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Czytaj książkę: «Novelle», strona 7

Czcionka:

Un gran conforto pur ebbe ella: grande per sè stesso, grandissimo poi per la speranza che se n'avesse a riaccender l'amore male spento del marito. Dopo parecchi anni d'infecondo matrimonio, ella era incinta. A malgrado dell'abito preso di tacere ed affogare i proprii affetti, pur non potè, dandone novella al marito, non prorompere in uno scoppio di pianto, buttandosi nelle sue braccia. Nè egli potè non aprirle, e poi strignerla con un moto e un affetto che a lei parvero, e forse furono vero amore; o che quel pianto primo e solo rimproccio di lei, e quanto tenero in quell'occasione! isse a ricercare in fondo al cuore gelato le ultime scintille di affetti buoni; o che anche l'uomo più freddo, più insensitivo, e, per così dire, più sasso, sia come sforzato ad un pietoso amore verso colei che gli dà quella nuova a lui tutta gioia e speranza, a lei principio di dolori, di fatiche e di pericoli, con piacer pure portati per amore di lui. Ed era tanto maggiore il piacere di Manfredi, che la pena della infecondità di lei eragli accresciuta da quella superbia e quel senso di propria importanza baronale, che gli faceva stimare quasi pubblica calamità il non avere successore del proprio sangue. Tuttavia nè la riconoscenza, che sempre è poca cosa in un cuor per natura o corruzione dappoco, nè l'amor rinnovato, nè niuno buono sentimento durarono in lui gran tempo. Margherita erasi valuta di quell'istante per domandar al marito di ritornar con esso lui al castello, e rimanervi durante la gravidanza ed il parto. Manfredi aveva acconsentito d'andarvi, e data speranza di rimanervi: ma anche in quell'istante d'involontaria tenerezza, temendo d'impegnarsi troppo, aveva tolto pretesto di negozii o che so io per non promettere: ed ella, usata sempre ad accontentarsi di ciò che le era dato, era così partita seco, e poi stabilitasi meno disconsolata al castello.

Ed egli o per vergogna o per riguardo rimasevi pur più a lungo del solito. Ma non reggendo al vizio preso, in capo a pochi mesi sfuggì, e lasciolla di nuova sola. Allora, perchè, infermiccia com'era, non s'ardiva a cavalcare per tenergli dietro, e l'abbandono poi le si facea tanto più crudele, quanto meno l'avea sperato; ella ammalò. E forse poi con un poco di quell'artificio che la più semplice, donna usa a richiamarsi appresso il suo amore, ella ne scrisse al marito; e 'l marito, benché mal volentieri, tornò, e più mal volentieri rimase fino al momento che ella più che mai rifinita pur gli partorì una bellissima fanciulla. Manfredi parvene come ingannato o beffato, e mostrò essere di quelli, che finchè hanno figliuole sole, assolutamente non credono aver figliuolanza. Il qual sentire, quantunque innaturale, pur troppo sovente cape ne' cuori affazzonati di alcuni padri; in cuor di niuna madre non può, troppo essendo dalle medesime pene insegnato loro essere l'un parto non dissimile dall'altro. E talor anzi, principalmente le donne infelici nel marito, sperano più felicità da una figliuola, che s'immaginano come compagna e consolatrice, che non da' figliuoli cresciuti a somiglianza del padre. Con le quali speranze Margherita s'andava consolando delle pene antiche e nuove, quando lo scellerato (perché oramai parmi meritasse tal nome) scelse appunto quell'istante a dargliene una troppo più crudele d'ogni altra. Nè era la prima volta che avesse pensato a chiamare al castello le gioiose brigate di compagni e di donne, che troppo gl'incresceva lasciare, ed a cui gli premeva compiacere con questo variato divertimento. Ma fin allora Margherita, così facile a soverchiare ed opprimere in ogni cosa, era pure riuscita a difendersi, e, per così dire, a rispingere i nemici da quel ridotto, quell'estremo rifugio d'ogni donna tradita, l'albergo coniugale. Allora poi, accendendosi tanto più forte quanto più erano state represse le male voglie di Manfredi, e valendosi dell'occasione che la donna era confinata al letto, con un pretesto tal quale le annunciò l'arrivo d'una numerosa brigata, fra cui erano più d'uno di quegli oggetti della gelosia di Margherita. Margherita, solita soffrire, ed or tanto più che era più avvilita, e che ogni resistenza era inutile, soffrì senza dir parola, non senza lagrime. Le quali pur avrebbero potuto esser vedute dal marito se egli avesse voluto; ma non volendo, o non gli calendo, ella era ridotta a spargerle più che mai abbondanti, sul letto più che mai doloroso, e in solitudine più che mai assoluta, quando arrivò l'infame stuolo. Non salvavansi oramai più le apparenze nè dallo impazzito Manfredi, nè principalmente dalle impudenti persone, che appena introdotte signoreggiavano là, fors'anco oltre a quello che non avrebbe voluto egli. Era un continuo banchettare, gozzovigliare, danzare, cantare e far chiasso dì e notte, che contrastava colla buia, trista, solitaria e muta, ma di tempo in tempo assordata stanza di Margherita. Avrebbe accorato anche un indifferente. La misera non vi resse più. Non che rinforzarsi e riacquistare salute, andava infiacchendosi e peggiorando ogni dì, e traendo seco una febbriciattola mal avvertita dai fisici, e meno dal marito; se non che nel prolungarsi la malattia di essa egli vide nuova ragione di prolungar il soggiorno delle sue compagnie. Pure aggravandosi il male di lei, ei ne fu avvertito da un buono e savio medico. Il quale, essendo di quelli che sanno scorger le cause morali de' morbi, e credono quanto il possano dover pur a queste rimediare, accennò a Manfredi, come forse il romore, il sossopra, il chiasso della casa poteva nuocere alla inferma. Ma egli era già guasto fracido a segno, che non solamente non volle dar retta al buon fisico, ma poco meno che nol cacciò di casa; ed apertamente poi gli diè il torto, e disse queste essere sciocchezze, e cose che non se ne doveva egli impacciare; e che del resto non era Margherita così male, nè assolutamente male, come sel figurava, e, chi sa perchè, voleva far credere costui; e che gli altri medici non sentivano così. E di vero ei ne trovò, come succede, che gli dieder ragione, e prestarono autorità. Ed in somma fu conchiuso che Margherita stava bene, o quasi bene, e che si continuerebbe la vita allegra, e il consueto festeggiare. In mezzo al quale dicesi, che una buona vecchia, cameriera già della madre di Margherita, e che l'amava come propria figliuola, e s'affliggeva, ma non dolcemente com'essa, anzi mal tratteneva i rimprocci su tutto ciò che andava scorgendo, scorgesse una sera ciò che non poteva lasciar dubbio dell'infedeltà del padrone; ed anzi l'udisse, bagordando colle indegne, indegnamente sparlare, e farsi beffe della propria moglie. E s'aggiugne la donnicciuola non sapesse soprastar l'ira; e tornata alla padrona non gliela nascondesse; e questo fosse il coltello che andandole a cuore l'ammazzò. La sera appresso erasi apparecchiata una nuova festa bellissima; erano giunti convitati nuovi d'intorno, e da lungi; illuminate a centinaia di fiaccole, addobbate di ricchi parati le sale; allestita lautissima una cena; lietamente vestite ed adorne di fresche rose le danzatrici; incominciate al suono di numerosa allegra musica le danze; quando, udite uno o due strida, spalancata una porta, ecco in mezzo sparuta, torva gli occhi, ansante il petto, e avvolto il capo nelle bende, e la persona nelle lenzuola lunghe striscianti, fuor di sè furibonda la morente Margherita. Strillava con una voce acuta non più sua, nè quasi umana: «Manfredi, Manfredi, Manfredi,» e adocchiatolo, precipitò su lui, lo abbracciò e strinse tutto, e traevaselo seco appresso con uno sforzo ultimo; ma ivi morì. Il frastuono, il turbamento, la fuga universale che seguirono, non dirò io. Portata, adagiata in letto, nulla fu che la facesse rinvenire. Fuggì prima d'ogni altro lo spaventato, non pentito, nè sè stesso accusante, Manfredi; chè non gli restava cuor da tanto. E dissero anzi egli e tutti i suoi e le sue, essere Margherita stata sempre di poco senno, e debol cervello; morta ora impazzita. Com'era andata per la vita, così andò al sepolcro, abbandonata.

E abbandonato rimase non pochi anni il castello. E Manfredi, qua e là correndo per diversi paesi e corti, si distrasse interamente, e dimenticò non dirò la perduta moglie; chè a ciò non gli abbisognava aiuto; ma il modo pure spaventoso in che l'aveva perduta. E il dimenticò tanto in capo a cinque o sei anni, che tornato al castello Verde; prima a tempo per provvedere alle cose sue, poi più a lungo con qualche compagnia, poi con altre più e più numerose, e di nuove allegre e non dissimili da quelle già avutevi; come succede a' viziosi ostinati per quanto ammoniti od anche puniti dal cielo, ricominciò ad immergersi nella medesima mala vita consueta. E tanto andò innanzi in questa, e nell'obblio della morte della sua donna, che durando le feste e le gozzoviglie quasi ogni giorno dell'anno, fecersi pure alla medesima notte di quella morte. Succedette poi, che battendo l'ora fatale di lei, il tocco dopo le dodici, o reminiscenza e rimorso a caso o in qualche modo miracolosamente destato, o accidente naturale, o castigo espresso del cielo, Manfredi cadde in mezzo a quella festa in modo quasi così pronto, come era caduta Margherita, e fu com'essa portato via al suo letto per morto. Nè era morto tuttavia. Ma durati alquanto lo svanimento, e poi i dibattimenti maniaci e furiosi, rinvenne; pur non tanto da continuar nella vita allegra e tra le compagnie. Anzi d'allora in poi o le cacciò egli di propria volontà, od elle stesse fuggirono, come sogliono quelle che venute a cercar allegria trovino tristezza. Certo è che rimase infermo, languente, abbandonato anch'egli sotto al medesimo tetto, e non lungi dalla stanza abbandonata di Margherita. Nè durò a lungo. Pare che ogni notte intorno alla medesima ora si rinnovassero i medesimi accidenti o castighi, e lasciandolo così più esausto ogni giorno, finalmente lo spegnessero.

Spiegano le vecchierelle qui intorno molto più particolarmente le cause della sua morte, dicendo: che in quella notte dell'anniversario di Margherita, e a quell'ora fatale, lo spirito di lei, non veduto da nessun altro, comparì ad un tratto a Manfredi, e a lui corse abbracciandolo e baciandolo come soleva in vita, ed avea fatto all'ultima notte; poi l'accompagnò quando il portarono al suo letto, ed ivi con lui giacque quasi mogliera tutta la notte. E vogliono anzi talune, che non quella notte sola, ma tutte l'altre poi tornasse ella ad abbracciare il marito, e seco giacesse finchè egli visse. Tutte poi s'accordano in ciò, che ogni anno alla notte della morte di lei, e talora in altre, s'odono anche oggidì concerti di musici stromenti, e canti, e grida allegre di spiriti che ballano e banchettano. I quali poi quando batte il tocco e s'ode uno strillo acuto, tutti cessano, e dicono che è Margherita che li caccia, e torna a giacer con Manfredi.

IMILDA

NOVELLA QUINTA

[Stampata separatamente a Torino (per Chirio e Mina) nel 1834 a pro del Regio Ospedale de' Pazzarelli.]

AL SIGNOR MARCHESE DI RORA

Direttore della Lotteria per il Regio Ospedale de' Pazzarelli in Torino.

Pochi mesi sono, eravamo due ad attendere, ognuno nell'arte sua, a due lavori per la vostra lotteria. Uno de' due lavori non fu compiuto; e l'altro, non è stato possibile nemmeno a me di continuarlo. Ora per adempiere, quanto ancor posso alla promessa, ed avendo da parecchi anni alcune Novelle, per un secondo volume del MAESTRO DI SCUOLA, ne tolgo, e vi mando questa in questo modo, pregandovi di compatire la tenue offerta, e tenermi per

Torino, 18 marzo 1834.

Amico vostro L'AUTORE.
IMILDA

Tornando io già una sera in sull'imbrunire alla mia terra da alcuni casolari dove avevo a balia un mio bimbo, vennemi incontrato il buon maestro, che tornava credo da suonar l'organo di quella pieve, a' piè d'una scoscesa via, anzi quasi un burrone scavato tra due altissime sponde dall'acque. Dove, oscurandosi tra lampi e lampi il cielo a un tratto, e incominciando a cader larghe goccie annunziatrici di temporale, e a scivolare il lubrico terreno, e a non più reggerci i piè, ci sforzavamo pure amendue d'andar innanzi ed arrivare prima che franasser l'acque ad una casupola a mezza costa, solo abitato che sia o si scorga in quella vallea. Quando a dispetto della fatica che si durava incominciò il loquace maestro: «Non vi par questo vero agguato da ladri? Mirate, muro di qua, muro di là, non un'uscita; un uomo ne fermerebbe dieci.» «Sì», diss'io, «ma il maggior pericolo per ora è di cadere tra questi fanghi; nè i ladri sono sì mal accorti da mettere bottega in tal deserto, dove non passano tre lire al giorno; e poi c'è là la casupola che guarda il passo dai ladri, e così ci salvi dall'acque.» «O quanto alla casupola», disse il maestro che appunto per a ciò avea messo il discorso, «sapete voi chi l'abita? Un brav'uomo che n'ha ammazzati tre egli solo in un giorno.» «Come?» diss'io. Ed egli: «Al tempo della sua gioventù ei fu già…» ma non ebbe tempo, chè appunto il padrone della casa, avendoci veduti, era venutoci incontro, e sorreggendo il buon maestro ci faceva entrare nella casupola, dove già donna e fanciulli avevano acceso il fuoco di fuscelli e fogliacce di gran turco, e poi recatoci il vin bianco, che è in quel paese, come il pane e il sale degli antichi, primo e sacro segno di ospitalità. E non era bevuto il primo bicchiere, che il contadino, il quale aveva udito le ultime parole del maestro: «Io credo» disse, «che avevate incominciato a narrare a questo signore il gran fatto della mia gioventù; e perchè non è cosa ond'io abbia ad arrossire io stesso la narrerò.» E incominciò ab ovo una lunga storia di certe dispute tra l'arciprete e il sindaco di quel paese, accadute trent'anni addietro, ma così nuove in sua memoria come se fosse stato ieri, e vi si riscaldava sopra come allora; ma intanto il compagno mio che fin da principio dimenavasi sulla sedia, forse per dispetto che gli fosse tolta di bocca la narrazione, ora non potendo più reggere al modo in che era fatta, e meno alle millanterie del bravo: «A che monta tutto ciò? Io dirollo in due parole. Il sindaco e l'arciprete eran due uomini senza cervello, che disputavano su non so che; anzi credo che nol sapessero nemmeno essi, e la prova è che ci voglion tante parole a farlo capire. Avean torto tutti e due; ma più il prete, perchè prete. Nimici essi, nimici tutti gli uni con gli altri nel paese; i quali poi aveano tanto più torto, che si facean nimici pe' fatti altrui. Questo qui fece la scioccheria di prender una delle parti, non so nemmeno quale, e non me ne curo; e perchè era più giovane e più bravo, e come dicono qui, più bullo degli altri, egli avea nome, forse senza colpa sua, di capo di parte. Tre de' contrarii lo assalirono un giorno allo uscir di Messa; certo è, essi furono gli assalitori; egli a dar mano a un coltello, e metterne in terra uno; poi a fuggire inseguito dai due, e vedendogli discosti l'un dall'altro, a rivolgersi al più vicino, ucciderlo; ed aspettato il terzo, questo pure uccise.» «Oh», interruppi io, «questo l'è pure un bel fatto, e tal quale come quello…» Ma riprese più forte il maestro: «A che servono comparazioni? Quest'uomo non sa le storie vostre; e se volete parlare di un antico che ammazzò in guerra tre nimici del suo re, la comparazione non istà; perchè questi uccise in pace tre sudditi del nostro. Scappò, uscì del paese, fu giudicato contumace; poi, consigliato tornare, tornò e fu assolto come dovea, perchè l'avea fatto in propria difesa; e del resto, come vedete, ha moglie e figliuoli, ed è vivuto sempre da galantuomo, e lo è. Ed è tanto più da lodare, che al solito chi mette mano al sangue anche con ragione, continua poi a torto, e diventa facinoroso. Ma ad ogni modo, figliuol mio, l'uccidere, se non fu delitto, è almeno disgrazia; e non si vuol darsene vanto, ma compiangerla, e principalmente dinanzi a questi vostri figliuoli. Che se non avete avuto altro torto, avete avuto quello di mettervi in cose che non toccavano a voi, in vece di vivere in pace con tutti. E queste parti a che conducano ne' paesi grandi come ne' piccoli ve lo voglio dir io; e perchè è cosa antica, dirovvi oggi tutti i nomi, che questo signore li potrà andar a riscontrare ne' libri, e dirvi quanto sia vero l'esempio. E venite qua, voi altri fanciulli; che la pioggia fa un chiasso che assorda.

In una gran città d'Italia detta Bologna, ei fu già, come in molte altre, questa medesima gara tra preti e secolari, che sindaci o podestà o signori si chiamassero; i preti volevano far quello che era de' signori, e questi quello che era de' preti; e i cittadini mal accorti se ne dividevano in parti. Erano principali in ognuna delle due parti due famiglie dette dei Lambertazzi e de' Gieremei, gran nimici perciò gli uni con gli altri; principale poi ne' Lambertazzi, Orlando un vecchio signore potentissimo di ricchezze, e per la moltitudine de' parenti e de' figliuoli. Fra' quali ultima d'età, ma non nei pensieri del padre era Imilda; che cresciuta bellissima oltre ogni altra della città, egli sperava che per averla in moglie tutti i giovani s'accosterebbero a lui, ed egli poi al più caldo e pro' partigiano suo la concederebbe. E in vero essendo ella giunta così intorno ai diecisette anni, e sempre più venuta crescendo in bellezza, ed anche poi, come dalle stesse donne e compagne sue dicevasi, in bontà, incominciò a correrne voce non pure tra i giovani de' Lambertazzi e loro partigiani, ma anche tra quelli de' loro nimici i Gieremei. Nei quali era allora appunto uno di poco più di vent'anni, il quale Fazio o Bonifazio avea nome, giovane d'indole pronta ed audace, ond'erasi anche troppo fatto già noto all'opere nella sua parte; ma che sarebbe stato degno di miglior campo, e miglior fama; perchè, ostinato e caldissimo quando i suoi erano perdenti, ad ogni volta poi che erano superiori, egli tornava benigno ed avrebbe voluto far pace. Non so se gli venisse questo da retta e buona natura, per sè stessa abborritrice di quegli scandali; o da prematura ragione che gliene facesse scorgere il danno comune a tutti; o forse non da altro che da giovanile disposizione, più che alle brighe, rivolta a' piaceri e all'allegria. Certo è che a questi attendendo il più che potea, e talor più che non avrebbe dovuto, fra l'altre scappataggini volle un giorno far questa, di assolutamente vedere e per sè conoscere, se pur fosse tanto bella ed accorta e cortese come si dicea la Imilda de' Lambertazzi sua nimica. E così essendo il tempo di carnovale, e sapendo che si dovea far una gran festa in casa ad Orlando Lambertazzi, Fazio senza dirne a persona, messa una bautta o non so che maschera, che non si facea scorgere, cacciossi nella folla, e sconosciuto entrò e incominciò a mirare. Era per avventura quella notte la giovane più che mai di bellezza ed anche di femminili grazie ed ornati risplendente, siccome quella a cui era la festa dedicata dal padre appassionato di lei, e vago di mostrarla, e più che mai accenderne quella innamorata gioventù. Era poi la non sua adornatezza dalla tutta sua semplicità rattemprata così, e la eleganza dalla modestia, che in mezzo a tutte le altre comparendo ella sola, non pure l'avreste detta principal donna o regina di esse, ma quasi angelo di paradiso sceso in un coro di belle e pure fanciulle, più bello e più puro e di più celestiale natura. All'ardentissimo giovane, vederla, ammirarla, invaghirsene, anzi impazzirne e volerla risolutamente, fu un punto, un pensiero, un affetto. E con quella grazia e naturalezza poi, che viene da un vero e giovanile ardore, non andò guari che trovò modo di accostarsele, e colla eloquenza che dà l'amore, l'amor dichiararle, ed accenderla, se non altro, della vaghezza di sapere chi questo nuovo amatore fosse, e questa sconosciuta voce. Perchè, agli accenti di cortese e rispettosa adorazione ella era per volontà di suo padre non poco avvezza; ma appunto ella fin allora aveali uditi, più che per altro, per obbedienza; ed ora o che le cose non comandate anche ai migliori pajan più dolci, o che più dolce veramente fosse questa nuova non più udita voce, o le parole più acconce, o gli affetti più gentili, certo ella oltre al consueto se ne compiacque, o domandò al giovane chi egli fosse? sollazzevolmente pregandolo si discoprisse. A cui egli benchè a siffatto caso non avesse nel venire posto mente: «O donna», disse, «quello che imponete è accompagnato forse di maggiori difficoltà che voi nol vi pensate; pure non fia disobbedito mai nessuno comandamento d'Imilda a Fazio Gieremei.» E così detto, levò la maschera dal viso. Immaginatevi che paura corresse per ogni vena alla fanciulla, udendo il nome del maggior nemico che fosse di sua casa, un nome non mai dinanzi a lei pronunciato senza qualche aggiunto di scellerato o maledetto, o se v'è peggio, e vedendolo audacemente così palesarsi in mezzo a tanti, di cui non era uno che se il riconoscesse non avesse volentieri fittogli il pugnale nel cuore, e lei dell'odiato sangue cospersa. Fu stupore, fu pietà, timore per sè, per lui, per tutti, che la fecero impallidire, e in assai meno tempo che non dissi io, dir ella: «Per l'amor del cielo, che fate voi? copritevi, copritevi.» Ma egli, senza altrimenti turbarsi, ed anzi dolce e lietamente sorridendo: «O donna! troppo crudeli ed assoluti sono i vostri comandi. Che non avendo io fatto conto veramente per questa sera di mostrare il mio volto, voi me lo faceste scoprire; ed appena scoperto, ne siete già pentita, e così alterata che mel volete far ricoprire. Ondechè, io voglio mi perdoniate, se ad obbedirvi in questo secondo comando io ci pongo un patto; ed è, che non potendo io oramai vivermi senza la vista di voi, mia dolcissima nimica, e volendo ogni sforzo fare per tornarvi a vedere, voi, non che opporvici, farete da parte vostra, quando io ve ne richiegga, ogni sforzo perchè ci possiamo onestamente ritrovare.» E rispondendo ella molto affannata e ripetutamente che non si potea, «Nè io posso questa volta assolutamente obbedirvi.» E faceva atto con allegro volto di buttar in terra la maschera, e rivolgersi dal cantuccio ove erano in mezzo al ballo, quando ella dall'ostinazione di lui vinta con femminil dispetto disse brevemente, che lo farebbe. Allora, datogliene con uno sguardo degli innamorati occhi le dovute grazie, egli rimetteva la maschera; ed ella di là si fuggiva, ed egli, perchè incominciava ad essere osservato, dileguandosi tra la calca, non molto dopo se ne uscì.

Il giovane era di quelli che si vedono tutto dì, i quali meglio amano arrampicarsi per una costa ritta che passeggiare per lo piano, montar un cavallo bizzarro che uno mansueto, passare per lo ciglione di un precipizio che per la strada maestra, e in somma quando si potrebbe far come tutti gli altri, voler sempre far diverso, e in vece delle facilità cercare le difficoltà. Pazzi da catena, dico io! chè quando si cercano, le difficoltà le si trovano; e principalmente in questo punto del matrimonio ei ce ne sono tante per sè, che il volerne aggiungere delle inutili è una vera scempiaggine; ed al principio, prima d'innamorarsi, se pensasse ognuno ch'ei potrebbe facilmente ottenere tante che vaglion quella ch'ei prosiegue con difficoltà e pericoli, io credo ch'ei piglierebbe una di quelle. Ma signor no; ei si vuole appunto quella che non si può. La giovane anch'ella avea nella sua benchè dolce natura alcun che di questa stessa caparbieria e amor delle cose strane; oltrechè soprammodo erale andato a genio quell'audacia dello scoprirsi, e quella ostinazione del voler rimanere scoperto finchè avesse il suo intento. Le quali due qualità dell'audacia e dell'ostinazione ben so che vanno a genio malamente al più delle fanciulle, che poi maritate ne incresce loro molto sovente. Ma io, non approvandolo nè troppo intendendolo, non ispiegherovvi altrimenti l'amore di que' due; sì dicovi, che se fin allora la Imilda aveva avuto nome di alquanto ritrosa verso a' pretendenti, ora in breve acquistò quello di superbissima, e quasi non fu nissuno che non ne disperasse. E riprendendonela il padre, e dicendole che ora s'appressava il tempo che ella si dovesse decidere; ella diceva che no, e domandava tempo, e voleva prima d'ogni cosa aspettare l'inteso abboccamento, e fra sè dicea, che quand'anche avesse a prendere un partito poi, assolutamente nol potea nè dovea prima d'aver adempiuta la ingaggiata promessa. Perchè, vedete, anche questo è un vizio solito della gioventù: mettersi in capo certi doveri immaginarii che son tutt'altro che doveri; e per essi i veri doveri di figliuoli rispettosi ed obbedienti e confidenti trascurare. Pareva sì alla giovane che Bonifacio molto tardo fosse a domandar egli quell'adempimento: e talora dubitò della sincerità o costanza di lui; e il desiderio e il dispetto le mettevano allora in cuore non so che d'amaro, che tuttavia non vi scemava la passione. Nè pensava ella in che difficoltà si fosse messo pur egli Fazio; il quale, passata quell'occasione della festa, non che tornar addentro alla casa, non potea nemmeno andarle intorno. Perchè era usanza di quei nimici, assalirsi quando incontravansi per le vie, e più se gli uni ardissero passare dinanzi alle case degli altri, che toglievasi per bravata ed insulto; ed egli che l'avea fatto cento volte, nol volea far più; e non che esser vago di siffatti incontri, li cansava ora con più prudenza che i prudentissimi d'ambe le parti. E pensate se ora gli venissero a noia le parti, che mai non avea seguito se non per mal esempio altrui, ed ora ei le trovava quasi insuperabile muro, o interminato mare tra sè e la sua disiata donna. Venne alcune notti in abito mentito di giullare o menestrello sotto il verrone, dove lei sapeva dormire, e intuonava sul liuto or l'una or l'altra canzone in lingua volgare. Ma questi erano istanti, e il più sovente non finiva nemmeno la canzone, e dileguavasi non solamente se udiva uscir dalle case alcuna persona, ma anche più se vedeva aprir il verrone e spuntarvi la fanciulla; che, non essendo comodo quel luogo a parlarsi, non volea sprecar così il promesso appuntamento, e temeva udir da lei cosa che non avesse qui agio a risponderle, e ridurla a' suoi desiderii ed a' suoi già fermati disegni.

In ultimo sendo così due o tre mesi passati, ed o per il ritorno di primavera che invitasse, o più probabilmente perchè le brighe e le guerre loro particolari così richiedessero, i Lambertazzi si ridussero a un castello che aveano molto forte e presidiato, non discosto dalla città. Quivi parve a Fazio gli si porgesse occasione di veder la sua amata. Perchè avendo già, siccome molto destro a siffatti maneggi, messo dalla sua una delle donne che servivano ad Imilda, seppe da quella come poco prima era stato cacciato di casa Lambertazzi per non so quali mancanze un povero donzello. Onde Fazio vestitosi a quel modo capitò un mattino alla capanna di una buona vecchierella; la quale molto povera essendo, e la capanna non molto discosta dal castello, la Imilda or con l'una or coll'altra delle sue donne vi veniva sovente come a diporto, e ad arrecarle qualche men rozzo cibo, o panno, o monetuccia.

Ora a costei presentandosi Bonifazio le venne dicendo, sè esser quel meschinello caduto in mala gracia di messer Orlando, e che uscito di quella casa non avea più avuto una buona ora, ed era anzi in gran miseria caduto; e così avendola impietosita, aggiunse, che se potesse vedere un momento Imilda e parlarle, egli non dubitava di poterla muovere, tanto era buona, a domandare la sua grazia, e che domandata da lei al padre, ei la crederebbe ottenuta. La donna, che come sogliono tutte, nulla aveva caro al mondo quanto potere spacciar protezione, entrò molto volentieri nel pensiero; e rispose che la signora Imilda veniva sovente a sua capanna, e bastava che le facesse dire che abbisognava di lei, perchè ella venisse; e che l' farebbe. A che riprese il finto donzello, povero essere, ma pur rimanergli una catenella d'oro datagli da una sua innamorata, e che egli le darebbe volontieri, e quanto potesse avere, se ella gli agevolasse questo modo di ingraziarsi di nuovo co' suoi buoni signori, e principalmente colla buonissima Imilda. Adunque la vecchierella fece avvisata la Imilda; la quale poc'ora appresso ci venne; e la donna compra da Bonifazio trovò modo di venirci con lei. Se fosse stupita la fanciulla di trovare Bonifazio nella capanna, pensatelo voi; e sua prima mossa veramente fu verso la porta per tornarsene, ma ne fu trattenuta dalla promessa sì ben tenuta in cuore, e fors'anco dal proprio amore, e poi dalle cortesi preghiere, e dalle eloquenti, innamorate parole del giovane. Che fossero siffatti discorsi nol vi verrò io sminuzzando; montavano a ciò, che egli dicea di grandemente amarla; ella mostrava che l'amerebbe, se non che non potea sperare un felice fine a quell'amore per la nimicizia di lor parenti. Ma Bonifazio era venuto ben apparecchiato a ciò; e quanto volentieri poi ci si cacciava nelle difficoltà, tanto agevolmente sempre gli parea poterne uscire. Adunque in mezzo a molto amoroso parlare dall'una e dall'altra parte, egli le venne dispiegando, e non in breve, tutto il pensiero ch'egli avea tra sè lungamente maturato; ed era, in poche parole poi, che egli tra i suoi compagni e tutti i Gieremei, ella per via di suo padre tra i Lambertazzi s'adoprassero d'ogni maniera a riaccostarli gli uni e gli altri, e lor odii scemare, e lor guerre finire, e ricondur pace nelle due case ed in tutta la città. Così in proprio pro e della loro passione operando, opererebbero il bene anche dei concittadini; e il loro dolcissimo amore sarebbe fine alle crudeli inimicizie di lor case, ed ai guai della città, e lor nozze principio a nuova età tutta di pace. E unite tutte le parti in quella concordia, che potenza di fuori non se ne accrescerebbe a tutta la città, e che gloria? E così d'una in altra immaginazione avanzando, e la Imilda lui ascoltando quasi un profeta o un angelo che fosse venuto a parlarle, ed ardentissimamente bevendosi tutte le idee di lui, non è a dire a quanti e quali sogni s'abbandonassero i due giovani inesperti. Ma che volete voi? la imprudente gioventù se mette gli occhi a uno scopo alto e bello a mirarsi, non guarda mai alla via che vi ha per arrivare, e non tien conto nè di burroni, nè di precipizii, nè di acque, nè di fuoco che la possano fermare. In breve, quando Bonifazio ed Imilda si lasciarono, non che lasciarsi afflitti ed avviliti come sogliono gli amanti disgraziati, voi gli avreste veduti quasi di celeste fiamma accesi lor volti; e uditi allegramente dirsi addio per poco tempo, e darsi appuntamenti a questa medesima capanna per insieme adoprarsi alla loro immaginata opera divina.