Czytaj książkę: «Scritti editi e postumi»
AI GIOVANI
Erkenne erst, mein Sohn, was er geleistet hat,
Und dann erkenne, was er leisten wollte.
Goethe.
Gli scritti in parte editi, in parte inediti, raccolti in questo volume, sono l'unico indizio ch'oggi ci avanzi d'una santa anima che passò, alla quale Dio aveva largito tanto tesoro d'amore da benedirne un'intera generazione, e che gli uomini e i tempi costrinsero a riconcentrarsi in sè stessa: sono il profumo d'un fiore calpesto da molti, inavvertito dai più, al quale mancarono l'aria e il sole, pur nondimeno sacro e bello di divina bellezza a quanti adorano nella povera modesta rosa dell'Alpi un simbolo di poesia, e dell'eterna vita che Dio diffonde, a conforto e promessa, anche fra i geli dell'inerzia e le nevi dello scetticismo.
E l'inerzia e lo scetticismo dei più fra' contemporanei avvelenarono di sospetti mortali, e di dolori tanto più gravi quanto più solitari, l'anima e la vita di Carlo Bini, e condannarono le facoltà di un intelletto nato potente a non rivelarsi se non per getti brevi e spezzati; note d'una melodia, che, a svolgersi ricca com'era, domandava la terza, e non l'ebbe. Io qui non parlo di scetticismo religioso: parlo dello scetticismo letterario sociale, conseguenza quasi sempre del primo, che ha esiliato tra noi come per ogni dove la poesia in un angolo del creato, e l'ammira a patto che non n'esca a diffondersi sulla vita; che ha impiantato sul dualismo dell'epoca in oggi morente il dualismo della pratica e della teoria; che applaude sorridendo, come a giuoco di ginnastica intellettuale o a visioni di anime illuse, all'adorazione dell'Ideale, alla religione del sacrificio, dell'aspirazione, dell'entusiasmo, al culto attivo, incessante, dei forti pensieri, dell'immense speranze e dell'avvenire: dello scetticismo che giudica freddamente com'opera d'arte l'espressione scritta col vivo sangue del core d'un dolore profondamente sentito, d'un desiderio ch'è forse il segreto di tutta una vita: dello scetticismo che, per cancellare nel Poeta l'uomo, ha inventato in questi ultimi anni l'artista. E dico che questo scetticismo, oggi ancora prevalente in Italia, condannò Carlo Bini al silenzio. L'anima sua pura, vergine d'ogni ambizione, ritrosa alla lode fino a sdegnarsene, abborriva dall'idea del letterato di professione. L'Arte gli pareva, ed è, l'espressione per simboli del Pensiero d'un'Epoca, che si fa legislazione nella Politica, ragione nella Filosofia, sintesi e fede nella Religione: per lui lo Scrittore, il Poeta, era, com'è per noi, l'apostolo, il sacerdote di quel pensiero, l'uomo che traducendolo in forme, immagini ed armonie particolarmente simpatiche, commove il popolo dei credenti a tradurlo in azione. Ma quand'ei cercava, guardandosi attorno, il popolo di credenti che dovea costituirlo Poeta e Scrittore, ei si ritraeva atterrito. Ricordo le parole ch'ei rispose con voce di mestizia ineffabile a me che andava spronandolo: «perchè non scrivi?» mentre viaggiavamo, nel 1830, a notte innoltrata, sulle alture di Montepulciano: «per chi scrivere? chi crede in oggi?» Fu l'unica volta ch'ei mi parlò, quasi forzato, il suo segreto, e lo stato dell'anima sua. Più tardi, e come s'ei temesse di calunniare i suoi fratelli di patria, andava innocentemente tentando d'ingannare sè stesso e gli altri sulle cagioni del suo silenzio, e diceva, «ch'ei s'era esplorato abbastanza e non si sentiva capace di lunghi importanti lavori.» Ma un eco di quel grido del povero amico suona tuttavia a chi sa intenderlo per entro ad alcune delle poche cose ch'egli dettò, segnatamente nella poesia sull'Anniversario della nascita. Quel canto, ch'egli scrisse col presentimento avverato di una morte precoce, è la condanna la più energica ch'io mi sappia del dubbio che s'abbarbicò negli anni più giovani, quando l'ali son più ferme al volo, all'anima sua, e la stancò innanzi tratto in una guerra muta, interna, incessante, fra il desiderio che la chiamava ad espandersi e lo sconforto che la dissuadeva. Ma quel dubbio d'onde venne? D'onde venne a Bini, ditemi, quella esperienza ch'egli chiama la morte del cuore?
Carlo Bini era nato potente; ma il segreto della sua potenza stava, per quanto a me fu dato conoscere, nella commozione. Le armonie che vivevano perenni nell'anima sua avevano, per sciogliersi in suoni, bisogno, come la statua di Memnone, d'un raggio di Sole sorgente. Il suo era ingegno d'Apostolo, non di Profeta. Temprato a sentire la vita nelle sue menome manifestazioni, nelle sue relazioni più delicate, con un cuore traboccante e assetato d'amore, con una mente pronta ad afferrare il Bello, il Grande, il Vero, dovunque apparissero, e a venerarli e a ispirarvisi, Bini avea più ch'altri bisogno, a rivelarsi qual era, d'armonia, d'equilibrio fra l'io e il mondo esterno, fra le tendenze ingenite in lui e il mezzo, l'elemento, in che dovevano manifestarsi: la solitudine dell'anima gl'intorpidiva a inerzia le facoltà. In mezzo a un gran Popolo, davanti a un gran fatto, in faccia a una grande Idea incarnata in pochi individui santi d'amore e di sdegno, di pensiero e d'azione, le potenze che nel sopore comune gli dormivano dentro, si sarebbero suscitate tutte in un fremito di volcano, e avrebbero operato in modo da lasciare ai posteri ben altra memoria di sè che non questa: in una società pigmea d'affetti e d'azioni, com'è – perchè non dirlo? – la nostra, Bini non trovava simboli e immagini a' suoi concetti, e quasi pauroso di profanarli si tacque. Egli era come quegli augelli, che sotto un cielo sereno empiono l'aria di bei concenti e nella maremma ammutiscono. Forse, un solo essere, uomo o donna, che gli avesse detto: – «tu soffri; che monta? Dio t'ha fatto per questo: i patimenti sono le sue benedizioni. Dio non t'ha creato per te, ma per gli altri. Soffri e persisti: persisti s'anche tu vedessi calpeste dagli uomini le idee che ti fervono dentro: persisti davanti alla morte: persisti davanti alle delusioni ben più terribili che non la morte. Guarda in alto e nel tuo cuore, e dentro ai sepolcri dei Grandi passati; non altrove. Cos'è il mondo d'oggi per te? Dio non t'ha detto: specchiati negli uomini che ti stanno intorno – ma – va, ama, predica e muori. La mia Legge è il tuo cuore: ivi sono le stelle de' tuoi destini:» – avrebbe salvato Bini dallo sconforto; certo, ei si sarebbe prostrato davanti a quell'essere, e rialzato meno infelice e più grande. Ma quell'ente ei non l'ebbe. Non che gli mancassero amici; ma i più si tenevano da meno di lui, e non s'attentavano d'ammonirlo; i pochi che lo avrebbero osato, gli vissero lontani e raminghi; nè parole siffatte riescono efficaci, se non quando sono pronunziate, nei momenti d'abbattimento supremo, col bacio dell'amante o colla stretta di mano dell'intima fratellanza. Bini, circondato di simpatia, d'ammirazione, d'affetti modesti e ineguali ai bisogni dell'anima sua, visse e morì solitario. E in questo isolamento morale al quale egli non era nato, ma pur sentivasi condannato irrevocabilmente qui sulla terra, cominciò l'incertezza sulle proprie forze, cominciò il dubbio sull'importanza della vita, cominciò la lenta etisia dello spirito che lo consumava fin da quando io convissi, or sono tredici anni, parecchi giorni con lui. Tra le abitudini prepotenti d'un'analisi venuta a disciogliere e i barlumi d'una sintesi nuova, tra le vecchie tristi dottrine, che insegnavano una vicenda alterna inevitabile di vita e di morte in tutte le umane cose, e la filosofia religiosa, che annunziava l'eterna progressione ascendente dell'Umanità collettiva in un vasto piano d'educazione assegnato dalla Provvidenza, l'intelletto di Bini, tendente per potenza intrinseca e per tutte le aspirazioni del cuore a quest'ultima, ma sconfortato dalle incertezze che regnano in tutti cominciamenti, e più dal contrasto visibile fra l'Ideale intravveduto e gli uomini che doveano rivelarlo in azione, invocava, a decidersi, un segno. Pronto a dedurre con un vigore non comune di logica le più remote conseguenze d'un principio, e avvezzo da molto a conformare, non per sistema, ma per natura, gli atti della vita alle credenze dell'intelletto, ei si sentiva dalla contemplazione delle generazioni contemporanee tratto a dubitare della verità dell'Idea. E allora, quand'ei non vedea più per chi sagrificarsi o per che, la vita gli sembrava un problema insolubile quando non una trista ironia, e tutte cose gli si tingevano a nero. Un riflesso di questa guerra tra l'intuizione dell'avvenire e la conoscenza anatomica del presente, che s'agitava dentro lui tormentosa, continua, gli pareva, quand'io lo conobbi, sul volto. La sua calma era calma di vittima: il suo sorriso, dacchè ridere nol vidi mai, un sorriso d'esule, de' più mesti ch'io m'abbia incontrati.
Poi vennero, – perch'io degli ostacoli materiali, della povera fortuna, degli affari di banco a' quali la carità della famiglia lo strinse, cose tutte ch'egli avrebbe superato, non parlo, – vennero le delusioni individuali, le delusioni che incanutiscono la chioma e l'anima innanzi tempo; la morte d'una fanciulla amata; amicizie di molti anni senza colpa perdute; tentativi, su' quali tutte le speranze della vita s'erano poste, falliti; e gli uomini venerati un tempo come insegnatori scaduti fin dove comincia il disprezzo, e l'entusiasmo creduto poc'anzi di fede scoperto entusiasmo di sola e spesso egoista speranza, e le visioni dell'anima vergine date da quei medesimi che primi le avevano accarezzate al ludibrio d'un materialismo crescente cogli anni, allo scalpello inesorabilmente feroce del calcolo: storia tristissima e di molti fra noi. Carlo Bini uscì dalla prova vincitore, ma esausto: credente, e lo dico con gioia, nella fede in che noi crediamo, ma disperato del presente, di molti anni avvenire, degli uomini che gli formicolavano attorno, e della propria vita terrestre. «Sono, – egli mi scriveva il 16 agosto 1842, – sono un vecchio edifizio tutto franato, e non mi resta che un cuore tutto rughe e pieno di morti, e sull'estremo orizzonte dell'avvenire ho l'ospedale, dove pur non mi soccorra la morte di cui ho in mano una buona caparra. Nè mi manca la fede nei principii; e sebbene spesso la senta svenire e quasi estinguersi, sebbene spesso una crudele ironia mi sferzi lo spirito e lo faccia ammattire, questa fede la sento rinascere più ostinata e più verde; ma non credo in me e negli uomini che compongono l'epoca, – e compiango a lacrime di cuore quegli infelici che hanno immaginato di alzare un monumento con siffatti materiali, quegli infelici cui la natura gettò sull'anima il cilizio d'una volontà forte e perpetua, destinata ad abbracciarsi e lottare e logorarsi coll'impotenza. Io li compiango questi infelici, e nel tempo stesso li invidio, perchè almeno avendo tenuto fermo nella strada che scelsero, quando pure non giungano a nessun termine, avranno la coscienza di aver fatto il proprio dovere e morranno senza rimorsi. Ma molti, ed io primo fra tutti, non potremo morire senza rimorsi!» Povero Carlo! chi scrive sa meglio d'ogni altro che tu potevi morire senza rimorsi.
Bini sdegnò d'essere letterato, ammirato da letterati. I pochi scritti ch'egli dettò, tutti a quanto io mi so senza nome, sgorgarono non da disegno premeditato, ma da circostanze imprevedute che gli suscitarono a tumulto le potenze del cuore. Puri d'ogni affettazione di lingua o di stile, caldi senza indizio di sforzo, candidi, ingenui, ritraenti del fare di Sterne, scrittore dei prediletti da lui, ma di Sterne con tutte le idee, con tutti gli affetti del XIX secolo, a me rendono immagine viva del suo sorriso; sorriso, come dissi, mestissimo, ma pieno di pietà e d'amore, senz'ombra di riazione, senza vestigio delle molte amarezze patite. E rimarranno, cari a tutti come la promessa, inadempita per colpa dei più fra noi, d'un ingegno originale e potente; preziosi a noi pochi che lo conoscemmo e non lo dimenticheremo mai più, come il ricordo d'una vita la più incontaminata, la più virtuosa, che ci sia stato dato d'incontrare in questi ultimi anni.
Condannato dalla fortuna a occupazioni dalle quali si ribellavano tutte le tendenze dell'animo suo, affannato dal desiderio d'un Ideale ch'ei disperava di raggiungere in terra, roso, – e questo è tormento che i più negano, e nessuno forse, se non chi lo prova, può intendere, – dalla potenza che gli fremeva dentro e rimanevasi, per disconforto dell'Oggi, inoperosa al di fuori, Carlo Bini tra l'esser frainteso o profanato nell'espressione del suo pensiero, scelse il silenzio; ma lo ravvolse di tanta dignità, che parve, a chi lo conobbe dappresso, più eloquente d'ogni parola. Non si lagnava; avido d'amore, sdegnava il compianto; fors'anche lo tratteneva il timore di aggiungere, snudando le proprie piaghe, allo sconforto dell'anime giovani, che guardavano in lui ed erano men forti a reggere che non la sua. La sua era di quelle che s'affinano nella sventura. Tutta la vita sottratta all'intelletto di Bini si riversava nel cuore; nè, s'egli avesse trovato l'esistenza simile fin da' primi suoi giorni a un letto di rose, avrebbe potuto mostrarsi più affettuoso ai viventi che s'abbattevano in lui. Dall'attività d'amico ch'egli più anni addietro, spiegò per giovare, nelle strette d'una crisi di povertà, chi scrive codeste pagine, fino alla traduzione dal Tedesco ch'egli imprese poco tempo innanzi la morte, e quando il male che ce lo rapì lo travagliava minaccioso, per soccorrere col ricavato della vendita a un conoscente, io potrei citare una serie d'atti tali e tanti da onorare qualunque vita; ma non li cito perchè mi parrebbe offendere la santità del pudore ond'ei ricopriva le belle azioni della sua vita: ei benediceva, come soffriva, tacendo. Non so quanti vivano grati a Bini per aiuto, consiglio o conforti; son certo che non esiste un sol uomo il quale possa dolersene. Tendente al frizzo, s'adoprava continuo a correggere la natura, e lo temperava di tanta benevolenza che nessuno poteva patirne o adontarsene: intollerante e santamente sdegnoso solamente all'ipocrisia. Lento, ma tenacissimo, negli affetti, non li tradì mai per tempo, lontananza, o vicende: tradito egli stesso, rispettò il passato e non rispose che col silenzio. Serbò, perseguitato, contegno virilmente decoroso dell'uomo che dal primo all'ultimo anno della sua vita avea, com'egli stesso scriveva, «segnato una linea retta nella via dell'onore;» e tra pericoli, de' quali nè egli nè altri poteva segnare i limiti, andava cacciando sulla carta, con una quiete di bambino accarezzato, linee di tanta innocenza d'amore alla Madre, che paiono scritte da un'anima di fanciulla con una penna tolta all'ala d'un angiolo. Delle sue opinioni non parlo: le più importanti trapelano a chi sa intendere anche dai pochi scritti raccolti in questo volume. Amava religiosamente la Patria; nè, rara dote nei tempi nostri, mutò mai: migliorò; – come un bel cielo al tramonto, le facoltà del suo cuore andarono via via rasserenandosi quanto più egli s'accostava all'ultimo giorno. L'ingegno pronto ed acuto, l'osservazione diligentissima, il senso ch'ei possedeva squisito del Bello sotto qualunque anche poverissima forma si presentasse al suo sguardo, la singolare facilità con ch'egli potea trapassare dalle corde dell'onesta letizia a quelle della commozione più profondamente patetica, una insolita dolcezza di stile, e l'anelito all'Infinito, e l'anima nata ad amare e inchinatissima alla pietà, avrebbero forse in altri tempi fatto di Carlo Bini il Gian Paolo Richter dell'Italia; ma egli non avrebbe mai potuto scrivere a chi lo conobbe, libro migliore della sua vita.
Morì côlto d'apoplessia, il 12 Novembre 1842 nell'età di trentasei anni1, dopo quaranta ore più che di agonia di letargo, in Carrara, dov'ei s'era per affari recato. Ma le sue ossa, trasportate devotamente per voto di tutti ed opera degli amici a Livorno, riposano dov'io forse non potrò mai più visitarle, a Salviano, nel cimitero.
Nè gemo per lui; perchè gemerei? Il suo pensiero gli sopravvive, più potente a spandersi invisibile dal mondo migliore, ov'egli soggiorna, tra' suoi fratelli di patria; ed egli è salito a vita meno infelice e più pura. Gemo per noi che abbiamo perduto un amico, e non siamo certi fino all'ultimo giorno di meritar di raggiungerlo: gemo pei giovani che avrebbero potuto abbandonatamente specchiarsi e fidarsi in lui, e ai quali son tanto rare in oggi siffatte guide. E gemo dal profondo dell'anima pensando alle tante anime mie sorelle, simili a quella di Carlo Bini, che onorerebbero d'opere generose e di nobili scritti l'Italia, e si consumano, mentr'io scrivo, ignote a me, ignote a tutti, nel tormento d'un'impotenza decretata dai tempi, dall'egoismo ognor più invadente, e dall'inerzia vostra, o Italiani. Provvedete a quest'anime, o Giovani: è Bini che prega per esse. Voi avete dato onore d'esequie solenni e di tomba alla sua spoglia mortale: sia con voi il suo spirito e fate del vostro cuore un santuario della sua vita. Operate come se aveste raccolto in voi l'alito estremo del pensiero d'amore che lo animava. Educatelo devotamente attivi e diffondetelo sulla terra che Bini piangeva caduta. Amate la Patria come ei l'amava: ribeneditela d'entusiasmo, di fede, di Poesia: preparate ai vostri ingegni privilegiati quel popolo di credenti che Bini invocava. Oggi, comunque facciate d'abbellirle e onorarle, l'Angiolo dello Sconforto siede sulle tombe de' vostri cari, e la voce che noi moviamo per essi, e dovrebbe innalzare in religiosa lietezza l'inno della nuova vita, suona lamento inconsolabile e amaro.
PRIMA PARTE.
SCRITTI ORIGINALI
MANOSCRITTO DI UN PRIGIONIERO
– 1833 —
You smile? t'is better thus than sigh.Byron.
V'è più ragione di ridere quando sei in fondo, che quando sei in cima; – almeno tu non temi più di dare la balta. Il riso dell'uomo felice può essere smentito da un punto all'altro. La Fortuna non fa contratti perpetui con nessuno. Il suo corso è a spirali, e non rettilineo. Oggi t'abbraccia, e ti mette sul capo un diadema; dimani ti taglia la testa, e la dà per balocco all'abietto, che faceva da sgabello ai tuoi piedi.
Epigrafe, che va per conto mio.
CAPITOLO I
Il cervello dell'uomo appena è in istato di esercitare le sue funzioni può rassegnarsi in tre scuole. Di queste una infallibilmente ne conoscete, – senz'altro le conoscerete anche tutte, perchè non sono arcani di astronomia; – son cose semplici, e dappertutto si sentono dire. Io nondimeno, a scanso di equivoci, mi stimo in dovere di nominarvele tutte e tre, secondo l'ordine naturale in cui giacciono fino dal principio dei secoli. Elle pertanto sono queste:
Scuola della Fede;
Scuola del dubbio;
Scuola dell'Incredulità.
E in una di queste tre, suo malgrado o no, ha da rassegnarsi il cervello. La prima è più frequentata di tutte; – la seconda più della terza; – quest'ultima ha un numero bene scarso di alunni. Il locale stesso è sì angusto, che non potrebbe capirne una folla, – e per entrarvi ci vogliono certi dati requisiti, che non son comuni. Sic se res habet. V'è chi crede in tutto; v'è chi dubita di tutto; v'è chi non crede in nulla. V'è chi crede, che il Sole abbia gli occhi, il naso e la bocca come abbiamo noi; – v'è chi dubita, che il Sole non sia di fuoco, ma una massa enorme di ghiaccio; – vi sono certi pochi disperati, che non credono in nulla, – nè anche nel sasso dove urtano, – nè anche nell'acqua che li bagna. – La verità dove siede? – Di grazia, vi prego, non fate a me questa dimanda, perchè non saprei di dove cominciare a rispondervi. Quello che è vero, ogni scuola la pretende esclusivamente nel suo ricinto, – e le ha destinato un bel seggiolone a bracciuoli, dove non ci si vede mai nessuno a sedere. Ma tutte le scuole vi spiegano il fenomeno in questa guisa: non si può negare, voi non vedete nessuno, e noi non vediamo nessuno, – ma v'è la sua propria ragione; – la Verità è un ente invisibile. Forse la Verità imita il Congresso degli Stati Uniti d'America, che tiene le sue sessioni ora in questa, ora in quella città, regolandosi con una giusta vicenda.
Io per cominciare ab ovo, come dicono i retori, primamente entrai nella scuola della Fede palpando l'ombre come cose sensibili, fino a che il tatto educato dall'uso non uscì d'inganno. Allora protestai nelle debite forme, – tolsi commiato il meglio che seppi, e mi diedi alla scuola del Dubbio. Non operò la stanchezza, o il capriccio: furon la coscienza e il puntiglio, che mi fecero divorziare colla Fede. La Fede me ne aveva fatte troppe delle fusa torte, e troppo manifeste. Mi dava una cosa per bianca, e al riscontro era bigia; – e quanto spesso, per cagion sua, invece d'uno ho dovuto far due viaggi, ho dovuto fare un conto due volte!
Un tempo io mi dava a credere, che un effetto solo e determinato fosse prodotto sempre da una causa sola, determinata, immutabile. Un tempo io lo credeva, – e la Logica anch'essa mi accennava col capo ad una certa distanza. A me pareva allora che volesse darmi ragione, – e forse invece voleva dirmi di no.
Oggi il mio credo è sensibilmente variato quasi in tutti i suoi articoli, e tale è il frutto degli anni. Ma son io più felice? Siete voi più felici, voi, che aspettaste con tanto anelito il benefizio del tempo? – Gli anni mi hanno guarito di certe poche malattie, che non mi facevano nè bene nè male, e mi hanno guarito di più altre malattie, che mi facevano meglio della salute. Ora me ne accorgo, ma è tardi, – e poi quel che è stato doveva essere. Gli anni, non contenti che il pomo dell'Asfaltide fosse pieno di cenere, gli hanno voluto rapire la lusinga di una scorza lieta di bellezza e di luce. Oh! la dottrina degli anni! io la lascerei volontieri a chi la vuole, se il Fato non me l'avesse imposta come una camicia di forza. La dottrina degli anni smuove il cuore dal suo centro portandolo verso la testa. È una dottrina severa, geometrica, che cammina per terra colle mani e coi piedi, e dal tetto in su non vede altro che nuvole, e le stima buone solamente a far piovere.
Ma veniamo al dunque. – Io voleva dire, che un effetto solo non dipende sempre da una causa sola: anzi spesso può dipendere da due cagioni diametralmente opposte fra loro. – Un fulmine può scoppiare a ciel sereno, – può scoppiare in burrasca. – Non so se in Fisica regga; ma l'ho detto così per dare un certo rilievo al mio disegno, – e in ogni caso sapete dove trovarmi; – io son qua per le debite scuse. – L'uomo può andare in prigione per i suoi meriti, exempli gratia per un furto, – etiam può andarvi per un qui pro quo. Un qui pro quo non è cosa da pigliarsi a gabbo; alle volte, è vero, può farvi ridere; – sovente ancora può farvi corrugare la fronte. Un qui pro quo può mettervi al fatto d'un segreto, che non avreste mai sospettato; – può dare e toglier l'ale a una vittoria; – può mandarti in prigione, e viceversa può farti vescovo.