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Czytaj książkę: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2», strona 5

Czcionka:

Dalla parte di terra la città è difesa da buone mura con larga fossa; e due bastioni proteggono la porta ed il ponte. L'alcassaba o castello posto verso terra al S. della città è un piccolo quadrato di bastioni ad orecchioni circondato da una fossa. Ogni cosa trovasi bastantemente conservata, fuorchè il parapetto estremamente guasto. Sgraziatamente la piazza non ha acqua, e quella che vi si beve deriva da una sorgente che scaturisce in riva al mare a cento ottanta tese di distanza dalle mura, in luogo coperto dal fuoco della piazza. Ne viene presa ancora da un'altra sorgente lontana una lega. All'estremità della città, presso la foce del fiume, avvi un castello che mi si disse fabbricato per ordine di Muley Edris. La fortezza quadrata è provveduta di molte piccole colombrine. La bocca del porto viene difesa da due batterie poste al S., e da una specie di castello situato dalla stessa banda a tre cento cinquanta tese di distanza, con cannoni e mortai. Non avvi veruna fortificazione al N. del fiume o del porto.

A trecento tese al S. dell'ultima batteria di cannoni e mortai, sonovi presso all'acqua alcune opere, che viste dal mare, hanno l'apparenza di fortezza, ma che in realtà non sono che le ruine d'una casa e d'un molino a vento.

A sessanta leghe all'E. S. E. del castello quadrato trovasi una Cappella o santuario di una santa femmina patrona della città, chiamata Làla Minàna. Vi si onora il suo sepolcro. Io non ho giammai potuto dicifrare la complicazione delle idee che risvegliò in me l'esistenza della canonizzazione d'una donna, colla credenza mussulmana dell'esclusione di questo sesso dal paradiso. Ma Dio ne sa più che gli uomini.

La costa del S. è formata da una rupe assai alta, mentre quella del N. ha un piccolo banco di sabbia.

Per ordine del Sultano, Sidi Mohamed Safaxi, che era pascià di Larasche, mi destinò la miglior casa, situata sul gran mercato a lato alla principale moschea.

Malgrado questa vantaggiosa posizione, non potendo salire sopra la casa per osservare il cielo senza impedimenti, non potei prendere le distanze lunari; a fronte di ciò per mezzo degli ecclissi dei satelliti ho potuto fissare la longitudine O. dell'osservatorio di Parigi ad 8° 21′ 45″; come la latitudine per il passaggio del sole a 35° 13′ 15″ N. La declinazione magnetica è di 21° 39′ 15″ orientale. La temperatura è assai dolce e corrispondente a quella dell'Andalusia.

La città è circondata da un'arena rossiccia, ch'io riguardo come una decomposizione di feldspato, con molta disposizione a conglutinarsi. La rupe alta del mezzodì è formata di strati perfettamente orizzontali, sottili assai, e vicinissimi gli uni agli altri, lo che forma un'ardesia tagliata perpendicolarmente in riva al mare. Questi strati di roccia sono formati soltanto di arena rossa di già conglutinata nella sottile tessitura d'ardesia.

La città non è affatto sprovveduta di giardini. I viveri sono buoni, e l'acqua, quantunque alquanto cruda, non è malsana.

Le fatiche sofferte nel viaggio d'Ouschda mi cagionarono una malattia di quindici giorni. Furono pure indisposti alcuni miei domestici, e le bestie da soma, alcune delle quali rimasero storpiate; ma non morì che un mulo. Feci i bagni di mare, ed approfittai dell'opportunità per arricchire la mia collezione di piante marine.

Una corvetta di Tripoli, che da più mesi era entrata nelle acque del fiume, trovavasi a Larache. Il Sultano ordinò di equipaggiarla a sue spese, destinandomi la camera di poppa per il mio viaggio in Levante. Visitai questa nave che dovea tra pochi giorni mettere alla vela per Tripoli, e feci disporre per questo lungo viaggio la camera che mi era stata destinata.

La Domenica 13 ottobre 1805, giorno fissato per la mia partenza andai la mattina a congedarmi dal pascià, che mi diede tutte le migliori dimostrazioni di stima, e di considerazione, soggiungendo, che se volevo differire il mio imbarco fino alle tre ore dopo mezzogiorno, egli avrebbe assistito alla mia partenza. Tale inchiesta era per me troppo lusinghiera per non la poter rifiutare.

Essendo i miei equipaggi già imballati e caricati a bordo, andai al porto all'ora concertata per imbarcarmi colle mie genti. Chiesi conto del Pascià, e mi fu risposto che non tarderebbe ad arrivare. Mentre veniva la scialuppa, mi trattenni alcun tempo sulla spiaggia, ove la muraglia forma un angolo rientrante, e dove trovasi un vicoletto che sbocca dall'angolo.

Arrivata la scialuppa, e non vedendo venire il Pascià, mi disponevo di andare a bordo, quando due distaccamenti di soldati si presentarono a dritta ed a sinistra, e un terzo uscì dal vicolo in fondo all'angolo. I due primi s'impadronirono bruscamente di tutte le mie genti, l'altro mi prende in mezzo, e mi comanda d'imbarcarmi solo, e di partire all'istante. Chiedo la ragione di così strano procedere; e mi viene risposto: così ordina il Sultano. Domando di parlare al Pascià, e mi vien detto, imbarcatevi. Conobbi allora apertamente la mala fede del Sultano, e del Pascià, che fino all'ultimo istante, avevano ordinato che mi fossero resi i più grandi onori dalle truppe e del popolo, mentre meditavano il colpo che doveva profondamente ferirmi, poichè io non avevo meno premura per le persone che mi erano affezionate, che per me medesimo.

M'imbarcai nella scialuppa col cuore lacerato dalle grida di alcune persone della mia famiglia desolate da così subita separazione. Scesi il fiume divorato dalla rabbia e dalla disperazione finchè si giunse al passaggio della barra, ove i violenti colpi dell'onda mi sconvolgevano lo stomaco; lo che mi fu salutare, essendomi scaricato di un'enorne quantità di bile: ma spossato da così violenti scosse morali e fisiche, arrivai quasi privo di sensi alla corvetta che stava ancorata a poca distanza dalla barra. Mi trasportarono nella mia camera, e coricaronmi a letto.

In tal modo uscii dall'impero di Marocco. Sopprimo tutte le riflessioni che qui sarebbero inopportune. Forse avranno luogo in altra opera.

CAPITOLO XIX

Dell'antica isola Atlantide. – Dell'esistenza di un mare Mediterraneo nel centro dell'Affrica.

Prima di visitare la parte occidentale dell'Affrica, l'accurato studio della geografia fisica di questa parte del mondo, confrontato colle nozioni che la tradizione e l'istoria ne trasmisero intorno alle grandi rivoluzioni del globo, ed alcuni indizj somministrati dai recenti geografi e viaggiatori rispetto alla situazione interna di questo continente, mi guidarono quasi simultaneamente a due idee che emanano dal principio medesimo, ed appoggiandosi vicendevolmente, sembrano concorrere a dare un grado di probabilità più grande di quello che possa sperarsi in simili argomenti alla seguente opinione:

1.º Che l'antica Atlantide era formata dalla catena del monte Atlante;

2.º Che trovasi nell'Affrica un mare Mediterraneo, che siccome il Caspio nell'Asia esiste isolato senza aver comunicazione cogli altri mari.

Dopo tanti sistemi e visioni sul luogo che doveva altra volta occupare l'isola Atlantide, si risguarderà forse come una pazzia il voler di nuovo far rivivere una quistione tante volte agitata, e che ora sembrava dimenticata: ma siccome io mi limito ad indicare soltanto leggermente quest'idea troppo spesso messa in campo da altri scrittori; la sua coincidenza con quella dell'esistenza d'un mare interno nell'Affrica, mi scuserà presso al lettore; il quale non pertanto potrà risguardare questo capitolo come un episodio della storia de' miei viaggi. Per leggerlo è duopo avere innanzi agli occhi la carta generale dell'Affrica settentrionale.

Benchè niun viaggiatore Europeo attraversasse giammai nel suo centro il Sahhara, o grande deserto dell'Affrica, noi abbiamo sufficienti dati per essere quasi assolutamente certi, che dal N. al S. non è tagliato da veruna cordelliera di montagne, la quale leghi quelle dell'Atlante con quelle di Kong, e con quelle che sono al S. E. del deserto, e stendonsi nella direzione E. O. fino nell'Abissinia.

Nell'estremità orientale della catena Atlantica trovansi i deserti che s'avvicinano a Godemesch ed a Tripoli, quello di Soudah e quello di Borca, che da un lato toccano al Sahhara, e dall'altro il mare Mediterraneo; quindi la catena degli Atlanti circondata al N. ed all'O. dal Mediterraneo e dall'Oceano, confinata al S. ed all'E, da deserti di sabbia, che da una banda arrivano all'Oceano Atlantico, e dall'altra al Mediterraneo, viene ad essere una vera isola senza apparente legame colle altre montagne dell'Affrica.

Tutto ciò che si sa intorno ai deserti di sabbia che circondano la catena dell'Atlante all'E. e al S. prova, che non sono composti come quelli della Tartaria dell'humus depauperatus di Linneo, val a dire, di una terra che a forza di travagliare, e di produrre, è rimasta esinanita, e priva delle molecole organiche necessarie alla vegetazione. Si può far illazione ai deserti che sono al S. dell'Atlante da quelli che io ho veduti al N. ed all'O. In questi io non trovai che strati estesissimi d'argilla glutinosa, che viene considerata come un prodotto vulcanico sotto-marino, pianure di sabbia sciolta tutta composta di una polvere selciosa di quarzo, e di feldspato, mischiata di un detritus di conchiglie estremamente fino, e di banchi di una marna calcarea assai moderna, evidentemente formata dalla conglomerazione della sabbia, o del detritus animale.

Vero è ch'io non trovai in questi deserti intieri avanzi di animali marini; ma perchè la situazione in cui io mi trovavo, non permettevami di fare accurate ricerche; ed è altronde verosimile che questi avanzi, quando esistano, non potrebbero trovarsi che a molta profondità al S o all'O. dell'Atlante, perciocchè la violenza delle onde polverizza qualunque oggetto che in questi luoghi s'innalza alla superficie del mare. L'urto delle onde è così terribile, che senza borrasca, nella più perfetta calma, e quando di lontano la superficie del mare sembra tranquilla, le onde battono così furiosamente sulla costa, che frequentemente innalzano montagne di schiuma alte cinquanta o sessanta piedi, non solamente sulle coste sparse di scogli, ma ancora sulla spiaggia d'arena.

Non esaminerò adesso le cagioni di tale fenomeno, che dovrebbero forse ricercarsi nel movimento generale della grande massa delle acque dell'Oceano, accresciuta o diminuita dalla projezione o configurazione delle coste: ma devonsene soltanto considerare i risultati sotto i rapporti che hanno colla presente quistione.

Quando il mare lambisce dolcemente una riva, le conchiglie ed i zoofiti vi si stabiliscono, germoglianvi le piante marine, e si moltiplicano come gli animali: la successiva decomposizione di tutti questi corpi organici ingrassa il terreno, lo rende proprio alle posteriori generazioni; e dall'ammasso di tante spoglie, nel corso di più secoli, che per la natura non sono che un giorno, ne risulta finalmente una ricca terra vegetale abbondantemente provveduta di mollecole organiche proprie ad alimentare, ed a dare la vita agli animali terrestri, che devono anch'essi servire ai bisogni dell'uomo.

Ma quando per lo contrario il mare batte furiosamente una costa, i moluschi e gli altri animali marini se ne allontanano come da uno scoglio contro di cui sarebbero infranti, le piante marine non possono allignarvi perchè vengono sradicate prima d'essersi profondamente fissate nel terreno che loro serve di sostegno. L'infelice animale, o la pianta che la corrente porta su queste rive periscono vittime del furore delle onde, ed i loro rottami sono spinti a grandissime distanze. Quando per effetto delle correnti dell'Oceano, e per lo scemamento dei mari, e per qualsiasi altra cagione, questa costa rimane scoperta e fuori dell'acqua, non può offrire che un ammasso informe di pietre, di arena, o di particelle selciose isolate, improprio alla vegetazione, e per conseguenza ad essere abitazione d'animali, in una parola, inutile all'esistenza dell'uomo: e questo avendo molta estensione sarà chiamato deserto.

Una gran parte delle coste di Marocco trovansi in tale stato. Tanger è circondato da un suolo arenoso, Rabat ugualmente: Mogador, che è il punto più meridionale da me visitato, è posto nel centro d'un piccolo Sahhara, la di cui sabbia forma colline mobili assai alte. Se, come io lo suppongo, questi deserti diventano più estesi a misura che c'innoltriamo verso il S., noi dobbiamo trovarvi il Sahhara o grande deserto, il quale non è che una replica in grande del fenomeno che vedesi in piccolo a Mogador, ed in miniatura a Rabat ed a Tanger.

Non è a dubitarsi che queste pianure di sabbia non siano depositi del mare, che sensibilmente si ritira da queste rive: la baja di Tanger si colma; il fiume di Rabat va egualmente colmandosi e restringendosi, e lo stesso fenomeno si riproduce a Mogador, nel canale, che lo separa dall'isola, e serve di porto. Questi fatti sono provati dagli ancoraggi che ogni giorno diventano più ristretti, e vedonsi ad ogni istante vortici di sabbia levati dalla spiaggia del mare dal vento d'O. formare in poco tempo dune o colline ne' luoghi ove non eranvene per lo innanzi, senza che giammai un contrario vento, una forza contraria equilibri questi effetti, di modo che la sabbia viene levata sempre dalla riva del mare senza più ritornarvi. Quindi se il Sahhara è una replica in grande dello stesso fenomeno, come tutto c'induce a crederlo, ben lungi d'essere composto dell'humus depauperatus di Linneo, non sarà che una superficie di sabbia abbandonata dal mare, come quella di Tanger e di Mogador, e che non fu giammai atta alla vegetazione.

Tale congettura si spinge ben presso all'evidenza quando si fa attenzione alla piccola elevazione del Sahhara sopra il livello del mare. Noi vediamo il Wad-Dràd, il Wad-Taffilet, e gli altri fiumi che si precipitano dal piovente settentrionale dei monti Atlante nel deserto, perdersi senza poter arrivare al mare per mancanza di declive per proseguire il corso.

Il Senegal e la Gambia si precipitano dalle vicine montagne di Kong verso il N., ed il N. O.: arrivati, il primo sui confini del Sahhara, ed il secondo in altra pianura, ritorconsi bruscamente all'O., e dopo infinite sinuosità somiglianti a quelle del Meandro dell'Asia minore, giungono al mare a traverso un piano quasi insensibilmente inclinato, formando nel loro corso innumerabili isolette, perchè la caduta di un albero, o qualunque altro leggero ostacolo basta a deviare, e dividere la loro debole corrente.

Ciò sembra indicare, che quando le montagne del Kong formavano un'isola, questi grandi fiumi precipitavansi nel mare del Sahhara, e che quando questo mare fu colmato dalla sabbia ammonticchiata a poco a poco, i fiumi diressero il loro corso verso l'Oceano, a misura che la sabbia successivamente aumentandosi li forzava a ripiegare dalla prima direzione. Debole essendo la loro corrente, bastava a farli piegare il più leggero ostacolo, come a' nostri giorni accade rispetto al Senegal quando questo fiume è vicino a metter foce nel mare.

Queste considerazioni corroborate dall'immensa quantità di conchiglie trovate nei deserti all'O. dell'Atlante, e dalla considerabile quantità di sale che trovasi nel Sahhara, e da altri fatti da me osservati, mi fanno credere che il Sahhara fu un mare fino ai tempi assai vicini all'età nostra, quando si paragoni colle grandi epoche della natura; ed allora troviamo che la Cordelliera dell'Atlante era un'isola.

Questa Cordelliera dai naturali è chiamata Tedla, e siccome questo vocabolo, secondo il costume delle lingue orientali, è scritto senza vocali, può ancora pronunciarsi Atdla; cui i Greci aggiunsero la finale come comportava il genio della loro lingua: ed ecco questo nome conservato dalla prima antichità tradizionale fino al presente.

Se consultinsi gli autori e le carte antiche, si troveranno i mari che circondano l'Affrica dalla parte di levante, di mezzogiorno, o d'occidente, indicati col nome di mare Atlantico; e poichè il paese d'Atlante dava il proprio nome a mari tanto lontani, a più forte ragione l'avrà dato ancora al mare di Sahhara che bagnava le sue coste, ed in allora l'isola dell'Atlante, e l'Atlantide si presenta circondata dal mare dello stesso nome, e dal Mediterraneo, offrendo esattamente le prime circostanze annunciate a Platone dal sacerdote di Sais, il quale dice che quest'isola era situata sulle rive del mare Atlantico.

Un'altra particolarità di quest'isola è quella di trovarsi in faccia all'imboccatura che i greci chiamano nel loro linguaggio le Colonne d'Ercole. Il sacerdote non dice solamente che l'isola fu in faccia alle Colonne d'Ercole, ma ne indica più circostanziatamente il luogo dicendo, ch'era in faccia all'imboccatura che i Greci chiamano nella loro lingua le Colonne d'Ercole. Ora quest'imboccatura non fu mai altro che lo stretto di Gibilterra; ed il piccolo Atlante, che è una diramazione della Cordelliera che prolungasi fino a Tezza, a Tetovan soddisfa esattamente a questa seconda condizione.

Quest'isola era più estesa della Libia e dell'Asia insieme3. Ecco press'a poco l'estensione del grande e del piccolo Atlante.

Aggiugne il sacerdote di Saïs che i viaggiatori potevano da quest'Atlantide recarsi ad altre isole, di dove era loro agevole il passare sul continente. Chiara cosa è che le molte isole del Mediterraneo potevano facilitare le comunicazioni dell'Atlantide coi diversi punti del continente d'Europa e d'Asia, bagnati dallo stesso mare, tanto più che nello stato di potenza in cui suppongonsi i re Atlantici, dovevano avere esteso il loro dominio sulle piccole isole vicine, per valersene, secondo l'espressione dello stesso sacerdote di Saïs, come di scala.

La dominazione dai re atlantici stabilita da una banda sopra la Libia fino in Egitto, e dall'altra fino alla Tirrenia, e le loro minaccie contro la Grecia s'accordano perfettamente colla posizione di quest'isola, situata sopra una linea centrale di questo paese, e colla sua popolazione.

Una sola opposizione può essere fatta a questo sistema che al primo aspetto sembra distruggerlo affatto. Questa è la narrazione fatta dal sacerdote di Saïs della scomparsa dell'isola prodotta da spaventosi tremuoti, e da disastrose inondazioni. In fatti l'isola lasciò di essere isola da che fece parte del continente: non è pure improbabile che qualche parte dall'isola sia stala inghiottita dai tremuoti, come per esempio la porzione che occupava lo spazio oggi coperto dal golfo di Tripoli, dal Capo Bon presso Tunisi fino al Capo Ras Sem presso di Derna: i gran banchi di Kerkena e quelli di Sydra, che sono in quei golfo appoggerebbero quest'ipotesi, ove si vogliano considerare come avanzi di una terra sommersa; lo che combinerebbe coll'ultima circostanza riferita dal sacerdote di Saïs intorno all'isola Atlantide. Quanto alla sommersione totale effettuatasi in ventiquattr'ore di un'isola così estesa quanto si suppone l'Atlantide, e sparsa di alte montagne; è un avvenimento che a stento si ammette, qualunque volta si voglia rappresentarsi all'immaginazione gl'immensi abissi che debbono supporsi per concepire un così prodigioso effetto: supposizione altronde affatto gratuita, e non convalidata da veruno avvenimento analogo preso dall'istoria naturale dopo l'ultimo grande cataclisma.

Se si voglia supporre che l'Isola d'Atlante arrivasse fin al Capo Ras Sem, allora questa parte dell'Atlantide sarebbesi trovata in faccia ed a poca distanza della Tirrenia, dalla Grecia, dall'Asia, dall'Egitto, e dalla Libia; ed ecco il teatro delle conquiste degli Atlanti, la di cui metropoli trovavasi nel centro.

Potrei aggiugner prove a prove, ragionamenti a ragionamenti in sussidio del mio sistema; ma non volendo trattare questa quistione che come una parte accessoria, e subordinata a quella dell'esistenza d'un mare interiore nell'Affrica, io ne lascio la soluzione ai dotti critici che l'hanno di già analizzata. Frattanto senza parlare di quei tanti sistemi creati intorno all'Atlantide, credo di poter far osservare che la posizione data a quest'isola dall'autore della storia filosofica del mondo primitivo, non corrisponde ai dati che noi abbiamo dal sacerdote di Saïs, poichè più non sarebbe sulle rive del mare Atlantico, collocandola, com'egli fa, in mezzo del Mediterraneo, che non ebbe mai il nome d'Atlantico; nè in faccia all'imboccattura che i Greci chiamano nella loro lingua le Colonne d'Ercole; ossia lo stretto di Gibilterra; di dove, secondo il citato autore, sarebbe stata lontana quasi duecento leghe. In tale ipotesi niuna linea retta sarebbesi dall'isola tirata allo stretto senza passare sopra terre intermediarie a cagione della projezione delle coste di questo mare: altronde il piccolo spazio entro cui pone quest'isola non poteva contenere un territorio tanto esteso quanto la Libia e l'Asia insieme, qualunque riduzione si faccia subire al paesi allora conosciuti sotto questi nomi; meno poi un territorio sul quale regnavano molti re famosi per la loro potenza…, che stendevano il loro impero sui vasti paesi adjacenti, ed andavano altieri delle loro grandi forze. Vedo che l'autore della storia filosofica ha cercato di dissipare tanti inconvenienti con ingegnose soluzioni, ma a lui medesimo io subordino queste osservazioni, e sono persuaso ch'egli renderà giustizia a' miei voti per la verità, qualunque sia il grado di probabilità che voglia attribuirsi al mio sistema.

Devo pure notare che la situazione data a quest'isola del sig. Bory de Saint-Vincent nei suoi saggi intorno alle isole Fortunate, non combina meglio colle circostanze riferite dal prete di Saïs; poichè il sig. Bory la suppone nel mare Atlantico, e non presso le rive di questo mare, come l'enunciato prete. Nè in tal caso avrebbe più da un lato la Libia, e dall'altro la Tirrenia. Per la situazione e la forma che le vengono da lui date non sarebbervi state isole intermediarie per passare sul continente. Ma ciò che è ancora più notabile, il sacerdote dice positivamente che Atene esisteva già al tempo dell'Atlantide, e che gli Ateniesi condussero le loro flotte contro gli Atlantidi conquistatori: ora nel sistema dell'autore, risulta, malgrado il suo commentario, che ai tempi dell'Atlantide lo stretto di Gibilterra, ed Atene non esistevano, perchè quello ancora non era aperto, e l'altra con tutte le pianure della Grecia era tuttavia coperta dalle acque del Mediterraneo, che non la scoprirono che per rompere lo stretto, ed inghiottire l'Atlantide. Come dunque gli Ateniesi, che ancora non esistevano hanno potuto frenare l'ambizione degli Atlantidi? Come mai le flotte degli uni e degli altri hanno potuto entrare e sortire dal Mediterraneo, il quale, come suppone l'autore, non era allora che un lago chiuso da ogni banda senza avere comunicazione con verun altro mare?

Provato una volta, come possono provarsi simili oggetti, che il Sahhara era un mare ne' tempi d'assai posteriori all'ultimo grande cataclismo del globo, risulta che la sua superficie essendo pochissimo elevata al di sopra del livello del mare, deve formare un gran bacino, ove si precipitano le acque piovane di tutti i paesi che lo circondano. È pure probabile che nel centro dell'Affrica sia restato un vasto lago, ossia un mare Mediterraneo, che sarebbe per avventura un irrefragabile prova dell'essersi il mare Atlantico ritirato dalla Sahhara.

Abbiamo dimostrato la poca elevazione della Sahhara al di sopra del livello del mare col fatto dei fiumi che dopo essere penetrati nel deserto mancano di declivio per giugnere ai mari esteriori dell'Affrica; esaminiamo adesso i motivi che mi muovono ad ammettere un mare interno nell'Affrica, indipendentemente dalle acque che ha potuto lasciarvi l'Oceano, e che forse, come nel mar Caspio, basterebbe per mantenervi un vastissimo lago per molti secoli.

Avvi nell'interno dell'Affrica uno spazio di trentatrè gradi e mezzo dall'E. all'O. dalle sorgenti del Niger fino a quello del Misselad; e più di venti gradi dal N. al S. dal piovente meridionale dell'Atlante, e delle altre montagne vicine ai Mediterraneo, fino al piovente settentrionale dalle montagne del Kougo e fino alle sorgenti del Bahàr-Koula, superficie immensa da cui non sorte una goccia d'acqua per gettarsi nei mari esteriori dell'Affrica, poichè da un lato non conosciamo le sorgenti dei fiumi, che mettono foce nel Mediterraneo, e nell'Oceano occidentale, i quali tutti derivano le loro acque fuori di questa superficie; e dall'altro lato i fiumi che si gettano nel golfo della Guinea non sono troppo più abbondanti degli altri, e per conseguenza non suppongono un'origine più lontana dalla loro foce, di quello che lo sia il piovente meridionale delle montagne del Kongo, e delle altre montagne che seguendo la stessa linea dell'E. vanno a riunirsi alle montagne di Kouri o della Luna, ove trovansi le sorgenti del Bahàr el-Abiad, o fiume bianco, che forma il principal ramo del Nilo.

Sappiamo inoltre che i fiumi di questa parte dell'Affrica si dirigono per linee convergenti verso il centro: i fiumi dell'Atlante, e quelli del deserto al S. ed al S. E., il Niger e quelli che scendono dalle montagne di Kong al N. E. ed all'E., il Misselad, il Kulla, e molti altri intermediarj al N. O.; il Kuku, il Gazel, ed altri al S. ed al S. O.; e finalmente tutti quelli che sono conosciuti nell'interno dell'Affrica, hanno la loro direzione verso il centro del continente.

Le relazioni di alcuni viaggiatori nell'interno dell'Affrica, e le informazioni che si hanno dagli abitanti, danno, che la quantità d'acqua somministrata dalle continue pioggie in quel paese è tanto considerabile, che gli animali e le piante cadono in uno stato di deperimento.

Non avendo osservazioni metriche dirette intorno a questa quantità d'acqua dell'estensione de' paesi di cui parliamo, ci è forza supplirvi con calcoli approssimativi, fondati sulla misura de' luoghi conosciuti. Sappiamo che in Europa prendendo un termine medio cadono annualmente diciotto pollici d'acqua, e che questa quantità cresce al Sud. In Algeri, ad anno compensato, ne cadono ventotto pollici: nel 1730 ne caddero trenta pollici, e quaranta quattro nel 1732. A Madera ne cadono trenta pollici all'anno, e sotto i tropici, stando alle osservazioni del celebre Humboldt, settanta. La superficie in quistione è tagliata a mezzo dal tropico; pure per dare maggiore forza a tutte le supposizioni a me contrarie, ridurrò la quantità della pioggia a cinquantaquattro pollici, vale a dire a sedici pollici meno di quanto ne dà il sig. Humboldt, ridurrò a zero le pioggie del deserto, e supporrò che il Sahhara occupi la metà di questa superficie, di modo che soltanto le pioggie dell'altra metà somministrino acqua al gran lago interiore. Spero che chiunque troverà larghe queste concessioni: dunque calcoliamo: la superficie intera è di 240,000 leghe di venti al grado; ma perchè ne ho assegnata la metà al deserto, non ne rimangono che 120,000 per somministrare le acque piovane al gran lago: questa estensione a ragione di 292,410,000 piedi quadrati rotondi per lega, forma una superficie di 33,089,200,000,000 piedi quadrati, sulla quale le pioggie depongono ogni anno compensatamente una massa d'acqua di 157,901,400,000,000 piedi cubi.

Se diansi al mare interiore dell'Affrica 150 leghe di lunghezza e 50 di larghezza, verrebbe ad essere press'a poco grande come il mar Caspio o il mar Rosso: e formerebbe una superficie di 12,500 leghe quadrate, eguale a 3,655,125,000,000 piedi quadrati.

L'evaporazione in Europa in una temperatura media di 11° è, secondo Dobson di 30 a 38 pollici all'anno. Il sig. Humboldt l'osservò a Cumana in America a 28° centigradi di temperatura 2780 millimetri all'anno Si trovò alla Guadaluppa di quattro a sei millimetri per giorno; e questo dotto viaggiatore suppone che possa portarsi ad 80 pollici per anno sotto i tropici. Ma per non lasciare alcuna cosa a desiderarsi agli antagonisti del sistema, porrò contro di me questo risultamento, triplicando la quantità assegnata dal sig. Humboldt, e portando l'evaporazione del nostro lago a 240 pollici, ossiano 20 piedi per ogni anno.

Ora se moltiplichisi questa evaporazione per la superficie del lago, ne risulta una massa di 157,901,400,000,000 piedi cubi: onde rimane ancora un eccedente di 84,698,900,000,000 piedi cubi di acqua per supplire alla evaporazione nei fiumi e nei laghi subalterni, e per la decomposizione dell'acqua per la vegetazione ed altri fenomeni: lo che dimostra, stando anche alle supposizioni meno favorevoli al sistema, che in un mare della grandezza del Rosso, o del Caspio, posto nel centro dell'Affrica, l'evaporazione non leverebbe pure la metà dell'acqua che le pioggie devono deporre ogni anno sulla superficie in quistione, e che ne rimarrebbe più della metà per le altre cause d'assorbimento; tal che, se queste non bastano per consumare l'altra metà, come sembra probabile, il nostro mare Affricano dovrà essere più vasto del Rosso e del Caspio.

Nulla dirò della sua profondità, perchè dipendente dalla configurazione del suolo: ma qualunque sia tale profondità, il mare conserverà senz'alterazione tutto l'eccedente dì venti piedi tolti dalla evaporazione.

Questi calcoli dimostrano l'impossibilità della supposizione, che il Niger si perda nel pantani a Wangara; e spiegano ove devono essere le foci dei tanti fiumi che vanno nel centro dell'Affrica senza che più si vedano sortire.

Dimostrano in pari tempo l'impossibilità dell'uscita di tanta quantità d'acque per la costa della Guinea, come lo suppose un dotto tedesco. Di fatto il Migered ed il Senegal hanno le loro sorgenti nelle montagne di Kong a brevissima distanza le une dalle altre, e questi fiumi dirigonsi, uno al N.E., l'altro al N. O. Il primo dopo un corso dì cento sessanta leghe arriva a Giambala in sul confine del Sahhara, ed il secondo dopo avere percorso un eguale spazio, bagna i confini dello stesso deserto a Fariba. La situazione di questi due fiumi è allora assolutamente la medesima. Il Senegal per arrivare da Fariba al mare, di dove non è lontano più di cinquanta leghe, fa mille tortuosità, e forma colle sue acque un gran numero di laghi e di paludi in un suolo appianato, e quasi al livello dell'Oceano; di modo che può dirsi che se il mare si ritraesse cento leghe dalle rive attuali, conservando lo stesso livello, il Senegal non potrebbe arrivare colà, e svaporerebbe in uno o più laghi.

3.Val a dire di quella parte d'Asia conosciuta dagli antichi a quell'epoca. (N. dell'Edit.)