. Prima si istituirono le scuole elementari, le quali, in seguito, alimentarono una modesta scuola tecnico-commerciale, la quale somministrava ai giovani italiani le cognizioni necessarie a carriere commerciali e industriali ed ai bisogni del paese.

Nel 1888 il Governo italiano avocò a sè la scuola coloniale. Ma la direzione centrale, preposta alla sorveglianza delle scuole di Egitto, tanto per la parte didattica, quanto per la disciplinare, per disavventura, non fu nè seria, nè prudente, nè morale; gli scandali si succedevano senza interruzione, scandali che gettavano sulle nostre scuole una luce sinistra e le rendevano oggetto di derisione in faccia agli indigeni ed agli stranieri, e facevano desiderare il ritorno delle scuole alla colonia.

Da qualche anno in qua le cose hanno assunto un migliore indirizzo e ripromettono risultati soddisfacenti.

Le scuole nostre del Cairo vanno, benchè lentamente, acquistando novella riputazione e producono benefici effetti; avvegnachè quasi tutti i giovani che escono dalla nostra scuola commerciale trovano occupazione o nelle banche, o presso Case commerciali, o presso distinti professionisti. Questi benefici risultati andranno sempre aumentando, quando il Governo nostro si persuaderà che in queste scuole della colonia italiana si deve dare gran peso allo studio delle lingue straniere. Non havvi chi non veda la grande importanza della lingua araba, perchè lingua del paese ed una, direi, delle porte principali per adire agli impieghi del Governo egiziano. Viene in seguito la lingua francese, la quale ormai è entrata nel dominio di tutti gli stati civili, come mezzo generale e preferito per le comunicazioni politiche, amministrative, commerciali ecc.

L'occupazione inglese portò la necessità anche dello studio della lingua inglese. Il provvedimento preso dal Ministero italiano degli esteri, al cominciare dal corrente anno, di rendere facoltativo lo studio nelle nostre scuole delle lingue francese ed inglese fu giudicato da tutti inopportuno, perchè si viene a menomare l'importanza e l'efficacia delle nostre scuole. Bisogna una buona volta persuadersi che i nostri coloni, colla sola lingua italiana, non potranno mai conseguire facilmente posizioni rispettabili ed anche discretamente lucrose. Noi vediamo con quanta instancabile solerzia le colonie delle altre lontane nazioni tentano rendersi famigliari le due lingue mentovate, per soverchiare colla più attiva concorrenza gli italiani.

Ora giunge opportuno il momento di fare a noi stessi la seguente domanda: la colonia nostra d'Egitto in tutte queste vicende, in cui trattasi di uno dei suoi più vitali interessi, come pensa, come agisce, come concorre? È debito di coscienza il dichiarare che dall'epoca in cui le scuole passarono al Governo si manifestò nella colonia una specie d'indifferentismo, anche per parte di quegli egregi signori, che prima propugnavano con somma attività ed intelligenza l'incremento delle scuole italiane in Egitto.

Si tentò un giorno di costituire una società per la diffusione della lingua italiana, ma questa santa idea abortì quasi in sul suo nascere.

La manna che deve cibare i giovani i quali hanno volontà di imparare si attende tutta dal cielo governativo; se non si progredisce ne è esso la causa, se l'indirizzo delle scuole non corrisponde ai bisogni odierni ne è lui il colpevole. Con siffatti convincimenti non è possibile ottenere buoni risultati. È necessario che l'azione governativa proceda regolarmente e non a sbalzi, mediante l'attivo concorso dell'elemento intelligente della colonia, che a tempo debito può e deve essere dal Governo interpellato circa i mezzi più acconci per esercitare una benefica influenza, per ottenere dalle nostre scuole i migliori risultati possibili.

Nel Cairo la scuola femminile ha uno splendido locale, che potrebbe capire anche il doppio delle alunne le quali frequentano oggi quella scuola, ma avrebbe bisogno di una migliore organizzazione. Al piano terreno siede l'asilo infantile, ma è troppo ristretto per i bisogni della colonia e gli mancano troppi requisiti per poter essere chiamato Giardino d'infanzia.

Nello stesso locale delle scuole si trovano pure la scuola elementare maschile e la scuola commerciale; ma i locali a loro assegnati sono insufficienti ed in parte non troppo sani.

Comprendo che nella città di Cairo, massime nella parte centrale, torni assai difficile il trovare locali adatti a scuole e se si trovano vengono chieste pigioni esagerate. È cosa dolorosa il veder come la scuola elementare maschile sia costretta, ogni anno, a rifiutare le domande di ammissione di un centinaio circa di giovani per la sola ragione di deficienza di spazio. A tali condizioni di cose è mestieri il provvedere e prontamente, perchè oltre al danno che si procaccia a molte famiglie italiane si ha anche l'inconveniente di soffocare in molti giovani il buon volere di imparare, mentre la scuola elementare maschile dovrebbe essere tale da potere nel suo seno accogliere non solo i nazionali, ma anche, in determinate condizioni, indigeni ed esteri.

Naturalmente i locali destinati alla scuola elementare maschile dovrebbero rispondere a tutte le esigenze della didattica e dell'igiene.

Così si pratica presso le altre scuole straniere. La scuola commerciale poi si può considerare come una derivazione della scuola elementare; se questa vive rigogliosa, anche quella produce risultati soddisfacenti.

In quanto a scuole italiane, oltre quelle dei due grandi centri, Cairo ed Alessandria, ve ne sono pure a Port-Said e lungo l'alto Egitto affidate ai missionari francescani, con sussidio del Governo italiano.

Sempre si deplora che la nostra influenza in Egitto vada di giorno in giorno scemando; ma parliamoci a cuore aperto: non solo al Governo italiano, ma anche alla parte più facoltosa ed influente della colonia spetta l'impedire questa decadenza col proteggere ed incoraggiare le nostre istituzioni.

Solo in questo modo e non altrimenti si potrà tenere alto il nome italiano, mantenendo vivi nella colonia i sentimenti patriottici, i quali si esplicano non con vane parole, ma coi fatti.

Solo in questo modo e non altrimenti si ritornerà a raccogliere i frutti delle gloriose tradizioni della patria nostra, tradizioni che diffusero il nome e la civiltà italiana in quelle memorande contrade in tempi in cui le altre nazioni d'Europa non pensavano che a costituirsi internamente e non ad espandersi colonialmente in altri paesi, come praticano oggigiorno.

Alcune note sulla Missione cattolica dell'Africa centrale

Il Vicariato apostolico dell'Africa centrale venne costituito da Gregorio XVI con Breve 3 aprile 1846 ed ebbe limiti estesissimi. Infatti al Nord confinava coll'Egitto e con Tripoli, all'Est con il Mar Rosso, l'Abissinia e la regione dei Gallas, al Sud si estendeva sino al 12º di latitudine australe, all'Ovest fino ad una retta tirata dal lembo occidentale del Fezzan al fiume Niger, confinando col Vicariato apostolico della costa di Benin.

I primi missionari per l'Africa centrale giunsero a Khartoum l'11 febbraio 1848 e vi fondarono la prima stazione.

Era allora Provicario apostolico e capo della Missione il Padre Ryllo che, assalito dalle febbri micidiali di quelle contrade, soccombette e venne sostituito nella direzione della Missione dal sacerdote e dottore Knoblecher. Khartoum doveva essere la base per nuove fondazioni nei paesi più centrali dei negri.

Nel 1849-50 Knoblecher ed il missionario Vinco raggiunsero il punto estremo toccato dalla spedizione egiziana del 1841, cioè il 4º e 12' di latitudine settentrionale e vi fondarono la stazione di Gondocore nel paese dei Bari. Mentre il Vinco visitava i Bari, ne studiava lingua e costumi ed esplorava il corso del Nilo e dei suoi affluenti, il dottor Knoblecher tornava in Europa per provvedersi di nuovo personale e mezzi per le imprese fra i Bari.

Dappertutto incontrò simpatie ed aiuti. A Vienna ottenne alla sua Missione il protettorato di S. M. l'imperatore Francesco Giuseppe e vi fondò l'Associazione mariana destinata a raccogliere i mezzi necessari. Il numero dei missionari aumenta; dall'Italia, dall'Austria e dalla Germania sacerdoti zelanti volano a Khartoum e sul fiume bianco.

Le tre stazioni di Khartoum, di Gondocore pei Bari, di Santa Croce pei Dinka fioriscono, e gran numero di neri vengono educati nelle diverse scuole.

Grandi furono invero i meriti dei missionari per concorrere all'abolizione della tratta dei negri. Anche per la scienza geografica e linguistica si adoperano con lodevole zelo, ed i risultati delle loro esplorazioni sul Nilo bianco, sul Nilo azzurro, al Fazogl, a Benisciangol, sul Sobat e nel paese dei Ghogh, non che dei loro studî sulle lingue del Nilo bianco, massime dei Dinka e dei Bari, sono registrati negli annali della propagazione della fede di Lione, di Parigi, di Vienna, nei Bollettini delle varie Società geografiche e nelle opere di egregi scrittori.

Ma il clima micidiale impedì lo sviluppo di un'opera così benemerita e minacciò l'esistenza stessa della Missione. Basti il dire che dal 1848 al 1860 ventitrè missionari lasciarono la vita e fra questi gli italiani Vinco, Castagnaro, Oliboni, Melotto (tutti della provincia di Verona), mentre nove ritornarono in Europa colla salute affranta. Fra questi gli italiani Pedemonte, Zara, Beltrame, Comboni, Dal Bosco.

Il 13 aprile 1858 morì il sacerdote dottore Knoblecher Provicario apostolico, il quale aveva diretta la Missione con somma operosità e l'aveva portata ad un notevole stato di floridezza.

A lui successe, come Provicario apostolico, il bavarese Monsignor Matteo Kirchner che fondò la stazione di Scellal presso Assouan (1ª Cateratta); ma continuando la morte a diradare le file dei missionari, monsignor Kirchner fu costretto a consegnare la Missione all'ordine serafico nel 1861. Il nuovo Provicario, Padre Giovanni Reinthaler condusse seco nello stesso anno dall'Europa 34 Francescani, una parte dei quali morirono durante il disastroso viaggio, ed egli pure soccombette a Berber.

In tale frangente la necessità impose di abbandonare le stazioni di Gondocoro e Santacroce sul Nilo bianco, limitandosi a tener quelle di Khartoum e di Scellal.

La Missione si trascinava in una lenta agonia. Durante queste tristi vicende il sacerdote Don Daniele Comboni, oriundo di Limone sul lago di Garda, rafforzatosi in salute, con infaticabile e rara energia guadagnossi l'appoggio di varie Società benefattrici e fondò in Verona un istituto di missionari.

In seguito del che Pio IX affidò a questo istituto veronese il Vicariato dell'Africa centrale e nominò il Comboni Provicario apostolico il 26 maggio 1872; da questo punto comincia una nuova fase per la Missione.

A voler enumerare e descrivere tutti i pericoli, le fatiche, le privazioni e gli stenti sostenuti da Monsignor Comboni durante i suoi viaggi e durante le sue escursioni nel centro dell'Africa dovrei allontanarmi dallo scopo che mi sono prefisso, che è quello di dare semplici cenni sulle Missioni dell'Africa centrale.

Il Comboni ampliò la stazione di Khartoum, fondò quella di El-Obeid nel Cordofan, nel Dar-Nuba quella di Delen, un'altra a Berber, non che due case di acclimatazione nella città di Cairo.

Provvide pure all'educazione delle ragazze indigene del suo Vicariato mediante suore di carità. Con frequenti esplorazioni arricchì la scienza geografica di importanti e preziose scoperte ed era potente apostolo dell'abolizione della tratta dei neri.

In seguito a questi splendidi risultati con Breve pontificio del 31 luglio 1877 Monsignor Comboni venne nominato Vicario apostolico e Vescovo titolare di Clandiopoli.

Le fatiche immense sostenute dall'egregio Vescovo per la propagazione della fede e della civiltà nel Soudan logorarono prima del tempo le sue forze erculee. Soccombette a Khartoum il 10 ottobre 1881.

La morte del primo Vescovo del Soudan preparava per la Missione e per l'intero Soudan un'epoca di tristi eventi che perdurano tuttora. La ribellione del Mhadi e de' suoi seguaci esterminò tutta la fiorente Missione.

Nel giorno 15 settembre 1882 fu devastata la stazione di Delen, i neri cristiani massacrati in gran parte e le suore ed i missionarii condotti in dura prigionia.

La stessa cosa accadde alla stazione di El-Obeid, dopo l'avvenuta capitolazione della città (19 gennaio 1883), mentre la colonia di Malbes era già stata incendiata nel maggio del 1882. Il nuovo Vicario apostolico, eletto il 22 settembre 1882 nella persona di Monsignor Francesco Sogaro, non poteva più fare altro che salvare il personale e la cristianità negra di Khartoum ritirandoli prima a Scellal e poi al Cairo.

L'opera del Sogaro si diresse specialmente verso due obbiettivi: liberare i prigionieri e riorganizzare la Missione.

Con indicibili sforzi ed enormi sacrifizi di danaro, coadiuvato dal Governo egiziano, dagli inglesi e dalle altre potenze che hanno colonie in Africa, Monsignor Sogaro, mediante disegni combinati con un intelligente ufficiale superiore inglese, colonnello Wingate, riuscì a liberare successivamente i seguenti prigioneri: Padre Luigi Bonomi nel luglio del 1885; le suore Fortunata Quascè e Maria Caprini sul finire dello stesso anno; un fratello laico nel 1887; il padre Giuseppe Ohrwalder e le suore Caterina Chincarini ed Elisabetta Venturini nel 1892; e finalmente nell'anno scorso l'ultimo sacerdote prigioniero, padre Paolo Rosignoli di Frascati. Un sacerdote (Teologo Giovanni Losi), tre suore e due fratelli laici morirono in prigionia.

Intanto monsignor Sogaro, fatto vescovo di Trapezopoli nel 1885, usò del suo tempo per fondare una stazione dotata di scuole a Suakin, una colonia agricola per la protezione degli schiavi a Ghesir presso il Cairo, ed una parrocchia con annessa scuola a Héluan.

Il padre Bonomi da parecchi anni funziona da cappellano militare presso la Colonia Eritrea all'Asmara. Nello stesso anno 1885 il Sogaro, con superiore approvazione, tramutò l'istituto veronese in congregazione religiosa, affidandone la direzione alla Compagnia di Gesù, e nel 1894 per rinuncia spontanea a Vicario apostolico dell'Africa centrale fu nominato Arcivescovo titolare di Amida ed in sua vece venne nominato a quell'ufficio monsignor Antonio Roveggio appartenente alla sopranominata Congregazione religiosa, e così il Vicariato apostolico del centro africano passò nelle mani dei Gesuiti.

Nella casa di acclimatazione del Cairo ho conosciuti i padri Geyer, Rosignoli, del quale sono note le vicende della sua lunga cattività e della sua meravigliosa liberazione, ed il reverendo Colombaroli, intelligente ed ardito missionario che recentissimamente diede alle stampe alcune nozioni sulla lingua della tribù dei Sandeh (Niam-Niam), gente antropofaga, colla quale il Colombaroli era riuscito ad avere qualche rapporto durante la sua dimora nelle regioni centrali del continente nero, e specialmente a Delen, fra i Nuba, situata sulla sponda occidentale del Nilo bianco e che era la stazione più meridionale, che esistesse in tutta la Missione.

Prima del Colombaroli lo Schweinfurth, uomo colto e di mente versatile, nell'esplorare le fantastiche, smaglianti e caratteristiche foreste dei Niam-Niam o Sandeh, come essi stessi si vogliono chiamare, aveva raccolta una ricca messe di vocaboli della loro lingua; ma le sue note andarono perdute nel terribile incendio che distrusse le sue capanne nella Zeriba (recinto) di Sabbi.

In seguito il Casati, ardito viaggiatore, riuscì a raccogliere centoventi vocaboli della lingua dei Sandeh, i quali fanno parte del gruppo delle popolazioni che abitano la regione equatoriale. I Sandeh, divisi in numerose e potenti tribù, occupano la parte più meridionale della regione equatoriale, distinta pure col nome di paese delle riviere per gli innumerevoli corsi d'acqua che, attraversandolo, versano le loro acque nel Nilo bianco ed anche nel fiume Congo. Questa mescolanza di acque dei due grandi bacini del Nilo bianco e del Congo si verifica, perchè lo spartiacque fra questi due fiumi è, in alcuni punti, leggermente accentuato.

Lo Schweinfurth dice: Il viaggiatore che arriva fra i Sandeh o Niam-Niam non può a meno di essere colpito dalla differenza che riscontra fra questa e le altre popolazioni della regione equatoriale.

I caratteri che presentano i Sandeh sono talmente spiccati da riconoscerli immediatamente, se frammisti con altri equatoriani; e questi caratteri sono di tale natura da renderli i più notevoli fra tutte le circonvicine popolazioni.

Essi hanno la pelle nera con riflessi rossi; occhio grande e tagliato a mandorla; guancie poco prominenti; capelli lanosi sì, ma finissimi e spesso lunghi, scendenti in treccie, che ondeggiano sulle spalle; lo sguardo pieno di fuoco. Amantissimi della caccia, si cibano specialmente di carne.

Carne! carne! è la loro parola d'ordine; carne! carne! è il grido delle loro danze; carne! carne! è il loro grido di guerra, che getta il terrore fra i neri, perchè i Sandeh, come le popolazioni a loro vicine e quelle del bacino del Congo, sono cannibali.

Fa senso il vedere uno di codesti guerrieri in pieno assetto, colla lancia in una mano, nell'altra lo scudo ed il trum-bash (arma da getto in ferro con diverse lame acuminate e ad orli taglienti), la daga alla cintura, le reni avvolte in una pelle di fiera, da cui pendono code di animali diversi, il petto e la fronte ornati di denti luccicanti, trofei di caccia o di guerra, lo sguardo scintillante sotto folte sopracciglia, e si comprende nel vedere questo cannibale avanzarsi con aria imperterrita, colla bocca semiaperta guarnita da due fila di denti a punta, l'effetto che essi hanno dovuto produrre sullo spirito impressionabile dei Nubiani.

Alcuni scienziati pretendono che i Sandeh si avvicinino di più alle genti di tipo caucasico, come gli Egiziani e molte altre popolazioni dell'Africa orientale, che non al tipo negroide; altri scienziati impugnano questo giudizio. Non è mio compito l'entrare in tali controversie etnografiche.